DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Liberale e conservatore. Qui Vargas Llosa si spiega bene, e si capisce che gli accademici del Nobel hanno scelto per sbaglio quello giusto

di Amy Rosenthal
Tratto da Il Foglio dell'8 ottobre 2010

In occasione del Nobel per la Letteratura assegnato ieri a Mario Vargas Llosa, pubblichiamo quest’intervista con lo scrittore peruviano uscita sul Foglio il 4 ottobre del 2008

Scrittore, intellettuale ed ex candidato alla presidenza del Perù, Mario Vargas Llosa è una delle voci più importanti e autorevoli dell’America Latina. Nei suoi romanzi, ha denunciato le carenze e i difetti della nostra società e ha messo a nudo il decadimento morale e l’oppressione di coloro che hanno in mano il potere politico. “Conversazione nella Catedral” (Einaudi, 1998) è ambientato nel periodo della tirannica dittatura dell’ex presidente Manuel A. Odría; il suo capolavoro, “La guerra della fine del mondo” (Einaudi 1992), racconta le vicende della guerra di Canudos, nel Brasile del XIX secolo, quando gli adepti di un culto millenaristico armato resistettero per mesi all’assedio dell’esercito nazionale.

In quest’intervista esclusiva per Il Foglio, Vargas Llosa ci parla con estrema schiettezza della sua recente raccolta di sette saggi, pubblicata quest’anno dalla Harvard University Press con il titolo di “Wellsprings”. Questi saggi sono dedicati a una riflessione sugli autori e i pensatori che lo hanno maggiormente influenzato, sulla persistente difficoltà che hanno i latinoamericani nel distinguere tra realtà e irrealtà e sulla sua personale passione per la letteratura e la politica.

Cominciamo con il saggio sul Don Chisciotte di Cervantes. Vargas Llosa scrive: “Per quattro secoli di storia, centinaia e centinaia di lettori di lingua spagnola hanno deciso che Don Chisciotte esprime in modo più intenso e fedele di qualsiasi altra creazione letteraria ciò che siamo, ciò che pensiamo, ciò che creiamo e ciò in cui crediamo”. Sottolineando la straordinaria influenza che ha sempre esercitato il Don Chisciotte su tutti gli autori che scrivono in spagnolo, Vargas Llosa ci spiega: “Don Chisciotte rappresenta l’individuo più perfetto di tutta la cultura spagnola. Quando si trova costretto a una scelta tra il mondo reale e il mondo ideale, sceglie quello ideale. Al centro stesso delle tragedie di Don Chisciotte, e di tutte le sue drammatiche esperienze, sta la sua incapacità di accettare il mondo così com’è, cosa che lo porta all’ossessiva mania di sostituire il mondo reale con una costruzione puramente mentale, morale e letteraria. Fatto davvero strano, ciò che più ammiriamo in Don Chisciotte è proprio la sua assoluta incapacità di essere una persona realistica. Penso che questo spieghi perché, nel corso degli ultimi quattro secoli, abbiamo avuto non soltanto molti straordinari pittori, musicisti, poeti e scrittori, ma anche altrettanti politici assolutamente incapaci”. Vargas Llosa fa una pausa, e poi ci dichiara solennemente qual è, a suo giudizio, la principale ragione di tutte le difficoltà e le tribolazioni del mondo di lingua spagnola: “La nostra preferenza per l’irrealtà è precisamente ciò che spiega perché abbiamo fallito sul piano storico, sociale ed economico”.

Vargas Llosa aggiunge che coloro che “preferiscono l’irrealtà” rimangono abbagliati dalla fanatica personalità di Don Chisciotte. E spiega: ”Don Chisciotte è animato dalla visione del tipico credente dogmatico. E’ il detentore assoluto della verità, incapace di imparare dai propri errori, di avere dubbi, o di accettare che la ragione e l’intelligenza possono essere talvolta strumenti migliori della fede e della passione per comprendere la realtà. E per quanto la sua visione sia magnifica e piena di altruismo, è pur sempre irrealistica”. Quale insegnamento i politici possono trarre da Don Chisciotte? “Che non è un buon modello per un politico, ma una figura mitologica, che si può ammirare soltanto da lontano”. Perché? “Don Chisciotte è l’antitesi stessa di un buon politico, il quale deve essere una persona pratica, avere buon senso, essere flessibile e tollerante, e saper fare concessioni per raggiungere un consenso”. D’accordo, e osservando il mondo di questi ultimi anni, qual è il politico che assomiglia di più alla figura del Don Chisciotte? “Beh, per molti, troppi, anni un sinistro Don Chisciotte sulla scena mondiale è stato Fidel Castro. Un fanatico, privo di ogni realismo. Ha distrutto il proprio paese con la sua visione ideologica del mondo – e a che scopo?”.

Sentendolo menzionare Fidel Castro, il pensiero va al saggio “The Challenges of Nationalism”, nel quale Vargas Llosa ha scritto: “Le sfide culturali che l’America Latina deve affrontare sono troppo importanti per permetterci di inventare difficoltà immaginarie, come delle potenze straniere che cercano di attaccarci e distruggere la nostra cultura. Non dobbiamo soccombere a queste manie di persecuzione o alla demagogia di politici di basso livello convinti che ogni mezzo sia lecito nella loro lotta per il potere”. Alla domanda se per caso aveva in mente il presidente venezuelano Hugo Chávez mentre scriveva queste parole, Vargas Llosa risponde: “In un certo senso sì, perché, pur non avendolo in mente mentre scrivevo, Chávez si adatta perfettamente a questa descrizione. E’ un dittatore e quello che vuole fare è chiaro a tutti. Sta cercando di distruggere il sistema democratico del suo paese per rimpiazzarlo gradualmente con un regime autoritario. La mia speranza è che il populismo, che purtroppo sta riapparendo sulla scena, non riesca a vincere la battaglia, perché questo significherebbe il ritorno a un passato estremamente tragico per gli abitanti dell’America Latina, in particolare per quelli più poveri. Auguriamoci che tutti i dittatori come Chávez, che promuovono un modello autoritario e anacronistico, non riescano a prevalere sul modello democratico, liberale e moderno”.

In un altro saggio, “The Fictions of Borges”, Vargas Llosa ricorda la “sensazione di adulterio” e di “tradimento” nei confronti di Sartre che aveva provato leggendo da giovane le opere dello scrittore argentino. Vargas Llosa fa una piccola risata e poi ci dice, con una certa nostalgia: “Sì, negli anni Cinquanta ero un grande ammiratore di Sartre e delle sue idee sull’‘intellettuale impegnato’ e la ‘letteratura impegnata’ – il celebre écrivain de gauche. Pensavo che uno scrittore avesse la responsabilità morale e politica di partecipare al dibattito civile, e che il mondo potesse essere migliorato grazie al potere della letteratura e della storia. Tuttavia, Borges rappresentava l’antitesi di questa concezione. Borges era quello che chiamavamo un “escritor evadido” – uno scrittore non interessato alla politica o ai problemi sociali, che si ritirava dal mondo che lo circondava per rifugiarsi in un mondo di erudizione e fantasia”. Vargas Llosa sottolinea a questo punto quanto fosse problematico Borges per i giovani della sua generazione, innamorata del marxismo. “Borges non si permetteva soltanto di trattare ironicamente i dogmi e le utopie della sinistra, ma spinse il suo iconoclasmo fino all’estremo, entrando nel Partito conservatore argentino e spiegando la sua scelta con la dichiarazione che ‘i gentiluomini preferiscono le cause perse’. Ciononostante, tutte le volte che leggevo Borges ero così sedotto e affascinato dalla bellezza della sua prosa, dalla originalità delle sue storie e dall’eleganza del suo stile che non potevo fare a meno di ammirarlo”. E aggiunge: “Era per me un profondo conflitto ammirare uno scrittore così diverso da tutti gli autori che al tempo ritenevo si dovessero ammirare”.

In effetti, la traiettoria politica di Vargas Llosa ha subito una svolta radicale rispetto alla direzione che seguiva nella sua gioventù. Originariamente un autoproclamato uomo di “sinistra”, che aveva inizialmente appoggiato il governo rivoluzionario di Castro, si è gradualmente spostato verso destra, pur opponendosi sempre a qualsiasi regime autoritario, di destra come di sinistra. Ecco cosa ci dice in proposito lo stesso Vargas Llosa: “Quando ero giovane mi consideravo un socialista. Ma avevo una visione molto ingenua del socialismo. Pensavo che il socialismo avrebbe liberato l’America Latina e il terzo mondo dall’oppressione e dalla povertà, permettendo l’affermazione della giustizia sociale e della libertà politica”. Dopo una lunga pausa, aggiunge: “Ma poi, a poco a poco, ho iniziato a riconoscere il suo vero volto, soprattutto dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, l’imprigionamento del dissidente cubano Herberto Padilla nel 1971 e le testimonianze dei dissidenti sovietici come Alexander Solzhenitsyn”. Questi eventi lo hanno spinto non soltanto ad abbandonare la sua “visione idilliaca e utopica del socialismo sovietico” ma sono stati fondamentali anche per l’evoluzione complessiva del suo pensiero politico.

Vargas Llosa attribuisce il suo profondo desiderio di libertà almeno parzialmente al suo “cosmopolitismo”. Tuttavia, per colpa di quest’affermazione, alcuni latinoamericani lo hanno accusato di essere un elitario e superbo intellettuale “europeizzato”. Un’analoga accusa era stata mossa contro Borges, il che ha spinto Vargas Llosa a porsi la seguente domanda: “Le opere di Borges sarebbero state possibili senza una ‘dipendenza dalla cultura straniera’?”. La domanda vale anche per le sue opere. Scuotendo la testa, Vargas Llosa risponde: “No, non credo che avrei potuto scrivere ciò che ho scritto se non avessi viaggiato e risieduto all’estero, in Francia, Inghilterra e Spagna. Tutto ciò ha avuto un’importanza fondamentale per la mia opera, come anche per la prospettiva che mi ha permesso di avere sul mio paese e il mondo. Se fossi rimasto in Perù probabilmente la mia visione del Perù e dell’America Latina sarebbe stata più limitata e provinciale”.

Uno scrittore di cultura ispanica ingiustamente trascurato è, secondo Vargas Llosa, il filosofo liberale José Ortega y Gasset. Nel saggio che gli ha dedicato, Vargas Llosa afferma coraggiosamente che “è giunto il momento che tutti conoscano Ortega y Gasset e diano alla sua opera il giusto riconoscimento che si merita”. Poi spiega: “Soprattutto, grazie a lui possiamo comprendere che – contrariamente a quanto sostengono tutti coloro che vogliono ridurre il liberismo a una semplice ricetta economica per libero mercato, basse tariffe e privatizzazione del commercio – il liberismo è fondamentalmente un atteggiamento verso la vita e la società fondato sulla tolleranza e la coesistenza, nonché sul rispetto per la ricca storia e la specifica esperienza delle varie culture e la tenace difesa della libertà”. Secondo Vargas Llosa, queste idee di Ortega y Gasset, che fascisti e marxisti avevano unanimemente disprezzato negli anni Trenta e Quaranta, hanno saputo resistere alla prova del tempo. “Anziché ignorarlo, la storia moderna lo dovrebbe ricordare come il più brillante e profondo pensatore che la Spagna abbia dato alla cultura laica e democratica”.

L’ammirazione per Ortega y Gasset può forse contribuire a spiegare il motivo per cui lui stesso – cittadino spagnolo dal 1993 – abbia deciso di non appoggiare più il Partito popolare di José Maria Aznar e di dare invece il proprio sostegno al nuovo Partito per l’unione, il progresso e la democrazia (Udp), che ha ottenuto l’1, 2 per cento dei voti nelle elezioni generali dello scorso marzo. Vargas Llosa ci dice di avere preso tale decisione perché questo nuovo partito incarna più autenticamente i principi in nome dei quali lui combatte le proprie battaglie: “Sebbene nel Partito popolare ci siano molte cose che condivido, come, per esempio, il fatto che è un partito liberale a favore del mercato e della globalizzazione, rimane pur sempre un partito conservatore sulle questioni morali e sociali”. Vargas Llosa sottolinea di non essere un conservatore ma un liberale e precisa con grande schiettezza: “Sono a favore del matrimonio gay, dell’aborto e della separazione tra stato e chiesa. Le stesse cose, sfortunatamente, non si possono dire del Partito popolare. Di conseguenza, sono entrato nell’Udp, perché, nonostante le sue modeste dimensioni, difende le questioni sociali che più mi stanno a cuore”.

Un altro filosofo europeo che va posto allo stesso livello di Ortega y Gasset è, secondo Vargas Llosa, Isaiah Berlin. “Le sue idee filosofiche e politiche sono illuminanti e istruttive – ci dice con entusiasmo – perché è stato uno straordinario pensatore democratico, che ha difeso le migliore tradizione della cultura occidentale: la tolleranza, lo coesistenza nella diversità, l’autocritica, il rispetto per gli altri; allo stesso tempo, non ha mai dimenticato che gli esseri umani sono più importanti degli ideali. Questi ultimi, secondo Berlin, dovevano superare la ‘prova della realtà’; e se non la superavano dovevano essere scartati, e non bisognava invece carcare di cambiare la realtà”. Secondo Vargas LLosa, il “pragmatismo” di Berlin e la sua “convinzione morale” – ossia che non si può separare la moralità dalla politica – hanno dato un contributo decisivo all’affermazione di un “liberalismo realistico e moderato”.

Tornando al tema di realtà e finzione nell’America Latina, Vargas Llosa è convinto che l’America Latina sia un continente in cui il letterario e il politico sono inestricabilmente connessi. E spiega: “Siamo ancora vittime di ciò che potremmo definire la vendetta del romanzo. Per tutti i trecento anni di dominio coloniale spagnolo in America Latina, i romanzi erano considerati pericolosi ed erano proibiti. Penso che gli inquisitori non si sbagliassero in questo, perché l’immaginazione e la fantasia dei romanzi sono sempre un pericolo per tutti coloro che vogliono avere il completo controllo sulla società. Detto questo, qual è stato il risultato di questa proibizione?”. Il risultato è stato che in America Latina la fiction ha investito tutto. “Non potendosi esprimere nei romanzi, che ne sono il suo naturale veicolo, la fiction ha impregnato la religione, la politica, la scienza e praticamente ogni altra cosa, con effetti catastrofici. Ancora una volta, come ho già detto a proposito di Don Chisciotte, penso che sia importante non soltanto avere successo nelle questioni sociali, economiche e politiche, ma anche avere una chiara comprensione di come è fatto veramente il mondo reale. Ma se si vive in una totale confusione tra fiction e realtà, che cosa si ottiene? L’America Latina”.

Da uomo con una grande passione per la letteratura e la politica, Vargas Llosa sposta la conversazione sul tema delle elezioni presidenziali americane. Alla domanda su quale dei due candidati sarebbe migliore per l’America Latina, Vargas Llosa risponde senza esitare: “Come latinoamericano voterei per Obama. Sono convinto che un uomo di colore e di origini modeste alla Casa Bianca sarebbe la migliore dimostrazione che l’ ‘American Way of Life’ non è un mito ma una realtà. La vittoria di Obama servirebbe a confermare che l’America è veramente la terra delle opportunità”.

Prima di congedarci non possiamo fare a meno di domandare a Vargas Llosa che cosa è successo tra lui e lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez. Un tempo erano amici, ma non si parlano più da ormai trent’anni. “No, no, non ho intenzione di parlare di questo”, esclama Vargas Llosa. Sembra che debba restare il mistero sul motivo della violenta spaccatura apertasi tra i due scrittori al Palacio de Bellas Artes di Mexico City nel 1976, quando Vargas Llosa tirò un pugno in faccia a García Marquez. Rimaniamo così a domandarci se la ragione della loro litigata era politica, letteraria o semplicemente personale.