DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

"CONTRAS-SEGNI". I segni di questi giorni in sintesi. Abstracts degli articoli più significativi. N. 2



Il Papa: vi invito a prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine, a non aver paura di porvi le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita.


Oggi vorrei richiamare il celebre episodio in cui il Signore era in cammino e un tale - un giovane - gli corse incontro e, inginocchiatosi, gli pose questa domanda: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10,17). Noi forse oggi non diremmo così, ma il senso della domanda è proprio: cosa devo fare, come devo vivere per vivere realmente, per trovare la vita. Quindi dentro questo interrogativo possiamo vedere racchiusa l’ampia e variegata esperienza umana che si apre alla ricerca del significato, del senso profondo della vita: come vivere, perché vivere. La "vita eterna", infatti, alla quale fa riferimento quel giovane del Vangelo non indica solamente la vita dopo la morte, non vuol sapere soltanto come arrivo al cielo. Vuol sapere: come devo vivere adesso per avere già la vita che può essere poi anche eterna. Quindi in questa domanda questo giovane manifesta l’esigenza che l’esistenza quotidiana trovi senso, trovi pienezza, trovi verità. L’uomo non può vivere senza questa ricerca della verità su se stesso - che cosa sono io, per che cosa devo vivere - verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza, e non solo nella superficialità. E penso che questa – e l’ho visto e sentito nelle parole del vostro amico – sia anche la vostra esperienza. I grandi interrogativi che portiamo dentro di noi rimangono sempre, rinascono sempre: chi siamo?, da dove veniamo?, per chi viviamo? E queste questioni sono il segno più alto della trascendenza dell’essere umano e della capacità che abbiamo di non fermarci alla superficie delle cose. Ed è proprio guardando in noi stessi con verità, con sincerità e con coraggio che intuiamo la bellezza, ma anche la precarietà della vita e sentiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare. Alla fine tutte le promesse si dimostrano spesso insufficienti. Cari amici, vi invito a prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine, a non aver paura di porvi le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita. Non fermatevi alle risposte parziali, immediate, certamente più facili al momento e più comode, che possono dare qualche momento di felicità, di esaltazione, di ebbrezza, ma che nonviportano alla vera gioia di vivere, quella che nasce da chi costruisce – come dice Gesù – non sulla sabbia, ma sulla solida roccia. Imparate allora a riflettere, a leggere in modo non superficiale, ma in profondità la vostra esperienza umana: scoprirete, con meraviglia e con gioia, che il vostro cuore è una finestra aperta sull’infinito! Questa è la grandezza dell'uomo e anche la sua difficoltà. Una delle illusioni prodotte nel corso della storia è stata quella di pensare che il progresso tecnico-scientifico, in modo assoluto, avrebbe potuto dare risposte e soluzioni a tutti i problemi dell’umanità. E vediamo che non è così. In realtà, anche se ciò fosse stato possibile, nulla e nessuno avrebbe potuto cancellare le domande più profonde sul significato della vita e della morte, sul significato della sofferenza, di tutto, perché queste domande sono scritte nell’animo umano, nel nostro cuore, e oltrepassano la sfera dei bisogni. L’uomo, anche nell’era del progresso scientifico e tecnologico - che ci ha dato tanto - rimane un essere che desidera di più, più che la comodità e il benessere, rimane un essere aperto alla verità intera della sua esistenza, che non può fermarsi alle cose materiali, ma si apre ad un orizzonte molto più ampio. Tutto questo voi lo sperimentate continuamente ogni volta che vi domandate: ma perché? Quando contemplate un tramonto, o una musica muove in voi il cuore e la mente; quando provate che cosa vuol dire amare veramente; quando sentite forte il senso della giustizia e della verità, e quando sentite anche la mancanza di giustizia, di verità e di felicità. Cari giovani, l’esperienza umana è una realtà che ci accomuna tutti, ma ad essa si possono dare diversi livelli di significato. Ed è qui che si decide in che modo orientare la propria vita e si sceglie a chi affidarla, a chi affidarsi. Il rischio è sempre quello di rimanere imprigionati nel mondo delle cose, dell'immediato, del relativo, dell’utile, perdendo la sensibilità per ciò che si riferisce alla nostra dimensione spirituale. Non si tratta affatto di disprezzare l’uso della ragione o di rigettare il progresso scientifico, tutt’altro; si tratta piuttosto di capire che ciascuno di noi non è fatto solo di una dimensione "orizzontale", ma comprende anche quella "verticale". I dati scientifici e gli strumenti tecnologici non possono sostituirsi al mondo della vita, agli orizzonti di significato e di libertà, alla ricchezza delle relazioni di amicizia e di amore. Cari giovani, è proprio nell’apertura alla verità intera di noi, di noi stessi e del mondo che scorgiamo l’iniziativa di Dio nei nostri confronti. Egli viene incontro ad ogni uomo e gli fa conoscere il mistero del suo amore. Nel Signore Gesù, che è morto e risorto per noi e ci ha donato lo Spirito Santo, siamo addirittura resi partecipi della vita stessa di Dio, apparteniamo alla famiglia di Dio. In Lui, in Cristo, potete trovare le risposte alle domande che accompagnano il vostro cammino, non in modo superficiale, facile, ma camminando con Gesù, vivendo con Gesù. L’incontro con Cristo non si risolve nell’adesione ad una dottrina, ad una filosofia, ma ciò che Lui vi propone è di condividere la sua stessa vita e così imparare a vivere, imparare che cosa è l'uomo, che cosa sono io. A quel giovane, che Gli aveva chiesto che cosa fare per entrare nella vita eterna, cioè per vivere veramente, Gesù risponde, invitandolo a distaccarsi dai suoi beni e aggiunge: "Vieni! Seguimi!" (Mc 10,21). La parola di Cristo mostra che la vostra vita trova significato nel mistero di Dio, che è Amore: un Amore esigente, profondo, che va oltre la superficialità! Che cosa sarebbe la vostra vita senza questo amore? Dio si prende cura dell’uomo dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando porterà a compimento il suo progetto di salvezza. Nel Signore Risorto abbiamo la certezza della nostra speranza! Cristo stesso, che è andato nelle profondità della morte ed è risorto, è la speranza in persona, è la Parola definitiva pronunciata sulla nostra storia, è una parola positiva. Non temete di affrontare le situazioni difficili, i momenti di crisi, le prove della vita, perché il Signore vi accompagna, è con voi! Vi incoraggio a crescere nell’amicizia con Lui attraverso la lettura frequente del Vangelo e di tutta la Sacra Scrittura, la partecipazione fedele all’Eucaristia come incontro personale con Cristo, l’impegno all’interno della comunità ecclesiale, il cammino con una valida guida spirituale. Trasformati dallo Spirito Santo potrete sperimentare l’autentica libertà, che è tale quando è orientata al bene. In questo modo la vostra vita, animata da una continua ricerca del volto del Signore e dalla volontà sincera di donare voi stessi, sarà per tanti vostri coetanei un segno, un richiamo eloquente a far sì che il desiderio di pienezza che sta in tutti noi si realizzi finalmente nell’incontro con il Signore Gesù. Lasciate che il mistero di Cristo illumini tutta la vostra persona! Allora potrete portare nei diversi ambienti quella novità che può cambiare le relazioni, le istituzioni, le strutture, per costruire un mondo più giusto e solidale, animato dalla ricerca del bene comune. Non cedete a logiche individualistiche ed egoistiche! Vi conforti la testimonianza di tanti giovani che hanno raggiunto la meta della santità: pensate a santa Teresa di Gesù Bambino, san Domenico Savio, santa Maria Goretti, il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Alberto Marvelli – che è di questa terra! – e tanti altri, a noi sconosciuti, ma che hanno vissuto il loro tempo nella luce e nella forza del Vangelo, e hanno trovato la risposta: come vivere, che cosa devo fare per vivere.






Il Papa: La parola della fede rischia di rimanere muta, se non trova una comunità che la mette in pratica, rendendola viva ed attraente.  


Incoraggio, quindi, a percorrere questa strada che fa scoprire il Vangelo non come un’utopia, ma come la forma piena dell’esistenza. La fedeltà alla fede della Chiesa, poi, deve coniugarsi con una "creatività catechetica" che tenga conto del contesto, della cultura e dell’età dei destinatari. In quest’ora della storia, non è forse questa la missione che il Signore ci affida: annunciare la novità del Vangelo, come Pietro e Paolo quando giunsero nella nostra città? Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia? Molte sono le persone che ancora non hanno incontrato il Signore: ad esse va rivolta una speciale cura pastorale. Accanto ai bambini e ai ragazzi di famiglie cristiane che chiedono di percorrere gli itinerari dell’iniziazione cristiana, ci sono adulti che non hanno ricevuto il Battesimo, o che si sono allontananti dalla fede e dalla Chiesa. E’ un’attenzione pastorale oggi più che mai urgente, che chiede di impegnarci con fiducia, sostenuti dalla certezza che la grazia di Dio sempre opera nel cuore dell’uomo. Io stesso ho la gioia di battezzare ogni anno, durante la Veglia pasquale, alcuni giovani e adulti.




Mi torna alla memoria che, proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto Hans Urs von Balthasar: "La fede non deve essere presupposta ma proposta". E’ proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo, ma deve essere sempre annunciata. E l’annuncio della fede, a sua volta, per essere efficace deve partire da un cuore che crede, che spera, che ama, un cuore che adora Cristo e crede nella forza dello Spirito Santo! Così avvenne fin dal principio, come ci ricorda l’episodio biblico scelto per illuminare la verifica pastorale. Esso è tratto dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli, nel quale san Luca, subito dopo aver narrato l’evento della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, riporta il primo discorso che san Pietro rivolse a tutti. La professione di fede posta alla conclusione del discorso – "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (At 2,36) – è il lieto annuncio che la Chiesa da secoli non cessa di ripetere ad ogni uomo. A quell’annuncio tutti «si sentirono trafiggere il cuore». Questa reazione fu generata certamente dalla grazia di Dio: tutti compresero che quella proclamazione realizzava le promesse e faceva desiderare a ciascuno la conversione e il perdono dei propri peccati. Le parole di Pietro non si limitavano ad un semplice annuncio di fatti, ne mostravano il significato, ricollegando la vicenda di Gesù alle promesse di Dio, alle attese di Israele e, quindi, a quelle di ogni uomo. La gente di Gerusalemme comprese che la risurrezione di Gesù era in grado di illuminare l’esistenza umana. E in effetti da questo evento è nata una nuova comprensione della dignità dell’uomo e del suo destino eterno, della relazione fra uomo e donna, del significato ultimo del dolore, dell’impegno nella costruzione della società. La risposta della fede nasce quando l’uomo scopre, per grazia di Dio, che credere significa trovare la vita vera, la "vita piena". Uno dei grandi Padri della Chiesa, Sant’Ilario di Poitiers, ha scritto di essere diventato credente quando ha compreso, ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo (cfr De Trinitate 1,2). Cari amici, la Chiesa, ciascuno di noi, deve portare nel mondo questa lieta notizia che Gesù è il Signore, Colui nel quale la vicinanza e l’amore di Dio per ogni singolo uomo e donna, e per l’umanità intera si sono fatti carne. Questo annuncio deve risuonare nuovamente nelle regioni di antica tradizione cristiana. Il beato Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una nuova evangelizzazione rivolta a quanti, pur avendo già sentito parlare della fede, non apprezzano più la bellezza del Cristianesimo, anzi, talvolta lo ritengono addirittura un ostacolo per raggiungere la felicità...  Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo! Cresca, dunque, l’impegno per una rinnovata stagione di evangelizzazione, che è compito non solo di alcuni, ma di tutti i membri della Chiesa. In quest’ora della storia, non è forse questa la missione che il Signore ci affida: annunciare la novità del Vangelo, come Pietro e Paolo quando giunsero nella nostra città? Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia? Molte sono le persone che ancora non hanno incontrato il Signore: ad esse va rivolta una speciale cura pastorale. Accanto ai bambini e ai ragazzi di famiglie cristiane che chiedono di percorrere gli itinerari dell’iniziazione cristiana, ci sono adulti che non hanno ricevuto il Battesimo, o che si sono allontananti dalla fede e dalla Chiesa. E’ un’attenzione pastorale oggi più che mai urgente, che chiede di impegnarci con fiducia, sostenuti dalla certezza che la grazia di Dio sempre opera nel cuore dell’uomo. Io stesso ho la gioia di battezzare ogni anno, durante la Veglia pasquale, alcuni giovani e adulti. Ma chi è il messaggero di questo lieto annuncio? Sicuramente lo è ogni battezzato. Soprattutto lo sono i genitori, ai quali spetta il compito di chiedere il Battesimo per i propri figli. Quanto grande è questo dono che la liturgia chiama "porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova" (Prefazio del Battesimo)! Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita. Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito. Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede sin dalla più tenera età. E come coltivare poi il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: "Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre". Da sempre la comunità cristiana ha accompagnato la formazione dei bambini e dei ragazzi, aiutandoli non solo a comprendere con l’intelligenza le verità della fede, ma anche a vivere esperienze di preghiera, di carità e di fraternità. La parola della fede rischia di rimanere muta, se non trova una comunità che la mette in pratica, rendendola viva ed attraente.  Incoraggio, quindi, a percorrere questa strada che fa scoprire il Vangelo non come un’utopia, ma come la forma piena dell’esistenza... Perché tutto questo risulti efficace e porti frutto è necessario che la conoscenza di Gesù cresca e si prolunghi oltre la celebrazione dei Sacramenti. È questo il compito della catechesi, come ricordava il beato Giovanni Paolo II: "La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro Signore Gesù Cristo" (Esort. ap. Catechesi tradendae, 19). La catechesi è azione ecclesiale e pertanto è necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione. Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che idealmente questa sera riconsegno a tutti voi, affinché la Chiesa di Roma possa impegnarsi con rinnovata gioia nell’educazione alla fede. La struttura del Catechismo deriva dall’esperienza del catecumenato della Chiesa dei primi secoli e riprende gli elementi fondamentali che fanno di una persona un cristiano: la fede, i Sacramenti, i comandamenti, il Padre nostro. Per tutto questo è necessario educare al silenzio e all’interiorità. Confido che nelle parrocchie di Roma gli itinerari di iniziazione cristiana educhino alla preghiera, perché essa permei la vita ed aiuti a trovare la Verità che abita il nostro cuore. La fedeltà alla fede della Chiesa, poi, deve coniugarsi con una "creatività catechetica" che tenga conto del contesto, della cultura e dell’età dei destinatari. Il patrimonio di storia e arte che Roma custodisce è una via ulteriore per avvicinare le persone alla fede. Invito tutti a fare tesoro nella catechesi di questa "via della bellezza" che conduce a Colui che è, secondo S. Agostino, la Bellezza tanto antica e sempre nuova.






Il Papa: La Chiesa apre le "vele" al soffio dello Spirito Santo, e per questo è una Comunità capace di evangelizzare e di umanizzare. Per questo è decisivo che le comunità cristiane promuovano percorsi validi e impegnativi di fede.


La Chiesa non possiede in se stessa il principio vitale, ma dipende da Cristo, di cui è segno e strumento efficace. Nella relazione con il Signore Gesù essa trova la propria identità più profonda: essere dono di Dio all’umanità, prolungando la presenza e l’opera di salvezza del Figlio di Dio per mezzo dello Spirito Santo. In quest’orizzonte comprendiamo che la Chiesa è essenzialmente un mistero d’amore a servizio dell’umanità in vista della sua santificazione. Il Concilio Vaticano II ha affermato su questo punto: "Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse" (Lumen gentium n. 9). Vediamo qui che realmente la Parola di Dio ha creato un popolo, una comunità, ha creato una comune gioia, un pellegrinaggio comune verso il Signore. L’essere Chiesa quindi non viene solo da una forza organizzativa nostra, umana, ma trova la sua sorgente e il suo vero significato nella comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo amore eterno è la fonte dalla quale viene la Chiesa e la Trinità Santissima è il modello di unità nella diversità e genera e plasma la Chiesa come mistero di comunione. È necessario ripartire sempre e in modo nuovo da questa verità per comprendere e vivere più intensamente l’essere Chiesa, "Popolo di Dio", "Corpo di Cristo", "Comunione". Altrimenti si corre il rischio di ridurre il tutto ad una dimensione orizzontale, che snatura l’identità della Chiesa e l’annuncio della fede e farebbe più povera la nostra vita e la vita della Chiesa. E’ importante sottolineare che la Chiesa non è un’organizzazione sociale, filantropica, come ve ne sono molte: essa è la Comunità di Dio, è la Comunità che crede, che ama, che adora il Signore Gesù e apre le "vele" al soffio dello Spirito Santo, e per questo è una Comunità capace di evangelizzare e di umanizzare. La relazione profonda con Cristo, vissuta e alimentata dalla Parola e dall’Eucaristia, rende efficace l’annuncio, motiva l’impegno per la catechesi e anima la testimonianza della carità. Molti uomini e donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare il Dio, di incontrare Cristo o di riscoprire la bellezza del Dio vicino, del Dio che in Gesù Cristo ha mostrato il suo volto di Padre e chiama a riconoscere il senso e il valore dell’esistenza. Far capire che è bene vivere da uomo. L’attuale momento storico è segnato, lo sappiamo, da luci e ombre. Assistiamo ad atteggiamenti complessi: ripiegamento su se stessi, narcisismo, desiderio di possesso e di consumo, sentimenti e affetti slegati dalla responsabilità. Tante sono le cause di questo disorientamento, che si manifesta in un profondo disagio esistenziale, ma al fondo di tutto si può intravedere la negazione della dimensione trascendente dell’uomo e della relazione fondante con Dio. Per questo è decisivo che le comunità cristiane promuovano percorsi validi e impegnativi di fede. Cari amici, particolare attenzione va posta al modo di considerare l’educazione alla vita cristiana, affinché ogni persona possa compiere un autentico cammino di fede, attraverso le diverse età della vita; un cammino nel quale – come la Vergine Maria – la persona accoglie profondamente la Parola di Dio e la mette in pratica, diventando testimone del Vangelo. Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Gravissimum educationis, afferma: "L’educazione cristiana tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto…si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e nella santità della verità" (n. 2). In questo impegno educativo la famiglia resta la prima responsabile. Cari genitori, siate i primi testimoni della fede! Non abbiate paura delle difficoltà in mezzo alle quali siete chiamati a realizzare la vostra missione. Non siete soli! La comunità cristiana vi sta vicino e vi sostiene. La catechesi accompagna i vostri figli nella loro crescita umana e spirituale, ma essa va considerata come una formazione permanente, non limitata alla preparazione per ricevere i Sacramenti; dobbiamo in tutta la nostra vita crescere nella conoscenza di Dio, così nella conoscenza di che cosa significhi essere un uomo. 






Il Papa: La Chiesa non deriva dalla volontà umana, dalla riflessione, dall’abilità dell’uomo e dalla sua capacità organizzativa, poiché se così fosse essa già da tempo si sarebbe estinta, così come passa ogni cosa umana. 


Ciò che vuol dirci la Chiesa è questo: lo Spirito creatore di tutte le cose, e lo Spirito Santo che Cristo ha fatto discendere dal Padre sulla comunità dei discepoli, sono uno e il medesimo: creazione e redenzione si appartengono reciprocamente e costituiscono, in profondità, un unico mistero d’amore e di salvezza. Lo Spirito Santo è innanzitutto Spirito Creatore e quindi la Pentecoste è festa della creazione. Per noi cristiani, il mondo è frutto di un atto di amore di Dio, che ha fatto tutte le cose e del quale Egli si rallegra perché è "cosa buona", "cosa molto buona", come ci ricorda il racconto della creazione (cfr Gen 1,1-31). Dio perciò non è il totalmente Altro, innominabile e oscuro. Dio si rivela, ha un volto, Dio è ragione, Dio è volontà, Dio è amore, Dio è bellezza. La fede nello Spirito Creatore e la fede nello Spirito che il Cristo Risorto ha donato agli Apostoli e dona a ciascuno di noi, sono allora inseparabilmente congiunte... L’espressione "Gesù è Signore" si può leggere nei due sensi. Significa: Gesù è Dio, e contemporaneamente: Dio è Gesù. Lo Spirito Santo illumina questa reciprocità: Gesù ha dignità divina, e Dio ha il volto umano di Gesù. Dio si mostra in Gesù e con ciò ci dona la verità su noi stessi. Lasciarsi illuminare nel profondo da questa parola è l’evento della Pentecoste. Recitando il Credo, noi entriamo nel mistero della prima Pentecoste: dallo scompiglio di Babele, da quelle voci che strepitano una contro l’altra, avviene una radicale trasformazione: la molteplicità si fa multiforme unità, dal potere unificatore della Verità cresce la comprensione. NelCredo che ci unisce da tutti gli angoli della Terra, che, mediante lo Spirito Santo, fa in modo che ci si comprenda pur nella diversità delle lingue, attraverso la fede, la speranza e l’amore, si forma la nuova comunità della Chiesa di Dio... Il soffio di Dio è vita. Ora, il Signore soffia nella nostra anima il nuovo alito di vita, lo Spirito Santo, la sua più intima essenza, e in questo modo ci accoglie nella famiglia di Dio. Con il Battesimo e la Cresima ci è fatto questo dono in modo specifico, e con i sacramenti dell’eucaristia e della Penitenza esso si ripete di continuo: il Signore soffia nella nostra anima un alito di vita. Tutti i Sacramenti, ciascuno in maniera propria, comunicano all’uomo la vita divina, grazie allo Spirito Santo che opera in essi...  lo Spirito Santo anima la Chiesa. Essa non deriva dalla volontà umana, dalla riflessione, dall’abilità dell’uomo e dalla sua capacità organizzativa, poiché se così fosse essa già da tempo si sarebbe estinta, così come passa ogni cosa umana. Essa invece è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo. Le immagini del vento e del fuoco, usate da san Luca per rappresentare la venuta dello Spirito Santo (cfr At 2,2-3), ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza; "il monte Sinai era tutto fumante – si legge nel Libro dell’Esodo –, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco" (19,18). Infatti Israele festeggiò il cinquantesimo giorno dopo Pasqua, dopo la commemorazione della fuga dall’Egitto, come la festa del Sinai, la festa del Patto. Quando san Luca parla di lingue di fuoco per rappresentare lo Spirito Santo, viene richiamato quell’antico Patto, stabilito sulla base della Legge ricevuta da Israele sul Sinai. Così l’evento della Pentecoste viene rappresentato come un nuovo Sinai, come il dono di un nuovo Patto in cui l’alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra, in cui cadono tutti gli steccati della vecchia Legge e appare il suo cuore più santo e immutabile, cioè l’amore, che proprio lo Spirito Santo comunica e diffonde, l’amore che abbraccia ogni cosa. Allo stesso tempo la Legge si dilata, si apre, pur diventando più semplice: è il Nuovo Patto, che lo Spirito "scrive" nei cuori di quanti credono in Cristo. L’estensione del Patto a tutti i popoli della Terra è rappresentata da san Luca attraverso un elenco di popolazioni considerevole per quell’epoca (cfr At 2,9-11). Con questo ci viene detta una cosa molto importante: che la Chiesa è cattolica fin dal primo momento, che la sua universalità non è il frutto dell’inclusione successiva di diverse comunità. Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre... «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20). Queste parole sono profondamente umane. L’Amico perduto è di nuovo presente, e chi prima era sconvolto si rallegra. Ma essa dice molto di più. Perché l’Amico perduto non viene da un luogo qualsiasi, bensì dalla notte della morte; ed Egli l’ha attraversata! Egli non è uno qualunque, bensì è l’Amico e insieme Colui che è la Verità che fa vivere gli uomini; e ciò che dona non è una gioia qualsiasi, ma la gioia stessa, dono dello Spirito Santo. Sì, è bello vivere perché sono amato, ed è la Verità ad amarmi. Gioirono i discepoli, vedendo il Signore. Oggi, a Pentecoste, questa espressione è destinata anche a noi, perché nella fede possiamo vederLo; nella fede Egli viene tra di noi e anche a noi mostra le mani e il fianco, e noi ne gioiamo. Perciò vogliamo pregare: Signore, mostrati! Facci il dono della tua presenza, e avremo il dono più bello: la tua gioia. Amen!






Il Papa ai giovani croati: È Lui che cerca voi, prima ancora che voi lo cerchiate!


È il tempo dei grandi orizzonti, dei sentimenti vissuti con intensità, ma anche delle paure per le scelte impegnative e durature, delle difficoltà nello studio e nel lavoro, degli interrogativi intorno al mistero del dolore e della sofferenza. Ancora di più, questo tempo stupendo della vostra vita porta in sé un anelito profondo, che non annulla tutto il resto ma lo eleva per dargli pienezza. Nel Vangelo di Giovanni Gesù, rivolgendosi ai suoi primi discepoli, chiede: "Che cosa cercate?" (Gv 1,38). Cari giovani, queste parole, questa domanda attraversa il tempo e lo spazio, interpella ogni uomo e ogni donna che si apre alla vita e cerca la strada giusta... Ed ecco la cosa sorprendente: la voce di Cristo ripete anche a voi: "Che cosa cercate?". Gesù vi parla oggi: mediante il Vangelo e lo Spirito Santo, Egli è vostro contemporaneo. È Lui che cerca voi, prima ancora che voi lo cerchiate! Rispettando pienamente la vostra libertà, Egli si avvicina a ciascuno di voi e si propone come la risposta autentica e decisiva a quell’anelito che abita il vostro essere, al desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta. Lasciate che vi prenda per mano! Lasciate che entri sempre di più come amico e compagno del vostro cammino! DateGli fiducia, non vi deluderà mai! Gesù vi fa conoscere da vicino l’amore di Dio Padre, vi fa comprendere che la vostra felicità si realizza nell’amicizia con Lui, nella comunione con Lui, perché siamo stati creati e salvati per amore, e solo nell’amore, quello che vuole e cerca il bene dell’altro, sperimentiamo veramente il significato della vita e siamo contenti di viverla, anche nelle fatiche, nelle prove, nelle delusioni, anche andando controcorrente.






Il Papa: Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro. Il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! 


Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un’altra persona! Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è anche il bene della Chiesa. Vorrei ribadire quanto ho affermato in passato: "L’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé … E reciprocamente, la Chiesa viene edificata dalle famiglie, piccole chiese domestiche" (Discorso di apertura del Convegno ecclesiale diocesano di Roma, 6 giugno 2005:Insegnamenti di Benedetto XVI, I, 2005, p. 205). Preghiamo il Signore affinché le famiglie siano sempre più piccole Chiese e le comunità ecclesiali siano sempre più famiglia!






Il Papa: proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù


Il fatto che il Sacramento dell’altare abbia assunto il nome “Eucaristia” – “rendimento di grazie” – esprime proprio questo: che il mutamento della sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo è frutto del dono che Cristo ha fatto di se stesso, dono di un Amore più forte della morte, Amore divino che lo ha fatto risuscitare dai morti. Ecco perché l’Eucaristia è cibo di vita eterna, Pane della vita. Dal cuore di Cristo, dalla sua “preghiera eucaristica” alla vigilia della passione, scaturisce quel dinamismo che trasforma la realtà nelle sue dimensioni cosmica, umana e storica. Tutto procede da Dio, dall’onnipotenza del suo Amore Uno e Trino, incarnato in Gesù. In questo Amore è immerso il cuore di Cristo; perciò Egli sa ringraziare e lodare Dio anche di fronte al tradimento e alla violenza, e in questo modo cambia le cose, le persone e il mondo... Questa trasformazione è possibile grazie ad una comunione più forte della divisione, la comunione di Dio stesso. La parola “comunione”, che noi usiamo anche per designare l’Eucaristia, riassume in sé la dimensione verticale e quella orizzontale del dono di Cristo. E’ bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo atto, noi entriamo in comunione con la vita stessa di Gesù, nel dinamismo di questa vita che si dona a noi e per noi. Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi: un’unica comunione si trasmette nella santa Eucaristia. Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18). Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria. Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo. Da qui, dall’Eucaristia, deriva dunque il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. Dal dono di amore di Cristo proviene pertanto la nostra speciale responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna. Specialmente nel nostro tempo, in cui la globalizzazione ci rende sempre più dipendenti gli uni dagli altri, il Cristianesimo può e deve far sì che questa unità non si costruisca senza Dio, cioè senza il vero Amore, il che darebbe spazio alla confusione, all’individualismo, alla sopraffazione di tutti contro tutti. Il Vangelo mira da sempre all’unità della famiglia umana, un’unità non imposta dall’alto, né da interessi ideologici o economici, bensì a partire dal senso di responsabilità gli uni verso gli altri, perché ci riconosciamo membra di uno stesso corpo, del corpo di Cristo, perché abbiamo imparato e impariamo costantemente dal Sacramento dell’Altare che la condivisione, l’amore è la via della vera giustizia. Che cosa è avvenuto in quel momento? Quando Egli disse: Questo è il mio corpo che è donato per voi, questo è il mio sangue versato per voi e per la moltitudine, che cosa accadde? Gesù in quel gesto anticipa l’evento del Calvario. Egli accetta per amore tutta la passione, con il suo travaglio e la sua violenza, fino alla morte di croce; accettandola in questo modo la trasforma in un atto di donazione. Questa è la trasformazione di cui il mondo ha più bisogno, perché lo redime dall’interno, lo apre alle dimensioni del Regno dei cieli. Ma questo rinnovamento del mondo Dio vuole realizzarlo sempre attraverso la stessa via seguita da Cristo, quella via, anzi, che è Lui stesso. Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento. Mediante il pane e il vino consacrati, in cui è realmente presente il suo Corpo e Sangue, Cristo trasforma noi, assimilandoci a Lui: ci coinvolge nella sua opera di redenzione, rendendoci capaci, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere secondo la sua stessa logica di donazione, come chicchi di grano uniti a Lui ed in Lui. Così si seminano e vanno maturando nei solchi della storia l’unità e la pace, che sono il fine a cui tendiamo, secondo il disegno di Dio. Senza illusioni, senza utopie ideologiche, noi camminiamo per le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria nel mistero della Visitazione. Con l’umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova, in cui regnano la pace e la giustizia – e nella fede intravediamo il mondo nuovo, che è la nostra vera patria. 






Il Papa: In Cristo tutta l' esistenza di uomo e di Figlio è grido al cuore di Dio, è perdono, ma perdono che trasforma e rinnova.


Catechesi sulla figura di Mosè


Leggendo l’Antico Testamento, una figura risalta tra le altre: quella di Mosè, proprio come uomo di preghiera. Mosè, il grande profeta e condottiero del tempo dell’Esodo, ha svolto la sua funzione di mediatore tra Dio e Israele facendosi portatore, presso il popolo, delle parole e dei comandi divini, conducendolo verso la libertà della Terra Promessa, insegnando agli Israeliti a vivere nell’obbedienza e nella fiducia verso Dio durante la lunga permanenza nel deserto, ma anche, e direi soprattutto, pregando. Anche quando il popolo, al Sinai, chiede ad Aronne di fare il vitello d’oro, Mosè prega, esplicando in modo emblematico la propria funzione di intercessore. L’episodio è narrato nel capitolo 32 del Libro dell’Esodo ed ha un racconto parallelo in Deuteronomio al capitolo 9. È su questo episodio che vorrei soffermarmi nella catechesi di oggi... Il popolo di Israele si trovava ai piedi del Sinai mentre Mosè, sul monte, attendeva il dono delle tavole della Legge, digiunando per quaranta giorni e quaranta notti (cfr Es 24,18; Dt 9,9). Il numero quaranta ha valore simbolico e significa la totalità dell’esperienza, mentre con il digiuno si indica che la vita viene da Dio, è Lui che la sostiene. L’atto del mangiare, infatti, implica l’assunzione del nutrimento che ci sostiene; perciò digiunare, rinunciando al cibo, acquista, in questo caso, un significato religioso: è un modo per indicare che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore (cfr Dt 8,3). Digiunando, Mosè mostra di attendere il dono della Legge divina come fonte di vita: essa svela la volontà di Dio e nutre il cuore dell’uomo, facendolo entrare in un’alleanza con l’Altissimo, che è fonte della vita, è la vita stessa. Ma mentre il Signore, sul monte, dona a Mosè la Legge, ai piedi del monte il popolo la trasgredisce. Incapaci di resistere all’attesa e all’assenza del mediatore, gli Israeliti chiedono ad Aronne: «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto» (Es 32,1). Stanco di un cammino con un Dio invisibile, ora che anche Mosè, il mediatore, è sparito, il popolo chiede una presenza tangibile, toccabile, del Signore, e trova nel vitello di metallo fuso fatto da Aronne, un dio reso accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo. È questa una tentazione costante nel cammino di fede: eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti. Quanto avviene al Sinai mostra tutta la stoltezza e l’illusoria vanità di questa pretesa perché, come ironicamente afferma il Salmo 106, «scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia erba» (Sal 106,20)... Come con Abramo a proposito di Sodoma e Gomorra, anche ora Dio svela a Mosè che cosa intende fare, quasi non volesse agire senza il suo consenso (cfrAm 3,7). Dice: «lascia che si accenda la mia ira». In realtà, questo «lascia che si accenda la mia ira» è detto proprio perché Mosè intervenga e Gli chieda di non farlo, rivelando così che il desiderio di Dio è sempre di salvezza... Questa è la salvezza di Dio, che implica misericordia, ma insieme anche denuncia della verità del peccato, del male che esiste, così che il peccatore, riconosciuto e rifiutato il proprio male, possa lasciarsi perdonare e trasformare da Dio. La preghiera di intercessione rende così operante, dentro la realtà corrotta dell’uomo peccatore, la misericordia divina, che trova voce nella supplica dell’orante e si fa presente attraverso di lui lì dove c’è bisogno di salvezza. La supplica di Mosè è tutta incentrata sulla fedeltà e la grazia del Signore. Egli si riferisce dapprima alla storia di redenzione che Dio ha iniziato con l’uscita d’Israele dall’Egitto, per poi fare memoria dell’antica promessa data ai Padri. Il Signore ha operato salvezza liberando il suo popolo dalla schiavitù egiziana; perché allora – chiede Mosè – «gli Egiziani dovranno dire: "Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla faccia della terra"?» (Es 32,12). L’opera di salvezza iniziata deve essere completata; se Dio facesse perire il suo popolo, ciò potrebbe essere interpretato come il segno di un’incapacità divina di portare a compimento il progetto di salvezza. Dio non può permettere questo: Egli è il Signore buono che salva, il garante della vita, è il Dio di misericordia e perdono, di liberazione dal peccato che uccide. E così Mosè fa appello a Dio, alla vita interiore di Dio contro la sentenza esteriore. Ma allora, argomenta Mosè con il Signore, se i suoi eletti periscono, anche se sono colpevoli, Egli potrebbe apparire incapace di vincere il peccato. E questo non si può accettare. Mosè ha fatto esperienza concreta del Dio di salvezza, è stato inviato come mediatore della liberazione divina e ora, con la sua preghiera, si fa interprete di una doppia inquietudine, preoccupato per la sorte del suo popolo, ma insieme anche preoccupato per l’onore che si deve al Signore, per la verità del suo nome. L’intercessore infatti vuole che il popolo di Israele sia salvo, perché è il gregge che gli è stato affidato, ma anche perché in quella salvezza si manifesti la vera realtà di Dio. Amore dei fratelli e amore di Dio si compenetrano nella preghiera di intercessione, sono inscindibili. Mosè, l’intercessore, è l’uomo teso tra due amori, che nella preghiera si sovrappongono in un unico desiderio di bene. Poi, Mosè si appella alla fedeltà di Dio, rammentandogli le sue promesse: «Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: "Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre"» (Es 32,13). Mosè fa memoria della storia fondatrice delle origini, dei Padri del popolo e della loro elezione, totalmente gratuita, in cui Dio solo aveva avuto l’iniziativa. Non a motivo dei loro meriti, essi avevano ricevuto la promessa, ma per la libera scelta di Dio e del suo amore (cfr Dt 10,15). E ora, Mosè chiede che il Signore continui nella fedeltà la sua storia di elezione e di salvezza, perdonando il suo popolo. L’intercessore non accampa scuse per il peccato della sua gente, non elenca presunti meriti né del popolo né suoi, ma si appella alla gratuità di Dio: un Dio libero, totalmente amore, che non cessa di cercare chi si è allontanato, che resta sempre fedele a se stesso e offre al peccatore la possibilità di tornare a Lui e di diventare, con il perdono, giusto e capace di fedeltà. Mosè chiede a Dio di mostrarsi più forte anche del peccato e della morte, e con la sua preghiera provoca questo rivelarsi divino. Mediatore di vita, l’intercessore solidarizza con il popolo; desideroso solo della salvezza che Dio stesso desidera, egli rinuncia alla prospettiva di diventare un nuovo popolo gradito al Signore. La frase che Dio gli aveva rivolto, «di te invece farò una grande nazione», non è neppure presa in considerazione dall’"amico" di Dio, che invece è pronto ad assumere su di sé non solo la colpa della sua gente, ma tutte le sue conseguenze. Quando, dopo la distruzione del vitello d’oro, tornerà sul monte per chiedere di nuovo la salvezza per Israele, dirà al Signore: «E ora, se tu perdonassi il loro peccato! Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto» (v. 32). Con la preghiera, desiderando il desiderio di Dio, l’intercessore entra sempre più profondamente nella conoscenza del Signore e della sua misericordia e diventa capace di un amore che giunge fino al dono totale di sé. In Mosè, che sta sulla cima del monte faccia a faccia con Dio e si fa intercessore per il suo popolo e offre se stesso - «cancellami» -, i Padri della Chiesa hanno visto una prefigurazione di Cristo, che sull'alta cima della croce realmente sta davanti a Dio, non solo come amico ma come Figlio. E non solo si offre - «cancellami» -, ma con il suo cuore trafitto si fa cancellare, diventa, come dice san Paolo stesso, peccato, porta su di sé i nostri peccati per rendere salvi noi; la sua intercessione è non solo solidarietà, ma identificazione con noi: porta tutti noi nel suo corpo. E così tutta la sua esistenza di uomo e di Figlio è grido al cuore di Dio, è perdono, ma perdono che trasforma e rinnova. Penso che dobbiamo meditare questa realtà. Cristo sta davanti al volto di Dio e prega per me. La sua preghiera sulla Croce è contemporanea a tutti gli uomini, contemporanea a me: Egli prega per me, ha sofferto e soffre per me, si è identificato con me prendendo il nostro corpo e l'anima umana. E ci invita a entrare in questa sua identità, facendoci un corpo, uno spirito con Lui, perché dall'alta cima della Croce Egli ha portato non nuove leggi, tavole di pietra, ma ha portato se stesso, il suo corpo e il suo sangue, come nuova alleanza. Così ci fa consanguinei con Lui, un corpo con Lui, identificati con Lui. Ci invita a entrare in questa identificazione, a essere uniti con Lui nel nostro desiderio di essere un corpo, uno spirito con Lui. Preghiamo il Signore perché questa identificazione ci trasformi, ci rinnovi, perché il perdono è rinnovamento, è trasformazione.






Il Papa: La vera adorazione di Dio è dare se stesso a Dio e agli uomini, è l'amore. Essa non distrugge, ma rinnova, trasforma e ricrea il nostro cuore.


Catechesi sul profeta Elia


emerge la figura di Elia, suscitato da Dio per portare il popolo alla conversione. Il suo nome significa «il Signore è il mio Dio» ed è in accordo con questo nome che si snoda la sua vita, tutta consacrata a provocare nel popolo il riconoscimento del Signore come unico Dio. Di Elia il Siracide dice: «E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1). Con questa fiamma Israele ritrova il suo cammino verso Dio... è soprattutto sul monte Carmelo che si mostra in tutta la sua potenza di intercessore quando, davanti a tutto Israele, prega il Signore perché si manifesti e converta il cuore del popolo. È l’episodio narrato nel capitolo 18 del Primo Libro dei Re, su cui oggi ci soffermiamo. Ci troviamo nel regno del Nord, nel IX secolo a.C., al tempo del re Acab, in un momento in cui in Israele si era creata una situazione di aperto sincretismo. Accanto al Signore, il popolo adorava Baal, l’idolo rassicurante da cui si credeva venisse il dono della pioggia e a cui perciò si attribuiva il potere di dare fertilità ai campi e vita agli uomini e al bestiame. Pur pretendendo di seguire il Signore, Dio invisibile e misterioso, il popolo cercava sicurezza anche in un dio comprensibile e prevedibile, da cui pensava di poter ottenere fecondità e prosperità in cambio di sacrifici. Israele stava cedendo alla seduzione dell’idolatria, la continua tentazione del credente, illudendosi di poter «servire a due padroni» (cfr Mt 6,24; Lc 16,13), e di facilitare i cammini impervi della fede nell’Onnipotente riponendo la propria fiducia anche in un dio impotente fatto dagli uomini. È proprio per smascherare la stoltezza ingannevole di tale atteggiamento che Elia fa radunare il popolo di Israele sul monte Carmelo e lo pone davanti alla necessità di operare una scelta: «Se il Signore è Dio, seguiteLo. Se invece lo è Baal, seguite lui» (1Re 18, 21). E il profeta, portatore dell’amore di Dio, non lascia sola la sua gente davanti a questa scelta, ma la aiuta indicando il segno che rivelerà la verità: sia lui che i profeti di Baal prepareranno un sacrificio e pregheranno, e il vero Dio si manifesterà rispondendo con il fuoco che consumerà l’offerta. Comincia così il confronto tra il profeta Elia e i seguaci di Baal, che in realtà è tra il Signore di Israele, Dio di salvezza e di vita, e l’idolo muto e senza consistenza, che nulla può fare, né in bene né in male (cfr Ger 10,5). E inizia anche il confronto tra due modi completamente diversi di rivolgersi a Dio e di pregare. I profeti di Baal, infatti, gridano, si agitano, danzano saltando, entrano in uno stato di esaltazione arrivando a farsi incisioni sul corpo, «con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue» (1Re 18,28). Essi fanno ricorso a loro stessi per interpellare il loro dio, facendo affidamento sulle proprie capacità per provocarne la risposta. Si rivela così la realtà ingannatoria dell’idolo: esso è pensato dall’uomo come qualcosa di cui si può disporre, che si può gestire con le proprie forze, a cui si può accedere a partire da se stessi e dalla propria forza vitale. L’adorazione dell’idolo invece di aprire il cuore umano all’Alterità, ad una relazione liberante che permetta di uscire dallo spazio angusto del proprio egoismo per accedere a dimensioni di amore e di dono reciproco, chiude la persona nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé. E l’inganno è tale che, adorando l’idolo, l’uomo si ritrova costretto ad azioni estreme, nell’illusorio tentativo di sottometterlo alla propria volontà. Perciò i profeti di Baal arrivano fino a farsi del male, a infliggersi ferite sul corpo, in un gesto drammaticamente ironico: per avere una risposta, un segno di vita dal loro dio, essi si ricoprono di sangue, ricoprendosi simbolicamente di morte. Ben altro atteggiamento di preghiera è invece quello di Elia. Egli chiede al popolo di avvicinarsi, coinvolgendolo così nella sua azione e nella sua supplica. Lo scopo della sfida da lui rivolta ai profeti di Baal era di riportare a Dio il popolo che si era smarrito seguendo gli idoli; perciò egli vuole che Israele si unisca a lui, diventando partecipe e protagonista della sua preghiera e di quanto sta avvenendo. Poi il profeta erige un altare, utilizzando, come recita il testo, «dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore: "Israele sarà il tuo nome"» (v. 31). Quelle pietre rappresentano tutto Israele e sono la memoria tangibile della storia di elezione, di predilezione e di salvezza di cui il popolo è stato oggetto. Il gesto liturgico di Elia ha una portata decisiva; l’altare è luogo sacro che indica la presenza del Signore, ma quelle pietre che lo compongono rappresentano il popolo, che ora, per la mediazione del profeta, è simbolicamente posto davanti a Dio, diventa "altare", luogo di offerta e di sacrificio. Ma è necessario che il simbolo diventi realtà, che Israele riconosca il vero Dio e ritrovi la propria identità di popolo del Signore. Perciò Elia chiede a Dio di manifestarsi, e quelle dodici pietre che dovevano ricordare a Israele la sua verità servono anche a ricordare al Signore la sua fedeltà, a cui il profeta si appella nella preghiera. Le parole della sua invocazione sono dense di significato e di fede: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!» (vv. 36-37; cfr Gen 32, 36-37). Elia si rivolge al Signore chiamandolo Dio dei Padri, facendo così implicita memoria delle promesse divine e della storia di elezione e di alleanza che ha indissolubilmente unito il Signore al suo popolo. Il coinvolgimento di Dio nella storia degli uomini è tale che ormai il suo Nome è inseparabilmente connesso a quello dei Patriarchi e il profeta pronuncia quel Nome santo perché Dio ricordi e si mostri fedele, ma anche perché Israele si senta chiamato per nome e ritrovi la sua fedeltà. Il titolo divino pronunciato da Elia appare infatti un po’ sorprendente. Invece di usare la formula abituale, "Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe", egli utilizza un appellativo meno comune: «Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele». La sostituzione del nome "Giacobbe" con "Israele" evoca la lotta di Giacobbe al guado dello Yabboq con il cambio del nome a cui il narratore fa esplicito riferimento (cfr Gen 32,31) e di cui ho parlato in una delle scorse catechesi. Tale sostituzione acquista un significato pregnante all’interno dell’invocazione di Elia. Il profeta sta pregando per il popolo del regno del Nord, che si chiamava appunto Israele, distinto da Giuda, che indicava il regno del Sud. E ora, questo popolo, che sembra aver dimenticato la propria origine e il proprio rapporto privilegiato con il Signore, si sente chiamare per nome mentre viene pronunciato il Nome di Dio, Dio del Patriarca e Dio del popolo: «Signore, Dio […] d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele». Il popolo per cui Elia prega è rimesso davanti alla propria verità, e il profeta chiede che anche la verità del Signore si manifesti e che Egli intervenga per convertire Israele, distogliendolo dall’inganno dell’idolatria e portandolo così alla salvezza. La sua richiesta è che il popolo finalmente sappia, conosca in pienezza chi davvero è il suo Dio, e faccia la scelta decisiva di seguire Lui solo, il vero Dio. Perché solo così Dio è riconosciuto per ciò che è, Assoluto e Trascendente, senza la possibilità di mettergli accanto altri dèi, che Lo negherebbero come assoluto, relativizzandoLo. È questa la fede che fa di Israele il popolo di Dio; è la fede proclamata nel ben noto testo dello Shema‘ Israel: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze» (Dt 6,4-5). All’assoluto di Dio, il credente deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue forze, il suo cuore. Ed è proprio per il cuore del suo popolo che il profeta con la sua preghiera sta implorando conversione: «questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!» (1Re 18,37). Elia, con la sua intercessione, chiede a Dio ciò che Dio stesso desidera fare, manifestarsi in tutta la sua misericordia, fedele alla propria realtà di Signore della vita che perdona, converte, trasforma. Ed è ciò che avviene: «Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutto il popolo cadde con la faccia a terra e disse: "Il Signore è Dio, il Signore è Dio"» (vv. 38-39). Il fuoco, questo elemento insieme necessario e terribile, legato alle manifestazioni divine del roveto ardente e del Sinai, ora serve a segnalare l’amore di Dio che risponde alla preghiera e si rivela al suo popolo. Baal, il dio muto e impotente, non aveva risposto alle invocazioni dei suoi profeti; il Signore invece risponde, e in modo inequivocabile, non solo bruciando l’olocausto, ma persino prosciugando tutta l’acqua che era stata versata intorno all’altare. Israele non può più avere dubbi; la misericordia divina è venuta incontro alla sua debolezza, ai suoi dubbi, alla sua mancanza di fede. Ora, Baal, l’idolo vano, è vinto, e il popolo, che sembrava perduto, ha ritrovato la strada della verità e ha ritrovato se stesso. Cari fratelli e sorelle, che cosa dice a noi questa storia del passato? Qual è il presente di questa storia? Innanzitutto è in questione la priorità del primo comandamento: adorare solo Dio. Dove scompare Dio, l'uomo cade nella schiavitù di idolatrie, come hanno mostrato, nel nostro tempo, i regimi totalitari e come mostrano anche diverse forme del nichilismo, che rendono l'uomo dipendente da idoli, da idolatrie; lo schiavizzano. Secondo. Lo scopo primario della preghiera è la conversione: il fuoco di Dio che trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di vedere Dio e così di vivere secondo Dio e di vivere per l'altro. E il terzo punto. I Padri ci dicono che anche questa storia di un profeta è profetica, se - dicono – è ombra del futuro, del futuro Cristo; è un passo nel cammino verso Cristo. E ci dicono che qui vediamo il vero fuoco di Dio: l'amore che guida il Signore fino alla croce, fino al dono totale di sé. La vera adorazione di Dio, allora, è dare se stesso a Dio e agli uomini, la vera adorazione è l'amore. E la vera adorazione di Dio non distrugge, ma rinnova, trasforma. Certo, il fuoco di Dio, il fuoco dell'amore brucia, trasforma, purifica, ma proprio così non distrugge, bensì crea la verità del nostro essere, ricrea il nostro cuore. E così, realmente vivi per la grazia del fuoco dello Spirito Santo, dell'amore di Dio, siamo adoratori in spirito e in verità. Grazie.






Il Papa: I salmi ci insegnano il cuore di Dio, possiamo imparare chi è Dio e, imparando come parlare con Lui, impariamo l'essere uomo, l'essere noi stessi.


Catechesi sul Salterio


Con la catechesi di oggi, vorrei iniziare un nuovo tratto del percorso: invece di commentare particolari episodi di personaggi in preghiera, entreremo nel "libro di preghiera" per eccellenza, il libro dei Salmi. Nelle prossime catechesi leggeremo e mediteremo alcuni tra i Salmi più belli e più cari alla tradizione orante della Chiesa. Oggi vorrei introdurli parlando del libro dei Salmi nel suo complesso... Poiché sono Parola di Dio, chi prega i Salmi parla a Dio con le parole stesse che Dio ci ha donato, si rivolge a Lui con le parole che Egli stesso ci dona. Così, pregando i Salmi si impara a pregare. Sono una scuola della preghiera. Qualcosa di analogo avviene quando il bambino inizia a parlare, impara cioè ad esprimere le proprie sensazioni, emozioni, necessità con parole che non gli appartengono in modo innato, ma che egli apprende dai suoi genitori e da coloro che vivono intorno a lui. Ciò che il bambino vuole esprimere è il suo proprio vissuto, ma il mezzo espressivo è di altri; ed egli piano piano se ne appropria, le parole ricevute dai genitori diventano le sue parole e attraverso quelle parole impara anche un modo di pensare e di sentire, accede ad un intero mondo di concetti, e in esso cresce, si relaziona con la realtà, con gli uomini e con Dio. La lingua dei suoi genitori è infine diventata la sua lingua, egli parla con parole ricevute da altri che sono ormai divenute le sue parole. Così avviene con la preghiera dei Salmi. Essi ci sono donati perché noi impariamo a rivolgerci a Dio, a comunicare con Lui, a parlarGli di noi con le sue parole, a trovare un linguaggio per l'incontro con Dio. E, attraverso quelle parole, sarà possibile anche conoscere ed accogliere i criteri del suo agire, avvicinarsi al mistero dei suoi pensieri e delle sue vie (cfr Is55,8-9), così da crescere sempre più nella fede e nell’amore. Come le nostre parole non sono solo parole, ma ci insegnano un mondo reale e concettuale, così anche queste preghiere ci insegnano il cuore di Dio, per cui non solo possiamo parlare con Dio, ma possiamo imparare chi è Dio e, imparando come parlare con Lui, impariamo l'essere uomo, l'essere noi stessi. A tale proposito, appare significativo il titolo che la tradizione ebraica ha dato al Salterio. Esso si chiama tehillîm, un termine ebraico che vuol dire "lodi", da quella radice verbale che ritroviamo nell’espressione "Halleluyah", cioè, letteralmente: "lodate il Signore". Questo libro di preghiere, dunque, anche se così multiforme e complesso, con i suoi diversi generi letterari e con la sua articolazione tra lode e supplica, è ultimamente un libro di lodi, che insegna a rendere grazie, a celebrare la grandezza del dono di Dio, a riconoscere la bellezza delle sue opere e a glorificare il suo Nome santo. È questa la risposta più adeguata davanti al manifestarsi del Signore e all’esperienza della sua bontà. Insegnandoci a pregare, i Salmi ci insegnano che anche nella desolazione, anche nel dolore, la presenza di Dio rimane, è fonte di meraviglia e di consolazione; si può piangere, supplicare, intercedere, lamentarsi, ma nella consapevolezza che stiamo camminando verso la luce, dove la lode potrà essere definitiva. Come ci insegna il Salmo36: «È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vedremo la luce» (Sal 36,10)... la tradizione ebraica ha posto su molti Salmi dei titoli specifici, attribuendoli, in grande maggioranza, al re Davide. Figura dal notevole spessore umano e teologico, Davide è personaggio complesso, che ha attraversato le più svariate esperienze fondamentali del vivere. Giovane pastore del gregge paterno, passando per alterne e a volte drammatiche vicende, diventa re di Israele, pastore del popolo di Dio. Uomo di pace, ha combattuto molte guerre; instancabile e tenace ricercatore di Dio, ne ha tradito l’amore, e questo è caratteristico: sempre è rimasto cercatore di Dio, anche se molte volte ha gravemente peccato; umile penitente, ha accolto il perdono divino, anche la pena divina, e ha accettato un destino segnato dal dolore. Davide così è stato un re, con tutte le sue debolezze, «secondo il cuore di Dio» (cfr 1Sam 13,14), cioè un orante appassionato, un uomo che sapeva cosa vuol dire supplicare e lodare. Il collegamento dei Salmi con questo insigne re di Israele è dunque importante, perché egli è figura messianica, Unto del Signore, in cui è in qualche modo adombrato il mistero di Cristo...  Nel Signore Gesù, che nella sua vita terrena ha pregato con i Salmi, essi trovano il loro definitivo compimento e svelano il loro senso più pieno e profondo. Le preghiere del Salterio, con cui si parla a Dio, ci parlano di Lui, ci parlano del Figlio, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), che ci rivela compiutamente il Volto del Padre. Il cristiano, dunque, pregando i Salmi, prega il Padre in Cristo e con Cristo, assumendo quei canti in una prospettiva nuova, che ha nel mistero pasquale la sua ultima chiave interpretativa. L’orizzonte dell’orante si apre così a realtà inaspettate, ogni Salmo acquista una luce nuova in Cristo e il Salterio può brillare in tutta la sua infinita ricchezza. 






Il Papa: Abbiamo bisogno che la bellezza della verità e della carità colpisca l’intimo del nostro cuore e lo renda più umano.


"In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come «un cembalo che tintinna» (1Cor 13,1)". E’ proprio dall’unione, vorrei dire dalla sinfonia, dalla perfetta armonia di verità e carità, che emana l’autentica bellezza, capace di suscitare ammirazione, meraviglia e gioia vera nel cuore degli uomini. Il mondo in cui viviamo ha bisogno che la verità risplenda e non sia offuscata dalla menzogna o dalla banalità; ha bisogno che la carità infiammi e non sia sopraffatta dall’orgoglio e dall’egoismo. Abbiamo bisogno che la bellezza della verità e della carità colpisca l’intimo del nostro cuore e lo renda più umano. 








Scola, CL e certi pregiudizi


Guardando le reazioni della stampa alla nomina del patriarca Angelo Scola a Milano viene da domandarsi quanto il marchio di Comunione e Liberazione (CL) abbia segnato la sua figura nelle paginate che i quotidiani gli hanno dedicato. Sembrano emergere due principali chiavi di lettura. Da una parte c’e chi afferma che la sua formazione ciellina e una sorta di peccato originale: anche quando viene cancellato dal battesimo, le conseguenze restano; ciellino sei, ciellino resterai. Dall’altra parte c’e chi afferma che il patriarca Scola, soprattutto nei nove anni trascorsi a Venezia, ha dimostrato di aver ben superato la sua origine ciellina, aprendosi a un orizzonte assai piu vasto di quello suggerito dalla precedente appartenenza fino a sorprendere veneziani e non veneziani. Che pensare di queste valutazioni?  L’esperienza proposta dal movimento di CL e un cammino che introduce al reale considerato nella totalita dei suoi fattori. E esattamente il contrario di ogni forma di spiritualismo individualistico, di settarismo e di fondamentalismo. Il carisma di CL, accolto e riconosciuto dal Magistero, aiuta chi vi aderisce a percepire e a vivere la cattolicita della Chiesa. Chi si lascia educare dal movimento viene condotto ad abbracciare passato e presente e futuro, vicini e lontani, anche se poi con sano realismo dovra fare i conti con la naturale difficolta a vivere in piena coerenza. "Appartenere a CL" e un modo concreto di "appartenere alla Chiesa"; non e fare una cosa a parte, staccata dal resto. Si costruisce con modalita specifiche - come sempre e accaduto nella storia - la Chiesa di tutti. Con la scelta di Scola ad arcivescovo di Milano, possiamo rilevare che un carisma - portato a maturita - ritorna nel luogo in cui e spuntato e nel quale le sue radici sono cosi profonde da espanderlo in tutto il mondo. Una grande diocesi si avvale, anche a livello di guida, di un dono di Grazia che lo Spirito Santo ha fatto nascere proprio in quel luogo. Come diceva Papa Giovanni Paolo II, un carisma rettamente vissuto e un bene per tutta la Chiesa, e una grazia che va a riverberarsi in tutto il mondo. Angelo Scola, che la natura ha gratificato di grandi doti personali, ha avuto la ventura di incontrare validi maestri di vita e di fede e un educatore eccezionale come don Giussani. L’educazione ricevuta in CL ne ha raccolto ed esaltato la struttura umana gia cosi ricca. Anche lui, come altri aderenti al movimento, avra provato sulla propria pelle la pesantezza di giudizi mondani e schematici, ma allo stesso tempo avra sentito riecheggiare in cuore la parola di Pietro a Gesu: “Signore, da chi andremo?”. Gli apostoli, avendo incontrato Cristo non attraverso elucubrazioni razionali ma in un’esperienza umanamente vera e bella, non hanno potuto andare da nessun’altra parte se non quella intravvista e sperimentata stando con Lui. Quanto a noi, non ci resta che pregare, domandando al Signore che il patriarca Scola prosegua il suo personale cammino di sequela a Cristo e di obbedienza al Suo successore, per il bene della Diocesi di Milano e di tutta Chiesa e per una testimonianza credibile al mondo.







Il vangelo secondo Veronesi.  Ma un rapporto d'amore aperto alla possibilità di concepire un bambino è esattamente il gesto meno egoista che mi venga in mente, in assoluto.


di Costanza Miriano


Il fatto è che le scemenze dette ieri da Veronesi – l'amore più puro è quello omosessuale, l'altro no perché è strumentale alla riproduzione - inducono a pensare che sia ormai da un pezzo superato il famoso momento in cui “spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Che ottimista è stato, Chesterton. Qui siamo oltre, e da un pezzo... Perché dichiarazioni come queste abbassano progressivamente il livello di ragionevolezza del dibattito pubblico, alzando contemporaneamente il tasso di tolleranza a quello che in casa mia, in codice, chiamiamo l'ognunismo imperante.  Dicesi ognunismo la corrente di pensiero che ritiene non solo legittimo ma doveroso che ognuno la mattina alzandosi cominci a rilasciare dichiarazioni completamente a caso, e che ogni affermazione debba avere esattamente la stessa dignità di tutte le altre, a prescindere dalla Verità e anche dalla semplice realtà. In base all'ognunismo chi si permette di dire che esiste una sola Verità è un oscurantista.  Ma la realtà è questa: ognuno di noi è nato grazie all'incontro tra un uomo e una donna (neanche il laboratorio può ancora prescindere totalmente da due esemplari dei due sessi). Allora? Siamo tutti impuri? Anche i genitori di Umberto Veronesi, dunque?... Dio è il Dio della vita, lo Spirito Santo è vita, perciò Dio starà sempre dalla parte di chi è disposto a mettersi al servizio della vita: generando figli, aiutando quelli degli altri, servendo i deboli e la vita minacciata in tutte le sue fasi e in ogni difficoltà... L'amore omosessuale invece è sterile, anche Elton John ha avuto bisogno di una donna, mi dispiace. Senza l'unione tra un uomo e una donna la specie umana muore. C'è un altro che la vuole morta, oltre a Veronesi, ed è satana. E' lui il vero padre spirituale di tutti quelli che propagano simili teorie. E' lui che vuole la morte della specie umana, mentre lo Spirito è vita. E' satana che, però, essendo l'ingannatore per eccellenza, ammanta le sue teorie di morte con parole nobili: “l'amore omosessuale è il più puro”. Non vorrei soffermarmi sul fatto che non tutti i rapporti eterosessuali sono aperti alla vita, altrimenti non saremmo il paese con la più bassa natalità al mondo, pur dichiarandoci cattolici. Ma un rapporto d'amore aperto alla possibilità di concepire un bambino è esattamente il gesto meno egoista che mi venga in mente, in assoluto. I figli convertono, ci liberano dall'egoismo, anche quando inizialmente li abbiamo desiderati, può succedere, in modo “impuro”, direbbe l'oncologo cataro, cioè magari in un modo lievemente mescolato a un desiderio di realizzazione, all'egoismo. Siamo uomini, e a causa del peccato originale nessun nostro gesto è totalmente puro, perché la nostra concezione, a differenza di quella della Vergine, non è stata immacolata (fa bene ogni tanto ricordare i fondamentali). Ma poi state tranquilli, ci penseranno loro, i figli, a prenderlo a pugnalate il nostro egoismo. Ci costringeranno ad alzarci quando vogliamo dormire, ad ascoltare quando vogliamo leggere, allattare quando vorremmo mangiare, sedare una rissa quando vorremmo fare una doccia. I genitori di svariati figli non potranno essere egoisti neanche se lo vorranno, a meno che non dispongano di una tata per ogni figlio, più cameriere e autisti. I figli rimarranno in eterno, anche se le emozioni che li hanno generati dovessero diventare un pallido ricordo, e ci costringeranno a essere costanti, a mantenere gli impegni presi, o almeno a fare i conti con la nostra superficialità, se non abbiamo intenzione di tenervi fede. Insomma, negare che la trasmissione della vita sia lo stesso che dire amore è negare i fondamenti naturali della nostra stessa specie, non c'è neanche bisogno di scomodare la teologia. Qui manca l'uomo, neanche il cristiano. Vorrei anche, a volo d'uccello, ricordare l'origine della polemica. Il sindaco di Bologna è stato veementemente attaccato da più parti, prima tra tutte dall'intoccabile comunità omosessuale, perché ha osato dire un'altra verità talmente evidente che per difenderla occorre anche qui sguainare la spada di Chesterton. Le famiglie andrebbero aiutate perché attualmente quello che accade nel nostro sistema è esattamente il contrario, da molti punti di vista. Le famiglie sono gravemente penalizzate. Le tasse e gli assegni familiari favoriscono di gran lunga le coppie conviventi rispetto alle sposate (dove i due coniugi sommano i redditi). In certi comuni, non a Roma, a dire il vero, mi riferiscono che anche i posti all'asilo vanno prima ai conviventi, perché le mamme risultano “ragazze madri”. Conosco moltissime coppie separate in modo fittizio per motivi di convenienza fiscale. Quando le famiglie chiedono “aiuti” in realtà stanno solo chiedendo di non essere più svantaggiate, e non pretendendo l'aiuto che pure sarebbe legittimo aspettarsi. In un mondo ragionevole, a occhio e croce, andrebbe incoraggiato chi prende un impegno stabile e definitivo volto a generare figli che, checché  ne dica Veronesi, sono il futuro di tutto il paese, e il bene comune. Infine, l'ultima della serie di assurdità di questa ridicola vicenda: non mi spiego come mai uno, perché è stato un bravo medico, debba poter sentenziare su tutto. Sul piano morale per me personalmente ha la stessa autorità dell'omino al mercato dal quale compro il melone. Gli chiedo quale sarà maturo questa sera, non come comportarmi in camera da letto. Per lo stesso motivo non chiederei un parere sulla politica energetica tedesca al mio dentista, né a un ingegnere di delinearmi i tratti dello sviluppo del romanzo russo. Se volete un parere sull'astrofisica, comunque, io sono qui.







La meglio gioventù. Di Alessandro D'Avenia


Avvenire


Quali le risorse da intercettare? Infinite. La loro fame e maggiore, perche piu profonda. Piu difficile da raggiungere perche piu facilmente soddisfatta da surrogati.
Ho incontrato ragazzi che a 14 anni hanno gia messo in piedi business leciti da centinaia di euro, ho incontrato ragazzi che a 16 anni hanno inventato una radio dal computer di casa loro, ho incontrato ragazzi generosi e disposti a mettersi in gioco per gli altri, se solo qualcuno sfida le loro vite e le inserisce in un orizzonte piu grande. Ho incontrato anche ragazzi cinici, scettici: gia arrugginiti e disincantati alla loro eta, rifugiati in un mondo piccolo piccolo di affetti privati e ossessivi, droghe e disturbi di vario tipo, senza interessi o passioni, se non quelle capaci di scatenare adrenalina.
Ecco cosa mi ha scritto sul blog (profduepuntozero.it) una sedicenne: ≪Prova un giorno a travestirti da insegnante precario e a insegnare a una terza aziendale, dove sono tutti ragazzi che spacciano a cui non importa nulla di avere un diploma... O semplicemente nella mia classe, ghetto di ragazze popolari che arrivano la mattina strafatte di canne e dormono tutto il tempo con la testa sul banco... Prova a insegnare Dante, Boccaccio e Petrarca a dei ragazzi che non sanno cosa vuol dire amare la vita... E i professori si lasciano trasportare, un po’ come quei ragazzi, a quella stessa condizione, pensando che non ci sia piu nulla da fare. Il piu di volte troviamo insegnanti con poca voglia di vivere, quindi di lavorare, quindi di insegnare. Allora la domanda che sorge e se non bisogna cambiare il mondo adulto prima di voler cambiare il mondo adolescenziale, prima di lavorare sull’insegnamento lavoriamo sugli insegnanti≫. Accolta la provocazione le ho risposto che sono stato precario sino all’anno scorso (33 anni), che ho cambiato due volte citta (Palermo, Roma, Milano), che ho cominciato a insegnare alle medie e in un doposcuola di un quartiere disastrato della mia citta natale. Ho incontrato ragazzi del liceo, ma anche di istituti professionali, tecnici, nautici e chi piu ne ha piu ne metta, e non li ho trovati meno motivati e reattivi dei primi, anzi, gli incontri piu interessanti li ho avuti proprio in questo tipo di realta. Le ho poi chiesto spiegazione su alcune delle dinamiche autodistruttive descritte e mi ha risposto: ≪Non tutti sono capaci di costruire il ponte della comunicazione tra alunni e insegnanti, certi ci provano ma usando un legno scadente che si distrugge alla prima bufera. Allora si rinuncia a ricostruirlo con gli strumenti giusti e si resta bloccati ognuno dalla propria parte senza possibilita di congiunzione. A me personalmente la distanza fa paura. Fa paura a molti ragazzi. Hanno paura che nessuno in realta possa davvero arrivare a concepire almeno in parte il loro dolore, spesso perche a casa, la famiglia non si rende conto del disagio e li abbandona emotivamente a loro stessi, cosi quando arrivano a scuola cercano in qualche modo di attirare una silenziosa attenzione, cercano di esternarlo con comportamenti "animali", sfogando una rabbia e una tristezza davvero spaventose. Ai ragazzi forse importa avere un diploma, il problema e che se non hanno le basi affettive indispensabili per affrontare la crescita con le sue difficolta, non avranno le energie necessarie per arrivare a guadagnarselo. Se pero sono stanchi a 16 anni e la vita ti annoia, probabilmente l’apatia affettiva li ha gia svuotati e non sanno come andare avanti, con che forza e per quale scopo. I genitori sono lontani anni luce sensibilmente parlando. Allora ci provano con gli insegnanti, insomma con qualcuno che ricordi loro, e chiedono aiuto attraverso i loro comportamenti. Abbiamo pochi professori che se ne accorgono, pochi quelli che ci tengono davvero. Per questo sei l’eccezione che conferma la regola. C’e bisogno di adulti: chi c’e? Se fossi un’insegnante mi rimboccherei le maniche per fare la mia parte, non emarginando nessuno. Se fossi un’insegnante cercherei di sfruttare al meglio gli attrezzi che ho a disposizione≫. Io meglio non avrei saputo dirlo. La meglio gioventu c’e, ma la meglio "non-gioventu" dov’e? Il problema restiamo noi adulti e la cultura che abbiamo costruito attorno a questi ragazzi. Cosi mi scrive una maturanda: ≪La prof di italiano ci ha detto: Smettete di sognare, non ne vale la pena... perdete solo tempo... vivete con i piedi per terra perche con una generazione senza futuro e senza valori come la vostra solo vivendo razionalmente riuscirete a concludere qualcosa... Non date retta a certi professori che vi spingono a osare... a puntare in alto... a credere che ogni tanto la botta di "fortuna" arrivi per tutti... la fortuna non esiste... esistono solo raccomandazioni e raccomandati... quindi rassegnatevi...≫.
La misura alta del quotidiano di cui parlava il beato Karol e spazzata via.Il criterio di felicita e ridotto al successo e non alla capacita di sognare la vita che ci e stata data, accettare e trasformare il destino che abbiamo in una vita personale, vivendo per la ricerca di verita, bene e bellezza nello spazio consentito dai nostri limiti e pregi. La razionalita e pura funzione pragmatica. ≪Ho paura prof, tanta paura, paura di crescere, paura che la prof abbia ragione, paura di sognare. Sono demoralizzata perche mi rendo conto che forse non avremo mai davvero un futuro. E cosi brutto a 18 anni pensare questo...≫. La meglio gioventu c’e, non c’e pero speranza, perche le utopie si sono rivelate tali. La meglio gioventu c’e: c’e quella forte, con alle spalle famiglie forti, che stanno gia costruendo il loro futuro e non aspettano altro che il tempo faccia il suo corso con chi li ha preceduti (la societa italiana e una piramide rovesciata, pochi giovani portano il peso di un’Italia che invecchia). C’e la gioventu fragile, che soccombe sotto i colpi del cinismo e del disfattismo di chi spesso non vuole fare i conti con i propri fallimenti, ma anche questi cercano interlocutori per sopravvivere e a volte la loro fragilita esplode in richiami che non si possono ignorare: dipendenze, disturbi alimentari, suicidi. Sono i frutti piu maturi della dittatura del relativismo. Ho sentito una professoressa dire, dopo un mio incontro: ≪A scuola dobbiamo seminare dubbi, non certezze≫. Io non semino certezze, ma voglia di vivere per la verita, il bene e la bellezza. L’alternativa non e tra dubbi e certezze, ma tra senso e non senso della vita. L’epoca delle passioni tristi (titolo di un libro che ogni educatore dovrebbe leggere) e l’epoca che ha imbrigliato le risorse migliori, perche la ricerca della verita e stata rimossa dal centro della societa e delle relazioni. Non si genera vita perche si ha paura di vivere e si ha paura perche non c’e verita da seguire.
Chi paga la dittatura relativista sono quelli che per essenza sono fatti per la verita: i giovani. Le loro passioni tristi sono la nostra mancanza di vita interiore e di tempo, il nostro attaccamento alle cose prima che alle persone, la nostra fatica a donare, la nostra ebbrezza di carriere e consumi. Valgano le parole del rabbino di un romanzo di S.Zweig: ≪E piu forte chi si aggrappa all’invisibile di chi confida nel percepibile, perche questo e effimero, quello permanente≫. Avremo il coraggio di tornare ad aggrapparci all’invisibile?






Barcellona: quando arriverà il referendum sulla natura umana? 


In un articolo dell’11 giugno scorso, Rodota si chiedeva se ci sono ancora gli uomini o se siamo gia nell’epoca del post-umano. E sottolineava che abbiamo oramai conquistato una tecnologia che consente “di prolungare la vita; ritardare la vecchiaia; guarire le malattie considerate incurabili; lenire il dolore; trasformare il temperamento, la statura, le caratteristiche fisiche; rafforzare ed esaltare le capacita intellettuali; trasformare un corpo in un altro; fabbricare una nuova specie; effettuare trapianti da una specie all’altra; creare nuovi alimenti ricorrendo a sostanze oggi non usate”. In verita, non si puo discutere ne di guerra, ne di identita sessuale, ne di futuro della specie umana se non si hanno chiare le implicazioni di cio che la “ideologia dominante” presenta puramente e semplicemente come un fatto evolutivo della specie umana che, attraverso le conquiste della tecnoscienza, avrebbe oramai conquistato totalmente il controllo degli esseri viventi, fino a determinare le stesse condizioni di una nuova specie, sottratta alle tradizionali remore e limitazioni della cosiddetta coscienza morale. La trasformazione informatica della vita planetaria degli esseri umani corrisponde ad un mutamento dell’etica tradizionale. Sono convinto, infatti, che una nuova elite nazionale ed internazionale si stia candidando ad assumere un ruolo egemonico rispetto ai grandi processi di trasformazione in atto. Gli elementi di questa egemonia sono principalmente costituiti da una visione dell’essere umano come espressione di aspettative di soddisfazione dei propri bisogni che, pero, sono affidati ad una sorta di “diritto illimitato” all’accesso delle possibilita pratiche offerte dal nuovo mondo delle tecnoscienze: scegliere la propria identita sessuale, scegliere liberamente il proprio partner al di la di ogni differenza, scegliere di stare in connessione attraverso la rete con chiunque possa costituire l’interfaccia del proprio avatar, scegliere di abitare in qualsiasi luogo della terra secondo le circostanze, scegliere di esprimersi con qualsiasi mezzo per poter dare spazio alle proprie pulsioni e ai propri desideri. Un’idea dunque di liberta illimitata che corrisponde alla promessa dell’illimitata produzione di ricchezza che l’apparato tecnoscientifico sembra assicurare oltre i limiti naturali del pianeta: un “apparato” di giudici che garantiscano queste liberta e i correlativi diritti nei confronti di tutti i poteri che pretendono di limitarne l’esercizio; una sorta di societa anarchica del godimento fine a se stesso; l’esaltazione dei movimenti spontanei che si formano nella societa come pura pressione di bisogni pulsionale ostacolati da condizioni pratiche residuate dai vecchi modelli organizzativi; in prospettiva anche l’assicurazione di un reddito di esistenza che attenui fino a non farle avvertire le enormi disuguaglianze di potere; un sistema politico flessibile e cangiante, orientato dalla sondaggistica e da eventuali referendum di appoggio; una democrazia delle liberta individuali che puo continuamente convocare assemblee digitali per definire orientamenti su singoli problemi; intellettuali di nuovo tipo, ispirati alla cultura delle tecnoscienze, legati essenzialmente al sistema mediatico; centralita dei diritti individuali e del sistema giurisdizionale come istanza di composizione transitoria dei conflitti che possono insorgere per l’uso delle risorse comuni.






Patrick Moore, fondatore di Greenpeace e oggi ecologista "moderato" dice che...


“L’idea che la natura sia buona e l’uomo cattivo e davvero stupida. Se davvero pensassimo che la natura sarebbe meglio senza l’uomo allora tanto varrebbe suicidarsi”. Puo sembrare incredibile ma a parlare cosi e Patrick Moore, uno dei fondatori ? nel 1971 ? di Greenpeace, l’organizzazione ambientalista radicale forse piu famosa al mondo. Solo che le strade di Greenpeace e di Moore nel 1986 si sono separate e quest’ultimo, come dice lui stesso, e diventato un “ambientalista ragionevole”, come dice il titolo italiano della sua autobiografia, appena uscita per i tipi di Dalai editore (“Confessioni di un fuoriuscito da Greenpeace”, aggiunge il sottotitolo). Patrick Moore, canadese di Vancouver, e stato per nove anni presidente di Greenpeace Canada e poi per altri sette anni direttore di Greenpeace International, quando all’inizio degli anni ’80 da associazione nazionale che lottava contro i test nucleari e la corsa al riarmo, e esplosa come organizzazione internazionale ecologista. Poi la rottura, e Patrick Moore fonda un’altra associazione, Greenspirit, che fa soprattutto informazione e consulenza sui temi ambientali. Moore, cresciuto nella foresta intorno Vancouver , grande amante degli alberi che considera “la piu grande fonte rinnovabile di energia e la risposta a tantissime esigenze dell’umanita, dall’energia alla costruzione”, non sopporta un ecologismo diventato superstizione, senza alcuna base scientifica se non l’odio verso l’umanita, parla del rischio che i verdi ci facciano piombare in “secoli bui dal punto di vista intellettuale”. E addirittura parla di “crimine contro l’umanita” il tentativo di impedire l’uso degli organismi geneticamente modificati in agricoltura: “Ogni anno 500mila bambini nel mondo perdono la vista per carenza di vitamina A e il 70% muore: una strage che potrebbe essere evitata con le coltivazioni Ogm, che invece vengono ostacolate”. “Gli esseri umani sono parte della natura, sono una parte bella e positiva della natura. Non c’e nulla di piu lontano dalla realta che credere che l’aumento della popolazione faccia morire la natura. Cosi come e totalmente sbagliata l’idea che l’aumento del consumo pro-capite di energia si risolva in un danno per l’ambiente. E’ invece la poverta ad avere un impatto ambientale enorme. Per questo e importante favorire lo sviluppo dei paesi poveri attraverso un grande cambiamento tecnologico”.
A cominciare dall’agricoltura, dove la meccanizzazione e la chiave per lo sviluppo: “Nelle societa arretrate, l’80% delle persone e impegnata in agricoltura, impegnata a procurarsi il necessario per sopravvivere giorno dopo giorno. Senza che mai nessuno possa dedicarsi ad altro e senza mai riuscire a superare il livello di sussistenza. Solo la meccanizzazione permette di aumentare la produttivita liberando al contempo moltissime energie per altri lavori. Cosi i popoli migliorano le loro condizioni. Ma gli ecologisti pretendono di imporre soltanto l’agricoltura biologica, impedendo lo sviluppo”.
E non ha paura Patrick Moore del riscaldamento globale?
Sorride:
“E’ vero, c’e un aumento della temperatura negli ultimi 130 anni, ma soprattutto perche si usciva da una fase di secoli molto freddi. In ogni caso siamo in un’era interglaciale, quindi la Terra andra ineluttabilmente verso una nuova glaciazione: tra mille anni, duemila, non lo sappiamo. Comunque, da un punto di vista scientifico non c’e alcuna prova che l’uomo sia responsabile di questo riscaldamento. Poi francamente non capisco questa paura di un aumento delle temperature: l’uomo e una specie tropicale, non polare. Non siamo pinguini, i nostri progenitori venivano dall’equatore, siamo fatti per il caldo. E’ dimostrato che se non fossimo vestiti, a una temperatura di 20°C, all’ombra, non potremmo sopravvivere. Dunque, perche avere paura del riscaldamento?”.
Eppure ormai nell’immaginario collettivo la CO2 e diventata il mostro, il nemico numero uno, considerato un inquinante quando e invece l’elemento fondamentale della vita:
“Su questo punto si gioca sulle parole: anche se la gente pensa diversamente, inquinamento non e un termine scientifico, e un giudizio. Infatti dicono che la CO2 e inquinante, non dicono che e tossica. Un elemento o un oggetto inquinante e semplicemente qualcosa che, per diversi motivi, non dovrebbe esserci, e qualcosa che crea un problema. E siccome la CO2 e considerata un problema per il clima, viene definita inquinante, ma la percezione dell’opinione pubblica e ovviamente diversa. E’ una terminologia fuorviante, ma non e casuale”.
Mentre invece non si agisce su cio che inquina veramente:
“I verdi sono il piu grosso ostacolo alla riduzione dei combustibili fossili, perche si oppongono a qualsiasi alternativa: dal nucleare alle pompe geotermiche fino alle vere fonti rinnovabili, legno e acqua che insieme costituiscono il 90% delle rinnovabili. Le fonti rinnovabili migliori sono infatti quelle che e possibile immagazzinare, che possono essere disponibili a richiesta. L’idroelettrico per esempio e fondamentale, ma i verdi non vogliono far costruire le dighe. E’ un’assurdita, dicono che rovina l’ecosistema ma e vero il contrario: si creano dei laghi artificiali che diventano un paradiso di biodiversita oltre a rispondere ai bisogni dell’uomo. Prendiamo il caso della Diga delle Tre Gole in Cina, la piu grossa centrale idroelettrica costruita: gli ecologisti hanno creato ostacoli di ogni tipo per impedirne la costruzione. Oggi c’e un bel lago e produce tanta energia pari a quella per cui sarebbero necessarie 40 centrali a carbone. Inoltre prima, per le alluvioni morivano ogni anno migliaia di persone, ora non piu. Si fa bene all’uomo e si fa bene all’ambiente, questa e la realta”.
Sole e vento?
“Non e possibile immagazzinarli, e sono terribilmente costosi rispetto alle altre fonti. Per questo, chi sostiene che l’alternativa siano eolico e fotovoltaico in realta sta spingendo per l’uso dei combustibili fossili”.






Perchè il Medioevo non è quello di Eco 


di Giovanni Fighera
Tratto da La Bussola Quotidiana il 2 luglio 2011


Nella cultura comune l’immagine dei ≪secoli bui≫ e ben lungi dal morire. La visione dominante e, infatti, quella che lo scrittore Umberto Eco ha trasmesso ne Il nome della rosa: superstizione, roghi, streghe, ignoranza, chiesa corrotta ed eresie sono gli ingredienti dominanti per un mondo di intrighi che sembra piu rispondere ad esigenze costruttive di un giallo che ad un’ipotesi di ricostruzione storica veritiera. Cosi, anche a scuola, la pressoche totalita degli studenti conosce questo Medioevo da Nome della rosa, proprio perche gran parte del mondo dei professori continua a trasmettere nelle proprie lezioni una tale immagine preconfezionata. Notevole e, invece, la fioritura culturale, sociale, artistica e perfino giuridica di quest’eta, cosi come emerge attraverso le fonti di archivio spesso poco lette e studiate. Per tanti secoli, nel Medioevo, le opere rimangono anonime, sono realizzazione di bottega, appartengono ad una collettivita e sono, talvolta, frutto della cooperazione di un gruppo di artigiani o di una comunita cittadina. Per tanto tempo, cioe, il valore di un’opera non e percepito tanto in relazione all’artista, bensi per il pregio tecnico, per il messaggio veicolato e per il fine che si prefigge. L’oggetto rappresentato e piu importante dell’autore cosi che l’attenzione sia incentrata totalmente sulla rappresentazione. Si pensi, ad esempio, al teatro medioevale, quasi tutto anonimo, ma non per questo di scarso valore. L’anonimato, la ≪concezione collettiva dell’opera≫, pero, piu che motivi di demerito e di scarsa considerazione artistica attribuita all’opera sono sintomi della percezione dell’uomo medioevale di appartenere ad un popolo di credenti, di un sentimento religioso che sente vivo il legame col Mistero che si e fatto carne ed e venuto ad abitare in mezzo a noi. E interessante notare che, nel Medioevo, per la prima volta nella storia il popolo stesso coopera spontaneamente alla realizzazione delle grandi opere monumentali. In un contesto in cui il benessere sociale e ben lungi dal nostro, molti dedicano il proprio tempo libero gratuitamente per edificare i templi del Signore, le case del popolo di Dio, le Chiese.  Le cattedrali sono, cosi, Biblia pauperum, la Bibbia dei poveri, occasione di scoperta e di conoscenza del mondo. Le opere d’arte sono, spesso, delle summae, ovvero le enciclopedie medioevali. L’arte e, per questo, sommamente pedagogica, didattica ed educativa. L’epoca delle cattedrali che svettano verso il cielo, della musica gregoriana e polifonica, della Divina commedia, della Cappella degli Scrovegni di Giotto, delle storie di S. Francesco nella Basilica di Assisi, l’epoca di castelli e citta turrite: questa e l’epoca medioevale. Il Medioevo e, invece, l’epoca del culto del bello. Grandi geni, come Dante e Giotto, hanno illuminato con lo splendore delle loro opere un’epoca che sente profondamente l’identita tra ontologia ed estetica, che avverte che la presenza del bello pervade tutta la realta. Il Medioevo esprime quello sguardo nuovo sulla realta che scaturisce dall’avvento di Cristo. Se la Bellezza si e incarnata ed abita in mezzo a noi, la sua rappresentazione non sara piu l’esito di una mente geniale, ma la testimonianza di questa storia della salvezza e della rivelazione culminata nel punto in cui l’Infinito, il Mistero, ha assunto la condizione umana e si e rivelato per la nostra redenzione. E questo il culmine della rivelazione. L’artista addirittura potra rappresentare Dio, fatto che la tradizione ebraica escludeva, cosi come pure tutte le religioni e le filosofie orientali. Scrive, infatti, il teologo siriano san Giovanni Damasceno (676-749): ≪Percio con fiducia io rappresento Dio non come invisibile, ma diventato visibile per la partecipazione della carne e del sangue. Io non raffiguro l’infinita visibile, ma la carne di Dio che e stata vista≫. Cosi, nell’arte figurativa il volto umano recupera una personalita, diventa individuale, non e piu un’astrazione ideale, ma e espressione di una persona unica e irripetibile, nel suo dramma e nella contingenza in cui vive, piena di dignita ancor piu nella sofferenza che sopporta. Il volto di Dio, che ha assunto le nostre sembianze, e ora rappresentabile in Gesu Cristo, che ha sofferto per l’uomo fino a morire in croce. Cristo e vero Dio e vero uomo: un paradosso per la saggezza antica pagana. Nell’arte classica, invece, il vertice nell’espressione artistica si raggiunge nella rappresentazione di un volto ideale, fuori dal tempo, imperturbabile, perche massima virtu e il dominio delle proprie passioni e il controllo di se. Per raffigurare la divinita l’artista greco utilizza l’immagine di un uomo perfetto. Nella nuova prospettiva cristiana la realta vale in quanto tale, ma anche perche rimando alla Realta, quella definitiva, che sta oltre il sensibile. La rappresentazione della bellezza visibile e, per questo motivo, sempre suggestiva, nel senso che ≪porta con se un senso, un significato≫ che sta oltre: e, in questa prospettiva, potente rimando alla bellezza del Dio invisibile. La realta e, quindi, segno e l’artista vuole, percio, veicolare il senso profondo del reale. Per questo si puo parlare di lettura figurale e simbolica della realta. Il concetto di figura ben rappresenta la nuova mentalita cristiana. Con queste parole il grande filologo tedesco Erich Auerbach (1892?1957) descrive il concetto di interpretazione figurale: ≪L’interpretazione figurale stabilisce fra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche altro, mentre l’altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si trovano entrambi nel tempo, come fatti o figure reali; essi sono contenuti entrambi […] nella corrente che e la vita storica≫. Oltre che figurale la cultura medioevale e fortemente simbolica perche rimanda al senso globale, al tutto, all’orizzonte ultimo, al Dio creatore. Potremmo definire ≪simbolico≫ cio che unisce il particolare con l’universale, con il tutto. Piu nello specifico il simbolo consiste nell’uso di un animale, di una persona, di un oggetto per esprimere un’altra realta piu profonda. L’uso di un simbolo deve essere comprensibile e interpretabile dalle persone appartenenti alla comunita di un certo luogo e di un certo tempo. La concezione medioevale del bello fin qui espressa trova una sua perfetta formulazione teorica nel pensiero di s. Tommaso (1225-1274) che afferma che il bello e una caratteristica dell’Essere, assieme al vero e al bene. Il bello e evidente, luminoso, trasparente nella forma, per cui si puo percepire con facilita senza il procedimento analitico tipico della scienza. E dotato anche di integrita, ovvero la compiutezza in tutte le sue parti permette di cogliere la forma dell’oggetto. Infine, fondamentale per la bellezza di un’opera e la proporzione delle parti, che determina l’armonia nel suo insieme. Per s. Tommaso, bello e cio che, visto, piace. Si rimane, quindi, affascinati e avvinti nella contemplazione della bellezza, ancor prima di conoscerla. Certo, questa attrattiva della bellezza diventa strumento di conoscenza, perche ci sprona ad una intelligenza del reale, cioe ad una ≪lettura in profondita≫ (il termine ≪intelligenza≫ deriva per l’appunto da intus legere). Il piacere estetico deriva dalla contemplazione dell’oggetto bello: e un piacere disinteressato, che non mira al possesso. Il possesso porterebbe ad un deturpamento della cosa bella e alla scomparsa dell’atteggiamento estatico che porta a goderne. Si avrebbe, cosi, un decadimento ovvero una corruzione del primigenio impatto che il bello produce alla sua vista. Il bello desta una potente attrazione proprio perche richiama alla verita e alla bonta dell’Essere. E diabolico fermarsi solo al piacere che il bello produce senza metterlo in relazione con l’Essere di cui l’oggetto o la persona bella e riverbero. Il diabolico consiste, infatti, nella separazione del particolare dal significato, dall’universale. S. Tommaso arriva, poi, ad affermare che, in realta, ogni ente e dotato delle prerogative del bello e ha, percio, una sua intrinseca bellezza, anche se non sempre noi riusciamo a coglierla. intetizzando, dunque, quanto sin qui visto a proposito dell’estetica cristiano-medioevale, possiamo, senz’altro, affermare che una delle idee centrali della sua concezione del bello e la coincidenza di verita, bonta e bellezza. La verita, nella prospettiva cristiana, porta sempre con se l’idea del bene e coincide con una Persona, Cristo, che ha indicato la via per il nostro compimento. La concezione amorosa dantesca e la figura di Beatrice sono tra le piu efficaci espressioni della bellezza medioevale. Beatrice e bella proprio perche figura di Cristo. Si pensi alla Vita nova, opera che racconta l’inizio del cambiamento di Dante a partire dall’incontro con questa donna. La donna e, qui, miracolo, meraviglia, segno stesso del divino nella realta, possibilita per l’uomo di elevarsi e di andare verso il cielo. Nel rapporto con la donna l’uomo ha la possibilita di realizzarsi e di compiersi. Se Cristo e la via e, nel contempo, la verita, e se Beatrice e figura di Cristo, allora anche Beatrice e via per andare a Dio. Questa e la bellissima idea sottesa alla concezione d’amore dantesca espressa nella Vita nova: la donna e ≪cristofora≫, il rapporto dell’uomo con lei e sacramentale. Certo, permane in Dante tutta la consapevolezza della possibilita di peccare e di cadere nel peccato di idolatria: rimanere troppo vicino a Beatrice, fermare lo sguardo solo su di lei e il rischio che l’uomo corre tutti i giorni e siamo invitati alla vigilanza, perche nessuna conquista e ottenuta una volta per tutte. Altrimenti, Beatrice puo essere per noi la Francesca del V canto dell’Inferno.






Schiavitù, cristianesimo ed islamismo


Di Rino Cammilleri


Rodney Stark, uno dei massimi sociologi delle religioni, fa un’interessante considerazione a proposito della schiavitu. Dopo aver dimostrato come la schiavitu fu abolita solo nel mondo cristiano e per motivi esclusivamente religiosi, osserva che nel mondo islamico e stata abolita solo di recente (nel 1962 in Arabia Saudita e nel 1981 in Mauritania) e dietro pressioni occidentali. Dal Rinascimento in avanti, diverse potenze coloniali europee deportarono schiavi neri dall’Africa ≪nonostante≫ i divieti papali. La deportazione dei neri verso il mondo islamico fu eguale in termini quantitativi se non superiore, e non conobbe mai obiezioni religiose. Finche l’impero ottomano ne ebbe la forza, esso preferi tuttavia gli schiavi bianchi (ogni quattro anni funzionari giravano per le province e prelevavano i bambini per farne giannizzeri o altro). Alcuni storici sostengono che gli schiavi fossero trattati meglio sotto l’islam. Dice Stark, pero, che ≪e sufficiente osservare quanto poche siano le persone di discendenza africana nelle nazioni islamiche rispetto a quelle del Nuovo Mondo≫. La fertilita degli schiavi nel mondo islamico era estremamente bassa, ≪non solo a causa della frequente castrazione degli uomini, ma anche perche l’infanticidio era pratica comune nel caso di neonati che mostrassero una discendenza africana≫. Cfr. Rodney Stark, ≪A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitu≫ (Lindau, pp. 400-401).






Appunti sul peccato originale e societa neo-illuminista. In margine ad un articolo di Antonio Socci e un dibattito con Antonio Mancuso


Il volume di Fox si scaglia contro la dottrina del peccato originale, come se questa realta fosse stata torvamente inventata dalla Chiesa per colpevolizzare gli uomini. E Mancuso ha proclamato le stesse idee nei suoi libri e in quella trasmissione. Interpellato in proposito io ho osservato semplicemente che il peccato originale e un fatto cosi evidente, tangibile, che chiunque puo constatarlo nella sua esperienza quotidiana, tanto e vero che poeti non credenti come Charles Baudelaire e Giacomo Leopardi hanno descritto benissimo questa condizione decaduta dell’uomo, desideroso di felicita, ma strutturalmente incapace di conquistarla. La nostra umanita e inquinata dal dolore, dal male e dalla morte. E’ un fatto, una realta che tutti ? in ogni istante ? ci troviamo amaramente a constatare. Cio dimostra ? ho concluso ? che non e per nulla la Chiesa ad aver “inventato” il peccato originale, ma ? al contrario ? e lei l’unica ad aver dato una spiegazione della nostra condizione: la sua dottrina del peccato originale infatti fornisce l’unica ragione esauriente del guazzabuglio disperante in cui l’uomo, dalla sua nascita, si trova “gettato”. Non solo. La Chiesa non si limita a rivelare all’uomo le cause di questa condizione, comunque misteriosa, ma annuncia e propone Gesu, il salvatore, l’unico che questa condizione puo redimere, che puo capovolgere il segno mortifero dell’esistenza e cambiare radicalmente il nostro destino infelice. Donando la felicita. A questo punto e intervenuto Mancuso che ha cominciato una sua requisitoria: il peccato originale ? a suo dire ? e stato inventato nel V secolo da S. Agostino e nel 418, al Concilio di Cartagine, la Chiesa ha reso dogma il pensiero di Agostino. Incredulo per questa assurdita ho obiettato che la dottrina del peccato originale c’e gia in san Paolo, cioe all’origine del cristianesimo. Mancuso lo ha negato dicendo testualmente che in san Paolo vi sarebbe soltanto il parallelismo fra Adamo e Cristo. Non sapevo se mettermi a ridere o a piangere. Possibile che un semplice giornalista come me debba svelare a uno che si fa presentare come “teologo” (e addirittura “teologo cattolico”) che San Paolo ha scritto, all’incirca nell’anno 58, la fondamentale Epistola ai Romani e che nel capitolo quinto di tale Epistola si trova gia espressa nel dettaglio la dottrina del peccato originale? Non contento di quella topica Mancuso negava che il peccato originale fosse una condizione dell’uomo e insisteva nel dire che la Chiesa imputava agli uomini un peccato non commesso. Mi e stato facile invitare Mancuso a leggere almeno il Catechismo della Chiesa Cattolica dove sta scritto a chiare lettere che il peccato originale e stato da noi “contratto”, ma non “commesso” e che e “condizione di nascita e non atto personale” (n. 76). Sapevo peraltro che Mancuso nega una quantita di altri dogmi della Chiesa. E’ capace di scrivere una cosa del genere: “non c’e alcuna esigenza di credere nella sua (di Gesu, nda) risurrezione dai morti per essere salvi”. Vitale, dopo un’accurata disamina di queste mancusate, conclude che egli, negando “diversi dogmi fondamentali per la fede” come “peccato originale, immacolata concezione, immortalita dell’anima, eternita dell’inferno, si colloca volontariamente non solo al di fuori della teologia, ma anche al di fuori della dottrina cattolica e della Chiesa”.






≪L’Omofobia? Una grande bufala≫ Parola di ex gay militante




Qualcuno potrebbe obiettare che alcune persone non si riconoscono nella propria identita sessuale biologica...


≪Conosco bene questo stato d’animo, per averlo provato. Porta con se un carico di dolore, di rabbia, di sofferenza inimmaginabile. Di fronte a questa sensazione di freddo smarrimento viene naturale avvicinarsi al mondo gay, e poi ne si viene travolti. Noi vogliamo offrire un’alternativa, con il gruppo Lot vogliamo dare voce alle persone che non si sentono in sintonia con quello che provanno, andare incontro agli adolescenti che chiedono di capire cosa sta succedendo. Il percorso e lungo e complesso, ma bisogna essere chiari: siamo maschi o femmine. E la normalita e essere eterosessuali≫.


Quindi secondo Lei non ci sono diritti da tutelare per quanto riguarda gli omosessuali attraverso i GayPride?


≪L’unico risultato di queste manifestazioni e il proliferare di locali dove si offre sesso. A me dispiace tantissimo perche so che i ragazzi piu giovani ci credono davvero, e il loro entusiasmo viene alimentato di continuo, facendo loro credere che si cambiera il mondo, ma non e cosi e ai vertici lo sanno bene. E’ il sesso il motore del mondo gay, come in una sorta di cannibalismo ci si nutre di una cosa che non si ha. Ed e questo che personalmente ha fatto scattare in me un campanello d’allarme. Il sesso. Perche non esiste la fedelta nel mondo gay, esiste la ricerca compulsiva di qualcosa che si vuole possedere, ma non la si ottiene perche ci si ostina a cercare nell’uguale a noi. Non esistono persone serene, o piene, nel mondo gay. Al contrario quando l’individuo scopre il mistero della complementarita, tutto acquista una luce diversa…≫.


Quale e stata la molla che Le ha fatto pensare che qualcosa non andava nel mondo gay?


≪Ad un certo punto, dopo anni di ricerca sfrenata, non solo non avevo trovato nulla, ma non avevo nemmeno capito bene cosa stavo cercando, e nemmeno se lo avrei trovato mai. Esausto, mi sono fermato, ho staccato. Poi ho scoperto che c’erano altre possibilita: con grandissimo stupore e altrettanta sofferenza ho scoperto una cosa che nessuno, in 20 anni di Arcigay mi aveva mai detto, e cioe che potevo diventare eterosessuale. Perche non me lo avevano detto? Mi hanno rubato 20 anni di vita. Ho cominciato a leggere i libri di Nicolosi, psicoterapeuta americano, che da anni negli Stati Uniti si occupava di terapia riparativa. Non sono stato convinto da subito, ma ho voluto tentare anche quella strada. Ho capito che la mia vita era cambiata quando ho cominciato a percepire la profondita del mistero della complementarita, e ho sentito dentro di me un desiderio, che nessuno mi aveva detto che avrei potuto sentire: quello di essere padre. Fino ad allora nessuno mi aveva mai detto che avrei potuto generare una vita≫.






Caro Scalfari, basta il dottor House per scoprire il bene. di Carlo Bellieni


Caro Eugenio Scalfari,
il bene e il male ci sono, eccome. Dico questo leggendo il Suo articolo “l’invenzione del bene e del male” (La repubblica, 23 giugno), in cui sostiene che “bene e male sono concetti elaborati dalla nostra mente per dare un contenuto etico alle nostre azioni e un senso alla vita. (…) La realta e che non c’e nessun senso ultimo alla vita e siamo noi che ce lo inventiamo per rassicurarci”. Vivo come molti in ospedale a contatto con la sofferenza e il dolore, ma anche con la gioia e il piacere di una malattia vinta. E’ la dove la morte mette con le spalle al muro, dove il dolore afferra il cuore e la mente di chi passa mesi in un letto, dei familiari in lacrime, dei morenti o di chi stringe un bambino in braccio, che si vede che c’e un bene e un male. Perche cosa e la vita lo scopriamo rispondendo alla realta, e quanto piu la realta e cruda, scarna e nuda, tanto piu sappiamo riconoscere questi due poli. Non credo che il bene dipenda da un equilibrio “tra l’amore di se e l’amore degli altri”, come Lei scrive, perche non credo che queste due realta siano distinte e percio quasi sempre ostili fra loro,  Perche l’amore a se e quello agli altri non sono altro che il riflesso di un richiamo “altro” che sperimentiamo esterno da noi. Ed e proprio il reale, l’esterno da noi, la vera sfida. Perche cio che e bene ha tre premesse: riconoscere l’altro per quello che e, accettando di cambiare opinione quando necessario; accettarne tutti i fattori, senza censure; esserne interessati, attratti, coinvolti senza sentimentalismo, perche senza interessarsi non si conosce. Questo e il bene, che la medicina da secoli mostra: dare il farmaco giusto al malato e bene, perche non censura nulla, lo guarda in volto, se ne interessa. Dare un veleno e l’esatto opposto. Per la medicina, caro Scalfari, esisteva un codice che indicava il bene: era il giuramento di Ippocrate, quello secondo cui Lei e un paziente africano o svedese avete diritto allo stesso trattamento, quello secondo cui non si deve uccidere, secondo cui se entri in casa di uno per curarlo non vai poi a raccontare fuori quello che hai visto nemmeno se i suoi nemici ti scannano. Oggi, il relativismo etico ha cambiato in apparenza poco, ma ha aggiunto a queste frasi una parolina: “dipende”. Se non c’e un bene, il tuo comportamento dipende tutto dalle condizioni o addirittura stato d’animo, tanto che il nuovo “codice” finisce col recitare, parafrasando: “Compiro ogni desiderio richiestomi dall’utenza, staro in ansia per il budget dell’ospedale, mi atterro alle mie mansioni e solo a quelle, fino alla fine… del mio orario di servizio”. Ha mai guardato la serie TV “House MD”? E’ la storia di un medico (ateo), che ogni giorno e alle prese con la malattia, col dolore, nella voglia indefessa di vincerli, per la certezza che esiste un modo giusto e uno sbagliato di curare, che esiste un bene e un male per il malato, tanto da attrarlo in una sfera che rasenta il paternalismo, e invece e solo passione per il reale; per quella grammatica, quel DNA che la realta ha scritta dentro di se. E’ per questo che, a differenza di quanto leggiamo nel Suo articolo (“L’idea che tutto quello che ci accade sia estremamente importante e un semplice esorcismo creato da noi stessi per combattere l’idea della morte”), credo che davvero tutto intorno a noi e importante: non per una nostra pia consolazione, ma perche non possiamo non vedere che la vita dell’uomo oscilla tra due misteri, come Immanuel Kant ben illustrava: la propria piccolezza (siamo microbi invisibili sulla crosta di una piccola particella di polvere a zonzo per il cosmo) e la certezza di un peso legato alla nostra fatica e al nostro orgoglio e alla nostra felicita, che non sarebbero spiegabili solo con l’autoillusione di un briciolo di polvere. Misteri che cozzano fra loro, e che ci danno la certezza di sapere ben poco del tutto, di come questi due poli possano stare insieme, di come siano presenti eppur in stridore fra loro. L’unica conclusione e che il mistero e molto, ma molto grande, piu grande della semplice conclusione “e assurdo” o “e gestibile e comprensibile da me”; e che piccolezza e grandezza sono vere entrambe, ma ad una dimensione forse insondabile; a meno che dal Mistero stesso non ci arrivi un qualche messaggio. E i messaggi ci arrivano. Basta saperli guardare in faccia, non censurare, esserne interessati, come dalle tre “premesse” di cui sopra. In un lavoro che possiamo chiamare sommariamente ma affettuosamente, dai letti degli ospedali, dalle sale operatorie, dai cimiteri e dalle sale di Stoccolma dove si consegna il premio Nobel: “il bene”.






Pillole e aborto, la ricetta dell'Onu per “aiutare” i bambini 


di Luca Volontè
Tratto da Il Sussidiario.net il 29 giugno 2011


La Repubblica Ceca sta preparando l'apertura di altri due box bambino, la "ruota" come la chiameremmo nella tradizione medievale italiana ed europea, entro la fine dell'anno. Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo (Crc) ha recentemente raccomandato che dovrebbe chiuderle tutte. Ludvik Hess e il promotore dell'iniziativa, la Repubblica Ceca ha uno dei piu alti tassi di abortivita e un diffuso ateismo, entrambi lasciti del sistema sovietico. Le due ruote si aggiungono alle 44 gia presenti sul territorio che consentono ogni anno di salvare dalla morte sicura decine di bambini. Il Crc ha inoltre invitato la Repubblica Ceca a chiudere le culle per i bambini dicendo che sono in contrasto con la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo! Invece di felicitarsi, il Crc nel suo rapporto con le raccomandazioni per la Repubblica Ceca, pubblicato questa settimana, ha scritto di essere "seriamente preoccupato per le culle per la vita" e ha invitato le autorita ceche ad abbandonare il programma il piu velocemente possibile per concentrarsi sull'eliminazione delle cause che portano le madri ad abbandonare i propri figli. Ma ecco il vero scopo della incredibile iniziativa del Crc, esso ha invitato le stesse autorita a "concentrarsi sul supporto alla pianificazione familiare, di consulenza e di assistenza sociale in gravidanza indesiderata". Insomma, l’organismo che dovrebbe difendere i fanciulli in realta spinge al "profilattico, pillole e aborto”. Per il Crc la culla per la vita e in contrasto con il diritto del bambino alla vita e all'identita sin dalla nascita (nome, identita, cittadinanza, possibilita di conoscere i genitori). Tuttavia, la reazione Ceca e stata all’altezza della situazione: il Commissario dei Diritti Umani della Repubblica, Monika Simunkova, ha ribadito nei giorni scorsi la priorita della vita: "Il diritto alla vita e di estrema importanza. Le culle per la vita servono per salvare vite umane dei bambini!". Ovvio, logico, ma all’Onu di New York e scoppiata l’epidemia dell'irrazionalita. Ovviamente, lo Stato non spende un nulla per l’iniziativa, tutto frutto della raccolta volontaria e della ferma promozione di Ludvik Hess. E assurdo che il Crc si opponga a un programma che aiuta i bambini a sopravvivere. Il programma ha dato un mano a decine di bambini, la maggior parte dei quali sono felicemente vivi e accolti nelle famiglie adottive.


Mi informa l’agenzia Corrispondenza Romana (16 giugno 2001) che Budapest e piena di cartelloni in cui un feto dice: ≪Potrei pure capire che non sei pronta per me, ma pensaci due volte e fammi adottare, lasciami vivere!≫. C’e, accanto, il logo Progress della Ue. Cioe, la campagna antiabortista gli ungheresi la stanno facendo anche coi fondi europei. Infatti, sono partiti fulmini e fiamme dalla Commissione, che si sente presa per i fondelli (chi volesse approfondire, CR 1196/02). L’eurodeputata socialista francese Sylvie Guillaume ha tuonato che ≪utilizzare denaro del programma Progress o di altra fonte Ue per una campagna anti-aborto e un abuso ed e incompatibile con i valori dell’Ue≫. Infatti, com’e noto, i valori della Ue sono ben altri.  (Rino Cammilleri)






I minori nella rete di un mondo hard. Intervista a Tonino Cantelmi


La Bussola quotidiana del 26 giugno 20011


Professore perche il fenomeno ha ormai assunto rilievo internazionale? 
≪Da uno studio che abbiamo fatto su ragazzini italiani tra gli 8 e i 16 anni, risulta che circa il 40% visiona immagini pornografiche casualmente. Di questi, il 20% ci ritorna sopra costantemente. E la possibilita di avere contenuti, immagini, incontri sessualmente inappropriati per minori arriva fino al 90%. Il problema ormai investe piu campi, dalla pubblicita alla televisione, ma riguarda soprattutto Internet. Oggi i bambini vanno a dormire molto tardi rispetto al passato e guardano di tutto. Il web sfugge al controllo dei genitori e cosi i piu piccoli si trovano a frequentare un mondo da adulti gia da bambini. 
Quali sono gli effetti piu preoccupanti? 
Questa forma di precocizzazione della sessualita produrra adolescenti e adulti problematici. Essere esposti a scene sessuali fa interiorizzare schemi che modellano e modelleranno il rapporto che la persona ha con il proprio corpo (identita corporea), quanto e come uno si sente maschio o femmina (identita di genere), il modo di percepire gli altri, modelleranno valori e attitudini presenti e future, condizionando il comportamento in ambito sessuale, il rapporto di coppia, l’autostima, le capacita di amore autentico e profondo, insomma il potenziale di felicita. Gli effetti evidenti sono quindi disturbi del comportamento alimentare, forme di ansia, e problemi di autostima e di identita. Stiamo creando una generazione di bambini-adolescenti che da adulti avranno piu dipendenze comportamentali, piu dipendenti dal sesso, dal cibo, dal lavoro, dal gioco... Non a caso oggi abbiamo delle forme di anoressia anche tra gli uomini. 
Perche in questi anni si e accentuata l’ipersessualizzazione? 
Siamo costruendo una societa in cui l’uomo e concepito solo nella dimensione orizzontale: individui che conducono la propria esistenza senza progetti per il futuro, ignari del proprio passato, appiattiti sul presente alla ricerca soltanto di emozioni forti. Ogni momento deve essere vissuto al massimo, nel massimo edonismo, nel massimo godimento che sfocia nella sessualita. C’e un ripiegamento sulla sfera emotiva e percettiva: la ricerca esasperata di emozioni forti, l’incremento del narcisismo, il bisogno di apparire sempre diversi da come siamo con la difficolta ad assumere ruoli definiti, trovano nei media un’esaltazione straordinaria, soprattutto nell’area psicoaffettiva e quindi nella sessualita. 
I media sono quindi specchio di una societa senza piu riferimenti? 
Si. Prendiamo pure tutta la programmazione televisiva o quella cinematografica. Alla base non c’e piu nessuna domanda di senso, tutto deve essere vissuto concretamente, rapidamente, immediatamente, rinunciando alla questione vera: che senso ha quest’esistenza? L’uomo del terzo millennio ha rinunciato alla domanda di senso. Il senso semmai va cercato nell’immediatezza, in quello che c’e. Per cui non bastera un rapporto affettivo ma ce ne vorranno cinque, non bastera una sessualita normale ma ci vorra una sessualita esasperata. E poi lo fanno tutti, a cominciare dai politici. Il riferimento al trascendente e considerato assurdo.
Quali responsabilita ha il mondo degli adulti? 
C’e bisogno di una generazione di adulti capaci di fare i genitori e gli educatori. Oggi abbiamo genitori buoni, che accudiscono e vogliono bene i propri figli, ma spesso sono genitori che hanno rinunciato ad educare, cioe a trasmettere norme, valori e idee. Sono genitori “adultescenti”, scimmiottano gli adolescenti, stanno su Facebook e giochicchiano come ragazzini, ma non sono capaci di trasmettere cio che un genitore dovrebbe dare: le modalita per affrontare la vita, il valore della relazione interpersonale e il senso della responsabilita nei confronti dell’altro. 
Gli stessi adulti sono travolti dall’ipersessualizzazione… 
L’uso della pornografia negli adulti e un problema di cui bisognerebbe parlare con piu coraggio. Il ricorso soprattutto al web (e alla prostituzione via web) e impressionante: come se molti adulti non ce la facessero a cercare relazioni affettive reali, impegnative, e quindi si rifugiano su forme brevi e facili di eccitazione. In questo senso gran parte della pubblicita potremmo denunciarla come pornografica. ma non da meno e la programmazione televisiva. La conseguenza sono adulti fragili e deboli come quelli che vediamo in giro. 






Ragazzo al New York Times: ≪Nato in provetta, vivo nell'angoscia≫


Tempi.it


≪Quando avevo cinque anni, mia madre mi rivelo che ero stato concepito con l'inseminazione artificiale≫; ≪I bambini che nascono hanno diritto di sapere chi sono i loro genitori≫; ≪Si sottovaluta l'importanza che ha per un uomo sapere da dove venga≫. Sono le frasi secche e politicamente scorrette, scritte da un “figlio della provetta” e apparse sulle colonne del New York Times dello scorso 29 giugno. L'autore sa tutto sin da piccolo. Ma non ci pensa. Quasi rimuove, racconta. Poi ha 14 anni la maestra chiede a tutti gli alunni di ricostruire il proprio albero genealogico. E' qui che per il giovane ha inizio la sensazione di angoscia che ancora oggi lo accompagna in crescendo. Il ragazzo ora diciottenne scrive infatti cosi: ≪Mia madre all'eta di quarant'anni si ritrovo sola e senza figli. Aveva avuto una buona carriera ma era pentita di non aver fatto famiglia≫. Cosi, commenta glaciale il ragazzo, ≪decise di prendersi la briga di fare un figlio con le sue sole mani≫. Un fatto questo che ≪incuriosi molti. Alcuni la presero come un trionfo della autosufficienza femminile. Altri, particolarmente i famigliari e gli amici, erano contrari: “Non puoi avere un bambino senza un uomo”, le dicevano≫. ≪Invece ci riusci≫, continua confessando quello che lafecondazione assistita semplicemente e, ≪perche si puo fare e ti e permesso anche facilmente. La parte difficile, al massimo, e lasciata al bambino che quando cresce vive nell'ignoranza di chi sia suo padre. Le coppie sterili o le donne sole sottovalutano l'importanza cha ha per un uomo sapere da dove venga. I deficit emozionali e di sviluppo che nascono da questa ignoranza sono oggi troppo trascurati≫. Non si puo comprendere, aggiunge lo studente, ≪il vuoto che molti bambini, nati tramite fecondazione assistita, sperimentano. Chi nasce ha il diritto di sapere chi siano i proprigenitori. Io sono uno di quelli e voglio sapere chi sia mio padre≫. Infine, il ragazzo descrive ilsenso di smarrimento e mancamento che lo accompagna oggi: ≪Siccome non so chi e mio padre, non potrei mai riconoscerlo neanche se lo vedessi. A volte mi sento soffocare daltormento per le infinite possibilita date dal fatto che mio padre potrebbe essere ovunque: in mezzo al traffico di punta di un venerdi sera, dietro di me al bancone della farmacia, oppure li a cambiarmi l'olio della macchina dopo settimane di scarsa manutenzione. A volte vivo una mancanza di sentimenti e parole tale che rimango semplicemente stordito pensando che lui potrebbe essere ovunque≫.






LA GUERRA DELLA CINA CONTRO LE DONNE E LE BAMBINE  Un avvocato USA contro la politica del figlio unico


Zenit.org


 “La politica cinese del figlio unico provoca piu violenza contro le donne e le bambine di ogni altra politica sulla terra, di ogni politica ufficiale nella storia mondiale”.
Queste sono le parole appassionate di Reggie Littlejohn, un avvocato statunitense, fondatrice di Women's Rights Without Frontiers, un’associazione internazionale che lotta contro l’aborto forzato e la schiavitu sessuale in Cina. Californiana, in gioventu ha lavorato accanto a Madre Teresa nei bassifondi di Calcutta. Littlejohn ha avuto i primi contatti con questa politica quando ha rappresentato dei rifugiati cinesi che chiedevano asilo politico negli Stati Uniti negli anni Novanta.
“Sono stati prima perseguitati per essere cristiani e poi forzatamente sterilizzati”, ha ricordato. “Questo mi ha aperto gli occhi a una realta che non conoscevo”.
Aborti forzati tra le donne che violano la politica sono all’ordine del giorno nel Paese e sono talvolta effettuati anche fino a nove mesi di gravidanza. Possono essere cosi violenti ? ha affermato Littlejohn ? che “le donne muoiono insieme ai loro figli in procinto di nascere”. Ma la brutalita dell’aborto forzato non e l’unica violazione dei diritti umani conseguente alla infame “politica di pianificazione familiare”. Essa porta anche al cosiddetto “genericidio”, per la tradizionale preferenza cinese per i maschi, che lascia le femmine soggette all’aborto, all’abbandono e all’infanticidio. Esso porta anche alla schiavitu sessuale poiche l’eliminazione delle femmine ha indotto un maggior traffico di donne provenienti dai Paesi vicini alla Cina, attirate da un eccesso di circa 37 milioni di maschi cinesi rispetto alle femmine. “I metodi usati sono assolutamente terrificanti”, ha affermato Littlejohn. Ricordando un incidente documentato, avvenuto nel marzo di quest’anno, ha spiegato che gli agenti della pianificazione familiare sono andati a casa di un uomo per prelevare la sorella da sottoporre a sterilizzazione forzata. “Poiche non si trovava in casa, hanno iniziato a picchiare suo padre. Quando lui ha cercato di difenderlo, uno degli agenti ha preso un lungo coltello e lo ha pugnalato due volte nel cuore ed e morto. Questo e omicidio”. Le statistiche riguardanti la politica cinese del figlio unico sono sconcertanti. Da che e stata avviata, nel 1979, le autorita si vantano di dire che sono state prevenute 400 milioni di nascite. Il Governo dice anche che sono circa 13 milioni gli aborti che vengono effettuati ogni anno. Questo ammonta a 1.458 ogni 60 minuti o ? come ha detto Littlejohn ? “a un massacro di Piazza Tienanmen ogni ora”. “Cio che e paradossale e che la Cina ha istituito la politica del figlio unico per motivi economici”, ha spiegato Littlejohn. “Volevano ridurre il numero delle coppette di riso da riempire per risparmiare, ma ora e diventata la condanna alla morte economica della Cina”.






Se il pollo vale più dell'embrione


di Giacomo Samek Lodovici
La Bussola quotidiana


Michela Brambilla, Umberto Veronesi, Dacia Maraini, Margherita Hack e Maurizio Costanzo: sono solo alcuni dei nomi altisonanti che hanno promosso il manifesto ≪La coscienza degli animali≫, che afferma che ≪Chi rispetta la Vita deve rispettarne ogni forma. Chi e crudele con gli animali lo e anche con gli esseri umani≫. E ancora: ≪Gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilita e molti di loro hanno la capacita di sviluppare sentimenti≫, cosicche ≪Il primo diritto degli animali e il diritto alla vita≫. La Brambilla e Veronesi sono inoltre vegetariani e, per l’oncologo piu famoso d’Italia, ≪Dobbiamo cominciare a trasferire i principi etici […] non far soffrire, non essere violenti e non uccidere […] anche al mondo animale≫. Uno dei piu importanti antesignani di Brambilla & co e il filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), secondo cui tra l’uomo e l’animale non sussiste una differenza qualitativa, perche ? per questo filosofo inglese ? il requisito che puo tracciare dei confini tra i viventi non e la razionalita, ma la capacita di provare dolore. Per Bentham, tra l’uomo e l’animale non c’e una distinzione qualitativa, bensi solo di grado. Cosi, dice Bentham, ≪c’e stato un giorno […] in cui la maggior parte delle specie umane, sotto il nome di schiavi, veniva trattata dalla legge esattamente come lo sono ancora oggi […] le razze inferiori degli animali≫, ma ≪puo arrivare il giorno in cui il resto degli animali del creato potra accampare quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mezzo della tirannia≫. Lo rileva gia in modo magistrale Aristotele, nel primo libro della Politica. Infatti (rimando per approfondimenti al mio articolo Uomo e animale: cosi diversi…, ≪il Timone≫, 99 [2011],), l’animale si accorge solo di alcune cose, cioe solo di quelle utili/dannose, piacevoli/dolorose, pericolose/vantaggiose e le altre cose del mondo non le percepisce; per contro, l’uomo si accorge di tutte le cose e non solo di quelle che gli possono essere utili/nocive e si interroga non solo sull’utilita/nocivita, ecc. delle cose, ma anche sulla loro natura, cioe si chiede: ≪che cos’e questa cosa?≫, perche vuole conoscerla anche a prescindere dalla sua eventuale utilita/dannosita, vuole conoscere anche la verita sulle cose, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Inoltre, come ha scritto il filosofo Paolo Pagani, una cosa e usare oppure adattare qualcosa per farne uno strumento, come fanno sia l’uomo sia gli animali; un’altra e fabbricare strumenti, come fa solo l’uomo. E vero che nel 2000 una scimmia e stata indotta, grazie ad un lungo addestramento, a scheggiare delle pietre, ma cio non costituisce una smentita della differenza qualitativa tra l’uomo e l’animale, bensi e un mero esempio di comportamento imitativo. Infine, un commento alla dichiarazione di Margherita Hack: ≪La scuola porti i bambini a vedere gli allevamenti intensivi, a sentire le urla strazianti dei vitellini o dei maialini, a verificare come un pollo cresce in gabbie in cui lo spazio per muoversi e pari a due terzi di un foglio A4≫. Ebbene, ci stiamo, ma ad un patto. Che la scuola italiana faccia anche vedere a tutti gli studenti il filmato “l’urlo silenzioso” (o qualcosa di analogo) in cui si vede, con gli ultrasuoni, un concepito d’uomo cercare di sfuggire, di divincolarsi, di scampare agli strumenti di un chirurgo che pratica un aborto e che lo ghermisce, lo dilania, e lo smembra. Ammesso e non concesso (ma non possiamo qui argomentare al riguardo) che l’embrione non sia persona, vale forse meno di un pollo?






E se la coppia scoppia? Arriva il Divorce Planner


di Raffaella Frullone
La Bussola Quotidiana


C’era una volta il Wedding Planner. Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a scriverne che e gia stato superato, sorpassato e spodestato dal suo antagonista, magari meno romantico, ma certamente piu di tendenza: il Divorce Planner, ovvero colui che si prende cura del tuo divorzio dalla A alla Z.  Come si legge sul sito www.ricomiciodaqui.it il Divorce Planner “sapra consigliarti al meglio essendo, al contrario di un amico, imparziale ed avendo solida esperienza nella gestione delle relazioni sentimentali”.  Non solo. “Ti fara risparmiare tempo, energie e denaro rendendo questo passaggio piu leggero possibile prima di ricominciare una nuova vita”. 
Alessandra Lepri, docente del corso per Divorce Planner che prendera il via a Milano a settembre spiega che i nuovi professionisti sapranno offrire: “Spunti per esorcizzare la negativita e iniziare felicemente una nuova vita”. Come per ogni novita che si rispetti, anche questa nuova professione nasce negli Stati Uniti, con l’intento di fornire supporto legale alle coppie che avevano deciso di separarsi, ma oggi diverse agenzie stanno arrivando anche nel nostro paese. Tra le piu trutturate c'e “Ciao Amore”, e gestita dalla Dott.ssa Milena Stojkovic, sociologa e mediatore familiare, che si pone come obiettivo di “farvi superare questo momento difficile senza lo spreco di energie, tempo e denaro”.  Perche ovviamente cosa preoccupa maggiormente due coniugi che si stanno separando se non lo spreco di energie? Diretta concorrente e la Kronos Consulting, che sul suo sito chiama il Divorce Planning “Il businnes del terzo millenio”, questo tanto per farci capire quanto abbiano realmente a cuore la vita delle persone.  La Kronos, in particolare, si occupa anche di formazione e offre dei corsi per formare i futuri addetti al divorzio. E va da se che debbano essere figure altamente specializzate. Ecco cosa si legge in merito nel sito dell’agenzia: “I contenuti del Corso si basano sul concetto che una separazione non e la fine, ma puo essere un inizio. L'importante e muoversi con intelligenza. Verranno fornite consulenze di carattere psicologico motivazionale, preziosi supporti di carattere legale amministrativo, consulenza d'immagine e un restyling del look per i futuri separati, per riprendersi da periodi difficili e rimettersi in gioco con fiducia nelle proprie risorse, divorzio e bon ton, le regole di Galateo che i divorziati non possono ignorare, reinserimento, network e nuova vita. Pubbliche relazioni”. Insomma nulla viene lasciato al caso, i professionisti del divorzio penseranno proprio a tutto: aiutarti a decidere chi tiene il canarino e chi invece il vaso di porcellana regalato dalla prozia, dal restyling dell’immagine (questo si sa, va bene in ogni occasione) alle immancabili regole di bon ton, quelle che ti fanno dire “Caro, scusa se mi permetto di dirti che io non sono del tutto d’accordo con il fatto che tu porti avanti delle relazioni intime con tutte e tre le tue segretarie e pensi di abbandonare me e i nostri tre figli per trasferirti in un’isola caraibica”. Il momento catartico, quello che sancisce il prima e il dopo, e il “Break up party” ovvero una super festa per dire addio alla vostra noiosa e sofferente vita matrimoniale e dare finalmente il benvenuto alla vostra nuova vita da single di ritorno. Oltre ad essere particolarmente glamour, il break up party viene ribattezzato “il giorno del no” e il Divorce Planner si impegnera non solo a prepararvi una fantastica festa su misura (pare che anche in questo caso gli amici non siano abbastanza all’altezza), ma soprattutto a stendete la vostra gift list, ovvero la lista dei regali, perche una nuova vita che si rispetti inizia sempre e rigorosamente con dei bei regali. Ora, non so voi, ma se anche solo la meta dei matrimoni cui ho partecipato, andassero a rotoli trasformandosi in altrettanti divorzi, con relativi break up party, naturalmente da moltiplicare per due, ecco, sarei certamente costretta chiedere un prestito alla banca. E se ti manca il coraggio di lasciarlo? No panic, c’e un professionista anche per questo, questa volta arriva dalla Germania. A Berlino, infatti, fa affari d’oro l’agenzia per le separazioni di Bernd Dressler che offre proposte personalizzate per l’abbandono del partner, naturalmente in base ad un tariffario. Quattro i casi contemplati. La formula “Restiamo amici” costa 29,95 euro e consiste in una comunicazione secca attraverso il telefono, con lo stesso costo potete anche comprare il pacchetto “Lasciatemi in pace” in cui la notizia dell’abbandono viene data lasciando una porta aperta. Solo 10 euro in piu per una “Rottura via lettera”, e servizio di lusso invece con il “personal break-up” a 64,95 euro. In questo caso Dressler andra personalmente a bussare alla porta di casa del povero malcapitato. Che poi sarebbe interessante capire se il malcapitato in questo caso e davvero chi viene mollato, o magari e chi decide di separarsi dal partner mandando a casa Bernd Dressler, o forse Dressler stesso.