DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Come la Croce ha dissolto la schiavitù


di Francesco Agnoli

Nell’antica Roma la schiavitù non è
vista come un istituto di diritto naturale,
ma di diritto positivo. L’uomo
cioè non è schiavo per natura, ma lo può
diventare. E poiché non nasce schiavo, a
differenza che in Grecia, può essere liberato
ed ottenere la cittadinanza, e addirittura
accedere alle magistrature… Ciò non toglie
il fatto che gli «schiavi erano tra le persona e
alieno iure subiectae [persone soggette
a diritto altrui], e questo, come ricorda Gaio
(Dig. I, 6, 1, 1), non solo presso i romani, ma
“apud omnes peraeque gentes” [allo stesso
modo presso tutti i popoli], comportava che
i padroni avessero diritto di vita e di morte
sugli schiavi”. Diritto, vale la pena di ripeterlo,
di vita o di morte, “presso tutte le genti”
antiche.
Lo storico pagano Tacito ci racconta che
quando uno schiavo assassina il padrone,
tutti gli schiavi vengono uccisi. Un padrone
ucciso può significare 300 o 400 persone
massacrate. Perché? Per scongiurare le rivolte,
così probabili in una civiltà in cui gli
schiavi costituiscono un’altissima percentuale
della popolazione. Accanto alla possibilità
dell’emancipazione lo schiavo romano
corre però anche il pericolo di pene
draconiane: l’ergastulum, l’essere legato
con catene alla ruota del mulino, la fustigazione
sino al sangue, l’ustione mediante
lamine di metalli incandescenti, la mutilazione,
la frattura violenta degli stinchi (crurifragium),
il marchio a fuoco sulla fronte, la
crocifissione (previa tortura), la condanna
ad bestias (cioè alle bestie feroci del circo),
ad essere arso vivo con indosso una tunica
cosparsa di pece, ad metalla (cioè ai lavori
forzati nelle miniere)…
Migliaia e migliaia di prigionieri ridotti in
schiavitù vengono decapitati, strangolati
o sacrificati, in cerimonie in onore dei generali
vincitori di una guerra, attraverso riti
sanguinari in cui il potere celebra se stesso,
mentre in occasione di ribellioni di schiavi,
come quella di Spartaco, seimila di loro,
catturati, sono crocifissi a monito per gli altri
loro “colleghi” lungo la strada da Capua
a Roma…
Questa è la situazione dunque dell’Impero
romano, allorché il cristianesimo comincia a
diffondersi. Dobbiamo dunque immaginare
che per tutti, o quasi, la schiavitù sia un dato
di fatto, una ovvietà con cui convivere.
Eppure, il messaggio cristiano, avrebbe a
poco a poco contribuito enormemente a
ribaltare questa terribile realtà, riuscendo,
nel corso di alcuni secoli a cambiare drasticamente
le cose, a modificare una mentalità
presente da sempre…
Scrive san Paolo: «Tutti siamo stati battezzati
in uno spirito; per formare un medesimo
corpo, Giudei o Gentili, schiavi o liberi»
(1Cor 12,13); «Tutti voi infatti siete figli di
Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti
di Cristo. Non c’è più Giudeo né Greco;
non c’è più schiavo né libero; non c’è più
uomo né donna, poiché tutti voi siete uno
in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28); «Qui non c’è
più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione,
barbaro o Scita, schiavo o libero,
ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11).
Non è difficile capire che queste idee sono
la vera base di un cambiamento di mentalità
epocale, che però ha bisogno, come ogni
mutamento che voglia essere duraturo e
fondato, dei suoi tempi… È noto che papa
Callisto I portava le stimmate di schiavo
fuggitivo; molti schiavi e schiave convertirono
alla fede i loro padroni e contribuirono
alla propagazione del Vangelo; molti incontrarono
il martirio (per esempio le sante
Felicita e Blandina, Potamiena..., i santi Teodulo,
Agricola e Vitale, Proto e Giacinto).
Ma la Chiesa cercò anche di risolvere gradualmente
sul piano civile e politico il
problema della schiavitù. Così si adoperò
in tutti i tempi per emancipare coloro che
per diritto di guerra o per altri motivi erano
divenuti schiavi, alienando e vendendo
per tale scopo anche i vasi e le suppellettili
sacre, adoperandosi come poteva perché i
padroni lo facessero spontaneamente. Non
meno efficace fu l’influsso della morale e
della spiritualità cristiane sulle cause prossime
della schiavitù condannando la cupidigia
dei piaceri e delle ricchezze, nobilitando
gli affetti familiari per impedire l’esposizione
dei bambini e soprattutto nobilitando il
lavoro con l’esempio di Gesù Cristo e degli
apostoli…
Se stiamo ai primi secoli dunque notiamo
anzitutto due fatti.
Il primo: il pagano Celso, attaccando i cristiani,
dice che costoro convertono solo
“donnette”, “ragazzini”, e “schiavi”. Ciò significa
che per il pagano Celso e per il suo
pubblico, queste tre categorie di persone
sono evidentemente inferiori; cosa che non
è affatto per cristiani che invece, se ne deduce,
li convertono, e quindi parlano con
loro, da pari a pari, partecipano agli stessi
riti, frequentano le stesse mense.
Il secondo fatto è la decisione di Costantino,
una volta convertito, di vietare il marchio a
fuoco, e poi scoraggiare due pene tipiche
per gli schiavi: la crocifissione e i giochi del
circo.
Inoltre Costantino, sempre in ossequio alle
nuove idee evangeliche, comincia ad ostacolare,
tramite leggi contro l’infanticidio e
l’abbandono ed aiuti fiscali alle famiglie bisognose,
nel 315 e nel 318, l’antica usanza
dei padri romani di esporre i propri figli o
di venderli, trasformandoli così, sovente, in
schiavi. Infatti i figli abbandonati, quando
non erano lasciati morire, scrive P. Veyne,
«erano la fonte ordinaria della schiavitù».
Aggiungono J. Andreau e R. Descat: «In
definitiva secondo noi all’interno dell’impero
l’esposizione dei neonati costituiva in
questa epoca la fonte più importante della
schiavitù... la pratica dell’esposizione contribuisce
a confermare la presenza di numerose
ragazze e donne tra gli schiavi perché,
a quanto sembra, si esponevano maggiormente
le bambine». Però «la diffusione del
cristianesimo ha certamente causato una
forte diminuzione delle esposizioni di bambini.
I cristiani si mostravano risolutamente
contrari all’esposizione dei neonati: Lattanzio
la condanna in modo vigoroso (Istituzioni
divine 6,20,18-25)…”.
Vi sono Concili che vietano la mutilazione
degli schiavi, altri che si incaricano di assicurare
la libertà dei manomessi e dei liberti,
altri in cui si proclama la libertà degli schiavi
divenuti monaci o preti, altri in cui si impone
a chi diventa monaco, di emancipare i
suoi schiavi, altri in cui si vieta di requisire
agli schiavi i loro risparmi, altri in cui si condanna
l’uso di usare le schiave come concubine
(condanna questa già presente nel
divieto ai rapporti con donne che non siano
la moglie)…
Il Concilio di Elvira del 305, prescrive una
penitenza per il padrone o la padrona che
abbiano battuto la propria schiava provocandole
un danno: i cristiani non solo non
possono gettare alle murene i loro servi, e
neppure rompergli gli stinchi o bruciarli, ma
neppure possono maltrattarli! Il concilio di
Orleans del 549 ed altri concili stabiliscono
che se uno schiavo si rifugia in chiesa
il padrone lo riavrà solo se giurerà di non
fargli del male; alla schiavo la chiesa offre
un diritto d’asilo, che varia a seconda delle
circostanze. Al Concilio Aghatense del 506
e in quello Matisconense del 585, e in svariati
altri concili, si dispongono la vendita di
vasi sacri e di beni della Chiesa per la redenzione
e il riscatto di alcuni schiavi… Nel
concilio Lugdunense del 566 si scomunicano
coloro che attentano alla libertà delle
persone…
La Chiesa, dunque, «non ha sconvolto ogni
cosa…ma ha attenuato alcuni degli aspetti
più negativi della schiavitù, ha combattuto
gli abusi più palesi. Si è interessata particolarmente
al riscatto dei prigionieri e si è opposta
alla riduzione in schiavitù, con l’inganno
o con la forza, di uomini e donne liberi».
Per comprendere
cosa avvenga
poi nella realtà
di quegli anni riporto
alcuni fatti
che possono essere
considerati
paradigmatici.
Il primo riguarda
due coniugi
romani ricchissimi
vissuti nel
V secolo: santa
Melania, “l’ereditiera
più ricca
del mondo romano”,
andata in
sposa a quattordici
anni a tale
Piniano, anch’egli
erede di una
grossa fortuna.
Costoro hanno
proprietà sparse
in tutto l’impero,
in Britannia, in
Gallia, in Italia e
nel Nord Africa. Convertiti al cristianesimo
vendono prima tutti i beni immobili, devolvendo
il ricavato ai poveri, ad opere di
beneficenza e ad istituzioni religiose. Il loro
palazzo sul Celio, ricorda Adalbert G. Hamman,
è «di una tale sontuosità che nessuno
poteva permettersi di comperarlo, neppure
l’imperatrice. Si incaricarono i barbari di
saccheggiarlo e distruggerlo». Melania e
Piniano hanno ben ottomila schiavi, un’intera
cittadina! Prima di partire pellegrini per
Gerusalemme li emancipano tutti, provvedendo
in parte anche ai loro bisogni futuri!
Il secondo fatto riguarda sant’Agostino. Nella
sua Africa solo parzialmente cristianizzata
la schiavitù è ancora in vigore: vi sono
padri che vendono un figlio per far fronte
ai loro debiti; le tribù della Mauritania subiscono
razzie e forniscono schiavi particolarmente
difficili da domare. Non mancano
rivolte e tentativi di fuga. Lascio la parola
ad Adalbert Hamman: «Rivolte e fughe sono
punite con castighi corporali e scontate con
la prigione a vita. Agostino, durante un sermone,
enumera alcuni di questi trattamenti
disumani; botte, ferri ai piedi, prigione. Uno
schiavo è stritolato mentre gira la mola, e
grida verso la mano che lo colpisce: “Pietà,
pietà”. Sono stati ritrovati collari da schiavi
con l’iscrizione: “prendimi, sono scappato”…
La donna schiava naturalmente per
il padrone è una tentazione alla quale egli
cede facilmente. Altri padroni, autentici ruffiani,
avviano la schiava alla prostituzione. È
stato ritrovato lo scheletro di una donna di
una quarantina d’anni con al collo un collare
di piombo sul quale è inciso il nome e la
professione: “Adultera, meretrix. Tene quia
fugivi de Bulla Regia” [Adultera e prostituta.
Prendimi, sono scappata da Bulla Regia].
Agostino di fronte a questi fatti, agli uomini
venduti e comperati come cose, invita i padroni
a trattare gli schiavi come dei figli, pur
non imponendo direttamente ai cristiani di
affrancare del tutto gli schiavi (che in verità,
visto il nuovo trattamento avuto nelle
case dei credenti, non possono più essere
definiti tali). Nel suo De Civitate Dei, nel libro
19 (par. 14-15), dopo aver ricordato a
chi comanda i suoi obblighi verso i sottoposti;
dopo aver sostenuto che i giusti non comandano
né per capriccio né per superbia;
che i padroni devono comportarsi coi servi
come i genitori fanno coi propri figli, perché
coloro che guidano, in verità, «sono a servizio
di coloro ai quali apparentemente comandano
», afferma: «Lo prescrive l’ordine
naturale perché in questa forma Dio ha creato
l’uomo. Infatti Egli disse: “Sia il padrone
dei pesci del mare e degli uccelli del cielo
e di tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Volle che l’essere ragionevole, creato a Sua
immagine, fosse il padrone soltanto degli
esseri irragionevoli, non l’uomo dell’uomo,
ma l’uomo del bestiame».
E poco più avanti aggiunge che nella Bibbia si
usa il termine “schiavo” per colui che è vittima
del peccato: se dunque vi sono nel mondo
degli schiavi, conclude, ciò avviene per la
“colpa” originaria, cioè la cattiveria dell’uomo,
“non per la natura”, cioè non perché,
come volevano ad esempio i greci, vi siano veramente
uomini inferiori, schiavi per nascita.
In una sua lettera Agostino testimonia di
una ragazza rapita ai suoi genitori, fatta
schiava e riscattata dalla Chiesa, mentre
in un altro sermone ci tramanda il cerimoniale
di affrancamento, reso più facile dal
solito Costantino: «Tu vuoi affrancare il tuo
schiavo. Conducilo per mano in chiesa. Si fa
silenzio. Viene letto il tuo atto di affrancamento
oppure tu esprimi la tua intenzione
in altro modo. Tu affermi di dare la libertà
perché si è dimostrato fedele in tutto nei
tuoi confronti. Egli poi straccia l’atto d’acquisto

».

La Croce 7 febbraio 2015