DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il respiro e il silenzio, la via della Vergine. Parla la filosofa e psicoanalista francese Luce Irigaray

DI LORENZO FAZZINI
R
ipartire da Maria per comprendere in pienezza, anche in ambito culturale, il cristianesimo. È questa la tesi (quasi) provocatoria della filosofa francese Luce Irigaray. Nata nel 1930, direttrice al Cnrs di Parigi, formatasi con Jacques Lacan, nota per diversi volumi a metà tra la filosofia, la linguistica e la ricerca psicologica: ricordiamo La via dell’amore (Bollati Boringhieri) e Speculum. L’altra donna (Feltrinelli). Irigaray arriva in Italia per alcune conferenze: domani a Modena alla Fondazione Ferrari parlerà su «Amare l’altro come altro», domenica al monastero di Bose su «La luce del cuore». Mentre il 14 maggio alla Fiera del libro di Torino interverrà su Il mistero di Maria , il titolo del suo ultimo volume edito dalle Edizioni Paoline.
«Maria è la condizione dell’incarnazione», lei scrive nel libro. Qual è l’apporto «culturale» più importante che il cristianesimo può offrire oggi?

«Penso che tale contributo non sia ancora bene inteso né trasmesso, salvo talvolta da artisti, mistici e poveri di spirito. Suggerisco solo qualche insegnamento che, secondo me, risulta dalla tradizione dell’incarnazione divina. Anzitutto, riconoscere la necessità del ruolo non solo naturale ma anche spirituale della donna per la 'redenzione' e il compimento dell’umanità. Quindi, superare le divisioni che regolano la nostra cultura, in particolare fra corpo e anima, carne e spirito, natura e cultura, perfino umano e divino.
Ammettere che l’amore, compreso quello carnale, è ciò che può condurre all’unione di queste spartizioni sbagliate, ereditate da una logica filosofica che pretende di dominare la natura invece di coltivarla. Ancora: non svalutare la generazione naturale rispetto alla creazione e mettere questa al servizio dello sbocciare della natura stessa, da rispettare come corpo vivente e ambiente. Scoprire, inoltre, che la trascendenza può anche essere sensibile e incarnata, sviluppando gesti e parole che favoriscono il suo emergere.
Infine, coltivare il desiderio come dimensione umana che ci spinge a trascenderci, e non dimenticare il valore dell’invisibile e del toccare come via dell’incarnazione».

Lei rivaluta la dimensione di pietà popolare verso la Vergine: perché?

«L’insegnamento del cristianesimo si rivolge a tutti e tutte. Lo testimonia Gesù stesso. Il più delle volte egli non parla a quelli e quelle che lo cercano in un luogo di culto e con un discorso religioso già codificato. Si indirizza a chi lo avvicina con parole semplici, sensibili, toccanti e adatte a bisogni e desideri della persona. Quando i discepoli vogliono allontanare da lui gli ignoranti, i poveri, le donne o i bambini, vengono ammoniti. Se Gesù litiga con i dottori della legge, che pensano di sapere qualcosa del divino, non rimprovera mai coloro che vengono a lui con semplice buona volontà. Guarisce il corpo e
l’anima di chi accetta umilmente di ricevere un dono di amore. Forse questo aspetto del messaggio cristiano è più salvaguardato oggi dai fedeli di Maria, l’umile popolo in cerca di un aiuto per la propria vita.
Ci siamo un po’ dimenticati la dimensione dell’incarnazione nel nostro modo di pensare e vivere il cristianesimo. È possibile che la gente estranea al discorso teologico ne conservi la memoria, che resti in attesa della realizzazione qui e ora dell’incarnazione divina. E non si sbaglia quando ricomincia da Maria il percorso di questo avvento».

Nel suo testo vi è un apprezzamento
del silenzio, spesso misconosciuto nella tradizione occidentale. A cosa si deve tale riscoperta?
«Sono una donna. Se non accetto che il silenzio mi sia imposto per lasciare il posto a una parola che sostituisce la mia, conosco anche il prezzo del silenzio. So che può rappresentare un luogo di ritorno a sé, di preservazione ed intimità con se stessi. Non si può dire tutto e una parola che non si radica nel silenzio non corrisponde a una parola incarnata. Il silenzio non è necessariamente assenza di parole, ma riserva di parole o eventi futuri la cui manifestazione è ancora sconosciuta. Il silenzio di Maria testimonia il mistero di una carne capace di portare alla luce ciò che
non è ancora accaduto né apparso a livello di generazione. Il silenzio può essere il custode della soglia fra il dentro e il fuori. Esso consente di recuperare un’integrità, si può dire anche verginità, fisica e psichica. Un modo di rendersi disponibile per ascoltare e accogliere il non ancora conosciuto, per avvicinarsi all’altro come altro».
Vede un confronto costruttivo fra credenti e non credenti?

«Per favorire un dialogo tra diverse famiglie culturali o religiose conviene non insistere sulla parola 'credenti' e interrogarsi sulla via che permette all’umanità di raggiungere il suo compimento. Non intendo cadere in un relativismo nichilista, ma rispettare l’apporto di ogni tradizione dell’umanità. Per quanto mi riguarda, direi che l’avvicinamento alla tradizione dello yoga mi ha permesso di scoprire aspetti della mia tradizione che non avrei percepito senza dialogare in me stessa con diverse tradizioni. Per esempio l’importanza del respiro mi era stato insegnato come una componente essenziale dell’incarnazione del divino. Avevo sentito parlare del soffio di Dio e dello Spirito Santo come soffio. Ma senza una pratica quotidiana dello yoga non avrei capito il senso di tali parole nella mia propria tradizione.
Non dobbiamo temere di aprirci ad altre tradizioni per portar loro, ma anche riceverne, qualche luce. È così che ho imparato che un amore senza respiro o un respiro senza amore non bastano».

© Copyright Avvenire 23 aprile 2010


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