DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Né maschio né femmina: bebè educati senza sesso

L’idea di due genitori canadesi di crescere un bimbo senza dire se sia maschio o femmina è una battaglia contro la natura

di Stefano Zecchi

Tratto da Il Giornale del 26 maggio 2011

Sappiamo bene quanto sia difficile crescere, passare dall’infanzia all’adolescenza e poi attraversare la giovinezza, trovare un lavoro, formarsi una buona famiglia... Se poi a complicare questo processo di formazione ci si mette anche la fantasia perversa di una famiglia, significa essere proprio scarognati fin dalla nascita. In Canada, a Toronto, vive una famiglia con due figli. I genitori si chiamano Kathy e David: nomi semplici, normali. Ma questa normalità deve essere sembrata loro troppo borghese, e così hanno deciso di chiamare i propri figli, un maschio di cinque e una femmina di due anni, Jazz (come il genere musicale) e Kio.

Di nomi strani ce ne sono tanti senza bisogno di andare in Canada, perché non hanno confini le ossessioni di originalità dei genitori. La coppia canadese, però, deve essere anche afflitta da una grave sindrome di ideologia egualitarista sessuale. Sostiene che proprio a incominciare dal nome - maschile o femminile - il bambino sviluppa attitudini comportamentali dettate dalle sue caratteristiche sessuali e non dalla sua libera volontà. Insomma, il nome è già di per se stesso una coercizione che induce ad assumere determinati modi d’essere. E infatti Jazz e Kio, nomi indistintamente maschili o femminili, giocano come vogliono e con chi vogliono e si vestono come piace a loro (il maschio spesso anche in rosa).

Tuttavia, nonostante i nomi neutri e la loro totale libertà comportamentale, i due piccoli sono inequivocabilmente maschio e femmina. Un dramma per i genitori, a cui non riuscivano trovare rimedio, finché un giorno la mamma Kathy rimane di nuovo incinta. Maschio o femmina? Che ignobile distinzione, pensano i due genitori canadesi! Come eliminarla? Ecco la folgorazione: non si dovrà assolutamente conoscere il sesso del nascituro, neppure una volta nato. Proprio così. Incominciamo dal nome: si chiamerà Storm, tanto per confondere subito il genere. Ma non basta (come hanno dimostrato Jazz e Kio) per comportarsi senza nessuna costrizione sessuale. Nessuno saprà di che sesso è, almeno fino a che sarà possibile: nemmeno ai nonni è stato svelato il segreto. E il piccolo Storm non saprà, egli stesso, di che sesso è, nessuno dovrà dirgli che se ha il pisellino è una cosa, se non l’ha è un’altra, vivrà come viene raccontato nel Simposio di Platone: una sfera perfetta e autosufficiente che ancora non si è divisa a metà generando due sessi opposti.

Ci sperano molto, i due genitori canadesi, in questa trovata educativa. Libertà, uguaglianza, abolizione delle odiate differenze sessuali: Storm non conoscerà il suo sesso, perciò non si comporterà né da maschio né da femmina, e sarà libero di essere come vuole. L’identità naturale, l’istinto pulsionale verrebbero così annullati dalla non conoscenza della differenza sessuale, e al piccolo Storm si aprirebbe un orizzonte di libertà in cui potrà essere ciò che vuole, indipendentemente dal suo sesso. Da Storm inizierà la grande rivoluzione libertaria antisessista. C’è da augurargli che i suoi genitori vengano trovati a rubare in un supermercato e arrestati.

Pensiamo a noi. È probabile che esageriamo quando, per esempio, regaliamo al bambino l’uovo di Pasqua con la carta azzurra perché se fosse rosa avrebbe la sorpresa da femmina. E forse sarà anche colpa nostra se il bambino rimane male quando trova la sorpresa da femmina nell’uovo che gli abbiamo comprato con la carta d’argento. Certo, sul piano educativo si può lavorare molto per limare eccessi maschili e femminili, caratteri prepotenti dell’uno e remissivi dell’altra. Ma perché dover rinunciare a un’educazione che insegni la fierezza, l’orgoglio dell’essere maschi e la fierezza, l’orgoglio dell’essere femmine? Davvero si deve vedere nella differenza di natura, nella distinzione dei sessi un ostacolo alla libertà di realizzare se stessi?

Questo è un modo di pensare violento, che nasconde una presunzione crudele: la volontà di dominio sulla realtà naturale, che si scarica addosso ai bambini, e trasforma la loro educazione in una battaglia contro la natura, cioè contro la vita stessa. Si può giocare con le bambole o con il trenino o le automobiline senza per questo crescere remissive o prepotenti: basta avere genitori equilibrati, che siano d’esempio con il loro comportamento.