DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Fede: educazione sentimentale cercasi

«Ho voluto parlare della re­ligiosità che mi ha co­struito come scrittore e credente, ma anche del modo in cui il cattolicesimo ha intessuto una civiltà. Ho cercato di trasmettere umilmente la nostra grande memoria». Per lo scrittore francese Denis Tillinac la ste­sura del Dizionario amoroso del cat­tolicesimo, pubblicato in Francia da Plon e divenuto un successo in libre­ria, è stata l’esperienza «speciale» per eccellenza di un’intera carriera. E­splorando in modo molto personale il senso e le armoniche più intime di un centinaio di voci, da «agnello» fino al­la lettera «z», Tillinac ritrova ad esem­pio con commozione i propri ricordi infantili di chierichetto affascinato dal mistero delle messe in latino, sve­la la propria ammirazione per l’«utopia concreta» del monachesi­mo, cita tanti eventi pregnanti come la conversione parigina di Alessan­dro Manzoni. L’autore assicura: «Senza radici cristiane, non c’è Eu­ropa. L’Europa è il continente delle cupole, dei monasteri, delle chiese. Che si sia credenti o meno».
Cosa vuol dire per lei la vecchia e­spressione «Francia figlia primoge­nita della Chiesa»?
«Giovanni Paolo II aveva ricordato questa formula, rimproverando l’in­fedeltà della Francia al suo battesimo. La maggioranza degli storici, che sia­no credenti o no, fanno risalire la na­scita della Francia al battesimo di Clo­doveo. Si tratta di legami fondamen­tali e ho scritto questo libro perché molti francesi non conoscono più quest’eredità. Eppure, chi arriva in Francia si rende subito conto che e­sistono 40 mila luoghi di culto e che decine di migliaia di villaggi e città portano il nome di un santo. Quan­do si ha coscienza delle proprie ra­dici, si ha più fiducia nell’avvenire. Oggi, il cattolicesimo è divenuto in Francia un po’ elitista, ma occorrerà ritornare alla base».
Alla voce « amore», lei sostiene che le Beatitudini rappresentano la maggiore originalità del Vangelo. In che senso?
«Mi hanno sempre colpito perché se­gnano un capovolgimento totale dei valori mondani e sociali. Si va al di là del messaggio d’amore del prossimo che si ritrova già nell’Antico Testa­mento. Gli uomini non sono angeli, certo, ma sono tutti chiamati alla san­tità, la quale può essere riassunta pro­prio dalle Beatitudini».

Le vite dei santi, invece, sono come «romanzi di anime picaresche».
«Si tratta spesso di anime com­plicate, attirate talora dall’a­more profano. Mi riferisco ad esempio a figure come Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola. Il loro percorso è come fatto di rimbalzi progressivi verso l’alto e verso il mistici­smo. Tutte le anime forse aspi­rano a simili avventure, ma in genere il bagliore divino ci il­lumina appena mezz’ora in un anno o in una vita. Nel loro caso, l’avventu­ra ascende in modi imprevedibili ver­so l’alto».

Il suo dizionario ricorda tanti luoghi dello spirito. Quest’ancoraggio geo­grafico è una chiave per comprende­re il cattolicesimo?
«Nella propria gestione temporale, la Chiesa ha sempre pensato che, per permettere di accedere all’invisibile, l’uomo ha bisogno di tutte le forme della propria sensibilità. Il bello, il me­raviglioso, la sorpresa, lo stupore. O­gni credente ha una propria geogra­fia intima in cui le chiese giocano un grande ruolo, con le loro penombre, la luce speciale delle vetrate, l’ico­nografia, il bagliore rosso del Santo Sacramento in fondo a una cappel­la. Tutto ciò concorre a trasmettere uno stato di religiosità la quale, pur non corrispondendo alla fede, può nutrirla».

François Mauriac si chiedeva se Dio ha ancora bisogno degli scrittori. Che ne pensa?
«Il cattolicesimo è in particolare una religione della scrittura. Mi pare na­turale che uno scrittore possa sentir­si come in casa propria. Con le Con­fessioni, sant’Agostino ha trasforma­to la letteratura in uno spazio d’inte­riorità e tanti altri seguiranno questo cammino. In Francia, ad esempio, Montaigne, Rousseau, Chateau­briand, fino ai teologi del Novecento. Ma i fondatori non sono stati di certo superati. Il passaggio attraverso la pa­rola, e dunque anche attraverso chi scrive, resta obbligato».

Il dibattito sulla laicità riappare in Francia. Perché?
«Dopo la legge del 1905, la laicità in Francia si è fondata su compromessi divenuti sempre più di largo consen­so. Ma oggi, proprio nel momento in cui il cattolicesimo praticante conosce un certo declino, i francesi hanno pau­ra dell’islam. Vedere dei musulmani che pregano in strada a Montmartre o a Marsiglia pone interrogativi sul senso religioso. Il dibattito politico sui flussi migratori, di natura molto di­versa, ha un suo senso. Invece spesso non amo l’approccio odierno verso la laicità. Non occorre fare una monta­gna dell’uso del burqa. Basta sempli­cemente vietarlo, già per semplici ra­gioni di ordine pubblico. In Francia, c’è indubbiamente chi cerca di trasferire sul piano religioso una crisi che è invece morale, so­ciale ed economica. In questo dibattito falsato, naturalmente, converge anche il peso residuo del fronte laicista».

A livello culturale, certi vecchi muri antireligio­si sembrano al contem­po fessurarsi, come ha appena mo­strato l’attenzione offerta a Parigi al «Cortile del Gentili»…
«Vent’anni fa, appariva ridicolo defi­nirsi uno scrittore cattolico. Oggi, ac­canto a una serie di scrittori e intel­lettuali credenti molto riconosciuti, si moltiplicano soprattutto i dibattiti in cui si riconosce che forse l’umanità non può fare a meno della religiosità. Sono convinto che presto apparirà i­nutile andare a cercare nel buddismo una qualche ispirazione spirituale e­sotica. In questo clima di ritrovata ri­cerca, mi pare stia affiorando un con­flitto fra monoteismo e panteismo. Ma prima o poi, si tornerà alle radici».

Daniele Zappalà

© Copyright Avvenire 24 maggio 2011