DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Perché servono sempre un padre e una madre



di Giovanni Bonini
Nei giorni scorsi mi è capitato fra le
mani questo scritto pubblicato su
una rivista pediatrica nel 2009, del
mai dimenticato prof Franco Panizon uno
dei padri della pediatria moderna, che descriveva
i primi atti di vita di un bambino.
«Ecco, il neonato si è staccato dal seno.
Ha fatto la sua prima poppata, neanche
mezz’ora dopo esser nato, trascinandosi
come un piccolo verme verso l’odore e
il sapore del capezzolo materno. Ha riconosciuto
la sua mamma, dalla voce,
ma anche, certamente, da qualcosa d’altro;
dal ritmo e dai toni del cuore, dalle
caratteristiche speciali di quel ritmo e
di quei toni; tac-to-toc, inconfondibili
giacché li ha ascoltati, sempre quelli,
sempre gli stessi, più forte e più piano,
ma sempre quelli, per nove mesi; forse
l’ha riconosciuta anche dal gusto del colostro
che magari ricorda vagamente il
gusto del liquido amniotico che ha bevuto
per tanto tempo; e gli è sembrato
di riconoscere anche la voce del padre,
che veniva da qualche parte lì vicino (il
70% dei neonati riconosce anche il padre
dalla voce, già alla nascita). Certo,
non sa neanche cosa siano il padre e la
madre; non sa che sono persone; non
sa neanche cosa voglia dire essere una
persona; per ora sono solo due voci, un
odore, un tac-to-toc, sempre lo stesso, il
calore accogliente della pelle, una vaga
sensazione di umido, una luce che prima
non c’era... Confronta insieme quello
che sente, quello che vede e quello che
tocca, e si fa un’immagine del mondo; ne
disegna la mappa; e mette la mappa del
mondo dentro di sé, e in quella mappa
sistema se stesso e tutte le cose, buone
e cattive, che incontra, ordinandole
in una specie di scatola che chiameremo
la scatola dello spazio/tempo… Questo è
l’inizio della conoscenza del mondo, l’inizio
della storia di un uomo».
Franco Panizon
Come dice lui l’inizio della storia di un
uomo, l’inizio di un rapporto fra un neonato
e la sua famiglia, sua madre, suo padre.
Tutto questo può sembrare ovvio, forse
inutile da ricordare, per chi di figli ne ha
ed ha vissuto più volte questa esperienza;
oggi invece sembra che non sia più così,
che i figli si possano fare in più modi, che
le famiglie possano essere di più tipi, e che
130 anni di studi mai contraddetti di pedagogia,
di psicologia dell’età evolutiva,
di neuropsichiatria infantile e di pediatria,
sul ruolo del padre e su quello della madre,
oggi abbiano perso il loro valore, facendo
intendere che anche due uomini o due
donne, sono in grado di allevare efficacemente
un bambino, o che possiamo creare
in laboratorio fin dalla nascita, figli già orfani
di padre o di madre.
Quanto di seguito scrivo non sono mie
supposizioni o deduzioni (sono un semplice
pediatra di famiglia, appassionato del
suo lavoro, ed innamorato da trentacinque
anni del “materiale umano” con cui vengo
quotidianamente in contatto), ma frutto di
studi di psicologi e neuropsichiatri dell’infanzia:
Margaret Mahler, Abraham Maslow,
John Bowlby, Claudio Risè, Melania Klein,
Merleau Ponty ed altri amici da cui ho preso
spunto (Dott. Daniele Mugnaini, Dott.
Roberto Marchesini, Prof Massimo Gandolfini).
Partiamo dall’inizio della vita, subito dopo
il concepimento, inizia l’attaccamento
madre-feto, che è stimolato e favorito dai
buoni rapporti interpersonali che la mamma
in attesa ha con il padre del bambino,
con la famiglia di origine, con la propria
madre.
Questo rapporto fra mamma e bambino
durante
i 9 mesi
di gestazione,
avrà
delle
importanti
ripercussioni
a n c h e
sull’attaccamento
che avviene
dopo la
nascita,

ed avrà
ripercussioni sullo sviluppo psicologico e
affettivo per tutta l’età evolutiva, ma anche
oltre.
Scrive la psicologa Silvia Vegetti Finzi: «La
donna tende ad immaginare il bambino
ancora come parte di se stessa, all’interno
del suo corpo e della sua mente. Lo nutre
di fantasie mutevoli, in gran parte inconsce,
che si riallacciano alla sua stessa infanzia
e ai suoi sogni di bambina, quando
fantasticava un figlio per sé giocando alle
bambole […] E se lo immagina già nato, un
bambino ancora molto piccolo, da tenere
racchiuso fra le braccia, da nutrire, coprire,
riscaldare, coccolare. Mentre l’uomo
immagina di solito un bambino reale, già
nato e magari un po’ cresciuto, un trottolino
con le scarpine ai piedi, pronto a seguirlo
nelle sue attività. Pensa di giocare
con lui, di tenerlo vicino mentre si dedica
al bricolage […]. Oppure di portarlo con sé
allo stadio, in montagna, in barca, a pescare
lungo un fiume […]. Prima ancora che
nasca, proietta già il figlio in una realtà
futura, dai contorni precisi, come i comportamenti
e le azioni che lo legheranno
al bambino. È quindi un modo già molto
attivo, concreto di immaginare il figlio e la
relazione con lui, basato sul fare insieme»
(Vegetti Finzi S., Battistin A.M., A piccoli
passi. La psicologia dei bambini dall’attesa
ai cinque anni, Mondadori Editore, 1997).
Comprendiamo così quanto la vita intelligente
di ognuno di noi, comprese le capacità
sensoriali, abbia trovato le sue origini
già nel periodo in cui nostra madre ci ha
tenuto per 9 mesi in grembo, aiutata e sostenuta
da nostro padre.
Con la nascita inizia il vero e proprio processo
maturativo del bambino attraverso
la strutturazione progressiva delle due caratteristiche
fondamentali della personalità:
la conoscenza di sé e la costruzione del
senso d’identità: il processo di individuazione
e separazione.
Questa “conoscenza del sé” fa parte di
quelli che Maslow (psicologo americano)
definisce “bisogni primari”, che sono strettamente
connessi al benessere del bimbo:
per “sentirsi bene” il bambino non ha bisogno
solo di nutrirsi, di dormire, di essere
protetto, amato ed aiutato, ma ha necessità
di “conoscersi” a 360°, e proprio qui
fonda tutta la sua importanza il dato della
“differenza sessuale” dei genitori, attraverso
la quale il bimbo impara e costruisce
la propria identità sessuale.
Questo cammino è determinato essenzialmente
dalla sua relazione con la mamma,
con cui il bambino stabilisce un rapporto
di simbiosi che dura fino al terzo anno di
vita.
In questa fase ha un’importanza fondamentale
il rapporto con il corpo della
mamma, che il bambino esplora con le
mani e con la bocca.
Il padre rimane esterno a questa simbiosi
non tanto come interesse affettivo, quanto
come posizione fisica del corpo (il piccolo
sta meno in braccio al padre, se piange
è più facilmente consolato dalla madre)
facendo si che il bimbo col tempo si distacchi
dalla madre, si separi da lei, inizi
i suoi primi passi verso il mondo, verso la
vita, verso la propria identità.
Attraverso la simbiosi con la mamma e il
contatto con il suo corpo, trova la fiducia
dopodiché affidandosi al padre trova sé
stesso.
«Serve un padre per differenziarsi dalla
madre, per accettare le ferite e riconoscere
il senso ed esprimere il proprio Sé,
entrando così personalmente nel tempo e
nella storia». Così scrive Claudio Risé in Il
padre. Libertà dono (edizioni Ares, 2013,
pp. 142).
La madre è più disponibile e accogliente,
capace di rispondere in modo partecipato
e interessato, dimostrando tenerezza
fisica, ascolto, interesse, consolazione, e
pazienza.
La funzione materna (spesso supportata
da altre figure femminili, come la nonna),
con la sua gratuità, ha un ruolo fondamentale
nel determinare quella sicurezza interiore
che accompagnerà il bambino per
tutta la vita.
Il padre, dal canto suo, è meno centrato
sul bambino (parla meno, fa meno richieste,
accomoda meno il proprio linguaggio
in termini di tono e lessico), interagisce in
modo più imprevedibile e fisicamente più
stimolante.
Quanto più gioca, incoraggia l’esplorazione,
è di supporto ma stimola l’impegno.
Ciò aiuta lo sviluppo dell’indipendenza,
di un orientamento positivo verso il mondo
esterno, di una gestione equilibrata
dell’aggressività.
Trasmette il messaggio che la vita non è
solo conferma e rassicurazione, ma anche
conquista dolorosa e faticosa di gioie più
profonde.
Secondo studi scientifici, l’assenza del
padre durante i periodi di crescita critici,
porta al deterioramento delle abilità sociali
e comportamentali ed aumenta il ri-
schio di sintomi depressivi in adolescenza,
soprattutto per le ragazze.
Inoltre i bambini con padri presenti e stimolanti
hanno in futuro meno problemi
con la Legge e una vita morale più equilibrata.
È quindi fuori dubbio che le prime relazioni
che riguardano la sfera affettiva, ma anche
il comportamento e l’apprendimento, avvengano
all’interno della famiglia, prioritariamente
con la madre e progressivamente
con il padre.
Anche l’acquisizione della sua identità
sessuale si afferma, non in astratto, ma attraverso
un “rispecchiamento” con i propri
genitori, con una “messa in situazione” dei
ruoli e delle funzioni che impegna tanto la
psiche quanto il corpo dei suoi attori.
Quindi è soprattutto nella relazione con il
padre e la madre che tutto questo si attua
e matura.
Il genitore dello stesso sesso deve essere
fisicamente e emotivamente presente
nella vita del bambino valorizzandone tutti
gli aspetti belli e tipici anche del proprio
sesso in concomitanza all’apprezzamento
degli aspetti belli e tipici anche dell’altro
sesso.
L’equilibrio non si trova nell’esaltazione di
un sesso rispetto all’altro, nell’umiliazione
di un sesso rispetto all’altro, ma nemmeno
nell’appiattimento dei due sessi, affermando
che non esistono differenze biologiche,
strutturali e psicologiche fra l’uomo
e la donna, o che queste siano secondarie
rispetto al dato culturale (come oggi una
certa cultura femminista radicale e del
gender va affermando).
Pertanto non è irrilevante che esso sia
maschile o femminile e che il figlio di una
coppia dello stesso sesso, non possa confrontarsi,
nella
definizione
di
sé, con il problema
d e l l a
d i f f e r e n z a
sessuale.
R i c o r d i a m o
che la
bellezza
sta
proprio nella differenza uomo-donna ma
anche nella sua complementarietà (che
non è solo anatomica)
Se nel momento in cui il piccolo esplora la
sfera sessuale, lo priviamo di una delle sue
figure di riferimento o, peggio, gli creiamo
condizioni di ambiguità, può instaurarsi in
lui un processo di regressione psicologica.
Ciò interferisce negativamente nello sviluppo
pieno della propria personalità, e di
una chiara identità sessuale.
Non evidenziare la differenza maschile -
femminile genera un processo opposto:
indebolisce e rende più fragile l’ identità
del giovane, crea insicurezza, incertezza e
disorientamento.
Tutto questo non vuol dire dare un giudizio
nei confronti delle persone con orientamento
omosessuale o lesbico o discriminarli,
ma vuol dire, prima di tutto, tutelare
dei minori, che si affidano al mondo degli
adulti per vedere garantiti i loro diritti.
Concludo con le parole del prof Guido
Crocetti (professore di Psicologia clinica
presso “La Sapienza” di Roma e direttore
del Centro italiano di Psicoterapia psicoanalitica
per l’Infanzia e l’Adolescenza). “i
bambini sopravvivono sempre, anche alle
guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze,
ma questo – appunto – è sopravvivere,
non vivere nel pieno dei loro diritti”.
Il fenomeno della “resilienza”, termine
preso in prestito dalla metallurgia per indicare
la proprietà che alcuni materiali hanno
di conservare la propria struttura dopo
essere stati sottoposti a schiacciamento o
deformazione, e studiato nei niños de rua
delle favelas delle megalopoli, non dovrebbe
essere un alibi per permettere e
legalizzare una “fabbrica di orfani”.

La Croce 13 febbraio 2015