DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Droghe ingannevoli. Giovani in pericolo

di Pino Ciociola

Deodorano e/o... sballano, costando quattro soldi: cosa chiedere di più? Smart drug le chiamano, che suona giovane e psichedelico: sono una nuova frontiera per dare più lavoro agli ospedali. Pulita, facile e, per gli smart shop, i negozi dove si acquistano, assai remunerativa: pulita perché legale, facile perché l’obiettivo prevede quasi solo ragazzini fra 13, 14 e al più 18 anni, assai remunerativa perché garantisce un bel po’ di soldi.
Per carità, tutto in piena regola, almeno finora: prendiamo l’Infinity (dodici euro al grammo e chiunque può mettersela in tasca), un deodorante, un «profumatore d’ambiente» il cui aroma «potrebbe donare alcune ore di piacevoli sensazioni di contatto e armonia con la natura», suggerisce il sito www.alchemico.com, naturalmente invitando a usarlo secondo le sue finalità. Peccato che anche i muri degli smart shop ormai sappiano come in realtà i giovanissimi lo acquistino per fumarlo (o sniffarlo) e che i suoi effetti risultino fino a dieci volte più potenti di quelli della cannabis.
Certo, ci si può sballare anche sniffando colla o la benzina nel serbatoio del motorino. Però né la prima, né la seconda si trovano in uno dei 157 negozi in Italia (e nei loro siti internet) che vendono – sempre legalmente – anche ogni genere di kit e pipette per sniffare e fumare, semi, prodotti e manuali per la coltivazione casalinga e accurata della marijuana, della canapa indiana e di funghi allucinogeni (comprese lampade per tenere alla giusta temperatura le piantine). Tutto l’occorrente dunque per il fai-da-te dello sballo: dal primo all’ultimo passaggio. In vendita si trovano dunque sostanze pubblicizzate dunque miscele aromatizzanti per l’ambiente, ma anche semi di piante tropicali che provocano allucinazioni e si comprano legalmente. Appunto, una variegata gamma delle smart drug (o bio-droghe, all’italiana), letteralmente "droghe furbe".
E serve a poco rincorrere le sostanze con le attuali velocità e capacità. "Spice" e "N-Joy", profumatori d’ambiente fumati e inalati da chi è in cerca di sballi legali, da pochissimo sono state inserite nelle tabelle ministeriali delle sostanze stupefacenti, tuttavia hanno già un erede in commercio e sul mercato. Si chiama "Infinity" ed è un mix di piante esotiche e sostanze aromatiche con tutte le carte in regola, visto che è sostanza molto simile alle precedenti, dalle quali differisce solo nella formula chimica, ancora più potente che in passato. Per i tossicologi questa "tecno-cannabis" – cioè riprodotta artificialmente in laboratorio – «si lega agli stessi recettori cerebrali dei cannabinoidi con effetti analoghi o superiori a quelli del Tch, il principio attivo presente in ogni spinello». Ma, soprattutto, ha effetti collaterali e ricadute sulla salute ancora sconosciuti. E neppure è rilevabile nelle urine e nel sangue.
Intanto gli smart shop sanno come mettere (legalmente) le mani avanti: «Non intendiamo istigare o favoreggiare l’uso delle sostanze vietate dalla legge, ma esclusivamente informare la clientela secondo il legittimo diritto di libera manifestazione del proprio pensiero sancito dalla Costituzione». Così vendono cartine di ogni tipo e narghilé, le pipe della tradizione africana, serre e lampade, concimi e fertilizzanti e vasche d’irrigazione per coltivare i semi di marijuana. E la "clientela" – quando non finisce in ospedale come i sei casi solamente nel marzo scorso – ringrazia.
«A 14 anni nel baratro. Non cedete alle sirene»
Venne fuori la voce che all’Alchemico, a Riccione, si vendeva quella roba, noi già ci facevamo le canne...», racconta Franca (nome di fantasia, ndr, 22 anni, cesenate, minuta e carina. Mentre ti guarda dritto negli occhi. Perché di sbagliare poteva capitare – può capitare – a chiunque: specie a una ragazzina di 14 anni, specie se il papà non l’ha conosciuto perché abbandonò la madre quando rimase incinta. «Spesso, la mattina marinavamo la scuola, prendevamo il treno per Riccione e andavamo a comprarla» quella roba. La salvia divinorum (oggi fuorilegge): «Ci avevano detto che era un allucinogeno molto potente e che era legale». Avevano detto loro il vero: da 5 a 25 euro di spesa e lo sballo era servito.
«Poi non rimanevamo a Riccione – continua Franca – tornavamo a Cesena, ci sedevamo ai giardinetti vicino alla scuola, fumavamo la salvia, bevevamo tantissimo e stavamo lì...». Tre, quattro, cinque ore. I soldi? «A quell’età spacciavamo un po’ di fumo. E io comunque lavoravo: in un ristorante e, a volte, in uno studio fotografico». Stessa storia altre volte, però di sera: «Andavamo a ballare dalle parti di Rimini o di Riccione, prima passavamo dall’Alchemico», che per mantenere florido il business aveva «un distributore automatico» nelle ore di chiusura. Alchemico, cioè una catena di negozi dalle insegne accattivanti e colorate, che da un bel pezzo vendono – legalmente – deodoranti ambientali, ma anche cibi, oggetti, semi, libri e quanto fa parte della "cultura" delle sostanze psicoattive: hanno il deposito a San Marino e punti vendita a Milano, Bologna, Trieste, Latina, Rimini e, appunto, Riccione. «Noi coltivavamo l’erba, grazie ai semi che compravamo all’Alchemico».
Il punto era per Franca lo sballo, né più, né meno. Unica alternativa allo «stare male», come definisce e ricorda quegli anni: «Io conoscevo soltanto lo sballo e quello mi andava bene. Ero anche molto distruttiva, sempre portata agli eccessi. Non capivo che era pericoloso, sebbene più tardi, forse verso i 15 anni, me ne rendevo conto». Non importa. Non serve. Franca non si ferma. Via via manda giù o sniffa o s’inietta «tutto»: dall’eroina alla cocaina, dall’ecstasy alle droghe sintetiche, dagli acidi, alle pasticche, ai funghi allucinogeni. Spesso due o tre insieme. «Di un anno non ricordo quasi niente, perché ci facevamo di continuo»: quello fra i 16 e i 17.
Alla fine, ad un soffio dal baratro, smette. «Già volevo farlo, perché una ragazza che era nel mio giro, con la quale ero sempre insieme, andò in overdose e la ricoverarono in ospedale». Non tocca solo a lei, ma anche ad altri, che via via crollano, perché ogni fisico ha un limite. Neanche questo basta. Un giorno, quando frequenta la quinta superiore, la madre scopre che a scuola non va praticamente più da tanto tempo: «Tanto, quando andavo, due ore dormivo, due ore vomitavo e due ore ero in astinenza». La mamma scopre tutto, dall’inizio alla fine: «Le dissi – spiega Franca –: "Se non mi credi, guardami le braccia". Quasi svenne a vedere quanti buchi». Da lì a San Patrignano il passo fu meno che breve. «Anche la mia amica era finita in una comunità, lei ce la spedirono appena uscita dall’ospedale, nemmeno la fecero passare da casa».
Cosa pensa Franca, adesso, degli smart shop? «Nell’incoscienza, nel voler strafare che può prenderti a quattordici, quindici anni, sono un buon ingresso in un certo mondo. Un ingresso molto facile». Eppure, in quelli italiani ogni giorno vanno centinaia, migliaia di ragazzini: che cosa direbbe loro, se potesse? «Tirate dritto davanti a quei negozi. Senza entrarci. Perché se cominci, poi smetti o ti droghi pesantemente, non c’è via di mezzo. Ma non ascolterebbero».


«A 14 anni nel baratro. Non cedete alle sirene»
la storia


Franca ora è a San Patrignano: marinavamo la scuola e da Cesena andavamo a Riccione per comprare un allucinogeno che ci avevano consigliato. Poi ai giardini, inseguendo lo sballo

DAL NOSTRO INVIATO A RIMINI
PINO CIOCIOLA
« V
enne fuori la voce che al­l’Alchemico, a Riccione, si vendeva quella roba, noi già ci facevamo le canne...», racconta Fran­ca (nome di fantasia, ndr ), 22 anni, ce­senate, minuta e carina. Mentre ti guar­da dritto negli occhi. Perché di sbaglia­re poteva capitare – può capitare – a chiunque: specie a una ragazzina di 14 anni, specie se il papà non l’ha cono­sciuto perché abbandonò la madre quando rimase incinta. «Spesso, la mat­tina marinavamo la scuola, prendeva­mo il treno per Riccione e andavamo a comprarla» quella roba. La salvia divi­norum(
oggi fuorilegge): «Ci avevano det­to che era un allucinogeno molto po­tente e che era legale». Avevano detto lo­ro il vero: da 5 a 25 euro di spesa e lo sballo era servito.
«Poi non rimanevamo a Riccione – con­tinua Franca – tornavamo a Cesena, ci sedevamo ai giardinetti vicino alla scuo­la,
fumavamo la salvia , beve­vamo tantissi­mo e stavamo lì...». Tre, quat­tro, cinque ore. I soldi? «A quell’età spac­ciavamo un po’ di fumo. E io comunque la­voravo: in un ristorante e, a volte, in u­no studio fotografico». Stessa storia al­tre volte, però di sera: «Andavamo a bal­lare dalle parti di Rimini o di Riccione, prima passavamo dall’Alchemico», che per mantenere florido il business aveva «un distributore automatico» nelle ore di chiusura. Alchemico, cioè una catena di negozi dalle insegne accattivanti e co­lorate, che da un bel pezzo vendono – legalmente – deodoranti ambientali, ma anche cibi, oggetti, semi, libri e quanto fa parte della 'cultura' delle sostanze psicoattive: hanno il deposito a San Ma­rino e punti vendita a Milano, Bologna, Trieste, Latina, Rimini e, appunto, Ric­cione. «Noi coltivavamo l’erba, grazie ai semi che compravamo all’Alchemico».
Il punto era per Franca lo sballo, né più, né meno. Unica alternativa allo «stare
male», come definisce e ricorda quegli anni: «Io conoscevo soltanto lo sballo e quello mi andava bene. Ero anche mol­to distruttiva, sempre portata agli ec­cessi. Non capivo che era pericoloso, sebbene più tardi, forse verso i 15 anni, me ne rendevo conto». Non importa. Non serve. Franca non si ferma. Via via manda giù o sniffa o s’inietta «tutto»: dal­l’eroina alla cocaina, dall’ecstasy alle droghe sintetiche, dagli acidi, alle pa­sticche, ai funghi allucinogeni. Spesso due o tre insieme. «Di un anno non ri­cordo quasi niente, perché ci facevamo di continuo»: quello fra i 16 e i 17.
Alla fine, ad un soffio dal baratro, smet­te. «Già volevo farlo, perché una ragaz­za che era nel mio giro, con la quale ero sempre insieme, andò in
overdose e la ri­coverarono in ospedale». Non tocca so­lo a lei, ma anche ad altri, che via via crollano, perché ogni fisico ha un limi­te. Neanche questo basta. Un giorno, quando frequenta la quinta superiore, la madre scopre che a scuola non va pra­ticamente più da tanto tem­po: «Tanto, quando anda­vo, due ore dormivo, due ore vomitavo e due ore ero in astinenza». La mamma sco­pre tutto, dal­l’inizio alla fine: «Le dissi – spiega Fran­ca –: 'Se non mi credi, guardami le brac­cia'. Quasi svenne a vedere quanti bu­chi ». Da lì a San Patrignano il passo fu meno che breve. «Anche la mia amica e­ra finita in una comunità, lei ce la spe­dirono appena uscita dall’ospedale, nemmeno la fecero passare da casa».
Cosa pensa Franca, adesso, degli
smart shop? «Nell’incoscienza, nel voler stra­fare che può prenderti a quattordici, quindici anni, sono un buon ingresso in un certo mondo. Un ingresso molto fa­cile ». Eppure, in quelli italiani ogni gior­no vanno centinaia, migliaia di ragazzi­ni: che cosa direbbe loro, se potesse? «Ti­rate dritto davanti a quei negozi. Senza entrarci. Perché se cominci, poi smetti o ti droghi pesantemente, non c’è via di mezzo. Ma non ascolterebbero».
«Di mesi interi non ricordo quasi nulla, perché 'ci facevamo' di continuo. Fino a che la madre ha scoperto tutto. Ai ragazzini di oggi direi: tirate dritto davanti a quei negozi. Ma non mi ascolteranno»


COSA SONO
MIX DI SOSTANZE E SEMI TROPICALI: 157 NEGOZI IN ITALIA

È a Roma la più alta concentrazione (10,26%) di smart shop, i negozi specializzati nella vendita di bio-droghe. Al secondo posto c’è Milano con il 4,49%, seguita da Torino con il 3,85% e da Bologna con il 3,21%, come rileva l’Accademia internazionale delle Discipline analogiche. Cioè – come fa sapere la comunità di San Patrignano – 157 negozi in Italia specializzati (oltre a un gran numero di siti Internet nei quali si può acquistare per corrispondenza) in semi di piante tropicali, che sono ufficialmente in vendita per essere piantati e non ingeriti, oltre che tanti mix di sostanze d’acquistare altrettanto ufficialmente come profumatori d’ambiente. A fare i conti invece regione per regione, il primato tocca all’Emilia Romagna (con il 17,31% dei negozi), seguita dal Lazio con il 13,46%, dalla Lombardia con il 12,82% e dal Piemonte con il 9,61%. Le smart drug – spiega Stefano Benemeglio, presidente dell’Accademia – «alterano le percezioni visive, uditive, tattili e temporali, proiettando l’individuo in una dimensione irreale ed esponendo la persona a rischi notevoli», tanto più che «l’alterazione della percezione dell’'io' può generare attacchi di panico: un soggetto può diventare aggressivo verso sé stesso e verso gli altri e può addirittura lanciarsi nel vuoto credendo di poter volare». E infatti nel 2006 a Bari un ventenne, dopo aver ingerito semi allucinogeni acquistati in uno smart shop, si è gettato dalla finestra ed è morto. Fra i prodotti in commercio negli smart shop c’è molto, se non di tutto: dalle ecstasy vegetali alle bevande energetiche, dalla gomma da masticare con «effetti meditativi narcotici» ai biscotti a base di surrogati della canapa e «persino miscele di canapa sativa commercializzata in Italia come deodorante per ambienti, sconsigliandone l’utilizzo per consumo umano». (
P.Cio.)



«Avvenire» del 27 aprille 2010