DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

CONTRO L'ATEISMO FLUIDO. E CHI E' CONTRO IL PAPA E' FUORI DELLA CHIESA. INTERVISTA AL CARD. SARAH

Pubblichiamo alcuni stralci tratti da “Si fa sera e il giorno ormai volge al declino”, il nuovo libro del cardinale Robert Sarah con Nicolas Diat. Il volume, da ieri in libreria, è edito da Cantagalli (400 pp., 24,90 euro). Sarah, creato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2010, è stato nominato nel novembre del 2014 prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti da Papa Francesco.
 

Nicolas Diat: Come considera lo scetticismo della modernità nei confronti del passato e delle tradizioni?

Cardinale Robert Sarah: L’uomo moderno occidentale disprezza il passato. E’ fiero della propria civiltà che ritiene superiore a tutte quelle che l’hanno preceduta. I progressi nei campi scientifico e tecnologico alimentano questa sua illusione; le ultime rivoluzioni nell’ambito della tecnologia e della comunicazione, in particolare in Internet, rafforzano tale pretesa. L’uomo moderno è smemorato. Aspiriamo alla rottura con il passato, mentre il nuovo si trasforma in un idolo. Esiste a mio avviso una sorta di aggressiva ostilità nei confronti della tradizione e, più in generale, di ogni eredità. Ora, vivendo un continuo mutamento, l’uomo moderno si priva della bussola. I giovani però possono condannare gli errori delle generazioni precedenti. Capisco certamente che essi vogliano voltare pagina: come biasimare i giovani tedeschi del dopoguerra di non voler più pensare ai fantasmi del passato nazista? Non vanno però dimenticate nemmeno le pagine più nere della storia. E’ fondamentale conservare la memoria della Shoah.
L’uomo moderno ha paura che le proprie radici diventino un vincolo. Preferisce misconoscerle. Si crede libero quando invece è più vulnerabile
Sostanzialmente, la tradizione è un patto con il futuro che rintracciamo nel passato. Rimango purtroppo allibito davanti all’amnesia degli occidentali. Siamo lontani dalla piccola scuola primaria del mio villaggio guineano dove ho imparato che i miei antenati erano dei galli… Questo insegnamento poteva sembrare strano, ma non traumatico. Dipendeva da una reale volontà di apertura dell’identità francese verso i guineani, in un’epoca in cui il paese era una colonia francese. La crisi della memoria non può che generare una crisi culturale. Il requisito per il progresso consiste nella trasmissione delle acquisizioni del passato. L’uomo è fisicamente e ontologicamente legato alla storia di coloro che l’hanno preceduto. Una società che rifiuta il passato si preclude il proprio futuro. E’ una società morta, una società senza memoria, una società spazzata via dall’Alzheimer. Questa dinamica attuale vale anche per il cristianesimo. Se la Chiesa si separasse per un determinato tempo dalla sua lunga storia, non tarderebbe a smarrirsi. Ne L’affrontamento cristiano, Emmanuel Mounier spiega come la volontà di rottura con il passato abbia provocato un decadimento congiunto della civiltà occidentale e del cristianesimo. Il cristianesimo fu sostenuto ai suoi esordi dal “vigore della civiltà”; oggi ne starebbe subendo il crollo. Secondo lui, però, la crisi è anzitutto interna al cristianesimo. Esiste una certa asperità tra la civiltà e la religione cristiane. Se il cristianesimo scende a patti con il mondo invece di illuminarlo, significa che i cristiani non sono rimasti fedeli all’essenza della propria fede. La tiepidezza del cristianesimo e della Chiesa provoca il crollo della civiltà. Il cristianesimo è la luce del mondo. Se il cristianesimo smette di risplendere, contribuisce a far sprofondare l’umanità nelle tenebre.


Come giudica il complicato rapporto dei moderni con il concetto di radici?

Come possiamo trasmettere ciò che non c’è più? Sta per scomparire tutto? Il cristianesimo, la storia, la civiltà, gli uomini stessi spariranno?
Le radici costituiscono la base e l’alimento della vita. Innestano la vita in un terreno fertile e la irrorano di una linfa nutriente. Si immergono nell’acqua perché la vita sia lussureggiante in ogni stagione. Permettono la crescita della chioma e la comparsa di fiori e frutti. Una vita senza radici richiama la morte. Il complicato rapporto dei moderni con il concetto di radici sorge dalla crisi antropologica che abbiamo menzionato prima. L’uomo moderno ha paura che le proprie radici diventino un vincolo. Preferisce misconoscerle. Si crede libero quando è invece più vulnerabile. Diventa come una foglia morta staccata dall’albero, in balìa del vento. Questa difficoltà è un fenomeno tipico dell’occidente. In Africa e in Asia restiamo aggrappati alle nostre radici, esse tuffano le nostre vite e la nostra storia nelle nostre più profonde origini ancestrali. Le etnie, le religioni e le culture hanno storie antiche di cui si nutrono di continuo. Il passato e il futuro sono imbricati con esse, sono inseparabili. Questo ancoraggio non è determinismo, ma è la condizione della nostra libertà. Il rifiuto delle radici cristiane nella Costituzione europea è il sintomo più evidente di questo atteggiamento. Le istituzioni europee oggi sono ridotte a una struttura economica e amministrativa. Al di fuori degli interessi finanziari, sostenuti da una piccola oligarchia, l’Europa produce ideologie, le nutre di utopie e perde la propria anima. L’Europa si è tagliata fuori da ciò che essa è in profondità. Ha rinnegato sé stessa.

“Dopo di me il diluvio”, sembra esclamare l’uomo del XXI secolo. Questo salto nel vuoto non si accompagna a una volontà quasi suicida di non-trasmissione?

Occorre riuscire a liberare l’uomo contemporaneo da questa dannosa idolatria dell’immediatezza, la cultura dell’istante.
La nozione di eredità è morta. Il vuoto è la norma. Per i sommi sacerdoti del nuovo ordine mondiale, la cultura, i valori, la religione e le tradizioni non possono essere trasmesse. Devono rimanere sepolte nell’oblio, e per essere certi di non sentirne più parlare, se ne sigillerà la tomba eliminandoli dai programmi scolastici. La volontà di non trasmettere procede da un desiderio di morte. Come possiamo decidere di non trasmettere ciò che il passato ci ha dato? Questo orgoglio autosufficiente è terribile, opprimente, asfissiante. Le società occidentali sono incapaci di garantire e di farsi carico della trasmissione dell’eredità culturale e dell’esperienza del passato, dopo che hanno fatto della rottura il motore della modernità. Rifiutare ogni eredità, fare tabula rasa del passato e della cultura che ci precede, disprezzare i modelli e le filiazioni, rompere in modo sistematico con la figura del padre: azioni moderne che invischiano le società nella dittatura del presente, provocano le peggiori catastrofi, umane, politiche e anche economiche. Ho la sensazione che la storia dei paesi occidentali sia diventata una distesa di rovine. Come possiamo trasmettere ciò che non c’è più? Sta per scomparire tutto? Il cristianesimo, la storia, la civiltà, gli uomini stessi spariranno per essere sostituiti dai robot? Le nuove generazioni sono prive di un’eredità plurisecolare che avrebbe consentito loro di costruire la propria vita. Un adolescente che vede un presepio ne comprende a malapena il significato. Un adolescente che vede un quadro in un museo è incapace di riconoscerne le grandi figure bibliche. Un adolescente che legge un romanzo del XIX secolo non comprende più nulla della vita e della cultura dell’epoca. Senza storia, senza radici, senza riferimenti, egli si perde nelle paludi del virtuale. In queste condizioni, il passato è una terra incognita e il presente una tirannia.

La rottura, dunque, è il motore della modernità?

Per risultare moderni gli occidentali si ritengono oggi costretti ad assumere un atteggiamento di continua rottura. Le élite globalizzate vogliono creare un mondo nuovo, una cultura nuova, uomini nuovi, un’etica nuova. Le uniche cose che non possono fare sono un sole nuovo, una luna nuova, montagne nuove, un’aria nuova, una terra nuova. La rottura è il motore del loro progetto politico. Non vogliono più fare riferimento al passato. Gli uomini che continuano a proclamare i valori del mondo antico, volenti o nolenti, devono sparire. Sono emarginati e ridicolizzati. Per i fautori del nuovo ordine mondiale, questi sub-umani appartengono a una razza inferiore. Questa volontà di rottura è tragicamente puerile. L’uomo saggio è cosciente e fiero di essere erede. Osservo, talvolta, con sgomento, atteggiamenti analoghi in seno alla Chiesa. Che Chiesa sarebbe quella dalla quale venissero eliminati quanti si aggrappano ai tesori della tradizione cristiana e restano fedeli all’insegnamento immutabile di Colui che “è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8)?

La nostra epoca vive in un eterno presente?

Il fatto di vivere in un presente che vorremmo fosse senza fine tradisce un rifiuto per le cose dell’eternità. Il presente diventa sovrabbondante e Dio invisibile. L’uomo cerca sempre più di fuggire in realtà parallele. Sono costernato nel vedere quante persone trascorrano un’infinità di tempo al cellulare, assorbiti dalle immagini, dalle luci, dai fantasmi. Il cellulare ci trasporta continuamente fuori da noi stessi; ci taglia fuori da ogni vita interiore. Ci dà la sensazione di essere sempre in viaggio attraverso i continenti, permettendoci di essere in contatto con tutti. In realtà, ci svuota della nostra interiorità e ci trasporta nel mondo dell’effimero. Il cellulare ci fa perdere il contatto con la realtà, ci proietta lontano, verso l’inaccessibile. Ci fa credere di generare lo spazio e il tempo, di essere degli dèi in grado di comunicare senza che niente possa fermarci. Le folli macchine della comunicazione rubano il silenzio, distruggono la ricchezza della solitudine e violano l’intimità. Spesso ci strappano dalla nostra vita amorosa con Dio per esporci alla periferia, all’esterno di noi stessi, in mezzo al mondo. Eppure, anche il presente appartiene a Dio. Il Padre abita tutte le dimensioni del tempo. Dio è. Se l’uomo conosce la propria identità e vive con ragionevolezza nel presente, potrà ancora radicarsi in Dio. Attraversiamo il tempo per trovare più intimamente Dio. Il tempo è un lungo cammino verso Dio. Il culto dell’hic et nunc e il rifiuto dell’eternità vanno di pari passo? Nel mondo moderno il presente è diventato un idolo. Ora, l’uomo è nato per l’aldilà. La vita eterna è inscritta in lui. La cultura dell’istante crea, dunque, una costante tensione nervosa. Occorre riuscire a liberare l’uomo contemporaneo da questa dannosa idolatria dell’immediatezza. L’uomo non può ritrovare la calma e la vera quiete a meno che non riposi in Dio. Il culto dell’hic et nunc è il frutto della crisi filosofica e della crisi della cultura dei tempi moderni. Come possiamo far capire che i tesori più preziosi non sono quelli che si possono toccare? L’apertura a Dio è un atto di fede che nessuno può quantificare. Credo sia necessario far comprendere al mondo occidentale che l’eccessivo attaccamento alle cose materiali è una trappola. La civiltà materialista postindustriale come la nostra è destinata a una morte imminente. E la civiltà transumanista sarebbe una catastrofe ancor più grande. L’umanità deve prendere coscienza della crisi materiale e spirituale in cui si trova. Non serve a niente stordirsi di piccole gioie egoiste, artificiali e fugaci. In una conferenza tenuta a Rio de Janeiro, il 22 dicembre 1944, Georges Bernanos dichiarava con ragione: “Non si arriva alla speranza se non attraverso la verità, a costo di grandi sforzi. Per ritrovare la speranza è necessario aver superato la disperazione. Alla fine della notte, si trova un’alba nuova”. Il nostro mondo non potrà fare a meno della verità e della speranza in Dio. Questo cammino di verità ci condurrà a enormi sofferenze. Impariamo a distanziarci dai beni materiali e dal potere. Restiamo scrupolosamente aggrappati a Dio e alla sua parola di vita. Arriveremo così tutti insieme all’unità nella fede e alla conoscenza della verità che si chiama Gesù Cristo.

Che messaggio vorrebbe lasciarci a conclusione di questo libro?

Voglio farvi una confidenza. Io penso che il nostro tempo viva la tentazione dell’ateismo. Non dell’ateismo duro e militante, che ha scimmiottato il cristianesimo con le sue pseudo-liturgie marxiste o naziste. Questo ateismo, una sorta di religione al contrario, si è fatto discreto. Intendo, invece, riferirmi a una condizione dello spirito sottile e pericolosa: l’ateismo fluido. Si tratta di una malattia insidiosa e nociva, anche se i suoi sintomi sembrano a prima vista innocui. Nel suo libro Notre coeur contre l’atheisme (Il nostro cuore contro l’ateismo), padre Jérôme, monaco cistercense dell’Abbazia di Sept-Fons, lo descrive così: “L’ateismo fluido, mai professato come tale, si mescola senza clamore ad altre filosofie, ai nostri problemi personali, alla nostra religione. Può permeare senza che ce ne rendiamo conto il nostro giudizio di cristiani. In ciascuno di noi possono penetrare infiltrazioni dell’ateismo fluido in tutti quei recessi che non sono occupati dalla fede teologale e dalla grazia. […] Ci riteniamo indenni, e tuttavia applaudiamo stupidamente a ogni sorta di ipotesi, di postulato, di slogan, di presa di coscienza che pregiudicano il nostro credo. Pubblicizziamo delle idee senza curarci del loro marchio di fabbrica. La cosa peggiore è che certe idee materialiste possono stabilirsi nella nostra mente senza affatto scontrarsi con le idee cristiane che dovrebbero essere presenti dentro di noi. Il che rivela che le nostre convinzioni cristiane non hanno una consistenza sufficientemente solida. E’ l’inizio della disfatta: il materialismo fluido coabita dentro di noi con il nostro cristianesimo che probabilmente è anch’esso fluido”. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che questo ateismo fluido scorre nelle nostre vene. Non pronuncia mai il proprio nome ma si infiltra dappertutto. (…) Il suo primo effetto è una sorta di letargo della fede. Anestetizza la nostra capacità di reagire, di riconoscere l’errore. Si è diffuso nella Chiesa. Papa Francesco, nell’omelia della Messa del 29 novembre 2010, celebrata a Casa Santa Marta, ha pronunciato parole terribili. Ha commentato la distruzione di Babilonia città “del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro”. “Questa distruzione incomincia da dentro – ha spiegato il Papa –e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”. Questa è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale, e finisce così”. Poi il Papa ha proseguito denunciando “la paganizzazione della vita […] E concludendo, ci ha invitato a pensare alle “Babilonie” del nostro tempo: “così finiranno anche le grandi città di oggi e così finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. […] ”.

“Mi direte che così gira il mondo, che la Chiesa deve adattarsi o morire. Che dobbiamo essere elastici. No, con la menzogna non si scende a patti”

Che cosa dobbiamo fare? Mi direte forse che così gira il mondo. Mi direte forse che la Chiesa deve adattarsi o morire. Mi direte forse che, se il nucleo essenziale è salvo, dobbiamo essere elastici per quanto riguarda i dettagli. Mi direte forse che la verità è teorica e che i casi particolari le sfuggono. Tante affermazioni che confermano la gravità della malattia! Vorrei piuttosto invitarvi a ragionare in modo diverso. Nel romanzo autobiografico di Solženicyn, Il primo cerchio, il protagonista esita a conservare i privilegi che il sistema totalitario gli aveva concesso per comperare il suo silenzio. Una scoperta lo fa vacillare. Si imbatte nel diario della defunta madre e vi legge queste parole: “Che cos’è la cosa più preziosa del mondo? Essere consapevoli di non partecipare alle ingiustizie. Esse sono più forti di noi, ci sono state e sempre ci saranno, ma che almeno non avvengano attraverso di noi”. Anche noi cristiani dobbiamo lasciarci sconvolgere da queste parole. Non si scende a patti con la menzogna! La prerogativa dell’ateismo fluido è il compromesso con la menzogna. E’ la tentazione più grande del nostro tempo. Non lasciatevi ingannare, con questo nemico non si può combattere. Finisce sempre per prevalere. Si può combattere faccia a faccia con l’ateismo duro, colpirlo, denunciarlo e rifiutarlo. Ma l’ateismo fluido è viscido e sfuggente. Se lo si attacca, se si ingaggia contro di lui un combattimento fisico, un corpo a corpo con l’ateismo fluido, si rimarrà invischiati nei suoi compromessi sottili. È come una ragnatela, più ci si dibatte e più ha presa su di noi. L’ateismo fluido è l’ultima piaga del Tentatore. Ci attira sul suo terreno, se lo seguiamo saremo portati a fare uso delle sue armi: la menzogna e il compromesso. Fomenta attorno a sé la divisione, il risentimento, l’acredine e la rivalità. Abbiamo l’esempio della situazione della Chiesa! Essa è pervasa da dissenso, ostilità e sospetto. Con tutto il mio cuore di pastore, invito oggi i cristiani ad agire. Non dobbiamo creare partiti in seno alla Chiesa. Non dobbiamo proclamarci salvatori di questa o quella istituzione. Tutto ciò significherebbe fare il gioco dell’avversario. Viceversa, ciascuno di noi può prendere questa decisione: non mi lascerò più coinvolgere dalla menzogna dell’ateismo. Non voglio più rinunciare alla luce della fede, non voglio più che, per comodità, pigrizia o per conformismo, coabitino in me luce e tenebre. È una decisione molto semplice, al contempo intima e concreta. E trasformerà la nostra vita fin nei minimi dettagli. Non si tratta di andare in guerra. Non si tratta di denunciare dei nemici. Non si tratta di attaccare o criticare. Si tratta di rimanere saldamente fedeli a Gesù Cristo. Non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo cambiare noi stessi.

Il Foglio 4 Ottobre 2019

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Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO Alle pareti del salottino, nei suoi uffici del Dicastero vaticano, si vedono la foto di Francesco e i ritratti di Pio XI e Pio XII. «Nel mio libro parlo di “ateismo liquido”: si infiltra in tutto, anche nei discorsi ecclesiastici». Il cardinale Robert Sarah, 74 anni, africano della Guinea, parla piano, l’aria ieratica. «Sant’Ireneo ha detto che Dio si è fatto uomo affinché l’uomo potesse diventare Dio», sorride. Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il cardinale ha appena pubblicato in Italia il libro «Si fa sera e il giorno ormai volge al declino» (Edizioni Cantagalli, pp. 400, euro 24,90), un colloquio con il saggista Nicolas Diat che dalla Francia agli Usa ha creato nei mesi scorsi un grande dibattito soprattutto nella fronda a Bergoglio.
Arcivescovo a 34 anni
Punto di riferimento dei conservatori dentro e fuori la Curia, nominato arcivescovo a soli 34 anni da Giovanni Paolo II e assai vicino a Benedetto XVI, Sarah ha idee molto chiare e nette ma pone limiti altrettanto precisi, con buona pace della «galassia» ultraconservatrice in odore di scisma: «Chi è contro il Papa è ipso facto fuori dalla Chiesa. La Provvidenza ci vede benissimo, sa?». Nel rispondere alla domande del Corriere, parla di «apostasia silenziosa» e di «notte oscura» nella Chiesa, di «sacerdoti, vescovi e persino cardinali infedeli che mancano di portare la verità di Cristo», dice che la Chiesa dovrebbe parlare anzitutto di Dio e non dei migranti perché non è una Ong e «una Chiesa così non interessa a nessuno» e dispiega gli argomenti degli oppositori al Sinodo sull’Amazzonia appena iniziato: «Temo che alcuni occidentali stiano confiscando questa assemblea per far avanzare i loro piani. Penso in particolare all’ordinazione degli uomini sposati, alla creazione di ministeri femminili o alla giurisdizione dei laici. Questi punti toccano la struttura della Chiesa universale. Approfittare per introdurre piani ideologici sarebbe una manipolazione indegna, un inganno disonesto, un insulto a Dio che guida la sua Chiesa e le affida il suo piano di salvezza».
Eminenza, aveva dedicato il suo ultimo libro al silenzio. Adesso scrive, proprio all’inizio: «Ma ora non posso più tacere». Come se ci fosse stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Che cosa l’ha spinta a scrivere ancora?
«La mia non è ovviamente una reazione d’impulso, perciò non esiste una ragione particolare scatenante. Questo libro è il frutto di una riflessione che, per quanto mi riguarda, va avanti da molto tempo: non si tratta di un trattato accademico, esprime il mio grido di pastore partendo dall’analisi dei tempi che stiamo vivendo. Dunque non posso più tacere – ma oserei dire: non possiamo –, perché quello che vedo accadere nella realtà è grave: viviamo una crisi spirituale fortissima. Siamo di fronte a una apostasia silenziosa. Essa riguarda il mondo intero, ma ha la sua origine principalmente in Europa. E nasce dal rifiuto di Dio, rifiuto che è ormai incistato nella coscienza occidentale. Perché oggi è l’uomo che si è sostituito a Dio. Si rifiuta il Padre e si rifiuta Dio, perché non si ammette di poter dipendere da qualcuno. Ognuno vuole auto-determinarsi, nella vita, nella morte, nella sessualità, fino a modificare la natura sulla base delle proprie idee. È qualcosa di mai accaduto e di perverso. Questa non è il desiderio dell’uomo di fare sempre nuove scoperte, di progredire, di utilizzare in profondità e per il bene tutte le facoltà cognitive e intellettive che egli ha ricevuto in dono. Qui siamo molto oltre anche il superomismo di Nietzsche. Si tratta oggi di una barbarie che viviamo dall’interno, non come i Romani del IV secolo che la vissero da nemici esterni. Vi invito a rileggere un libro del 1978 del filosofo John Senior , La morte della cultura cristiana. Io qui voglio suscitare un grido di allarme, che è anche un grido d’amore per l’uomo. Torniamo in noi, torniamo al reale. L’uomo civilizzato è orgoglioso di essere un erede!».
Molti hanno letto o leggeranno il suo libro in contrapposizione al pontificato attuale. D’altra parte il testo è dedicato sia a Benedetto XVI sia a Francesco, «figlio fedele di Sant’Ignazio». Dove sta la verità?
«La verità è che tanti scrivono non per testimoniare la verità, ma per opporre le persone le une contro le altre, per danneggiare i rapporti umani. A costoro non importa la verità. La verità è che coloro che mi oppongono al Santo Padre non possono presentare una sola mia parola, una sola mia frase o una sola mia attitudine a sostegno delle loro affermazioni assurde, direi diaboliche. Il Diavolo divide, oppone la gente, l’una contro le altre. La verità è che la Chiesa è rappresentata sulla terra dal Vicario di Cristo, cioè il Papa. E chi è contro il Papa è ipso facto fuori dalla Chiesa. Capisco che la società umana – e il mondo intellettuale in particolare – abbia bisogno di contrapposizioni per definire le posizioni in campo, quasi che non avesse altri termini di comprensione se non l’alternativa tra un “noi” e un “loro”. Cosa che mi pare un errore grossolano, per non dire diabolico. Ma la storia della Chiesa, con buona pace del demonio che vuole dividerla, è una storia lunga, di difficoltà certo, di divisioni anche, ma sempre tesa alla ricerca dell’unità in Cristo, pur nel rispetto delle differenze: è una storia che si basa sulla fede in un Dio che si è fatto uomo per condividere con ciascuno il cammino della vita e il peso delle sofferenze. Le altre sono speculazioni assurde. Aggiungo che ogni Papa è “giusto” per il suo tempo, la provvidenza ci vede benissimo, sa? La domanda è: quello che lei e io abbiamo ricevuto dai nostri padri è ancora valido per i nostri figli? E se sì, come fare perché essi se ne riapproprino nella loro esperienza? È la verità di queste evidenze che siamo chiamati a riscoprire, sia con le impareggiabili analisi di pensiero di Benedetto sia con la grande e solare operosità di Francesco. Nella ovvia differenza delle sensibilità, c’è una grande sintonia e una grande continuità tra loro, come tutti hanno potuto vedere in questi anni. Bisogna sempre interpretare le parole di Papa Francesco con l’ermeneutica della continuità. Così come vi era tra Giovanni Paolo II e Paolo VI. La storia della Chiesa è bellissima e ridurla al macchiettismo politico tipico dei talk show televisivi è una operazione di marketing, non una via di ricerca della verità».
Quando è cominciata la «notte oscura» della Chiesa? E perché è successo?
«Trovare un preciso termine a quo non è mai facile e nemmeno corretto. Ognuno avrà qualcosa da ridire e troverà il modo di spostare in avanti o indietro la data più gradita, anche a seconda delle letture “politiche” che se ne fanno. Mi pare però che i recenti Appunti di Benedetto XVI circoscrivano bene il problema: non è una lettura del ’68 o della pedofilia, come è stato erroneamente e falsamente scritto. Quello è un testo sulla crisi della fede che stiamo vivendo. Certamente possiamo dire che l’Illuminismo prima, e il ’68 poi, hanno accentuato e spinto il processo, ma ecco non mi fermerei a questo. La notte oscura inizia prima di tutto nell’anima dell’uomo, nella sua sfrenata ricerca di creare oggi un “umanesimo senza Dio”, nel quale dio sia l’uomo stesso, con le sue facoltà, il potere della scienza, le luci della tecnologia, le ricchezze di un’economia sempre più globalizzata e disumana. È la tentazione del Padrone del mondo, per citare un libro di Robert H. Benson caro al Papa Francesco, che si è impadronito della nostra coscienza. Addirittura tornano gli accenti millenaristici: “Sbrighiamoci, perché o salveremo il mondo noi o noi saremo gli ultimi abitanti della terra!”, si sente dire, anche dentro la Chiesa e tra sacerdoti che si sono fatti ingannare da pifferai che promettono soluzioni infallibili per propri interessi personali. È un’isteria incontrollata. Una volta che ci avventuriamo su queste strade, a che serve lo scandalo della Croce, a che serve testimoniare Gesù Cristo? Ricordiamoci di quali nefandezze sono state protagoniste le ideologie totalitarie del recente passato che promettevano il paradiso in terra per i propri seguaci. Una società ispirata dal Vangelo protegge i più deboli dalle conseguenze del peccato. Al contrario, una società tagliata fuori da Dio diventa rapidamente una dittatura e una struttura di peccato. Come si legge nel Vangelo di Giovanni: “In lui era la via e la vita era la luce degli uomini, la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo… eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,4-5. 9-11)».
Ricorre il suo timore per la dottrina messa in dubbio o annacquata. Ma non c’è il rischio di una lettura troppo rigida? Non è naturale che ci si interroghi sulla dottrina? Che la comprensione del Vangelo possa evolvere nel tempo?
«Se per comprensione intendiamo una interpretazione che cambia continuamente per adeguarsi ai tempi le rispondo: no. Il Vangelo è quello, e così la parola di Dio. Essi valgono sempre e per sempre, perché trascendono la storia e la vita terrena degli uomini. L’epistola agli Ebrei dice: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per secoli. Non siate fuorviati da dottrine diverse ed estranee. La Parola e la Dottrina di Gesù non cambiano” (Eb 13:8). “Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Is 40, 8). “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35; Mc 13,31; Lc 21, 33). La Chiesa o è profetica o non è Chiesa. Essa sta davanti alle fragilità dell’uomo, non per assecondarle, ma per accompagnare l’uomo nel suo cammino alla felicità, che passa anche per la Croce delle difficoltà, delle prove e per la sua radicale conversione. Per questo Gesù è venuto in mezzo a noi dicendo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15). Se poi vogliamo interrogarci sulla dottrina, ben venga, sarebbe strano se non lo facessimo: le domande innate nell’uomo sul proprio destino sono sempre aperte, ed è normale chiedersi se e che cosa stiano dicendo a me e a noi in questo tempo gli insegnamenti della Chiesa. Ma chiariamo: la dottrina non è la vetrina dell’antiquario, è un corpo vivo».
Che cosa intende?
«La dottrina non è un insieme di precetti moralistici, ma l’insieme degli insegnamenti che ci vengono dalle Scritture, dalla Parola di Dio e dalla Tradizione. Chi non lo capisce, forse, deve riscoprire cosa significhi essere cristiani e appartenere alla Chiesa, oggi. Il punto è che l’uomo non tollera di sentirsi dire cosa è giusto e cosa non lo è, perché come dicevo prima vuole determinarlo da se stesso, annichilendo la sua storia e la portata della sua identità. Ma la dottrina cattolica, in definitiva, è una persona! È Gesù nella sua Parola. Come possiamo pensare che il Vangelo sia espressione di qualcosa distaccato dalla realtà? O la nostra fede è fondata sull’incontro con una Persona, che è Dio fattosi uomo, attraverso suo Figlio Gesù, e quindi su una testimonianza che deve rinnovarsi ogni giorno per la morte e resurrezione quotidiana di Cristo, oppure la nostra fede è fallace ed è basata sugli idoli della modernità. Ma un padre o una madre che non indica al figlio la strada giusta, che padre è? E che madre è? Così si ritiene che l’apertura della Chiesa, a cui costantemente e giustamente ci richiama Papa Francesco, significhi la diluizione di ciò che noi crediamo nel pensiero della società contemporanea, che è secolarizzata e decadente. Ma Cristo non è venuto per assecondare la società, è venuto per salvare l’umanità dalla sua caduta, per portare la Verità e cambiare ciascuno di noi personalmente, nel profondo. La Verità e i dogmi di fede ci costringono ad alzare l’asticella, a puntare in alto, a vivere ogni giorno per diventare santi. Il relativismo è facile, perché nulla in esso ha valore e conta: porta al disimpegno dalla vita e, in sostanza, all’abbrutimento dell’uomo. Ripeto: la Chiesa entra in crisi quando, per compiacere il mondo e per rendersi accettabile, smette di essere profetica e si adegua al sentire comune o al pensiero dominante, che oggi è il relativismo».
Nel Sinodo sull’Amazzonia si parlerà anche dell’ipotesi di «viri probati». Nella Chiesa cattolica, dagli orientali agli anglicani tornati in comunione con Roma, un clero sposato esiste già. Ma Francesco, a gennaio, ha spiegato che non si tratta di questo e non avrebbe cambiato la disciplina del celibato nella Chiesa latina («Io non lo farò, è chiaro»): solo, si poteva studiare la possibilità di ordinare «anziani sposati» in «zone remotissime» che esercitassero solo il «munus sanctificandi», quindi «messa, confessione, unione degli infermi», senza funzione di guida né di insegnamento, i «munera regendi e docendi». Si vedrà. Ma perché questa ipotesi spaventa tanto alcuni?
«Non spaventa nessuno. La proposta è teologicamente assurda ed implica una concessione funzionalista del sacerdozio, in quanto pretende separare i tria munera (Santificandi, docendi e regendi) in totale contraddizione con gli insegnamenti del Concilio Vaticano (Lumen Gentium n° 20-22, Christus dominus n° 2, Presbyterorum Ordinis n° 4-6) e di tutta la Tradizione della Chiesa latina che ne stabilisce la loro unità sostanziale. E poi l’ordinazione presbiterale di uomini sposati significherebbe nella pratica mettere in discussione l’obbligatorietà del celibato in quanto tale. A questo proposito, forse va ricordata la frase di San Paolo VI, che Papa Francesco ha fatto sua nel discorso ad un gruppo di giornalisti, il 27 gennaio 2019: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del Celibato”. Ripeto: non c’è nessuno spavento. Il Sinodo studierà, poi il Santo Padre trarrà le conclusioni. La questione è un’altra: ovvero comprendere il senso della vocazione sacerdotale. Chiedersi perché non ci siano più persone disposte a dare tutte se stesse per Dio, per il sacerdozio e per la verginità. Invece si preferisce ragionare su escamotage, con la presunzione che questi possano aiutare a risolvere problemi più grandi e spesso di giustizia. Quante volte ho sentito dire: se i preti potessero sposarsi non esisterebbe la pedofilia. Come se non sapessimo che il problema, anzi il reato, riguarda soprattutto le famiglie, perché è lì che maggiormente avviene. Oppure: visto che non ci sono più vocazioni, mettiamo una pezza ampliando le opzioni per i laici. Questa è la presunzione degli uomini. E francamente non mi pare che le Chiese dove oggi il celibato sacerdotale non esiste siano molto più floride della Chiesa cattolica, se questo è lo scopo».
Perché il sacerdozio è in crisi?
«Sono convinto che la crisi del sacerdozio sia un elemento centrale della crisi della Chiesa: il nemico del sacerdozio oggi è l’efficientismo, la produttività, come se fossimo dipendenti di un’azienda. I sacerdoti sono stati evirati della loro identità. Sono stati portati a credere che dovevano essere uomini efficaci. Un sacerdote è fondamentalmente una continuazione tra noi della presenza di Cristo. Non deve essere definito da ciò che fa, ma da ciò che è: ipse Christus, Cristo stesso. Durante la Santa Messa il Sacerdote si trova faccia a faccia con Gesù Cristo ed in quel preciso istante, è identificato si è immedesimato in Cristo, divenendo non soltanto un Alter Christus, un altro Cristo, ma è addirittura Ipse Christus, lo stesso Cristo. Se veramente il Sacerdote è Cristo stesso, come immaginare di fabbricare, o ordinare sacerdoti “anziani sposati”? Questo sacerdozio non sarà un sacerdozio di Gesù Cristo, ma una fabbricazione umana, senza valore cristico. Ecco, è disperante che alcuni si incaponiscano invece nel voler rispondere con un legalismo a un problema che riguarda la fede e la vita: e questi “alcuni” sono poi gli stessi che il legalismo sono sempre pronti a contestarlo quando non sta bene. Perché viviamo questa situazione oggi? È questa la domanda che dobbiamo farci, ma è questa domanda che tutti vogliono rifuggire. Papa Francesco in maniera chiarissima ha già detto che non si possono attendere soluzioni di breve periodo solo per dare risposte immediate e succedanee. Il problema è la crisi della fede. I discepoli sono partiti in dodici: se ci affidiamo a ragionamenti numerici, nessun numero sarà mai sufficiente per giustificare e “riempire” l’orgoglio degli uomini».
Ma che ne pensa del Sinodo sull’Amazzonia?
«Ho sentito che alcuni vogliono fare di questo Sinodo un laboratorio per la Chiesa universale, altri hanno dichiarato che dopo questo Sinodo nulla sarà più lo stesso di prima. Se è vero, questo è disonesto e fuorviante. Questo Sinodo ha un obiettivo specifico e locale: l’evangelizzazione dell’Amazzonia. Temo che alcuni occidentali stiano confiscando questa assemblea per far avanzare i loro piani. Penso in particolare all’ordinazione degli uomini sposati, alla creazione di ministeri femminili o alla giurisdizione dei laici. Questi punti toccano la struttura della Chiesa universale. Approfittare per introdurre piani ideologici sarebbe una manipolazione indegna, un inganno disonesto, un insulto a Dio che guida la sua Chiesa e gli affida il suo piano di salvezza. Inoltre, sono rimasto scioccato e indignato dal fatto che il disagio spirituale dei poveri in Amazzonia sia stato usato come scusa per sostenere progetti tipici del cristianesimo borghese e mondano. È abominevole».
Scrive di aver voluto confortare i cristiani smarriti. A volte si ha l’impressione che i più smarriti, oggi, siano proprio i fedeli più rigorosi e assidui. Come se, mentre la Chiesa “in uscita” di Francesco si rivolge alle periferie e ai lontani, al “centro” si sentissero trascurati. Una situazione che ricorda la parabola del figliol prodigo e lo sconcerto del fratello maggiore, che ha sempre obbedito al padre e lo vede preparare il vitello grasso per il figlio che se ne era andato. Avverte questo smarrimento?
«Guardi, me lo faccia dire: qui il problema è che ci sono sacerdoti, vescovi e persino cardinali infedeli che mancano, e questo è altrettanto grave di altri peccati, di portare la verità di Cristo! Disorientano i fedeli cristiani con il loro linguaggio confuso, ambiguo e liquido. Dobbiamo avere il coraggio di tornare sui sentieri del combattimento spirituale: il combattimento della fede, come dice San Paolo a Timoteo, in quanto la nostra arma principale è la preghiera. Molti si sentono smarriti perché avvertono e sperimentano che la chiesa diventa una società per azioni o una Ong, che è esattamente il contrario di quanto dice Papa Francesco dall’inizio del proprio pontificato. Le diatribe tra il centro e la periferia interessano voi giornalisti: come prima, sempre alla ricerca di un “noi” e di un “loro”. La Chiesa non è questo! Vogliamo rendere la Chiesa una società umana e orizzontale. Vogliamo che parli una lingua mediatica. Vogliamo renderla popolare. Così i preti si spingono a non parlare di Dio e dello scandalo della croce di Gesù, ma a impegnarsi anima e corpo nelle questioni sociali: l’agricoltura, l’ecologia, il dialogo, la lotta contro la povertà, la giustizia e la pace. Non si parla più di Dio ma di migranti, di emarginati e di senza tetto!».
E ci mancherebbe, no?
«Si tratta di questioni importanti e vitali contro le quali la Chiesa non può chiudere un occhio. Ma nessuno è interessato a una chiesa del genere. “La Chiesa nel suo attuale slancio verso i valori della giustizia, dei diritti sociali se dimentica la sua anima contemplativa fallisce la sua missione e verrà abbandonata dai suoi fedeli perché non verrà riconosciuto in essa il suo specifico” diceva l’imam Yahya Pallavicini, Presidente del Coreis. La Chiesa è interessante solo perché ci permette di incontrare Gesù. La vera riforma è quella dello stile di vita dei sacerdoti. I sacerdoti devono sentirsi “perseguitati” dal desiderio di santità. A volte si ritiene che la storia della Chiesa sia segnata solo da riforme strutturali, che pure sono necessarie. Sono sicuro che sono i santi a cambiare la storia. Le strutture poi seguono e perpetuano solo l’azione dei santi. Perciò dico: le idee sulle riforme della società, su come indirizzare l’uomo a migliorare lo stile di vita o la cura del Creato, lasciamole al Papa, che le esprime benissimo, e noi lavoriamo per riportare i fedeli a Dio. Aggiungo: le problematiche sociali che affronta Francesco sono permeate e trovano la loro origine in Cristo, sempre. Ogni giorno il Papa parla di Gesù e dell’esperienza di un incontro personale con Cristo: ma quante volte i media le riportano? Non sono interessati, e così spesso i sacerdoti, perché è molto più facile fermarsi alle proprie categorie umane che aprire il cuore e chiedere “Dio, sono tuo, farò ciò che vuoi Tu”. Nel mio libro parlo di “ateismo liquido”. Si infiltra in tutto, anche nei nostri discorsi ecclesiastici. Consiste nell’ammettere accanto alla fede, modi di pensare e vivere radicalmente pagani e mondani. Dio non occupa il centro della loro vita, dei loro pensieri e delle loro azioni. La vita di preghiera non è più centrale. Sono convinto che i sacerdoti devono proclamare la centralità di Dio attraverso la loro vita. Una Chiesa dove il sacerdote non porta più questo messaggio è una Chiesa malata. E per tornare alla parabola del padre misericordioso da lei citata: mi dica, chi può sentirsi offeso perché il padre aspetta e accoglie il figlio che se n’era andato? O va a cercare la pecora smarrita? Chi? Solo chi è divorato dall’orgoglio e dalla pienezza di sé. Che segnale sta, invece, dando il Papa oggi! Lui, il pastore più in alto di tutti, che scende per andare a recuperare la pecorella, e non solo quella che si è persa, ma anche quella che nel recinto magari non ci è mai entrata e che, quindi, per natura, per educazione o per cultura è la più distante dalla Chiesa. È questa l’evangelizzazione. Ed è da questa testimonianza che tutti i sacerdoti dovrebbero essere ispirati, perché questo è vivere il Vangelo nella preghiera. Altro che l’efficientismo manageriale».

Corriere della Sera, 7 ottobre 2019