DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Così pregavano mentre venivano uccisi



di Wadi’ Ghadban

Se qualcuno ha mai avuto la curiosità
di sapere come morivano i martiri cristiani
in epoca romana, di cui si legge
sui libri di storia, può andare a vedere, con
un po’ di coraggio, il video dello sgozzamento
di 21 egiziani cristiani (copti) diffuso
ieri (16 febbraio 2015) su internet. In un posto
imprecisato della Libia, sulla battigia del
Mar Mediterraneo, 21 cristiani sono trascinati
da 21 boia del gruppo terroristico Isis.
Ogni uomo ha il suo proprio boia affianco.
Scene già viste e riviste ormai da molti anni,
che si ripetono con la stessa destabilizzante
brutalità. Tutta la stampa internazionale ne
ha parlato. Eppure a molti è sfuggito qualcosa
(tranne a papa Francesco). Mentre il
portavoce dei terroristi fa il suo sproloquio
delirante sulla conquista di Roma, i cristiani
pregano. Li si sente mormorare il nome di
Gesù. Qualcun altro, al loro posto, avrebbe
bestemmiato, avrebbe insultato i boia, sarebbe
impazzito. Eppure, no, questi uomini
pregano. E pregano seriamente, coscienti
di essere “agnelli condotti al macello”, e,
in questo modo, di essere uniti al sommo
martirio del loro Signore. Il video, nella sua
cinica efferatezza, è sufficientemente definito
da lasciar scorgere nitidamente il labiale.
Mormorano a mezze labbra la preghiera
di Gesù. Dicono «Signore Gesù», «Signore
Gesù Cristo», «Signore Gesù Cristo aiutami
», «Signore Gesù Cristo abbi compassione
».
Alcuni sono evidentemente spaventati, ma
altri sembrano che già pregustino l’altra
vita. «Tutto posso in Colui che mi dà forza»
(Fil 4,13). Guardano il cielo, scuro come
quello dell’ora sesta sul Golgota, con una
pace che non è di questo mondo e che nessuna
esegesi razionale può comprendere.
Sono diventati preghiera, sono una cosa
sola con Cristo. E nel momento in cui la
lama del boia lacera loro la gola, dicono a
gran voce e all’unisono: «Signore Gesù!» La
Chiesa copta, che non ha mai smesso di conoscere
il martirio – a differenza dei cristiani
occidentali che ne sentono parlare solo
sui libri e sui giornali – pratica una preghiera
(la preghiera di Gesù, appunto) che è nata
proprio in questa meravigliosa e misteriosa
terra, ricca di spiritualità, che è l’Egitto.
I Padri del deserto egiziano, da cui hanno
tratto ispirazione decine di generazioni di
cristiani in tutto il mondo, hanno fatto della
preghiera di Gesù, di questa costante ripetizione/
mormorazione/ruminazione del
nome del Salvatore, il metodo pratico per
pregare incessantemente. Nella tradizione
cristiana copta, la preghiera di Gesù è di
un’importanza estrema. Ancora oggi laici e
monaci la praticano costantemente.
In un testo liturgico copto di lode, noto
come la “Santa Salmodia” (che non corrisponde
al salterio, come si potrebbe pensare,
pur contenendo alcuni salmi), per
ogni giorno della settimana esiste una lode
al dolce nome di Gesù “la perla preziosa”,
come viene definita nella preghiera del
mercoledì (vedi in basso). Ed eccoli lì i cristiani
egiziani, ripetere, in maniera composta
e al contempo potente, il meraviglioso
nome del Figlio di Dio. Così facendo hanno
esplicitato il senso nascosto a molti della
parola martirio, ormai del tutto desemantizzata.
Martirio è oggi sinonimo di sacrificio, silenziosa
sopportazione, tortura terribile. No,
o meglio non solo. Martirio significa “testimonianza”
(dal greco martyrion). Testimonianza
della verità cioè, per noi cristiani,
dell’amore di Dio incarnatosi in Gesù di
Nazaret. Testimonianza perfetta della fede
nell’Emmanuele, che i copti in Libia hanno
fatto con la lingua, il cuore e con il sangue.
Quegli uomini sono il vangelo personificato,
sono uomini uniti totalmente al Cristo, fino
nella morte ignomignosa.
Sono morti, sì, ma sono morti con Cristo,
convinti che con Cristo vivranno. E di questa
testimonianza rende testimonianza (passatemi
la cacofonia) il boia stesso che dice nel
video: «Ecco, guardate questi cani idolatri
che perfino nella morte si ostinano ad adorare
il loro idolo».
Un’ultima cosa: in Egitto, i cristiani sono in
festa. Una festa irrorata dalle lacrime, ma
pur sempre una festa. Su facebook è un tripudio
di gioia per questi uomini che sono
morti da martiri di Cristo. Ai copti non interessa
più tanto il fatto che siano stati sgozzati
come degli agnelli ma che, nella morte,
abbiano avuto il coraggio di glorificare il Signore!
Quanto è incomprensibile ormai per
noi occidentali un atteggiamento simile! È
pura follia per molti, al pari della follia dell’Isis.
Eppure, non è forse la follia della Croce?
Quanto abbiamo da imparare, noi tiepidi
cristiani d’Occidente, da questi martiri egiziani
del XXI secolo che sono morti con il
nome di Gesù sulla bocca. Impariamo da
questi cristiani a ruminare fin da ora il nome
di gloria, Gesù, per rimanere sempre, in ogni
istante, uniti a Colui che ci ha amati immensamente.

Gloria a Dio nei suoi santi!