Una donna che vive per 50 anni solo di comunione Eucaristica, tra l’altro non ricevuta tutti i giorni, desta sicuramente curiosità. Ma dietro questo fatto straordinario, nella vita di Marthe Robin c’è ben di più, c’è un nucleo di grandezza che non si radica in fenomeni “strani”, ma nel mistero stesso della comunione mistica con Cristo. È questa vita nascosta in Dio che costituisce la grandezza di questa piccola donna che ha fatto di recente un nuovo passo verso la canonizzazione quando, il 7 novembre 2014, papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sull’eroicità delle sue virtù.
Per guardare la realtà oltre i fenomeni, ci siamo rivolti a don Paolo Morocutti, teologo che conosce da vicino la vicenda teologica della mistica francese. Il sacerdote esperto anche della teologia di santa Caterina da Siena, collabora attraverso la predicazione di ritiri di approfondimento con l’opera dei Foyer de la Charité fondata da Marthe Robin.
Don Paolo Morocutti è inoltre Assistente Ecclesiastico della sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, docente di teologia fondamentale all’Università Cattolica e di teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana. Consultore ad casum della Congregazione delle Cause dei Santi.
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Chi ha sentito parlare di Marthe Robin, in genere la associa a “estreme” esperienze mistiche, come quella di non aver mangiato per 50 anni, vivendo solo di Eucaristia. Da persona vicina ai Foyer, come presenterebbe Marthe Robin?
Se la vogliamo definire dobbiamo partire da un evento accaduto nel 1930 in cui Marthe vede Cristo che le pone una domanda ben precisa: “Vuoi essere come me?”. La risposta è: “Il mio io sei tu”. Questo mi sembra fondamentale. Questa è Marthe Robin. È la decisione umana di essere come Cristo, che non è altro che la santità.
Il luogo teologico dove si sviluppa la santità anche più straordinaria è la storia. È nella storia di ogni giorno, fatta di luci e di ombre, che Marthe vive il suo abbandono totale e fiducioso. Ogni lettura di questa mistica francese che si pone al di fuori dalla storia in maniera puramente trascendentale delegittima il termine “mistico” e non dà ragione a questa vita santa.
La valutazione di una vita santa non può mai partire dal fenomeno straordinario ma dalla persona. Ogni santo è immagine del Dio incarnato, e Marthe è paradigmatica in questo aspetto. La sua santità è una parafrasi della teologia dell’incarnazione.
Il termine mistico è molto usato e forse ab-usato. Ciò che è sicuro è che ingloba varie tradizioni religiose (e non!). In che senso preciso attribuisce allora quest’aggettivo a Marthe?
Marthe è una mistica nel senso più proprio del termine. Mistica non è ciò che ci riporta al di là della storia, ma ciò che ci riporta nella storia. La sua esistenza terrena fu una continua conformazione a Gesù Crocifisso, conformazione attraverso le innumerevoli sofferenze accolte e vissute consapevolmente come unione alla passione di Cristo per la salvezza delle anime.
Faccio mie le parole di Jean Guitton che parla di straordinario nell’ordinario. Ha vissuto il massimo dello straordinario in una dimensione del tutto ordinaria. Marthe, immobile nel suo letto per più di 60 anni, ha incontrato più di 103.000 persone nella sua camera da letto. Talvolta, nonostante le sue grandi sofferenze, incontrava anche 60 persone al giorno alle quali si donava totalmente, comunicando in modo semplice e sapiente le profondità della misericordia di Dio e rivelando il volto di Cristo nella storia di ognuno.
Nel cuore dell’esperienza cristica della mistica, quali sono i tratti salienti del suo iter?
Raramente i mistici hanno una vita così lunga. Un esempio è Caterina di Siena morta a 33 anni. O Teresina di Lisieux. La specificità di Marthe va ricercata nell’ampio e delicato periodo storico in cui si trova a vivere. Un arco di tempo lungo 79 anni che copre le vicende più dolorose delle guerre mondiali fino al Concilio Vaticano II e oltre.
L’aspetto più saliente della mistica di Marthe è l’aver vissuto e anticipato la teologia del laicato del Concilio Vaticano II, rivalutando nel giusto modo il sacerdozio battesimale dei credenti. La dimensione sacrificale ed eucaristica della sua vita hanno certamente aiutato a riscoprire il rapporto tra la vita cristiana e l’Eucaristia. La fede di Marthe Robin era incentrata sull’Eucaristia e sull’abbandono totale alla divina volontà sull’esempio di Maria Santissima, modello di fede, alla quale la Serva di Dio farà sempre costante riferimento.
Oltre al filosofo Jean Guitton, che scrisse un libro sulla sua “amica” Marthe, sappiamo che c’è un grande teologo domenicano che l’ha visitata varie volte inviato da papa Pio XII. Che importanza riveste quest’attenzione teologica?
Marthe era una sconosciuta per certi versi, ma l’eco della sua fama era arrivato alle orecchie di Pio XII che inviò il teologo Reginald Garrigou-Lagrange. Il grande teologo domenicano ebbe con Marthe Robin numerosi incontri personali. Lagrange ebbe per lei parole di profonda ammirazione. Occorre ricordare che la Chiesa ha riconosciuto e onorato la rettitudine e la competenza del Padre Garrigou Lagrange e che i Pontefici, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII ricorsero spesso ai suoi lumi per pronunciarsi su gravi problemi dottrinali. Nel 1941 gli studenti domenicani di Coublevie, furono depositari di un’importante confidenza del Professor Lagrange:
“Ho la possibilità di farvi sapere fin da ora, senza tradire alcun segreto, che vi è nella Drome una santa donna che vive una vita contemplativa come vittima d’amore, Marthe Robin. Sono andato a trovarla su richiesta personale del Papa, per giudicare l’espressione teologica della sua fede. Ne sono rimasto meravigliato e l’ho scritto al Papa”.
Questo evento mostra un tema, anzi, una realtà cara a Hans Urs von Balthasar, ovvero il nesso sostanziale tra teologia e mistica, tra fede pensata e fede vissuta. Per metterla nelle parole di Tommaso d’Aquino, la teologia è veramente patiens divina, un patire il Divino.
Vivendo per cinquant’anni una ferrea dieta eucaristica, esprime un’esplicita conformazione eucaristica della sua mistica. Ce ne può parlare?
La devozione eucaristica di Marthe è per eccellenza la riappropriazione della teologia cattolica sull’Eucaristia. Lei vive con il Cristo eucaristico non solo l’aspetto comunionale, ma anche quello sacrificale attraverso il suo essere vittima con lui. Quando qualcuno entrava nella sua stanza, lei percepiva lo stato di grazia di quell’anima e prendeva su di sé tutto il peso del peccato. Questo prendere su di se il peso del peccato era realmente un offrirsi vittima d’amore. In questo senso vive in modo autentico l’Eucaristia che è sempre l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
C’è nella sua mistica eucaristica una dimensione di mimesis, di identificazione con Cristo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed Io in lui”. In questo senso Marthe insegna che l’Eucaristia non va solo celebrata e adorata, ma vissuta e incarnata.
Ci può dire una parola sulla missione e il senso dei Foyer de la charité ?
Marthe riesce a precorrere la teologia del laicato attraverso la fondazione dei focolari d’amore dove i laici, sotto la guida di un sacerdote e sotto lo sguardo di Maria, senza voti e senza promesse particolari, cercano la santità nella vita quotidiana, rivalutando un aspetto dimenticato per lungo tempo: quello della possibilità, anzi, del dovere di una santità nella storia e nel quotidiano. Per questo ogni Foyer è un luogo dove le anime vengono accolte e accompagnate attraverso ritiri fondamentali e poi più approfonditi a riscoprire le basi costitutive della fede cristiana.
La semplicità di Marthe mi fa pensare anche a Teresa del Bambino Gesù e alla sua “piccola via”. C’era una “elezione affettiva” con la santa di Lisieux?
Certo. Dopo che si ammalò gravemente nel 1926 e dopo tre settimane di coma si risvegliò raccontando di aver ricevuto per tre volte la visita di Santa Teresa di Lisieux, che le aveva rivelato che avrebbe continuato a vivere per portare avanti la sua missione nel mondo. Questo fatto è molto significativo perché dimostra che la mistica non è mai un fatto privato, ma che si inserisce nel pieno contesto ecclesiale. È nel sentire cum Ecclesia che si sviluppa qualsiasi autentico carisma particolare. Nessuno è santo per se stesso. La santità personale, nella sua particolarità, è espressione di cattolicità. Teresina diceva: “Nel cuore della Chiesa sarò l’amore”, Marthe l’ha vissuto nella conformazione cristica più grande, quella dell’amore che dona se stesso per riconquistare le anime a Dio.