DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

E zoppicando partì alla ventura. Ignazio di Loyola da soldato a cavaliere (per il Regno) di Di Alain Besançon

Tratto da L'Osservatore Romano del 13 marzo 2011

Come definire questo libro straordinario? Una biografia, un'agiografia, una meditazione spirituale? È tutto ciò allo stesso tempo, ma è la meditazione a sostenere l'intero racconto.

In Inigo, portrait di François Sureau (Paris, Gallimard, 2010, 154 pagine) la biografia si riduce a due anni della vita di sant'Ignazio, dalla battaglia di Pamplona alla partenza da Manresa, ossia dal 1521 al 1523. Ignazio (Inigo), cadetto di una rispettabile famiglia dei Paesi Baschi, poco ricca, poco illustre, si è messo al servizio della corona di Spagna, con il titolo di paggio del viceré di Navarra. Ha condotto la vita di un cortigiano. Abbastanza dissipata, ma né più né meno di quanto si confaceva alle usanze del suo stato. Sarà in seguito che si renderà conto di quanto si è allontanato da Dio.

In quella corte si è distinto per la pertinenza dei giudizi e l'intelligenza dei consigli che ci si aspettava da lui. Si trova nella fortezza di Pamplona quando questa viene attaccata dall'esercito del re di Francia, molto più potente. Inigo, contro ogni buon senso, consiglia di resistere e convince il governatore a farlo. È accettare una battaglia eroicamente persa.

François Sureau, che conosce la vita e l'onore militari, lo descrive in modo splendido. Si diletta nel mostrarci il mondo dei soldati, il Tercio (l'invincibile fanteria di Castiglia), i mercenari, i lanzichenecchi, i cavalieri. Poi racconta con precisione professionale le operazioni di assedio, l'artiglieria che abbatte le mura, l'apertura di una breccia, l'assalto respinto, poi vittorioso. Il racconto è bellissimo. Mi ricorda le pagine classiche della letteratura militare francese, il Mérimée di L'enlèvement de la redoute, l'Hugo del Cimetière d'Eylau.

Ignazio, che è alla sua prima esperienza di battaglia, mostra di avere la stoffa di un grande capitano. Una palla di cannone gli rompe una gamba, frattura aperta per la quale, a quanto pare, Ignazio deve morire. Non muore, ma deve rinunciare alla vita militare e alla vita di corte. Riportato con grande sforzo nel suo castello natale, si rende conto che la sua tibia si sta rinsaldando male. Ordina a dei medici incompetenti di rompergli nuovamente la gamba. È un massacro, ma non si lascia sfuggire neanche un lamento. Rischia nuovamente di morire.

Costretto a letto, ripercorre la sua vita. Gli danno dei libri, dei romanzi cavallereschi, Amadigi di Gaula l'entusiasma, come in seguito lo inebrierà Don Chisciotte, ma anche la Legenda Aurea e la Vita di Cristo di Ludolphe le Chartreux.

Il suo esame di coscienza ha inizio, doloroso, pieno dello spettacolo dei suoi peccati passati e delle sue mancanze presenti. S'innamora di Gesù Cristo. Si congeda dal viceré e parte, zoppicando, alla ventura, perché non sa che cosa vuole, o piuttosto perché non sa che cosa Dio vuole da lui.

Da questo momento la biografia si trasforma in agiografia. François Sureau si conforma al canone della vita dei santi. Solo Dio sa quanti libri hanno raccontato la nascita d'Ignazio alla vita di santità. Il cammino è stato per lui eccezionalmente erto. Si spoglia dei suoi vestiti da cavaliere, del suo atteggiamento da cortigiano, si mette l'abito del pellegrino, presto assume l'aspetto di un vagabondo straccione e irsuto, ma non sa ancora dove andare.

Trova aiuto spirituale nell'abbazia di Montserrat, presso un monaco francese dotato di grande tatto, ma continua a cercare la sua strada. A Manresa si sfinisce con digiuni, penitenze, schiacciato dai suoi errori, tormentato dagli scrupoli. È accolto in ospedale dove gli vengono affidati i compiti più umili. Supplica Dio di illuminarlo.

Ma Dio tace. Tace al punto che Ignazio non può più pregare, non può più credere, non può più addirittura pensare né parlare. Come tanti santi, è piombato in una tenebra così spessa da essere al limite della disperazione. È tentato di abbandonare tutto, di tornare sconfitto a Loyola. E poi un bel giorno viene liberato. Diviene allora sant'Ignazio, sempre soldato, grande capitano, ma in vista del Regno. Diviene il Generale dell'Ordine che, secondo le sue minuziose istruzioni, ricostruirà la Chiesa cattolica, e le cui lettere, dieci mesi dopo essere state spedite, vengono lette in Giappone da Francesco Saverio in ginocchio.

Visti dall'esterno, l'apertura d'Ignazio e gli inizi della Compagnia ricordano un romanzo cavalleresco. Eppure François Sureau ha cancellato tutto ciò che poteva dare un tono pittoresco o un carattere barocco a questa avventura. Preferisce l'Ignazio grigio, sobrio fino all'estremo, gentile senza orpelli, che muore nella sua cella. Il suo fine non è di raccontare ancora una volta la vita di questo santo, ma di scoprire l'interiorità invisibile di un'anima che, prima di trovare la pace, ha attraversato, senza darlo a vedere, molte prove e tormenti. È di seguire per quanto possibile un itinerario spirituale segreto.

François Sureau ha messo il suo talento di scrittore ai piedi del maestro, come se cercasse di santificare il proprio atto letterario. Ciò ricorda Chateaubriand che pretendeva di aver scritto la Vita di Rancé come una penitenza imposta dal suo direttore. Ma Sureau, che non pretende nulla di simile, è più rigoroso, più onesto, più puro. Il suo stile teso, semplice, è allo stesso tempo aperto e segreto, sapendo che sarà veramente chiaro solo per i lettori decisi a seguire i suoi passi.

Di fatto l'intero libro è un "esercizio" conforme agli esercizi di sant'Ignazio. Se ne esce edificati, se si accetta di esserlo. Questo tipo di opera è rara ovunque, in Francia più che altrove. Lascia lo spirito soddisfatto e il cuore gioioso.