di FABRIZIO BISCONTI Sembra declinarsi al femminile il pellegrinaggio in Terra Santa nel momento paleocristiano, se si esclude il pellegrino di Bordeaux, che si recò presso le memorie dell'Antico e del Nuovo Testamento nel 333. Per il resto, infatti, emergono i nomi di donne illustri, tra le pellegrine, che avevano deciso di affrontare il lungo e faticoso viaggio verso i luoghi santi: da Melania a Paola e a sua figlia Eustochio, da Melania la giovane ad Egeria, che, tra il 381 e il 384, presumibilmente dalla Spagna, si recò in Terra Santa, lasciandoci uno dei diari di viaggio più dettagliati e avvincenti della tarda antichità.
D'altra parte, anche i sopralluoghi più antichi, testimoniati dalle fonti, parlano ancora al femminile, se Eusebio, riferendo della prassi di un pellegrinaggio massiccio di cristiani provenienti "da tutto il mondo" (Dimostrazione evangelica, 6, 18, 23), fa emergere dalla massa la figura della madre di Costantino (Vita di Costantino, 3, 42), Sozomeno ci informa che pure Eutropia, madre di Fausta, moglie dell'imperatore, raggiunse questi santi luoghi (Storia Ecclesiastica, 2, 4).
Ma torniamo a Egeria, nota anche come Silvia o Eteria, famosa, appunto, per il suo Itinerarium o Peregrinatio ad loca sancta, originaria, con ogni probabilità, della Galizia, parte dell'antica Hispania Citerior o Tarraconensis.
La nobildonna indirizza il suo prezioso diario alle consorelle, organizzandolo come una lunga epistula, pervenuta da un unico manoscritto aretino, mutilo nell'incipit e nell'epilogo. Ed è estremamente utile per la ricostruzione dei monumenti sorti sui luoghi biblici, ma anche della liturgia, dell'organizzazione ecclesiastica e monastica della Gerusalemme della fine del secolo IV. Il racconto di Egeria si ferma a descrivere nei minimi particolari lo svolgimento del ciclo pasquale a Gerusalemme, secondo una dinamica rituale, che comporta la successione della Quaresima, della Settimana santa, dell'ottava di Pasqua, dell'Ascensione e della Pentecoste. Si desume, però, che mentre in occidente la Quaresima occupava il canonico arco dei quaranta giorni, a Gerusalemme essa era più lunga, nel senso che, pur conteggiando quaranta giorni di digiuno, la quaresima durava ben otto settimane, poiché le domeniche e i sabati non si digiunava, fatta eccezione per il sabato della vigilia di Pasqua.
La Quaresima nella Gerusalemme del tempo si configura, dunque, come una severa forma di digiuno, ispirato a quello osservato dal Cristo nel deserto. Egeria entra, poi, nel merito delle diverse prassi di digiuno seguite a Gerusalemme: alcuni mangiano solo alla sera; altri digiunano due volte alla settimana, ossia il mercoledì e il venerdì; altri, ancora, digiunano tutta la settimana a eccezione del sabato, della domenica e del giovedì; altri, infine, digiunano continuamente, mangiando solo il sabato e la domenica, tanto da essere definiti "monaci della settimana". Questi ultimi estendono, spesso, l'astensione dal cibo a tutto l'anno, in maniera rigorosa, privandosi del pane, dell'olio, della frutta e mangiando solo un po' di semola ammollata e acqua, secondo quanto precisa Egeria: sorbitio modica de farina (Diario di viaggio, 28).
Al digiuno si associa una forma di preghiera continua, comunitaria e inserita nella prassi liturgica locale. Particolarmente ricche si presentano le celebrazioni domenicali, che prendono avvio dall'alba con l'annuncio pasquale della resurrezione nella chiesa dell'Anàstasis e proseguono con le consuete celebrazioni della domenica, per sfociare, a mezzogiorno, nella processione che, dal Golgota, giunge al Santo Sepolcro. Sul far della sera, si celebra il "lucernale", che consiste in un susseguirsi di inni, antifone, salmi e preghiere alla luce di candele accese. Il mercoledì e il venerdì - giornate di digiuno per tutti - la celebrazione dell'ora nona, che culmina con la messa, si estendeva sino al vespro, mentre il venerdì si vegliava per tutta la notte, dal lucernale fino all'alba del sabato, quando si celebrava la messa per permettere ai digiunatori di assumere finalmente il cibo (Diario di viaggio, 24-27).
Per quanto riguarda la Settimana santa, essa è preparata già all'alba della penultima settimana prima di Pasqua, quando il vescovo, dopo aver celebrato l'Eucarestia, fissa l'appuntamento all'ora settima al Lazarium, laddove Maria, la sorella di Lazzaro, incontrò il Cristo. Qui sorgeva una chiesa, che si riempiva di fedeli per ascoltare il vangelo proclamato dal vescovo stesso che, poi, guidava i fedeli sino alla casa di Lazzaro - colma di altra gente, tanto da debordare nei campi vicini - per leggere il vangelo di Giovanni, che recitava: "sei giorni prima della Pasqua Gesù venne a Betania" (12, 1), annunciando esplicitamente la Pasqua. Il giorno dopo, che dava avvio alla "Grande settimana" come veniva definita a Gerusalemme, tutti si radunavano al Martyrium del Golgota e, all'ora settima, ci si dava appuntamento sul Monte degli ulivi, per fare letture, intonare inni e pronunciare antifone. Verso le tre del pomeriggio, ci si recava cantando in processione sulla sommità del monte per leggere il vangelo relativo all'ingresso di Cristo in Gerusalemme, per poi scendere verso la città. Madri, bambini con rami di palma e di olivo, matrone e nobili giungevano, con lento passo processionale, sul far della sera, alla chiesa del Santo Sepolcro. I tre giorni seguenti si trascorrevano in preghiera e culminavano con la lettura relativa al tradimento di Giuda (Matteo, 26, 14), durante la quale i presenti si commuovevano sino alle lacrime (Diario di viaggio, 34). Il giovedì è caratterizzato dalla memoria della Cena, dalle preghiere sul monte degli ulivi, per rievocare la preghiera di Gesù e l'arresto (Matteo, 26, 47-56). All'alba si raggiunge il Golgota per leggere l'episodio del Cristo davanti a Pilato (Matteo, 27, 1-26). Il vescovo invita tutti a una breve pausa e fissa un appuntamento, di lì a poco, per rendere omaggio alle reliquie della croce. Da quel momento e fino alla notte i fedeli erano impegnati nella preghiera, nei canti e nelle letture, mentre, sul far del giorno, si recavano a pregare presso la colonna della flagellazione, nella chiesa di Sion. Dopo l'adorazione della croce, verso mezzogiorno, tra il Golgota e il Santo Sepolcro, si rievoca la passio Christi, in tutta la sua dinamica, attraverso le letture evangeliche e le prefigurazioni veterotestamentarie.
All'ora nona si legge il testo della passione secondo Giovanni (19, 30), e ci si reca sino al Sepolcro per leggere il luogo relativo alla richiesta del corpo del Cristo da parte di Giuseppe di Arimatea (Giovanni, 19, 38), dopo di che la veglia è riservata solo a quanti resistono e non sono sopraffatti dalla stanchezza. Il sabato non prevede riti speciali e ci si prepara per la grande veglia, che sfocia nel grande estuario della Pasqua. Il racconto di Egeria dimostra che già nell'ultimo scorcio del IV secolo, la Pasqua non rappresentava un rito unico, ma un solenne e denso ciclo, culmine e soluzione della formazione della spiritualità cristiana. Il senso profondo di questa ricca liturgia si decodifica attraverso le parole di Leone Magno che, meno di un secolo più tardi, così si esprime: "Poiché dunque con la pratica quaresimale abbiamo voluto lavorare per avvertire in noi qualcosa della croce, nel tempo della passione del Signore dobbiamo fare ogni sforzo per ritrovarci partecipi della risurrezione del Cristo e passare, mentre siamo ancora uniti al nostro corpo, dalla morte alla vita" (Sermone, 71, 1).
(©L'Osservatore Romano 17 aprile 2011)