DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

15 SETTEMBRE 2016


VIVERE DI MISERICORDIA

Vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia: vivere di misericordia è sentirsi bisognoso della misericordia di Gesù, e quando noi ci sentiamo bisognosi di perdono, di consolazione, impariamo a essere misericordiosi con gli altri. Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli. Coraggio, dunque, coraggio! Non lasciamoci togliere la gioia di essere discepoli del Signore. “Ma, Padre, io sono peccatore, come posso fare?” – “Lasciati guardare dal Signore, apri il tuo cuore, senti su di te il suo sguardo, la sua misericordia, e il tuo cuore sarà riempito di gioia, della gioia del perdono, se tu ti avvicini a chiedere il perdono”. Non lasciamoci rubare la speranza di vivere questa vita insieme con Lui e con la forza della sua consolazione (Papa Francesco, Udienza del 14 settembre 2016).


IL GIOGO DI GESÙ

“Prendete il mio giogo”. Nel contesto dell’Alleanza, la tradizione biblica utilizza l’immagine del giogo per indicare lo stretto vincolo che lega il popolo a Dio e, di conseguenza, la sottomissione alla sua volontà espressa nella Legge. In polemica con gli scribi e i dottori della legge, Gesù pone sui suoi discepoli il suo giogo, nel quale la Legge trova il suo compimento. Vuole insegnare loro che scopriranno la volontà di Dio mediante la sua persona: mediante Gesù, non mediante leggi e prescrizioni fredde che lo stesso Gesù condanna. Basta leggere il capitolo 23 di Matteo! Lui sta al centro della loro relazione con Dio, è nel cuore delle relazioni fra i discepoli e si pone come fulcro della vita di ciascuno. Ricevendo il “giogo di Gesù” ogni discepolo entra così in comunione con Lui ed è reso partecipe del mistero della sua croce e del suo destino di salvezza.... Il giogo che i poveri e gli oppressi portano è lo stesso giogo che Lui ha portato prima di loro: per questo è un giogo leggero. Egli si è caricato sulle spalle i dolori e i peccati dell’intera umanità. Per il discepolo, dunque, ricevere il giogo di Gesù significa ricevere la sua rivelazione e accoglierla: in Lui la misericordia di Dio si è fatta carico delle povertà degli uomini, donando così a tutti la possibilità della salvezza. Ma perché Gesù è capace di dire queste cose? Perché Lui si è fatto tutto a tutti, vicino a tutti, ai più poveri! Era un pastore tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe. E’ brutto per la Chiesa quando i pastori diventano principi, lontani dalla gente, lontani dai più poveri: quello non è lo spirito di Gesù (Papa Francesco, Udienza del 14 settembre 2016).


LA SCUOLA DELL'AMORE 
Costanza Miriano

Non c’è un modo per insegnare ad amare, non con delle lezioni. Lo prova l’esperienza dei paesi in cui si fa educazione sessuale a scuola: i dati delle violenze e delle malattie sessualmente trasmesse, nonché delle gravidanze indesiderate, sono disperanti. Senza contare che il livello degli studenti è sceso talmente in basso che sarebbe meglio che la scuola tornasse e insegnare a leggere e a far di conto, è urgente, molto. E non è vero che così si trascurerebbe l’aspetto della formazione affettiva dei ragazzi, al contrario: rompersi la testa su Tacito o su Eschilo (senza traduttore, se possibile), star lì due ore su una frase perché non si era visto uno iota sottoscritto, o combattere con un problema di fisica (senza chiedere la soluzione su Whatsapp, se possibile), o imparare a memoria Dante e innamorarsi della bellezza, questo sì che insegna ai ragazzi il rispetto, perché insegna il proprio limite, insegna ad alzare lo sguardo.
Il sacrificio insegna ad amare, perché amare è appunto – al contrario della vulgata dell’amore romantico prevalsa in Occidente – non far prevalere emozioni sentimenti e pulsioni, ma educare al giudizio il proprio cuore. È scegliere una persona e cercare di voler bene al suo destino. A questo serve più far fatica con la chimica o anche, alle elementari, un dettato pieno di h e apostrofi, che la favoletta del piccolo uovo. Oggi i libri di scuola sembrano fatti per divertire i bambini, conquistarli, distrarli. Non si fanno più dettati e aste e pallini, non a caso abbiamo un’epidemia di disgrafici discalculici e dislessici, quasi sempre inadeguatamente assistiti dagli insegnanti di sostegno (devolviamo i fondi dell’educazione sessuale a questa causa ben più urgente). Ma non abbiamo bisogno di bambini divertiti e distratti, a scuola. Abbiamo bisogno di bambini che imparino a faticare, a vedere la bellezza nascosta, e anche grazie a questo ad amare seriamente.




CARD. SCHÖNBORN: EUROPA AL CAPOLINEA E GLI ISLAMICI SONO PRONTI...

Durante la messa per il Santissimo Nome di Maria, il presule austriaco ha paventato la possibilità di “una conquista islamica dell’Europa”, definendola “il terzo tentativo islamico di conquistare l’Europa”. E ancora: “Molti musulmani lo sperano e dicono che l’Europa è ormai al capolinea”. Il cardinale Schönborn ha pregato che “Dio abbia misericordia dell’Europa e dei suoi abitanti che rischiano di dimenticare l’identità cristiana”. Il cardinale ha chiuso l’omelia con la parabola del figliol prodigo che ha sperperato l’eredità del padre. Guardando alla “nostra situazione in Europa”, il cardinale ha detto: “Siamo un po’ come lui. Abbiamo sperperato l’eredità cristiana. Che ne sarà dell’Europa?”. Poi, in una intervista con il giornale dell’arcidiocesi di Vienna, Schönborn ha infine aggiunto: “Gli islamici vorrebbero approfittare della nostra debolezza, ma non sono responsabili per la nostra debolezza. Siamo noi stessi europei”. Konrad Pesendorfer, a capo dell’Ufficio di statistica austriaco, ha detto che nel 2030 la percentuale di popolazione di origine straniera a Vienna sarà del quaranta per cento, grazie alla demografia interna e ai flussi migratori (60 mila arrivi in un anno). Due anni fa, proprio Schönborn aveva sciorinato altri dati. Quelli del sorpasso islamico nella capitale: “La decrescita dei cattolici a Vienna è drammatica, siamo ormai sotto il quaranta per cento, e tra non molto arriveremo al trenta per cento”. Non solo il cattolicesimo è in drammatico declino a Vienna, ma è già stato sorpassato dall’islam come religione più praticata nelle scuole... Il 58 per cento dei bambini negli asili viennesi non parla tedesco come prima lingua. Un professore dell’Università di Vienna, Edna Aslan, in uno studio di trenta pagine commissionato dal ministero dell’Interno rivela anche l’esistenza di 150 asili islamisti nella capitale. Diecimila bambini educati all’odio dei “kuffar”, gli infedeli, da parte di gruppi di salafiti, Fratelli musulmani e altri islamisti. Aslan ha riassunto così la mentalità dominante in queste scuole: “L’Europa, così come la conosciamo, in qualche anno cesserà di esistere, Insh’allah, perché il tasso di fertilità è 1,38 per famiglia”. Nel giro di due generazioni, la popolazione over 65 in Austria passerà dall’attuale venti al trenta per cento. Nel paese definito da Robert Musil “lo specchio ironicamente consapevole del vuoto” (Il Foglio 15 settembre 2016).


ANIMALI VS FIGLI

Invece della famiglia i millennial hanno gli animali domestici, e invece della casa col backyard l’appartamento in affitto, possibilmente condiviso con uno sconosciuto trovato su craigslist. Un sondaggio dell’agenzia Mintel dice che tre quarti degli americani che hanno da poco superato i trent’anni possiedono un cane e la metà circa ha un gatto. In generale, il 50 per cento degli americani ha un cane e il gatto arriva a fatica al 35 per cento della popolarità. Gli studi di psicologi e sociologi abbondano di osservazioni sul fatto che l’animale domestico è un sostituto dei figli: “Sono meno costosi, ne puoi prendere uno anche se non sei pronto per vivere con un’altra persona o sposarti, e possono farti compagnia”, ha detto Jean Twenge, psicologo della San Diego State University. L’approccio dei giovani all’animale domestico è del tipo scientifico-ossessivo: leggono manuali, fanno infinite ricerche sui cibi migliori, le abitudini più corrette, comprano vestiti per gli animali che, sempre secondo gli psicologi, hanno la sola funzione di farsi belli sui social. Se ci fosse stato Instagram negli anni Sessanta i giovani americani avrebbero messo le foto della loro casa “open plan”, la grigliata della domenica, i bambini che scorrazzano nel prato con i cerbiatti che brucano sullo sfondo. Ora mettono il bulldog con il cardigan firmato. Il social come surrogato dell’esperienza, l’animale come surrogato del figlio, l’appartamento come surrogato del focolare “open plan”: tutte queste cose, messe assieme, non sono che il surrogato di un sogno americano che è venuto a noia. (Mattia Ferraresi. Il Foglio 15 settembre 2016)


IN AMERICA STA TRAMONTANDO IL GENDER-GAP SALARIALE

Il Wall Street Journal ha appena dato notizia dell’ultimo rapporto del Census Bureau, l’ufficio del censimento del paese, da cui è emerso che lo scorso anno, in media, una lavoratrice ha guadagnato ottanta centesimi per ogni dollaro incassato da un lavoratore: il divario non era mai stato meno profondo. Negli anni Ottanta, per ogni dollaro che veniva accreditato a un uomo, una sua collega donna, a parità di mansioni e meriti, prendeva non più di sessanta centesimi. Più in generale, lo scorso anno, un uomo medio ha guadagnato, negli Stati Uniti, 51.212 dollari e una donna 40.742, determinando l’innalzamento di un punto percentuale nel rapporto tra gli stipendi maschili e femminili (79,6 per cento), rispetto al 2014. Un punto all’anno non è niente male, soprattutto se a produrre questo assestamento verso la parità è un mercato del lavoro alle cui più alte cariche le signore non accedono tramite quote rosa. Stando al Gender Gap Report del 2016, in Italia gli uomini guadagnano il 12,2 per cento in più delle loro colleghe e, soprattutto, rispetto al 2014, gli stipendi dei signori sono aumentati dello 0,6 per cento, mentre quelli delle donne sono calati dello 0,7. Ecco perché negli Stati Uniti vengono pubblicati libri (ridicoli) in cui si esortano le donne a capire e intravvedere il sessismo dentro di loro, essendo, quello sociale, almeno nei conti che contano, in via d’estinzione, ma non volendo, tuttavia, rinunciare al suo fantasma antropologico. Nell’attesa che magari il welfare spazzi via anche quello. (Il Foglio, 15 settembre 2016)


IL CONDUTTORE UNICO DELLE COSCIENZE

“In un qualsiasi dibattito fra un bianco e un immigrato di colore, fra un uomo e una donna, un borghese e un proletario, fra un eterosessuale e un omosessuale, un credente e un ateo, fra un cristiano e un musulmano, fra un industrialista e un ecologista, fra un soldato e un pacifista, fra un euroscettico e un tifoso del regime di Bruxelles, si può stare certi che il secondo protagonista l’avrà sempre vinta, grazie all’editing della regia, con la complicità dell’anchorman (o woman!), lasciando sempre il primo nella posizione dell’antipatico, dell’anacronistico o addirittura dell’oppressore” (The Spectator). Il conduttore unico delle coscienze è già al lavoro. E ha un progetto ambizioso: premiare la viltà opportunista ideologicamente corretta, punire il dissenso, omologare tutti nella coazione a pensare allo stesso modo. Un servizio pubblico che non è responsabile di fronte a nessuno e che fa sì che “la verità della Bbc” sia immediatamente creduta. (Il Foglio 15 settembre 2016)