DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il sangue dei martiri che sconfisse il comunismo



Secondo lo storico George Weigel, quella sferrata contro la Chiesa fu una vera e propria guerra tra due concezioni opposte del mondo. A decenni di distanza di quella tragedia non va persa la memoria

di Luca Marcolivio

La parola “martirio” non è un concetto da relegare all’immaginario della Chiesa delle origini. Esso caratterizza ogni momento ed ogni epoca del cristianesimo ed oggi ne abbiamo un drammatico riscontro nel continente asiatico, in particolare in Medio Oriente. Il secolo scorso, del resto, ha segnato un drammatico ritorno delle persecuzioni anticristiane, il cui momento più emblematico è proprio quello dell'oppressione dei regimi totalitari, nelle loro varie forme.

La maggior parte di tali martirii si è verificata sotto i regimi comunisti. L'argomento è stato affrontato dallo storico e teologo George Weigel, biografo di papa Wojtyla, che in questi mesi sta affrontando in modo sistematico il tema, attraverso un ciclo di letture negli Stati Uniti e in Europa, dal titolo The Communist War Against the Church. New Evidences from the Past and Lessons for the Future. “Ventuno anni dopo il crollo del Muro di Berlino – afferma Weigel – la memoria di tutto ciò sta svanendo”. Eppure stiamo parlando di una vera e propria guerra che messo in campo spie, talpe, agenti segreti, propaganda, disinformazione, fino alla soluzione finale dei gulag.
Un notevole contributo di notizie inedite proviene dal ben noto “archivio Mitrokhin”: a questa ed altre fonti Weigel ha attinto per la sua ultima biografia di Giovanni Paolo II, The End and the Beginning. Pope John Paul II – The Victory of Freedom, the Last Years, the Legacy, uscita negli USA lo scorso settembre. “La guerra del comunismo contro la Chiesa Cattolica – spiega Weigel - i modi in cui fu condotta, le forme di resistenza ecclesiale (alcune fallimentari, altre di successo) rappresentano un importante monito per il futuro, oltre che un contributo alla chiarificazione del passato. Sin dalla Rivoluzione d'Ottobre, la Chiesa ha rappresentato per i sovietici una ‘minaccia mortale per i propri programmi ed interessi’”. Se da un lato gli USA erano il principale avversario militare e politico, il Vaticano rappresentava il principale avversario ideologico, nonché principale ostacolo nell'esportazione degli ideali marxisti, nel Terzo Mondo, in particolare in America Latina.
A fronte di ciò la menzogna dei sovietici fu clamorosa: per tutta la Guerra Fredda, il Cremlino negò sempre, finanche nei rapporti diplomatici con la Santa Sede, qualsiasi persecuzione nei confronti dei cristiani d'oltrecortina. Mentendo e sapendo di mentire i ministri degli esteri sovietici affermavano costantemente che nel loro paese la libertà religiosa era tutelata. Negli ultimi anni della Guerra Fredda, peraltro, furono soprattutto i servizi sovietici ad alimentare la leggenda nera di papa Pio XII antisemita e connivente con i nazisti. Distruggere la reputazione della Chiesa Cattolica e del suo massimo rappresentante era l'unica strada per far trionfare il socialismo reale.
I primi trent’anni di comunismo si caratterizzarono per una più o meno tenace resistenza da parte delle chiese nazionali: emblematiche, in tal senso, sono figure come quella del cardinale ucraino Josyf Slipyi, per quasi vent’anni prigioniero nei gulag, o di monsignor Alojzije Stepinac, controverso vescovo croato, considerato un martire dagli anticomunisti e un fascista dai comunisti, in quanto presunto colluso con il regimeustasha. In questa prima fase storica la figura “vincente” è tuttavia soprattutto quella del primate di Polonia, Stefan Wyszyński, testimone della fede in un paese inossidabilmente cattolico, che è riuscito a resistere all’ortodossia, al protestantesimo e, nell’ultimo secolo, a nazismo e comunismo.
Negli anni ’60 la convocazione e lo svolgimento del Concilio Vaticano II, con l’arrivo a Roma di numerosi vescovi d’oltrecortina, rappresentò una ghiotta occasione per il KGB, la Stasi, il SB e tutti i servizi segreti dei regimi comunisti europei per assumere un controllo più incisivo del Vaticano dall’interno. La ostpolitik di papa Giovanni XXIII, spinse ad una strategia di prudenza nei confronti dell’avversario, che in tante occasioni si dimostrò abile nella sua opera di corruzione di numerosi prelati e funzionari curiali.
Nel 1978 l’elezione al soglio pontificio del cardinal Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia e degno discepolo di Wyszyński, sparigliò le carte in tavola. Già dagli anni ’50, Wojtyla era considerato una vera e propria mina vagante per la stabilità del comunismo in Polonia. Diventato pontefice, Giovanni Paolo II, ben consapevole che i servizi segreti comunisti erano ben radicati in Vaticano, mutò strategia: “I documenti che concernevano la Polonia ed altri affari delicati – afferma Weigel – non venivano più affidati alla Segreteria di Stato ma mantenuti all’interno dell’appartamento papale, al riparo da speculazioni”. Quel papa slavo era ritenuto un “sovversivo”, responsabile di una “lotta ideologica”, mirata a danneggiare i regimi socialisti. Il fallito attentato alla vita del pontefice del 13 maggio 1981 non rappresentò affatto la fine della guerra del comunismo alla Chiesa. Pochi mesi dopo, infatti, in Polonia viene proclamata la legge marziale e la repressione si intensifica. Tra i martiri di questo difficile passaggio figura Jerzy Popiełuszko, cappellano di Solidarnosc, uno dei sacerdoti polacchi più fedeli al papa e più tenacemente anticomunisti. La guerra era totale e senza tregua.
La prima lezione che si può trarre da questa storia è che “Cattolicesimo e comunismo – afferma Weigel - offrivano al mondo due visioni radicalmente diverse della natura umana, della comunità umana, delle origini umane e del destino umano”. In altre parole: erano incompatibili al cento per cento. Ed è proprio da questa incompatibilità che scaturì la strategia di Giovanni Paolo II, secondo il quale era in corso una vera e propria lotta tra il Bene e il Male e il perseguimento di una vittoria della libertà sulla tirannia era qualcosa di molto più lungimirante che non una politica di compromesso e di un’evoluzione in senso socialdemocratico di entrambi i blocchi.
Quello della libertà religiosa rimane un problema aperto in molti paesi comunisti, post-comunisti (Cina, Vietnam, Corea del Nord, Cuba) o islamici, i cui regimi, in modo neanche troppo velato, si ispirano al nazismo o al leninismo. La storia, però, ci ha insegnato che “l’appeasement non funzionò né con Napoleone, né con i regimi anticlericali spagnolo o messicano e nemmeno nell’Austria, dopo l’Anschluss nazista”, afferma Weigel. Basta anche guardare alle condizioni in cui versano le comunità cattoliche nell’Europa dell’Est: in Repubblica Ceca e in Ungheria, dove l’acquiescenza dei vescovi ai regimi totalitari raggiunse i suoi massimi livelli, la chiesa è in profonda crisi. Esattamente il contrario di quanto avviene in Lituania, Ucraina e, soprattutto, in Polonia.
L’altra grande lezione per il futuro concerne i rapporti tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa russa, nonché tra Vaticano e Russia. La chiesa di Roma e quella moscovita sono infatti unite dallo straordinario numero di martiri che hanno versato il sangue durante il comunismo. Ed è proprio il sangue dei martiri, anche nella nostra epoca, il seme della vittoria cristiana. “Il loro sacrificio – conclude Weigel – e ciò che possiamo impararne sulla virtù della fortezza (cioè, il coraggio) non dovranno mai essere dimenticate”.