DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il cibo del futuro

PER dire: tartine di salmone,
una fiorentina
innaffiata con il
Chianti, una coppa di
ciliege e una profumata
tazzina di caffè. Oppure: spaghetti
con le vongole, aragosta,
una bottiglia di Verdicchio, gelato
alla pesca e l’inevitabile caffè.
Se il vostro medico, a sentire
questi menù, salta sulla sedia e
comincia a scrivere ricette da
portare al più presto in farmacia,
tranquillizzatelo. Ancora poco e
tutti questi piatti saranno voli di
fantasia, gustati soltanto nel ricordo
o poco più. Mica soltanto lo
champagne e altre sofisticate
sciccherie, peraltro, sono destinati
a svanire. Anche cibi più plebei,
come il baccalà. Anzi, l’olio
con cui condire l’insalata che
manca già adesso. L’effetto serra
si prepara a colpirci dove siamo
più deboli: nello stomaco. Per i futurologi
è festa grande. Già prevedono,
nel 2050, una simpatica
cenetta con antipasto di scarabei
fritti, labburger (ovvero carne
sintetica prodotta in laboratorio)
con patate e tiramisù realizzato
in casa con la stampante 3D,
il tutto rallegrato da un rosatello
frizzante Lapponia doc, eventualmente
allungato con acqua
ricavata strizzando il sudore dalla
canottiera. Forse. La verità, nonostante
i futurologi, è che non
sappiamo cosa mangeremo. Ma
cosa non mangeremo sì. E, dunque,
niente più bistecche, cozze,
prugne? Non esageriamo. Salvo
catastrofi, questi cibi, riscaldamento
globale o no, ci saranno
ancora. Ma saranno rari, talvolta
introvabili e, di conseguenza,
molto costosi. Prepariamoci a
mangiare molte patate e a cercare
i fagioli nei delikatessen.
Nessuno nega l’impatto del clima
sull’agricoltura. Con il riscaldamento
globale, le regioni più
meridionali diventeranno sempre
più aride e le colture si sposteranno
verso le aree più fresche
del nord. Tuttavia, l’idea
che questo sia, a livello globale,
un gioco a somma zero, in cui
quel che non si coltiva più in Emilia
viene prodotto in Sassonia con
l’aiuto fertilizzante del maggior
tasso di anidride carbonica nell’atmosfera,
non sta in piedi. «Se
tu fai crescere una pianta in un
bottiglione in laboratorio e aumenti
la Co2 all’interno, la pianta
cresce meglio, perchè l’anidride
carbonica alimenta la fotosintesi
», osserva Gerald Nelson, che
ha curato un rapporto su agricoltura
e riscaldamento globale per
l’International Food Policy Research
Institute di Washington.
«Ma avremo gli stessi risultati all’aperto,
sui campi? Quello che ci
dicono gli esperimenti sui campi
fa pensare che, forse, non è così».
La Co2 fa crescere più in fretta la
pianta, ma i semi hanno meno
tempo per maturare e la resa
scende. A quanto pare, inoltre,
l’anidride carbonica fa bene più
alle erbacce che alle colture. Infine,
l’anidride carbonica non è
tutto: a nord le piante non rischiano
la siccità del sud, ma le alluvioni
sì. E i terreni settentrionali
sono meno fertili. In conclusione,
gli scienziati Onu, nell’ultimo
rapporto Ipcc sul clima,
semplificano così: se la temperatura
aumenta più di 3 gradi, i raccolti
scendono. Poiché nessuno
crede più che il mondo riuscirà a
contenere il riscaldamento alla
media di due gradi caldeggiata
dagli scienziati, la previsione è
realistica. Più nello specifico, secondo
il rapporto Ipcc, fino al
2030, vantaggi e svantaggi, più o
meno si equivalgono. Ma, andando
verso il 2050, i danni diventano
più del doppio dei benefici.
L’impatto sulla nostra tavola è
pesante: e la lista di quelli che potrebbero
diventare “i cibi del
tempo che fu” si allunga. Chiamiamoli
“i buchi neri del menu”.
Ecco alcuni esempi...

SPAGHETTI

Secondo gli scienziati Onu,
nelle regioni mediterranee come
l’Italia, il calo dei raccolti di frumento
potrebbe superare il 20
per cento: per pane e pasta dovremo
ricorrere sempre di più alle
importazioni, con costi crescenti.

BISTECCHE E LATTE

Per ogni grado in più di temperatura,
il raccolto di mais scende
del 7%. Già abbiamo registrato
un calo della produzione mondiale
del 4%. Il problema, però,
non è la pannocchia di granturco,
ma che il mais viene usato nella
preparazione dei mangimi. È
questo che mangiano le vacche
negli allevamenti industriali:
meno granturco significa meno
carne e prezzi più alti. Ma l’aumento
delle temperatura incide
anche sulla produttività delle
mucche: latte e formaggi saranno
più cari. Chi non vuole rinunciare
alla bistecca tenga conto
anche che, in Italia, secondo l’Onu,
il rischio di mortalità per le
mucche, a causa di caldo e umidità
durante il periodo in cui producono
latte, salirà del 60%.

OSTRICHE E GAMBERETTI

In mare, l’anidride carbonica
si scioglie, rendendo acida l’acqua.
L’acidificazione degli oceani
colpisce la formazione dei coralli,
uno degli habitat preferiti
dalla fauna marina. Ma compromette
anche intere specie, rendendo
più fragile e precaria la formazione
di gusci, conchiglie ed
esoscheletri. C’è già un problema
con gli umili gamberetti, ma anche
le nobili aragoste tendono a
sparire dalle acque conosciute.

SALMONI E MERLUZZI

Gli scienziati Onu calcolano
che i diversi impatti dell’effetto
serra vadano a colpire quel 10-15
per cento di oceani che ospitano
la maggior quantità di pesci.
L’aumento delle temperature
sconvolgerà gli ecosistemi, spingendo
i pesci a migrare in acque
inesplorate, con effetti sconosciuti.
Ma alcuni di questi effetti
sono già registrabili e prevedibili:
le acque più calde rischiano,
per esempio, di far saltare i cicli
riproduttivi dei salmoni. Lo stanno
già facendo per i merluzzi dei
grandi banchi a ridosso dell’Artico,
che mal tollerano temperature
dell’acqua superiori ai 12 gradi.
Quel che è peggio è che i merluzzi,
se sul fondo la temperatura
non resta sotto gli 8 gradi, trovano
difficile riprodursi.

FAGIOLI

Contrariamente alla loro immagine
popolare, i fagioli sono
piante sensibili. Il caldo, soprattutto
di notte, può colpirne la produttività,
fino a ridurre il raccolto

del 25 per cento.

CILIEGE

Come pesche, prugne e, in generale,
i frutti con nocciolo, le ciliege
hanno necessità particolari
in materia di clima. Hanno bisogno
di una buona dose di freddo
perche l’impollinazione funzioni:
troppe notti invernali miti rischiano
di ritardare la fioritura e
ridurre il numero di frutti prodotti.

MOSCHE E ZANZARE

Le zanzare che infestavano casa
lo scorso dicembre dovrebbero
essere già un segnale. Qualche sana
gelata serve non solo a garantire
il raccolto di ciliege, ma, soprattutto,
a fare piazza pulita di
insetti, batteri, funghi e altre pesti
assortite che attaccano tutto
lo spettro della produzione agricola.
Almeno, a primavera, dovranno
ricominciare da zero. Senza
un po’ di freddo letale, invece,
le popolazioni nocive rischiano di
moltiplicarsi in modo esplosivo. Il
clima è il grande regolatore di
questi cicli. Se sballa, può succedere
come quest’anno con la mosca
olearia che, di fatto, ha azzerato
o quasi la produzione italiana
di olio extravergine.

CIOCCOLATO E CAFFÈ

Anche se cresce in posti caldi
come Ghana e Costa d’Avorio, il
cacao non regge qualsiasi temperatura.
Con anche solo due gradi
in più sul Golfo di Guinea l’equilibrio
degli alberi di cacao sarà
compromesso. Il caldo aumenterà
la traspirazione e la conseguente
perdita di umidità farà calare
il raccolto. Oltre alla barretta
di cioccolato, anche la tazzina di
espresso è in pericolo. Il caffè ama
il fresco dell’ombra degli alberi e
troppo caldo non aiuta. Inoltre,
favorisce la “ruggine del caffè” e
altri funghi. America latina e Africa
rischiano di perdere il grosso
delle loro piantagioni, secondo
qualche pessimista anche tutte.
Addio “arabica”. Resta la variante
asiatica, la “robusta”.

VINO

Gli storici ricordano con sussiego
che, nel Trecento, prima
della “piccola era glaciale” che interessò
l’Europa fino a metà Ottocento,
l’Inghilterra produceva
un buon vino. È tornata a farlo: si
segnalano ottimi spumanti. Ma
lo slittamento a nord è disastroso
per Australia e California, che potrebbero
perdere i tre quarti della
terra adatta alle vigne. E con il
vino, il problema è anche la produzione
che resta: non basta
piantare i vitigni da cui si ricava il
Chianti 500 chilometri più a Nord
per avere un Greve o un Castellina.
Altitudine, vento, esposizione
al sole e, soprattutto, composizione
geologica del terreno sono
elementi determinanti per il bouquet
di un vino. Non si è doc per
nulla. Lo spumante del Northumberland
sarà ottimo, ma dire addio
allo Champagne (300 chilometri
più a sud) sarà dura. Meglio
brindare finchè si è in tempo.