di Luciano Larivera S.I.
[...] C'è uno stato, il Pakistan, il cui arsenale atomico continua a crescere. Ma la cui stabilità politica è minacciata ogni giorno, e in modo sistematico, da violenza e odio etnico e religioso. Il suo tragico esempio è l’avvertimento, per altri paesi islamici, di come il virus dell’intolleranza religiosa possa andare fuori controllo e condurre progressivamente una democrazia al collasso. [...] Per questo non si può dimenticare un eroico e generoso politico pakistano, Shahbaz Bhatti. Un cristiano mite e serio.
*
"Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. Fu il suo amore che mi indusse a offrire il mio servizio alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo soltanto tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
"Mi è stato chiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solamente un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino di me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considero un privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia.
"Io dico che, finché avrò vita, fino all’ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, di amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: la gente non odierà, non ucciderà nel nome della religione, ma si ameranno gli uni gli altri, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.
"Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarlo senza provare vergogna".
È il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, ministro federale delle minoranze religiose del Pakistan, nato il 9 settembre 1968 e assassinato lo scorso 2 marzo da un commando estremista nella capitale Islamabad. Era membro del principale partito di governo, il PPP, Partito Pakistano del Popolo. Poche settimane prima aveva chiesto: "Pregate per me. Sono un uomo che ha bruciato le sue navi alle sue spalle: non posso e non voglio tornare indietro in questo impegno. Combatterò l’estremismo e mi batterò a difesa dei cristiani fino alla morte". Bhatti abitava con la madre e altri familiari. Aveva deciso di non sposarsi per consacrarsi alla sua missione. Non aveva scelto il sacerdozio "perché voleva stare in mezzo alla gente, a contatto diretto con le persone e le loro difficoltà, cosa che spesso i sacerdoti non riescono a fare nel suo paese".
Il 2 marzo il ministro si trovava con l’autista e una nipote nell’auto di servizio, non blindata nonostante le richieste. Il commando terrorista ha strappato Bhatti fuori dalla vettura e lo ha massacrato con 30 colpi di arma da fuoco. L’assassinio è da attribuire ai talebani pakistani del Punjab. Hanno agito indisturbati e hanno lasciato sul luogo del delitto alcuni volantini firmati Tehrik-e-Taliban-Punjab. Il ministro non aveva voluto la scorta, memore che il suo amico e collega di partito Salmaan Taseer, governatore del Punjab e musulmano, era stato ucciso proprio da un membro della sua scorta, senza che gli altri uomini a sua protezione intervenissero. Era avvenuto due mesi prima, il 4 gennaio. E il suo assassino è stato trasformato in eroe, con una gara tra avvocati per difenderlo gratis.
*
Taseer e Bhatti perseguivano l’ideale di Muhammad Ali Jinnah, padre fondatore del Pakistan, di un paese dove, rispetto ai musulmani sunniti, le minoranze religiose (sciiti, musulmani sufi, ismailiti, ahmadi, cristiani, sikh, indù, zoroastriani, bahai…) godano di uguali diritti. Entrambi sono stati "puniti" per aver lottato per l’abolizione o almeno la riforma della legge sulla blasfemia, la radice dei problemi dei cristiani pakistani. Voci estremiste chiedono che venga considerata blasfemia qualsiasi richiesta di modificare la "legge nera". Tale legge sembra intoccabile. E se ne fa un uso strumentale, soprattutto nel più popoloso Punjab, per dirimere controversie personali anche tra musulmani. C’è l’impunità per chi la fa applicare in forme extragiudiziali. Ma come ha osservato di recente il direttore della sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, questa legge "in sé è veramente blasfema, perché in nome di Dio è causa di ingiustizia e morte". [...] Bhatti voleva tenere in vita la commissione per la revisione della legge sulla blasfemia, voluta dal presidente Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, e presente nel suo programma elettorale per il voto del 6 novembre 2008.
Un’ulteriore colpa del governatore musulmano e del ministro cattolico è di aver chiesto la liberazione di Asia Bibi, una cattolica di 45 anni madre di cinque figli, condannata all’impiccagione nel novembre 2010 per avere offeso il Profeta Maometto, ma in attesa della sentenza di appello. Bhatti non alimentava clamore mediatico sulla vicenda di Asia Bibi, per non rinfocolare la reazione fondamentalista. E, in generale, i cattolici si dissociano dalle iniziative che tendono a innescare un conflitto con le istituzioni pakistane. Ciò nonostante, in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, la Chiesa cattolica pakistana e i cristiani indiani hanno lanciato l’ennesimo appello per la liberazione di Asia Bibi, che rischia di essere uccisa in carcere. Inoltre hanno affermato che questa donna simboleggia tutte le altre, dietro le sbarre o in apparente libertà, oppresse da disparità, intolleranza e violenza a causa del sesso o della fede professata.
Dopo i funerali di stato nella capitale, il "martire" Bhatti è stato sepolto, alla presenza di 10.000 persone di ogni credo, a Khushpur nei pressi di Faisalabad, in Punjab. In questo villaggio cattolico fondato dai domenicani, il ministro passò la sua fanciullezza. Con l'ultimo rimpasto di governo, il premier Yousaf Raza Gilani del PPP aveva confermato l’incarico a Bhatti, viste anche le insistenze occidentali, nonostante il taglio dei ministri da 60 a 22 per contenere la spesa pubblica, e le pressioni dei partiti islamici di coalizione per eliminare quel dicastero. Bhatti era, inoltre, il solo non musulmano nel governo federale del Pakistan.
*
Benedetto XVI, lo scorso settembre, lo aveva incontrato nella sua qualità di ministro; e, nel discorso al corpo diplomatico del 10 gennaio, il pontefice aveva menzionato la legge contro la blasfemia in Pakistan, incoraggiando "di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla". Inoltre aveva reso omaggio al sacrificio coraggioso del governatore Taseer. Ma una parte dei pakistani non intende ascoltare le parole del papa. In particolare, i partiti religiosi considerano gli interventi di Benedetto XVI un’ingerenza nella politica interna. I fondamentalisti controllano la mente dei loro seguaci, fomentando odio e violenza. Eppure i cristiani hanno buoni rapporti con la maggioranza dei musulmani. Dopo l’Angelus dello scorso 6 marzo, il papa ha rivolto questo appello e ulteriori gesti per confortare i cattolici pakistani traumatizzati dall’omicidio: "Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l’impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità".
La gigantografia di Bhatti dal 5 marzo è esposta sulla facciata del ministero degli esteri italiano, per non dimenticare l’uomo e per affermare l’impegno della diplomazia italiana a difesa della libertà religiosa nel mondo. Il ministro degli esteri Franco Frattini, intervistato da "Avvenire" il 3 marzo, ha riferito una confidenza avuta da Bhatti, nel suo modesto ufficio di Islamabad lo scorso novembre: "Mi disse che i suoi avversari stavano cercando di togliere i fondi al ministero per le minoranze religiose, un modo per ridurlo all’insignificanza e, quindi, alla chiusura. E mi disse di aiutarlo a far conoscere il suo lavoro nella comunità internazionale, perché soltanto così avrebbe potuto salvare il suo ministero". Frattini ha poi aggiunto: "Adesso i codardi di quell’Europa che rifugge dalla condanna del fondamentalismo religioso verseranno le loro lacrime di coccodrillo, alleati di quei codardi che in Pakistan conoscono solamente il sangue degli attentati […]. Penso a coloro che in Europa sono molto attenti al 'politically correct', fino al punto di non utilizzare mai, nei documenti ufficiali, le parole 'cristiani perseguitati'. La ritengo una codardia politica che oggi, di fronte a un nuovo martire, è ancor più scandalosa". [...]
*
Davanti a questo crimine terroristico, i vescovi pakistani hanno subito dichiarato e confermato che "si tratta di un perfetto, tragico esempio dell’insostenibile clima di intolleranza che viviamo in Pakistan. Chiediamo al governo, alle istituzioni, a tutto il paese, di riconoscere e affrontare con decisione tale questione perché si ponga fine a questo stato di cose in cui la violenza trionfa". Essi hanno anche inviato la richiesta alla Santa Sede perché Bhatti sia proclamato martire, ucciso "in odium fidei". Lo stesso imam della moschea Badshahi a Lahore, Khabior Mohammad Azad, sconvolto per la morte del suo "buon amico" Bhatti, ha denunciato che "la gente non ha più il diritto di esprimere le proprie opinioni" e che "quanti hanno rivendicato l’assassinio non sono musulmani, né esseri umani", perché "l’islam è una religione di pace, che insegna a rispettare le minoranze".
Purtroppo gli omicidi motivati dalla religione sono perorati pubblicamente da estremisti islamici come atti che fanno piacere ad Allah e che garantiscono l’immediata salvezza. Ma lo stato pakistano non riesce a prevenire e a sanzionare la violenza contro le minoranze. Anzi, l’odio religioso è alimentato addirittura nelle scuole pubbliche pakistane. Nei testi ufficiali di studio sono esclusi i riferimenti alle minoranze religiose, non considerate parte della nazione. Oltre alla istruzione deformata, ci sono predicatori nelle moschee, in televisione e su internet che proclamano la lista dei nemici da abbattere e così alimentano la "cultura" dell’intolleranza religiosa. Adesso all’indice c’è la deputata Sherry Rehmam, che nel 2010 aveva proposto una modifica della legge sulla blasfemia, senza ricevere l’appoggio del suo partito, il PPP, che l’ha costretta a ritirare l’iniziativa. Vive semi-nascosta e riceve continue minacce di morte. Per altri non resta che cercare asilo all’estero.
Oltre ai cristiani, in Pakistan, sono legalmente discriminati gli ahmadi in quanto non-musulmani ma eretici, e per questo boicottano le elezioni. Ci sono tensioni tra le due scuole sunnite dei Deobandi e dei Barelvi. E la violenza religiosa è sistematica e può colpire tutti. Così, ad esempio, il 4 marzo dieci musulmani sufi, in quanto considerati eretici da altri musulmani, sono stati uccisi nei pressi di un loro luogo sacro vicino a Peshawar. Ma le manifestazioni di piazza delle minoranze o dei musulmani moderati non fanno paura, e la loro voce si perde, oltre che essere esposte ad attentati suicidi. Il 5 marzo, un musulmano, Mohammad Imran, è stato assassinato in un villaggio vicino a Rawalpindi. Era stato scarcerato per mancanza di prove con l’accusa di aver offeso Maometto. Il 15 marzo è morto in carcere Qamar David, un cristiano condannato ingiustamente all’ergastolo per blasfemia. Aveva ricevuto percosse e maltrattamenti dalle guardie penitenziarie. E la sua morte, per arresto cardiaco, desta molti dubbi tra i cristiani. Cadono vittime degli estremisti anche gli attivisti dei diritti umani, come Naeem Sabir, ucciso nella provincia del Beluchistan lo scorso 1° marzo.
*
Il Pakistan soffre di innumerevoli lacerazioni etniche e politiche. Il clima di intolleranza è alimentato dagli estremisti omicidi e da leader religiosi radicali, ma anche da avvocati, giornalisti, politici per loro fini egemonici. Nel Beluchistan sono ancora attivi i movimenti separatisti, anche perché la distribuzione della ricchezza è molto disuguale sul territorio pakistano. L’etnia pasthun, pur non cercando la secessione e l’annessione con una parte del territorio afghano, è sempre più dominata dall’ideologia fondamentalista e antigovernativa. Poi ci sono le tensioni con l’India per il Kashmir. C’è inoltre insofferenza nei confronti del governo filoindiano di Hamid Karzai in Afghanistan. Con Pechino, l’alleato più stretto di Islamabad in chiave anti-indiana, si è rafforzata la cooperazione per costruire centrali nucleari. La relazione del Pakistan con gli Stati Uniti è invece sempre più difficile. E il sentimento antiamericano è diffuso anche perché, in territorio pakistano, l’azione della CIA è parzialmente indipendente dalle autorità nazionali, e proseguono gli attacchi dei droni statunitensi contro i talebani afghani e i membri di Al-Qaeda nel Pakistan occidentale.
Inoltre gli estremisti religiosi si sono infiltrati nelle forze armate e nei servizi segreti, che sostengono i talebani afghani ma sono in conflitto con parte dei talebani pakistani, coordinati a loro volta con gli jihadisti che lottano per l’annessione del Kashmir indiano al Pakistan. La costellazione dei gruppi estremisti è ampia e nebulosa. Dietro il paravento di attività educative e caritative, il loro reclutamento si rafforza nelle madrasse, le scuole coraniche, e nei campi dei profughi afghani o degli sfollati dopo le alluvioni della scorsa estate. Per di più le forze armate hanno un forte potere di veto sul governo; ma non sembrano disposte a un colpo di stato, magari su ispirazione islamista, perché la soluzione dei problemi sociali ed economici del paese è fuori della loro portata, e i militari non vogliono rischiare l’impopolarità. Purtroppo il governo e la magistratura spesso sembrano aver capitolato davanti alle ingerenze degli estremisti e dei servizi segreti pakistani. La legge antiblasfemia, nelle sue varie applicazioni, giustifica il terrore politico e scoraggia i pakistani liberali. I musulmani moderati sono stritolati dall’autorità delle forze armate, dal fanatismo religioso e dall’ingerenza dei paesi stranieri, quando favoriscono corruzione, abuso di potere e crimini contro i diritti umani, come la tortura. Le rivendicazioni sociali stanno quindi diventando appannaggio dei fondamentalisti, che però non hanno gli strumenti culturali, tecnici e burocratici per risolvere i problemi di cronico sottosviluppo economico del paese.
L’intimidazione e l’impunità delle violenze estremiste e delle rappresaglie militari sono i cardini su cui si regge il caos pakistano. La stessa fragile identità nazionale rischierebbe di svaporare se queste due pratiche guidassero la costituzione materiale del paese. Inoltre, benché improbabile, non si può escludere che la crescente anarchia pakistana permetta a gruppi jihadisti di impossessarsi di materiale e armi atomiche, di cui gli USA non sembrano conoscere interamente l’allocazione. È il Pakistan il boccone più ghiotto per al-Qaeda, che sta nutrendo ideologicamente l’estremismo interno, affermando che il governo civile di Islamabad è illegittimo, perché irreligioso, e andrebbe distrutto. Così, purtroppo, l’esecutivo e il PPP sembrano ostaggio dei partiti fondamentalisti e degli estremisti.
*
Tuttavia Paul Bhatti, fratello dell’ucciso, è stato nominato consigliere speciale del premier per le minoranze religiose. Se nella "Terra dei puri" arriverà quello che resta della "primavera democratica" araba, il nuovo patto sociale pakistano, per bloccare la spirale autodistruttiva, richiede il rapido ristabilimento di un sistema giudiziario penale funzionante. Ciò include necessariamente la riforma radicale della legge antiblasfemia, che giustifica l’uso extragiudiziale della violenza, anche contro chi si converte dall’islam. Nel medio e lungo periodo è indispensabile un sistema scolastico pubblico universale e aperto a un’educazione più moderna, anche per creare valide competenze lavorative. Nuove idee di giustizia e veritiere ricostruzioni della storia del paese possono fare capitalizzare la ricchezza del pluriforme popolo pakistano. Ciò impone che la spesa pubblica non possa essere drenata in modo sproporzionato dalle spese militari, e che la pace con l’India e in Afghanistan sia ritenuta necessaria per lo sviluppo sostenibile del Pakistan. Nel paese non è in atto un conflitto religioso ma politico, col rischio di guerra civile. E il dialogo interreligioso è impotente quando una religione è usata come strumento di potere, di oppressione e di sottosviluppo.
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La rivista da cui è stato ripreso l'articolo, stampata con il previo controllo e l'autorizzazione della segreteria di stato vaticana:
> La Civiltà Cattolica
[...] C'è uno stato, il Pakistan, il cui arsenale atomico continua a crescere. Ma la cui stabilità politica è minacciata ogni giorno, e in modo sistematico, da violenza e odio etnico e religioso. Il suo tragico esempio è l’avvertimento, per altri paesi islamici, di come il virus dell’intolleranza religiosa possa andare fuori controllo e condurre progressivamente una democrazia al collasso. [...] Per questo non si può dimenticare un eroico e generoso politico pakistano, Shahbaz Bhatti. Un cristiano mite e serio.
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"Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. Fu il suo amore che mi indusse a offrire il mio servizio alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo soltanto tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
"Mi è stato chiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solamente un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino di me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considero un privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia.
"Io dico che, finché avrò vita, fino all’ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, di amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: la gente non odierà, non ucciderà nel nome della religione, ma si ameranno gli uni gli altri, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.
"Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarlo senza provare vergogna".
È il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, ministro federale delle minoranze religiose del Pakistan, nato il 9 settembre 1968 e assassinato lo scorso 2 marzo da un commando estremista nella capitale Islamabad. Era membro del principale partito di governo, il PPP, Partito Pakistano del Popolo. Poche settimane prima aveva chiesto: "Pregate per me. Sono un uomo che ha bruciato le sue navi alle sue spalle: non posso e non voglio tornare indietro in questo impegno. Combatterò l’estremismo e mi batterò a difesa dei cristiani fino alla morte". Bhatti abitava con la madre e altri familiari. Aveva deciso di non sposarsi per consacrarsi alla sua missione. Non aveva scelto il sacerdozio "perché voleva stare in mezzo alla gente, a contatto diretto con le persone e le loro difficoltà, cosa che spesso i sacerdoti non riescono a fare nel suo paese".
Il 2 marzo il ministro si trovava con l’autista e una nipote nell’auto di servizio, non blindata nonostante le richieste. Il commando terrorista ha strappato Bhatti fuori dalla vettura e lo ha massacrato con 30 colpi di arma da fuoco. L’assassinio è da attribuire ai talebani pakistani del Punjab. Hanno agito indisturbati e hanno lasciato sul luogo del delitto alcuni volantini firmati Tehrik-e-Taliban-Punjab. Il ministro non aveva voluto la scorta, memore che il suo amico e collega di partito Salmaan Taseer, governatore del Punjab e musulmano, era stato ucciso proprio da un membro della sua scorta, senza che gli altri uomini a sua protezione intervenissero. Era avvenuto due mesi prima, il 4 gennaio. E il suo assassino è stato trasformato in eroe, con una gara tra avvocati per difenderlo gratis.
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Taseer e Bhatti perseguivano l’ideale di Muhammad Ali Jinnah, padre fondatore del Pakistan, di un paese dove, rispetto ai musulmani sunniti, le minoranze religiose (sciiti, musulmani sufi, ismailiti, ahmadi, cristiani, sikh, indù, zoroastriani, bahai…) godano di uguali diritti. Entrambi sono stati "puniti" per aver lottato per l’abolizione o almeno la riforma della legge sulla blasfemia, la radice dei problemi dei cristiani pakistani. Voci estremiste chiedono che venga considerata blasfemia qualsiasi richiesta di modificare la "legge nera". Tale legge sembra intoccabile. E se ne fa un uso strumentale, soprattutto nel più popoloso Punjab, per dirimere controversie personali anche tra musulmani. C’è l’impunità per chi la fa applicare in forme extragiudiziali. Ma come ha osservato di recente il direttore della sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, questa legge "in sé è veramente blasfema, perché in nome di Dio è causa di ingiustizia e morte". [...] Bhatti voleva tenere in vita la commissione per la revisione della legge sulla blasfemia, voluta dal presidente Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, e presente nel suo programma elettorale per il voto del 6 novembre 2008.
Un’ulteriore colpa del governatore musulmano e del ministro cattolico è di aver chiesto la liberazione di Asia Bibi, una cattolica di 45 anni madre di cinque figli, condannata all’impiccagione nel novembre 2010 per avere offeso il Profeta Maometto, ma in attesa della sentenza di appello. Bhatti non alimentava clamore mediatico sulla vicenda di Asia Bibi, per non rinfocolare la reazione fondamentalista. E, in generale, i cattolici si dissociano dalle iniziative che tendono a innescare un conflitto con le istituzioni pakistane. Ciò nonostante, in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, la Chiesa cattolica pakistana e i cristiani indiani hanno lanciato l’ennesimo appello per la liberazione di Asia Bibi, che rischia di essere uccisa in carcere. Inoltre hanno affermato che questa donna simboleggia tutte le altre, dietro le sbarre o in apparente libertà, oppresse da disparità, intolleranza e violenza a causa del sesso o della fede professata.
Dopo i funerali di stato nella capitale, il "martire" Bhatti è stato sepolto, alla presenza di 10.000 persone di ogni credo, a Khushpur nei pressi di Faisalabad, in Punjab. In questo villaggio cattolico fondato dai domenicani, il ministro passò la sua fanciullezza. Con l'ultimo rimpasto di governo, il premier Yousaf Raza Gilani del PPP aveva confermato l’incarico a Bhatti, viste anche le insistenze occidentali, nonostante il taglio dei ministri da 60 a 22 per contenere la spesa pubblica, e le pressioni dei partiti islamici di coalizione per eliminare quel dicastero. Bhatti era, inoltre, il solo non musulmano nel governo federale del Pakistan.
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Benedetto XVI, lo scorso settembre, lo aveva incontrato nella sua qualità di ministro; e, nel discorso al corpo diplomatico del 10 gennaio, il pontefice aveva menzionato la legge contro la blasfemia in Pakistan, incoraggiando "di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla". Inoltre aveva reso omaggio al sacrificio coraggioso del governatore Taseer. Ma una parte dei pakistani non intende ascoltare le parole del papa. In particolare, i partiti religiosi considerano gli interventi di Benedetto XVI un’ingerenza nella politica interna. I fondamentalisti controllano la mente dei loro seguaci, fomentando odio e violenza. Eppure i cristiani hanno buoni rapporti con la maggioranza dei musulmani. Dopo l’Angelus dello scorso 6 marzo, il papa ha rivolto questo appello e ulteriori gesti per confortare i cattolici pakistani traumatizzati dall’omicidio: "Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l’impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità".
La gigantografia di Bhatti dal 5 marzo è esposta sulla facciata del ministero degli esteri italiano, per non dimenticare l’uomo e per affermare l’impegno della diplomazia italiana a difesa della libertà religiosa nel mondo. Il ministro degli esteri Franco Frattini, intervistato da "Avvenire" il 3 marzo, ha riferito una confidenza avuta da Bhatti, nel suo modesto ufficio di Islamabad lo scorso novembre: "Mi disse che i suoi avversari stavano cercando di togliere i fondi al ministero per le minoranze religiose, un modo per ridurlo all’insignificanza e, quindi, alla chiusura. E mi disse di aiutarlo a far conoscere il suo lavoro nella comunità internazionale, perché soltanto così avrebbe potuto salvare il suo ministero". Frattini ha poi aggiunto: "Adesso i codardi di quell’Europa che rifugge dalla condanna del fondamentalismo religioso verseranno le loro lacrime di coccodrillo, alleati di quei codardi che in Pakistan conoscono solamente il sangue degli attentati […]. Penso a coloro che in Europa sono molto attenti al 'politically correct', fino al punto di non utilizzare mai, nei documenti ufficiali, le parole 'cristiani perseguitati'. La ritengo una codardia politica che oggi, di fronte a un nuovo martire, è ancor più scandalosa". [...]
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Davanti a questo crimine terroristico, i vescovi pakistani hanno subito dichiarato e confermato che "si tratta di un perfetto, tragico esempio dell’insostenibile clima di intolleranza che viviamo in Pakistan. Chiediamo al governo, alle istituzioni, a tutto il paese, di riconoscere e affrontare con decisione tale questione perché si ponga fine a questo stato di cose in cui la violenza trionfa". Essi hanno anche inviato la richiesta alla Santa Sede perché Bhatti sia proclamato martire, ucciso "in odium fidei". Lo stesso imam della moschea Badshahi a Lahore, Khabior Mohammad Azad, sconvolto per la morte del suo "buon amico" Bhatti, ha denunciato che "la gente non ha più il diritto di esprimere le proprie opinioni" e che "quanti hanno rivendicato l’assassinio non sono musulmani, né esseri umani", perché "l’islam è una religione di pace, che insegna a rispettare le minoranze".
Purtroppo gli omicidi motivati dalla religione sono perorati pubblicamente da estremisti islamici come atti che fanno piacere ad Allah e che garantiscono l’immediata salvezza. Ma lo stato pakistano non riesce a prevenire e a sanzionare la violenza contro le minoranze. Anzi, l’odio religioso è alimentato addirittura nelle scuole pubbliche pakistane. Nei testi ufficiali di studio sono esclusi i riferimenti alle minoranze religiose, non considerate parte della nazione. Oltre alla istruzione deformata, ci sono predicatori nelle moschee, in televisione e su internet che proclamano la lista dei nemici da abbattere e così alimentano la "cultura" dell’intolleranza religiosa. Adesso all’indice c’è la deputata Sherry Rehmam, che nel 2010 aveva proposto una modifica della legge sulla blasfemia, senza ricevere l’appoggio del suo partito, il PPP, che l’ha costretta a ritirare l’iniziativa. Vive semi-nascosta e riceve continue minacce di morte. Per altri non resta che cercare asilo all’estero.
Oltre ai cristiani, in Pakistan, sono legalmente discriminati gli ahmadi in quanto non-musulmani ma eretici, e per questo boicottano le elezioni. Ci sono tensioni tra le due scuole sunnite dei Deobandi e dei Barelvi. E la violenza religiosa è sistematica e può colpire tutti. Così, ad esempio, il 4 marzo dieci musulmani sufi, in quanto considerati eretici da altri musulmani, sono stati uccisi nei pressi di un loro luogo sacro vicino a Peshawar. Ma le manifestazioni di piazza delle minoranze o dei musulmani moderati non fanno paura, e la loro voce si perde, oltre che essere esposte ad attentati suicidi. Il 5 marzo, un musulmano, Mohammad Imran, è stato assassinato in un villaggio vicino a Rawalpindi. Era stato scarcerato per mancanza di prove con l’accusa di aver offeso Maometto. Il 15 marzo è morto in carcere Qamar David, un cristiano condannato ingiustamente all’ergastolo per blasfemia. Aveva ricevuto percosse e maltrattamenti dalle guardie penitenziarie. E la sua morte, per arresto cardiaco, desta molti dubbi tra i cristiani. Cadono vittime degli estremisti anche gli attivisti dei diritti umani, come Naeem Sabir, ucciso nella provincia del Beluchistan lo scorso 1° marzo.
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Il Pakistan soffre di innumerevoli lacerazioni etniche e politiche. Il clima di intolleranza è alimentato dagli estremisti omicidi e da leader religiosi radicali, ma anche da avvocati, giornalisti, politici per loro fini egemonici. Nel Beluchistan sono ancora attivi i movimenti separatisti, anche perché la distribuzione della ricchezza è molto disuguale sul territorio pakistano. L’etnia pasthun, pur non cercando la secessione e l’annessione con una parte del territorio afghano, è sempre più dominata dall’ideologia fondamentalista e antigovernativa. Poi ci sono le tensioni con l’India per il Kashmir. C’è inoltre insofferenza nei confronti del governo filoindiano di Hamid Karzai in Afghanistan. Con Pechino, l’alleato più stretto di Islamabad in chiave anti-indiana, si è rafforzata la cooperazione per costruire centrali nucleari. La relazione del Pakistan con gli Stati Uniti è invece sempre più difficile. E il sentimento antiamericano è diffuso anche perché, in territorio pakistano, l’azione della CIA è parzialmente indipendente dalle autorità nazionali, e proseguono gli attacchi dei droni statunitensi contro i talebani afghani e i membri di Al-Qaeda nel Pakistan occidentale.
Inoltre gli estremisti religiosi si sono infiltrati nelle forze armate e nei servizi segreti, che sostengono i talebani afghani ma sono in conflitto con parte dei talebani pakistani, coordinati a loro volta con gli jihadisti che lottano per l’annessione del Kashmir indiano al Pakistan. La costellazione dei gruppi estremisti è ampia e nebulosa. Dietro il paravento di attività educative e caritative, il loro reclutamento si rafforza nelle madrasse, le scuole coraniche, e nei campi dei profughi afghani o degli sfollati dopo le alluvioni della scorsa estate. Per di più le forze armate hanno un forte potere di veto sul governo; ma non sembrano disposte a un colpo di stato, magari su ispirazione islamista, perché la soluzione dei problemi sociali ed economici del paese è fuori della loro portata, e i militari non vogliono rischiare l’impopolarità. Purtroppo il governo e la magistratura spesso sembrano aver capitolato davanti alle ingerenze degli estremisti e dei servizi segreti pakistani. La legge antiblasfemia, nelle sue varie applicazioni, giustifica il terrore politico e scoraggia i pakistani liberali. I musulmani moderati sono stritolati dall’autorità delle forze armate, dal fanatismo religioso e dall’ingerenza dei paesi stranieri, quando favoriscono corruzione, abuso di potere e crimini contro i diritti umani, come la tortura. Le rivendicazioni sociali stanno quindi diventando appannaggio dei fondamentalisti, che però non hanno gli strumenti culturali, tecnici e burocratici per risolvere i problemi di cronico sottosviluppo economico del paese.
L’intimidazione e l’impunità delle violenze estremiste e delle rappresaglie militari sono i cardini su cui si regge il caos pakistano. La stessa fragile identità nazionale rischierebbe di svaporare se queste due pratiche guidassero la costituzione materiale del paese. Inoltre, benché improbabile, non si può escludere che la crescente anarchia pakistana permetta a gruppi jihadisti di impossessarsi di materiale e armi atomiche, di cui gli USA non sembrano conoscere interamente l’allocazione. È il Pakistan il boccone più ghiotto per al-Qaeda, che sta nutrendo ideologicamente l’estremismo interno, affermando che il governo civile di Islamabad è illegittimo, perché irreligioso, e andrebbe distrutto. Così, purtroppo, l’esecutivo e il PPP sembrano ostaggio dei partiti fondamentalisti e degli estremisti.
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Tuttavia Paul Bhatti, fratello dell’ucciso, è stato nominato consigliere speciale del premier per le minoranze religiose. Se nella "Terra dei puri" arriverà quello che resta della "primavera democratica" araba, il nuovo patto sociale pakistano, per bloccare la spirale autodistruttiva, richiede il rapido ristabilimento di un sistema giudiziario penale funzionante. Ciò include necessariamente la riforma radicale della legge antiblasfemia, che giustifica l’uso extragiudiziale della violenza, anche contro chi si converte dall’islam. Nel medio e lungo periodo è indispensabile un sistema scolastico pubblico universale e aperto a un’educazione più moderna, anche per creare valide competenze lavorative. Nuove idee di giustizia e veritiere ricostruzioni della storia del paese possono fare capitalizzare la ricchezza del pluriforme popolo pakistano. Ciò impone che la spesa pubblica non possa essere drenata in modo sproporzionato dalle spese militari, e che la pace con l’India e in Afghanistan sia ritenuta necessaria per lo sviluppo sostenibile del Pakistan. Nel paese non è in atto un conflitto religioso ma politico, col rischio di guerra civile. E il dialogo interreligioso è impotente quando una religione è usata come strumento di potere, di oppressione e di sottosviluppo.
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La rivista da cui è stato ripreso l'articolo, stampata con il previo controllo e l'autorizzazione della segreteria di stato vaticana:
> La Civiltà Cattolica