DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La strana alleanza degli uomini forti Gli pseudo-valori dell’occidente fra la Bible Belt e la Terza Roma


Il cacciatore Phil Robertson spara al consenso mainstream sui gay e persegue la “moral clarity”con cui Putin bacchetta l’America New York. Phil Robertson è il barbuto patriarca di un’altrettanto barbuta famiglia di cacciatori di anatre della Louisiana. All’anatra ha sacrificato ogni cosa. Quand’era studente alla Louisiana Tech University  ha lasciato il posto di quarterback titolare perché la stagione del football era incompatibile con la stagione di caccia. Il coach ha dovuto mettere al suo posto il brocco di riserva, tale Terry Bradshaw, che poi ha vinto quattro Superbowl con i Pittsburgh Steelers. Robertson si è rifatto con una carriera costruita attorno alla canna del fucile e ai richiami per le anatre che la sua famiglia vende in tutto il mondo, e il vero successo è arrivato con “Duck Dynasty”, un reality show ambientato a casa Robertson prodotto dal network A&E. Il programma, arrivato alla quarta stagione, attira una quantità di spettatori che i produttori di successi globali come “Mad Men” o “Breaking Bad” non hanno nemmeno l’ardire di sognare. La prima puntata dell’ultima stagione è stata seguita da 12 milioni di americani. L’ultima, attesissima puntata di “Mad Men” si è fermata a 2,7 milioni. Eppure “Duck Dynasty” e i suoi eroi eponimi sono prodotti sconosciuti, esprimono una cultura redneck che non ha accesso al regno del mainstream, lontana anni luce tanto da New York quanto da Hollywood. Si potrebbe parlare di nicchia, se soltanto il fenomeno non fosse così vasto. Il motivo per cui ora tutta l’America parla di Robertson e della sua dinastia venasione oggi è quella di andare avanti e di spiegare perché seguo Cristo e anche l’insegnamento della Bibbia. Parte di quell’insegnamento è che l’uomo e la donna sono fatti per stare insieme. Tuttavia, non mancherei mai di rispetto a una persona perché è diversa da me”. toria è un ritratto che gli ha dedicato GQ, in cui il patriarca parla a briglia sciolta di qualunque argomento, ed era quasi inevitabile che questo figlio della Bible Belt senza ipocrisie né reticenze facesse dichiarazioni meritevoli di condanna immediata da parte del tribunale della cultura dominante. In particolare le idee sull’omosessualità hanno scatenato il riflesso condizionato: “A me pare, come uomo, che una vagina sia più desiderabile dell’ano maschile. E’ come la penso io. Mi dico: c’è di più lì! Lei ha di più da offrire. Su, ragazzi! Ma attenzione, non è logico, amico mio. Semplicemente non è logico”. E ancora: “E’ tutto confuso su cosa è male e cosa è bene. Il peccato è diventato accettabile. Parti dai comportamenti omosessuali e allarga il raggio. Sesso con gli animali, andare a letto con questa, con quella e poi con quell’altra e poi con quegli uomini”. Infine l’aggiornamento postmoderno della lettera ai Corinzi: “Non ti ingannare. Gli adulteri, gli idolatri, gli uomini che si prostituiscono, gli omosessuali, gli avidi, i beoni, i calunniatori, i truffatori, non erediteranno il regno di Dio”. Per questi e altri commenti – Robertson, cresciuto nel profondo sud prima dei diritti civili dice di non avere mai visto un nero discriminato o infelice, nessuno intonava un blues – A&E ha sospeso a tempo indeterminato il cacciatore-celebrità. Le associazioni per i diritti civili hanno costituito un’inquisizione liberal per svergognare Robertson, il quale, in un comunicato senza scuse, ha spiegato che la sua “misLa controversia è immediatamente diventata politica. Fra invocazioni di pene esemplari per l’omofobo cacciatore e difese della libertà di espressione garantita dal Primo emendamento alla Costituzione (“è un mondo rovesciato quello in cui Miley Cyrus viene accolta con una risata e Phil Robertson con una censura”, ha detto il governatore della Louisiana, Bobby Jindal), il senatore del Texas Ted Cruz ha detto che “Duck Dynasty” è così amata “perché rappresenta l’America solitamente ignorata o sbeffeggiata dalle élite liberal”. Il che va al cuore della battaglia culturale dei Robertson, che ambiscono a rappresentare, anche televisivamente, un modello, meno minoritario di quanto possa sembrare, di famiglia tradizionale con Bibbia e pistola attaccati al cinturone. Un modello sociale che non è ancora stato del tutto ero so dal vuoto dell’egalitarismo imperante. Vladimir Putin direbbe che Robertson combatte i “pseudo-valori occidentali” imposti da “certi gruppi sociali aggressivi”. Nella conferenza stampa annuale il presidente russo non si è dichiarato contrario ai “valori occidentali” ma alla loro degenerazione in una precettistica secolarizzata che strappa l’identità del popolo dalle sue radici. Non è poi così sottile la linea che unisce questo riformato sant’Eustachio della Bible Belt allo zar che ambisce, per convinzione od opportunità, a restaurare l’impero della Terza Roma. S’incontrano nello spazio d’intersezione della “moral clarity”, l’area dove il bene e il male non si confondono e dove i valori della tradizione cristiana, sintesi di occidente e oriente, non hanno abdicato agli pseudovalori del politicamente corretto. Certo, nella controversia di Robertson entrano in scena le protezioni liberali di una Costituzione che lascia spazi ampi e non facilmente perimetrabili al diritto di pensiero ed espressione, faccenda sulla quale la Russia di Putin non è esattamente allineata alle democrazie occidentali. Ma c’è più di un motivo se anche il conservatore Pat Buchanan dice che “Putin è uno di noi”.
Il Foglio 21 dicembre 2013
Twitter @mattiaferraresi