DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quando l'obbedienza diventa luce. Un inno altomedievale per le lodi dell'Ascensione. di Inos Biffi

L'inno per le Lodi nella solennità dell'ascensione di Gesù al cielo - in dimetro giambico e di autore anonimo del secolo x - pur di non alta ispirazione poetica, nel suo soffermarsi sui particolari della scena evangelica illustra bene il senso del mistero avvenuto il quarantesimo giorno dalla risurrezione.
In questo giorno Cristo, ponendo termine alla sua visibile e intermittente presenza tra i discepoli - destinata a offrire loro "molte prove" della sua risurrezione e a discorrere sulle "cose riguardanti il regno di Dio" (Atti, 1, 3) - promise la "forza dello Spirito Santo", "si staccò da loro", "fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi" (cfr. Atti, 1, 8- 9).
È un "giorno luminoso - dichiara l'inno - da tutti desiderato", nel quale Cristo, "speranza del mondo ha varcato i cieli impenetrabili".
Non sorprende che quel giorno sia oggetto di un desiderio universale: l'ascesa di Gesù al cielo rappresenta la splendida vittoria sul demonio, che Gesù stesso aveva definito come "il principe di questo mondo" (Giovanni, 12, 31). Ascendendo al cielo "nella lucente nube", Cristo presenta al cospetto del Padre una umanità vincitrice e gloriosa.
I credenti trovano nell'ascensione la sorgente della loro speranza (spem facit credentibus) Cristo dischiude ormai la porta del cielo, che il peccato di Adamo aveva serrato. Tutti, poi - continua l'inno - sono pervasi da una "grande gioia" al vedere la gloria del Crocifisso, assiso alla destra del Padre, e lo splendore delle sue ferite, che resteranno sempre nel suo corpo risorto come stimmate luminose, a renderlo eternamente riconoscibile.
L'umanità di Gesù disposta al cospetto del Padre, scrive san Tommaso, equivale a "una supplica per noi": essa è un'implorazione "ad aver pietà di coloro per i quali il Figlio di Dio ha assunto la natura umana" (Summa Theologiae, iii, 57, 6).
L'ascensione al cielo raffigura anzitutto il trionfo di Gesù, il suo passaggio dall'umiliazione e dall'obbedienza fino alla morte di croce, alla sua esaltazione e alla sua signoria (Filippesi, 2, 8-9). Ma nell'ascensione di Gesù al cielo è, insieme, ritratta e raggiunta la gloria della nostra umanità (nostrum corpus): l'Autore della nostra salvezza la innalza fino alla sublimità celeste (ad cæli regiam).
Così, il Signore salito al cielo predica e manifesta, intimamente unita alla sua, la riuscita dell'uomo, che in lui e con lui si trova inscindibilmente unito al Padre. Gesù, quale "Primogenito di molti fratelli" (Romani, 8, 29), ci porta in paradiso.
L'ascensione di Cristo è, allora, motivo di "comune letizia": per i cori beati o la Chiesa celeste, e per noi, ancora pellegrini, ma non da lui abbandonati. Essa - conclude l'inno - eleva al cielo il nostro cuore, in attesa dell'effusione dello Spirito e con lo Spirito di ogni dono di grazia.
Commentando il mistero dell'ascensione, definito "causa della nostra salvezza", sempre san Tommaso afferma che la collocazione in cielo della nostra natura umana assunta da Cristo suscita "l'aumento della nostra fede (fidei augmentum)", provoca "l'elevazione della nostra speranza (spei sublevatio)", e solleva "l'affetto della nostra carità alle realtà celesti (caritatis affectus in cælestia)", particolarmente grazie al dono dello Spirito Santo, che "è l'amore che ci rapisce alle cose del cielo (amor nos in cælestia rapiens)" (Summa Theologiae, iii, 57, 1, 3m).
Gesù risorto alla destra del Padre è la ragione per la quale Dio ha creato il mondo. L'umanità gloriosa del Redentore è la soddisfazione dell'eterno disegno divino, attestato da tutte le Scritture.
Ma in quella umanità si ritrova indissociabilmente anche la nostra. "Secondo il disegno d'amore della volontà" di Dio (Efesini, 1, 5), ogni uomo, infatti, è stato predestinato a risorgere con Cristo, a sedere con lui nei cieli, a prendere parte del "tesoro della sua gloria" (Efesini, 1, 18; 2, 6) e della sua regalità. Questa predestinazione è inclusa nella creazione.
Ecco perché l'ascensione, festeggiando il trionfo del Signore, festeggia per ciò stesso l'assoluto ed eterno successo dell'uomo.



Optatus votis omnium
sacratus illuxit dies,
quo Christus, mundi spes, Deus,
conscendit cælos arduos.
Magni triumphum proelii,
mundi perempto principe,
Patris præsentans vultibus
victricis carnis gloriam.
In nube fertur lucida
et spem facit credentibus,
iam paradisum reserans,
quem protoplasti clauserant.
O grande cunctis gaudium,
quod partus nostræ Virginis,
post sputa, flagra, post crucem
paternæ sedi iungitur.
Agamus ergo gratias
nostræ salutis vindici,
nostrum quod corpus vexerit
sublime ad cæli regiam.
Sit nobis cum cælestibus
commune manens gaudium:
illis, quod semet obtulit,
nobis, quod se non abstulit.
Nunc, Christe, scandens æthera
ad te cor nostrum subleva,
tuum Patrisque Spiritum
emittens nobis cælitus.


(©L'Osservatore Romano - 12 maggio 2010)

(©L'Osservatore Romano - 12 maggio 2010)