DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Singapore non è più un’isola felice





Già scontenti per il costo della
vita alle stelle e gli stipendi
invariati, gli abitanti della città stato
scendono in piazza contro
un piano per importare
manodopera a basso costo

Kirsten Han, The Diplomat, Australia  (Da Internazionale)


Edwina Lin ha 24 anni, è sposata e
ha un iglio di due anni. Una condizione
sempre più rara a Singapore,
città-stato ricca ma con un
tasso di natalità bassissimo. Al momento
Lin, una promotrice inanziaria, e la sua famiglia
vivono insieme ai genitori e al cognato
di lei: cinque adulti e un bambino in quattro
stanze, uno dei tanti alloggi popolari
forniti dal governo di Singapore. Lin e suo
marito, impiegato in un’agenzia di viaggi, si
sono impegnati a comprare un appartamento
di cinque stanze in un nuovo complesso
residenziale, che però sarà pronto
solo nel 2016. Fino ad allora, non c’è scelta:
bisogna lavorare, guadagnare quanto più
possibile e mettere da parte i soldi per pagare
la casa. Molte famiglie di Singapore vivono
la stessa situazione di Lin. Negli ultimi
anni i prezzi delle case sono saliti alle stelle

e i cittadini non sentono ancora gli efetti
delle misure di contenimento dei prezzi e
della speculazione promosse dal governo.
Un boccone amaro, visto che gli stipendi
non crescono e il divario tra ricchi e poveri
aumenta, nonostante la crescita economica
del paese continui ininterrotta.Spesso Singapore
è considerata un esempio di successo,
invidiato in tutto il mondo. Ma dietro la
sua facciata scintillante, la realtà è molto
più complessa: il paese sta lasciando lentamente
spazio a un governo patriarcale e a
un sistema restrittivo.
Poco dopo aver perso le recenti elezioni
suppletive, il Partito d’azione popolare al
governo (Pap) ha pubblicato un libro bianco
con i piani per sostenere la crescita economica
e afrontare il problema di una popolazione
che invecchia velocemente. Ma una
cosa, più di tutte, ha colpito la popolazione:
nei piani del governo Singapore nel 2030
sarà popolata da 6,9 milioni di persone. Una
prospettiva poco rassicurante, soprattutto
se si tiene conto delle tensioni che esistono
già oggi, con 5,3 milioni di persone ammassate
su un’isola di 714,3 chilometri quadrati.
Alluvioni e disagi ferroviari sono solo alcuni
dei problemi che da un po’ preoccupano i
singaporiani, abituati a vivere in un paese
eiciente. Nonostante le proteste dei cittadini,
le critiche degli economisti e cinque
giorni di dibattito in parlamento, il Pap è riuscito
a far approvare il documento. In passato,
di fronte a un provvedimento del genere,
i singaporiani si sarebbero limitati a
lamentarsi in privato. oggi non è più così.
Per molti il piano è stato la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. Allo hong Lim park,
l’unico luogo dove i cittadini possono protestare
senza autorizzazione, hanno manifestato
circa tremila persone. La protesta ha
suscitato polemiche per il carattere razzista
e xenofobo di alcuni slogan, che ha spinto
alcuni manifestanti a ritirarsi. “Vedere la
manifestazione ridotta alle polemiche
sull’immigrazione dovrebbe preoccupare,
specialmente quando c’è chi ricorre alla retorica
dell’estrema destra europea”, dice un
insegnante che ha deciso di boicottarla. “Le
preoccupazioni dovrebbero focalizzarsi invece
su temi come le oppressive leggi sul
lavoro, lo sfruttamento dello spazio pubblico,
la militarizzazione e le politiche ambientali.
Inoltre, i cittadini dovrebbe riconoscere
la loro responsabilità nei confronti
degli immigrati, costruendo una società più
giusta per tutti”.
Voglia di democrazia
È chiaro che i singaporiani sono arrabbiati.
Ma sarebbe semplicistico ridurre la loro
rabbia a una sola causa. L’ondata di dissenso
è stata provocata da vari fattori: dalla
preoccupazione per l’inlazione e l’aumento
dei prezzi alla mancanza di una vera democrazia.
tra l’altro, i singaporiani non sono
i soli a farne le spese. “Il problema del
piano del governo è che annuncia un aumento
di manodopera straniera a basso
costo senza fornire indicazioni su come assicurare
diritti e welfare ai lavoratori immigrati”,
spiega l’attivista per i diritti dei migranti
Jolovan Wham. “ci saranno alloggi
decenti a suicienza? o iniranno a vivere
nelle baracche, come capita già a molti, o in
alloggi superafollati per mancanza di posti
letto? I nostri servizi sociali sapranno fornirgli
un sostegno adeguato?”. Dove porterà
questo nuovo attivismo? La speranza è
che i cittadini sappiano che il cambiamento
deve arrivare non solo dal governo ma anche
dai singaporiani, condizionati da anni
di retorica e “valori tradizionali” imposti
dall’alto. Per fortuna molti non cedono su
questo punto. “Sono preoccupata ma non
fuggo le diicoltà”, dice Lin. “È il mio paese
e mi assumo le mie responsabilità”.