DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Scola, CL e certi pregiudizi. e un profilo del nuovo Arcivescovo di Milano di A. Tornielli

Angelo Busetto
05-07-2011



Guardando le reazioni della stampa alla nomina del patriarca Angelo Scola a Milano viene da domandarsi quanto il marchio di Comunione e Liberazione (CL) abbia segnato la sua figura nelle paginate che i quotidiani gli hanno dedicato.


Sembrano emergere due principali chiavi di lettura. Da una parte c’è chi afferma che la sua formazione ciellina è una sorta di peccato originale: anche quando viene cancellato dal battesimo, le conseguenze restano; ciellino sei, ciellino resterai. Dall’altra parte c’è chi afferma che il patriarca Scola, soprattutto nei nove anni trascorsi a Venezia, ha dimostrato di aver ben superato la sua origine ciellina, aprendosi a un orizzonte assai più vasto di quello suggerito dalla precedente appartenenza fino a sorprendere veneziani e non veneziani. Che pensare di queste valutazioni?


Mi sia permesso affermare - anche in forza di personale esperienza - che questi giudizi espressi da alcuni giornali appaiono frutto di pregiudizio o almeno di non adeguata conoscenza della realtà. L’esperienza proposta dal movimento di CL è un cammino che introduce al reale considerato nella totalità dei suoi fattori. È esattamente il contrario di ogni forma di spiritualismo individualistico, di settarismo e di fondamentalismo. Il carisma di CL, accolto e riconosciuto dal Magistero, aiuta chi vi aderisce a percepire e a vivere la cattolicità della Chiesa. Chi si lascia educare dal movimento viene condotto ad abbracciare passato e presente e futuro, vicini e lontani, anche se poi con sano realismo dovrà fare i conti con la naturale difficoltà a vivere in piena coerenza.


"Appartenere a CL" è un modo concreto di "appartenere alla Chiesa"; non è fare una cosa a parte, staccata dal resto. Si costruisce con modalità specifiche - come sempre è accaduto nella storia - la Chiesa di tutti. Con la scelta di Scola ad arcivescovo di Milano, possiamo rilevare che un carisma - portato a maturità - ritorna nel luogo in cui è spuntato e nel quale le sue radici sono così profonde da espanderlo in tutto il mondo. Una grande diocesi si avvale, anche a livello di guida, di un dono di Grazia che lo Spirito Santo ha fatto nascere proprio in quel luogo. Come diceva Papa Giovanni Paolo II, un carisma rettamente vissuto è un bene per tutta la Chiesa, è una grazia che va a riverberarsi in tutto il mondo. Angelo Scola, che la natura ha gratificato di grandi doti personali, ha avuto la ventura di incontrare validi maestri di vita e di fede e un educatore eccezionale come don Giussani.


L’educazione ricevuta in CL ne ha raccolto ed esaltato la struttura umana già così ricca. Anche lui, come altri aderenti al movimento, avrà provato sulla propria pelle la pesantezza di giudizi mondani e schematici, ma allo stesso tempo avrà sentito riecheggiare in cuore la parola di Pietro a Gesù: “Signore, da chi andremo?”. Gli apostoli, avendo incontrato Cristo non attraverso elucubrazioni razionali ma in un’esperienza umanamente vera e bella, non hanno potuto andare da nessun’altra parte se non quella intravvista e sperimentata stando con Lui. Quanto a noi, non ci resta che pregare, domandando al Signore che il patriarca Scola prosegua il suo personale cammino di sequela a Cristo e di obbedienza al Suo successore, per il bene della Diocesi di Milano e di tutta Chiesa e per una testimonianza credibile al mondo.


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di Andrea Tornielli
Tratto da La Stampa del 29 giugno 2011
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All’inizio della storia di Angelo Scola ci sono un padre camionista che leggeva il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, e una madre devota che recitava il rosario ogni sera nella penombra della cucina. «Devo essere grato all’Unità. Probabilmente a undici anni sarei finito anch’io, come tutti i miei compagni delle elementari, a lavorare, se mio padre non mi avesse insegnato che studiare era, molto, molto importante. Permettendomi così di iscrivermi al liceo classico…».
Il nuovo arcivescovo di Milano apprende assimila la fede insieme al latte materno: «per noi credere è come respirare, non occorrono tanti ragionamenti»; ma è grazie al padre socialista che apprende l’importanza dello studio e della cultura.
Nato a Malgrate, vicino a Lecco, 69 anni fa, cresce affacciato a quel ramo manzoniano del lago di Como: «Noi lacustri – racconterà in un’intervista – siamo tentati di essere almeno un poco crepuscolari, se non romantici».
Tra i 14 e i 18 anni, al liceo, accade qualcosa. «Ero preso dall’interesse per la politica… Avevo simpatia per i partiti marxisti perché mio papà era impegnato nel partito socialista di Nenni, quando era massimalista… Era come se Dio non ci fosse, se Dio non contasse più, come se avessi seppellito le domande più importanti della vita. Non ricordo di aver mai saltato la messa, però era come se questa cosa non contasse più niente».
Qualche anno prima, Scola aveva già avvertito anche un barlume di vocazione, quando tornando a casa disse alla madre che voleva farsi prete e seguire un missionario in Africa. Da vescovo e cardinale, Scola manterrà una particolare attenzione per i temi sociali, come attestano la vicinanza e le molteplici visite agli operai cassintegrati della Vinyls di Marghera, o l’attenzione dedicata ai malati, ai sofferenti e ai poveri.
Nel 1958, l’incontro con don Luigi Giussani, che tiene per i liceali di Lecco una tre giorni pasquale intitolata «Gioventù come tensione». «Era la prima volta che sentivo parlare del cristianesimo in maniera diversa. Emergeva il nesso tra Gesù Cristo e la mia vita di tutti i giorni», avrebbe ricordato il neo-arcivescovo di Milano.
Scola diventa un militante di Gs. Tra i suoi amici c’è anche a un liceale più giovane di lui di qualche anno, Roberto Formigoni. «L’ho conosciuto quando era un ragazzo di 14 anni e faceva scherma. Lo invitai io ad aderire a Gioventù Studentesca di Lecco. Adesso ci incrociamo al massimo a Natale».
Scola studia filosofia alla Cattolica di Milano e quindi Teologia a Friburgo. Entra nel seminario ambrosiano, ma ne esce presto e si trasferisce a Teramo, dove viene ordinato prete nel 1970. Un anno dopo, durante la Quaresima, in un ristorante sulle rive del Danubio, avviene l’incontro con il professor Joseph Ratzinger, che insieme ad altri illustri teologi sta per dar vita alla rivista Communio. Don Angelo sarà tra i curatori dell’edizione italiana.
Negli anni Ottanta, quando Ratzinger è diventato il cardinale custode dell’ortodossia cattolica, Scola è tra i consultori del dicastero, mentre insegna Antropologia teologica all’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia.
Papa Wojtyla lo nomina vescovo a Grosseto nel 1991, quindi quattro anni dopo lo richiama a Roma per farlo rettore dell’università Lateranense e nel 2002 lo invia nuovamente in missione pastorale, affidandogli la sede patriarcale di Venezia.
Qui, oltre che pastore e intellettuale, il cardinale dimostra di essere anche un grande organizzatore. Sceglie collaboratori anche molto diversi da lui e distanti dalle sue posizioni. Istituisce il polo universitario Marcianum e la rivista Oasis per il dialogo con il mondo islamico.
Da Venezia, sei anni fa, lancia l’idea del «meticciato di civiltà»: «Come cristiani vogliamo restare ancorati alla realtà… Il vero terreno di confronto non è tra cristianesimo e islam, ma tra uomini e condividono la stessa esperienza elementare».
Scrive diversi libri e soltanto una lettera pastorale, privilegia il contatto personale, dedica una mattina, quella del mercoledì, a ricevere chiunque voglia parlargli, anche senza appuntamento.
Visita tutte le parrocchie, compresa la chiesa di San Simeon piccolo, concessa in uso ai tradizionalisti che celebrano ogni domenica la messa preconciliare. Predilige l’incontro con gli ammalati, i bambini, gli emarginati. Insiste particolarmente sull’educazione: «Forse non c’è mai stata un’epoca in cui si sia parlato così tanto di valori come quella attuale. Ma il punto è che non si educa ai valori parlando di valori, ma facendone fare esperienza».
Il libro preferito del nuovo arcivescovo di Milano è «L’uomo senza qualità», di Musil. «Lo riprendo in mano spesso», confida. Il brano musicale che ama di più è il Concerto 27 per pianoforte di Mozart. «L’unica cosa che seguo in Tv è il Tg. E poi quando ci riesco, le partite del Milan», aveva detto qualche tempo fa. Una confessione che forse oggi non avrebbe ripetuto, per non urtare i suoi nuovi fedeli di fede nerazzurra…