LUIGI GENINAZZI
I l vento impetuoso che sfogliava le pagine del Vangelo aperto sul feretro di Giovanni Paolo II è un’immagine che si è fissata per sempre negli occhi di milioni di persone accorse in piazza San Pietro per dare l’estremo saluto al Papa polacco o che seguirono le esequie in tv. «Quel vento soffia ancora», dice il cardinale Dziwisz, che non riesce a nascondere la propria commozione ogni volta che rievoca la figura di Karol Wojtyla, di cui è stato l’ombra fedele per quarant’anni. 'Don Stanislao' (così continua a farsi chiamare, con grande semplicità, l’arcivescovo di Cracovia) è sempre molto disponibile ed il breve colloquio che gli avevamo chiesto diventa, come sempre, una lunga conversazione dove i ricordi di ieri s’alternano alle riflessioni sull’oggi.
Eminenza, in quel vento così inusuale tutti videro un simbolo della straordinaria forza spirituale del pontificato wojtyliano. Che cosa resta a cinque anni dalla sua scomparsa?
La catena ininterrotta di fedeli che sostava in preghiera davanti alla salma di Giovanni Paolo II non si è fermata, ogni giorno la sua tomba è meta di un continuo pellegrinaggio. E quando vado in diverse parti del mondo noto che la sua figura è ancora viva: la gente vuole sentire parlare di lui, vuole approfondire il suo insegnamento. Certo, la storia va avanti ed i fedeli nutrono grande stima ed affetto per Benedetto XVI. Ma non dimenticano il suo predecessore.
Qual è l’immagine di Giovanni Paolo II che più le torna alla mente in quest’anniversario?
Quest’anno ha un significato tutto speciale perché coincide con il Venerdì Santo. E subito viene in mente la sua ultima Via Crucis cui non poté partecipare e che seguì dalla cappella privata. Stava idealmente con la folla al Colosseo, ma il suo sguardo era rivolto al Crocifisso. Lo videro tutti in tv, ripreso di spalle, piegato dalla sofferenza e immerso nella preghiera. E tutti capirono che stava offrendo il suo sacrificio unendolo a quello di Cristo. In quell’ultima Via Crucis c’era il riassunto di tutta la sua vita, di tutto il suo ministero pastorale. Aveva iniziato il pontificato invitando ad aprire le porte a Cristo; lo concluse aprendo le porte del mondo a Cristo crocifisso. Dobbiamo tornare a riflettere su questo. Soprattutto oggi, nel momento in cui la Chiesa vive una profonda sofferenza.
Si riferisce allo scandalo dei preti pedofili?
Quando scoppiò il caso negli Stati Uniti, nei primi anni Duemila, Giovanni Paolo II affrontò il problema con decisione, facendo tutto quello che si doveva fare in collaborazione con le autorità giudiziarie civili. Benedetto XVI si muove sulla stessa linea e la sua lettera ai vescovi irlandesi rappresenta una risposta forte, coraggiosa ed efficace. Dobbiamo rendere giustizia alle vittime, anche se riguardano casi del passato. Ma allo stesso tempo dobbiamo difendere l’immagine della Chiesa che viene sottoposta ad attacchi feroci e ingiustificati fino a coinvolgere lo stesso Santo Padre. In questo vedo un certo parallelismo con quel che avvenne qui in Polonia tre anni fa.
Allude al caso Wielgus ed alle polemiche ne seguirono?
Ci fu una bufera mediatica che investì la Chiesa con accuse a vescovi e sacerdoti che avrebbero collaborato con il regime comunista. L’episcopato condusse un serio esame ed alla fine si accertò che i casi di collaborazionismo furono pochissimi, ed alla Chiesa fu restituito il suo onore. E così succederà anche dopo la prova di questi giorni, ne sono sicuro.
Su Karol Wojtyla continuano ad uscire libri con aneddoti, ricordi ed episodi, in una sorta di gara della memoria fra chi l’ha conosciuto e gli è stato vicino. Che cosa ne pensa?
Vede, è sempre successo che attorno a grandi personaggi nascessero delle leggende. In fondo sono una testimonianza dell’amore e dell’attaccamento nei riguardi di Giovanni Paolo II.
E lei come valuta queste leggende?
Le considero alla stregua dei fioretti, come quelli di san Francesco. Ecco, sono i fioretti di Giovanni Paolo II!
È vero che papa Wojtyla s’infliggeva punizioni corporali?
Personalmente, non posso né confermare né smentire. Però non lo escludo. Era molto severo con se stesso: praticava digiuno e penitenza durante la Quaresima ed anche in altre occasioni, ad esempio alla vigilia delle consacrazioni episcopali. Questa prassi ascetica era la forza nascosta del suo ministero pastorale.
C’è grande attesa per la beatificazione di Giovanni Paolo II, che però non sembra così imminente come molti speravano. Non è un po’ eccessiva questa fretta?
È un desiderio apparso fin dall’inizio con quel grido «Santo subito!» che abbiamo udito durante il funerale di Giovanni Paolo II. Ma questo desiderio non è in contraddizione con il rispetto delle procedure e dei tempi richiesti dal processo canonico. L’ho sempre detto: noi non intendiamo assolutamente mettere fretta a Benedetto XVI, cui spetta la decisione finale. Quando lo annuncerà saremo felicissimi. Ma la scelta della data e delle modalità dipende solo dal Papa, che gode dell’assistenza dello Spirito Santo.
Secondo un giornale polacco, sarebbero sorti dubbi sul miracolo preso in esame dalla commissione medica, riguardante la guarigione della suora francese malata di Parkinson...
Non lo so, non faccio parte della commissione medica né di quella teologica. Comunque, abbiamo notizia di moltissime guarigioni e di grazie ricevute per intercessione di Giovanni Paolo II. Certo, i tempi s’allungherebbero ulteriormente se si rendesse necessario l’esame di un altro caso. Ma è un’ipotesi che non voglio prendere in considerazione. Stiamo ai fatti, io sono molto fiducioso.
© Copyright Avvenire 28 marzo 2010