DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

«La riforma non è fine a se stessa, serve all'evangelizzazione»



Papa Francesco apre i lavori del concistoro straordinario durante il quale i cardinali discuteranno il progetto di accorpare alcuni pontifici consigli della Curia romana

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO

«La riforma della Curia non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana, favorire una più efficace evangelizzazione» e «incoraggiare» lo spirito ecumenico e il dialogo con tutti. Lo ha detto Papa Francesco salutando i cardinali riuniti nell'aula del Sinodo per i due giorni di concistoro straordinario, che culminerà sabato con la creazione di venti nuovi cardinali, anch'essi invitati a partecipare alla discussione.

Francesco è arrivato tra i primi nell'aula ancora semivuota e ha salutato a uno a uno tutti i cardinali che arrivavano, intrattenendosi con loro. Dei 227 porporati che compongono i collegio (inclusi i venti che riceveranno la berretta sabato), 25 hanno scritto scusandosi di non poter partecipare. Questa mattina erano presenti in aula in 160.

Dopo la preghiera dell'Ora Terza, il decano del collegio, l'ex Segretario di Stato Angelo Sodano ha salutato il Papa, ricordando che a norma del Codice di Diritto canonico i cardinali sono chiamati a dare a lui tutta «la collaborazione come singoli ma anche in modo collegiale, come oggi». Sodano ha ricordato che a tema c'è una nuova riforma della Curia, dopo quella di Pio X nel 1908, di Paolo VI nel 1967 e di Giovanni Paolo II nel 1988.

Ha quindi preso la parola Francesco, che ha voluto subito salutare i venti nuovi porporati (erano presenti in 19, perché l'arcivescovo emerito di Manizales, José de Jesús Pimiento, 96 anni il prossimo 18 febbraio, non è venuto a Roma e riceverà la berretta rossa in Colombia nei prossimi giorni). Il Papa ha dato loro il benvenuto «in questa comunione» che «si esprime nella collegialità». Ha quindi ringraziato il C9, il consiglio dei cardinali coordinato da Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, e il vescovo di Albano Marcello Semeraro, che fa da segretario: «è quello che fa il lavoro».

«La meta da raggiungere - ha indicato Francesco - è quella di favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari dicasteri e uffici, per una più efficace collaborazione in quella assoluta trasparenza che edifica la sinodalità e la collegialità».

«La riforma - ha aggiunto il Papa - non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti».

Francesco ha ricordato che la riforma, «auspicata vivamente dalla maggioranza dei cardinali nell'ambito delle congregazioni generali prima del conclave, dovrà perfezionare ancora di più l'identità della stessa Curia romana», cioè quella di aiutare il Papa «nell'esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l'unità di fede e di comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo».

Papa Bergoglio, confermando che il cammino è ancora lungo, ha riconosciuto che «raggiungere una tale meta non è facile: richiede tempo, determinazione e soprattutto la collaborazione di tutti». Ma per raggiungerla «dobbiamo innanzitutto affidarci allo Spirito Santo, che è la vera guida della Chiesa, implorando nella preghiera il dono dell'autentico discernimento».

«Con questo spirito di collaborazione - ha concluso Francesco - inizia il nostro incontro, che sarà fecondo grazie al contributo che ciascuno di noi potrà esprimere con parresía, fedeltà al magistero e consapevolezza che tutto ciò concorre alla legge suprema, ossia alla salus animarum».

Dal discorso papale si evince nuovamente che per una riforma serve tempo. E Francesco ha enucleato in sintesi i veri obiettivi di questa come di ogni riforma delle strutture ecclesiali: aiutare il Papa a svolgere sempre meglio il suo servizio alle Chiese particolari, favorire l'evangelizzazione, lo spirito ecumenico, il dialogo con tutti, avendo come criterio il bene e la «salvezza delle anime». E non, dunque, privilegi, primogeniture, poteri o particolari visioni (anche teologiche) che hanno rischiato a volte di trasformare la Curia stessa in una sorta di super-governo centrale della Chiesa.