DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Nel giorno di Mattarella, la vita di re Baldovino


di Andrea Vannicelli

Baldovino è nato il 7 settembre
1930, secondo figlio di Leopoldo III,
che diventerà re nel 1934, e della
moglie, Astrid di Svezia. Il 29 agosto 1935,
la Regina Astrid muore in un incidente
stradale. Baldovino è profondamente
segnato da tale scomparsa: avrà per
sempre la foto della madre sul comodino.
Leopoldo III affida l’educazione dei tre
figli (Giuseppina Carlotta, nata nel 1927,
Baldovino e Alberto, nato nel 1934) ad
una giovane olandese; Baldovino le si
affeziona profondamente. Negli studi, si
rivela un ragazzo come gli altri.
Nel 1940, all’inizio della guerra, la famiglia
reale, tranne il re Leopoldo, si rifugia
in Francia, ma, dopo la capitolazione
dell’esercito belga, essa fa ritorno in
Belgio, dove si trova prigioniera dei
Tedeschi. Nel 1944, essi la deportano in
Germania, quindi in Austria. Dopo la fine
della guerra mondiale, il clima politico
non permette a Leopoldo di riprendere
le proprie funzioni, e, nel settembre
del 1945, raggiunge la Svizzera, dove
rimarrà con i figli fino al 1950. Tornato
in Belgio, un referendum gli accorda una
vasta maggioranza favorevole alla ripresa
delle funzioni reali. Tuttavia, davanti alle
sommosse cruente organizzate contro
di lui, preferisce nobilmente abdicare in
favore del figlio, piuttosto che vedere i
Belgi affrontarsi gravemente per causa
sua. Lo stupendo esempio di un Re che
si sacrifica per il suo popolo, rimarrà
profondamente impresso nel cuore di
Baldovino.
Gli inizi del suo regno
Per assicurare la transizione, Leopoldo
III continua a regnare per un anno, e il
16 luglio 1951, Baldovino diventa Re.
Accetta la carica per dovere. Timido, senza
esperienza, conserva un’imperturbabile
serietà in qualsiasi circostanza e esita
a prendere quell’indipendenza di cui
avrebbe bisogno. Questi difetti dell’inizio
del suo regno non sono dovuti ad una
mancanza di carattere; Baldovino ha una
forte personalità e non esita a manifestare
le proprie convinzioni. Ma deve scoprire a
poco a poco il ‘mestierè di Re.
Il suo primo viaggio nel Congo, allora
colonia belga, nel maggio-giugno 1955, è
rivelatore. Accolto da una folla esuberante
e traboccante di entusiasmo, abbandona il
suo abituale riserbo e non esita a pagare di
persona. Di ritorno in Belgio, più fiducioso
nelle proprie capacità, sfoggia un sorriso
che conquista i suoi compatrioti. Quattro
anni dopo, si reca negli Stati Uniti. La sua
giovinezza ed il suo fascino conquistano
gli Americani ed il successo del viaggio è
totale.
Un giorno di febbraio del 1960, Baldovino
passeggia nel parco del castello reale di
Laeken, vicino a Bruxelles, in compagnia
di Monsignor Suenens, che diventerà
Arcivescovo di Malines e Cardinale.
La conversazione è confidenziale, non
protocollare. Nel corso della passeggiata,
viene evocata, come per caso, la città
francese di Lourdes. Il prelato suggerisce
allora al Re di recarvisi, un giorno, in
incognito, e di mescolarsi alla folla dei
pellegrini: «Ma, risponde il Re, torno
appunto da Lourdes: ci ho passato la
notte in preghiera nei pressi della Grotta,
ed ho affidato a Nostra Signora di Lourdes
l’incombenza di risolvere il problema del
mio matrimonio».
Fidanzamento e matrimonio
Il fidanzamento ufficioso fra il Re
Baldovino e Fabiola si svolge a Lourdes,
l’8 luglio 1960. «Quel che mi piace di
più in lei, dirà il Re, è la sua umiltà, la sua
fiducia nella Santissima Vergine e la sua
trasparenza... So che essa sarà sempre
un grande incentivo ad amare sempre
più Dio». Il matrimonio sarà celebrato
il successivo 15 dicembre. Per parecchi
anni, la speranza di avere figli rimane
molto vivace nel cuore dei coniugi reali.
Ma, col passar del tempo, capiscono che
non ne avranno. «Ci siamo interrogati sul
senso della nostra sofferenza, confessa
un giorno il Re; a poco a poco, abbiamo
capito che il nostro cuore era più libero
per amare tutti i bambini, assolutamente
tutti i bambini».
In occasione del venticinquesimo
anniversario dell’accessione al trono,
nel 1976, il Re crea la «Fondazione
Re Baldovino» il cui scopo è quello di
prendere «qualsiasi iniziativa tendente
al miglioramento delle condizioni di vita
della popolazione, pur tenendo conto
dei fattori economici, sociali, scientifici e
culturali che influenzeranno l’evoluzione
del paese negli anni futuri». Chiederà alla
fondazione di abbordare argomenti quali
la tratta delle donne, i problemi carcerari,
l’accesso alla giustizia, i maltrattamenti
sessuali relativi ai bambini, ecc.
Il suo amore per quei bimbi che non
poté avere
Nel 1979, i Sovrani ricevono a Laeken
settecento bambini. In un angolo, c’è un
gruppo di bambini handicappati, di cui
parecchi mongoloidi. «Porto un piatto
pieno di caramelle ad una piccola che
riusciva difficilmente a controllare la
sua mano, racconta il Re. Con immense
difficoltà, riesce ad afferrare una
caramella, ma, con mia grande sorpresa,
la dà ad un altro bambino. Per un bel
po’, senza mai tenersene neppur uno, ha
distribuito i confetti a tutti i bambini sani
che la guardavano sbalorditi... Che mistero
d’amore in questi esseri fisicamente
deformati...».
Per concludere il ricevimento, il Sovrano
pronuncia un breve discorso per i giovani
ascoltatori: «Il mondo ha bisogno d’amore
e di gioia. Voi siete capaci di darli. È presto
detto, ma è una cosa molto difficile.
Bisogna esercitarsi e ricominciare tutti
i giorni. Facendolo, vedrete cambiare le
cose attorno a voi, per esempio, aiutando
i vostri genitori, esprimendo loro il vostro
affetto, li renderete più felici, darete loro
voglia di fare la stessa cosa fra di loro e nei
riguardi di altre persone. E così, un po’ alla
volta, i rapporti fra la gente diventeranno
migliori. Provate, perseverate nello
sforzo di amare attraverso gli atti. Non
scoraggiatevi mai. Se lo farete, ve lo
ripeto, vedrete cambiare perfino la faccia
delle persone attorno a voi, e, tutte le
sere, proverete nel cuore una grande
gioia. Diventate costruttori d’amore».
La preghiera occupa il primo posto
nell’orario del Re. Vi si dedica
abitualmente all’inizio della giornata.
L’aridità spirituale non lo risparmia: «Era
quasi sempre difficile, scriverà, rimanere
immobile a contemplare Dio nel silenzio e
l’aridità della fede». La Messa quotidiana
è per lui il momento privilegiato della
giornata. In tutti i paesi del mondo, in cui
lo conduce la sua carica, chiede che si
trovi un sacerdote per celebrarla. Vive al
ritmo della liturgia, annotando sull’agenda
un pensiero tratto dai testi della Messa. Si
accosta regolarmente al sacramento della
Penitenza e parte spesso con la Regina per
un fine settimana di ritiro spirituale.
Una vita spesa per la gloria di Dio
Il colloquio con il Signore, che costituisce
la sua preghiera, lo aiuta ad esser attento
alle persone che incontra. Scrive: «Oggi,
proverò ad essere particolarmente
attento a tutti coloro che il Signore
metterà sulla mia strada... Dio non ci
domanda di essere periti tecnici nei
campi più diversi, dalla musica alla
politica, ma, guidati dal suo Spirito, di
amare gli uomini con il suo Amore, di
guardarli con i suoi occhi, di ascoltarli
con i suoi orecchi, di parlar loro con le
sue parole. Signore, noi, io e Fabiola,
lo desideriamo, con tutta la nostra
anima». È così che vede le sue funzioni
di Re. Per conoscere la volontà di Dio
nella sua attività quotidiana, invoca lo
Spirito Santo: «Come devo comportarmi?
Spirito Santo, non lasciarmi neanche un
attimo, te ne supplico. Sii la mia forza,
la mia saggezza, la mia prudenza, il
mio umorismo, il mio coraggio, la mia
dialettica. Mi sento talmente sprovveduto
di linguaggio! D’altro canto, so che
hai bisogno della mia debolezza per
manifestare la tua gloria... Penso troppo
spesso alla missione che mi hai affidata e
per la quale sono nato. Dimentico troppo
spesso che esisto prima di tutto per
Te, per adorarTi, per contemplarTi, per
amare tutti coloro che Tu metti sulla mia
strada».
La vita spirituale del Re lo sostiene e lo
stimola nelle funzioni governative, ed
egli segue da vicino gli affari del Paese.
Conscio dei limiti che la Costituzione
impone al suo potere, esercita un’influenza

sulla vita politica più attraverso consigli e
avvertimenti che attraverso decisioni. Per
questo, s’informa precisamente su tutti
gli argomenti, interrogando direttamente
persone competenti che riceve in
udienza. Annota metodicamente su un
quaderno l’essenziale dei colloqui. I pareri
che dà poi ai suoi collaboratori sono
apprezzati: «Ha più informazioni di noi,
confessa uno di loro. È pertanto evidente
che lo ascoltiamo e che, spesso, seguiamo
i suoi consigli». Il Re completa le sue
informazioni attraverso numerose visite
in tutto il Paese, nel corso delle quali
incontra la più vasta gamma possibile
di persone: uomini e donne di tutte le
tendenze politiche ed ideologiche. Tutti
i suoi viaggi, in Belgio o all’estero, tutti
i discorsi, sono oggetto di un’accurata
preparazione. Legge le opere che gli
consigliano i collaboratori ed esamina
minuziosamente i fascicoli che gli
presentano, non abbandonando nulla al
caso. Benché abbia il dono di distinguere
l’essenziale dall’accessorio, non trascura i
particolari.
La mattina del 4 aprile 1990, una
notizia inaudita viene trasmessa alla
radio: il Belgio non ha più Re! Avendo
Baldovino rifiutato di firmare la legge
che autorizzava l’aborto provocato, il
governo ha dichiarato che egli si trovava
nell’impossibilità di regnare. Il 29 marzo,
il Parlamento aveva votato una legge che
autorizzava l’aborto provocato, legge già
accolta favorevolmente dal Senato il 6
novembre precedente. Ora, secondo la
Costituzione belga, nessuna legge così
votata dalle Camere può esser promulgata
senza aver ricevuto la firma del Re.
Scelte talvolta dolorose
Nelle nostre società, sembra che il voto
di una maggioranza non vada discusso, e
che sia sufficiente per rendere legittima
una legge. Nella sua enciclica Evangelium
vitæ, pubblicata il 25 marzo 1995,
Giovanni Paolo II ricorda che il voto
democratico non costituisce un assoluto:
«In ogni caso, nella cultura democratica
del nostro tempo si è largamente diffusa
l’opinione secondo la quale l’ordinamento
giuridico di una società dovrebbe limitarsi
a registrare e recepire le convinzioni della
maggioranza [...] In realtà, la democrazia
non può essere mitizzata fino a farne un
surrogato della moralità o un toccasana
dell’immoralità [...] Il suo carattere ‘moralè
non è automatico, ma dipende dalla
conformità alla legge morale a cui, come
ogni altro comportamento umano, deve
sottostare» (nn. 69-70). Il Re Baldovino si
trova nella situazione che Giovanni Paolo
II descriverà nella precitata enciclica:
«L’introduzione di legislazioni ingiuste
pone spesso gli uomini moralmente
retti di fronte a problemi di coscienza in
materia di collaborazione in ragione della
doverosa affermazione del proprio diritto
di non essere costretti a partecipare ad
azioni moralmente cattive. Talvolta le
scelte che si impongono sono dolorose
e possono richiedere il sacrificio di
affermate posizioni professionali o
la rinuncia a legittime prospettive di
avanzamento nella carriera» (n. 74).
Baldovino sa che, rifiutando di firmare,
si espone all’incomprensione di molti
suoi concittadini il cui senso morale è
affievolito, e rischia addirittura di dover
rinunciare al trono.
Ora, la legge sull’aborto votata dal
Parlamento belga è in contraddizione
con il bene espresso dalla legge di Dio.
«Infatti, Dio, padrone della vita, ha
affidato agli uomini l’altissima missione
di proteggere la vita: missione che deve
essere adempiuta in modo umano. Perciò
la vita, una volta concepita, deve essere
protetta con la massima cura; e l’aborto
come l’infanticidio sono abominevoli
delitti» (Gaudium et spes, n 51).
Il rispetto della vita del nascituro è un
principio sacro e universale: «Il bambino,
aveva dichiarato il Re Baldovino qualche
mese prima, per via della sua mancanza
di maturità fisica ed intellettuale, ha
bisogno di una protezione speciale,
di cure speciali, in particolare di una
protezione giuridica appropriata, prima
e dopo la nascita». Sapendo che dovrà
render conto a Dio delle sue decisioni,
Baldovino scrive al Primo Ministro Wilfried
Martens la seguente lettera: «Signor
Primo Ministro, In questi ultimi giorni ho
potuto manifestare a numerosi esponenti
politici la mia grande preoccupazione
circa il progetto di legge relativo
all’interruzione di gravidanza. Questo
testo sta per essere votato alla Camera,
dopo esserlo stato al Senato. Mi rincresce
che non sia stato raggiunto un accordo
fra le principali forze politiche su un
argomento così fondamentale. Questo
progetto di legge suscita in me un grave
problema di coscienza. Temo infatti che
esso venga recepito da una gran parte
della popolazione come un’autorizzazione
ad abortire durante le prime dodici
settimane dopo il concepimento. Nutro
anche una serie di preoccupazioni circa
la disposizione secondo la quale l’aborto
potrà essere praticato al di là delle
dodici settimane se il nascituro è affetto
“da una menomazione di particolare
gravità e riconosciuta come incurabile al
momento della diagnosi”. Si è meditato
come tale messaggio sarebbe recepito
dagli handicappati e dalle loro famiglie?
In sintesi, temo che questo progetto porti
a una sensibile diminuzione del rispetto
della vita nei confronti dei più deboli.
Comprenderete, dunque, perché io non
voglio essere coinvolto in questa legge.
Ritengo che firmando questo progetto
di legge e dimostrando nella mia qualità
di terzo ramo del potere legislativo
il mio accordo con questo progetto,
assumerei inevitabilmente una certa
corresponsabilità. E questo non posso
farlo, per i motivi sopra esposti. So che
agendo così non scelgo una strada facile
e che rischio di non essere capito da un
buon numero di concittadini. Ma è la sola
via che in coscienza posso percorrere.
Chiedo a quelli che si stupiranno della
mia decisione: «Sarebbe normale che
io fossi il solo cittadino belga costretto
ad agire contro la propria coscienza in
una questione essenziale? La libertà di
coscienza vale per tutti, salvo che per
il re? Capisco peraltro molto bene che
non sarebbe accettabile che, a causa
della mia decisione, venisse bloccato il
funzionamento delle nostre istituzioni
democratiche. Per questo invito il
Governo e il Parlamento a trovare una
soluzione giuridica che concili il diritto
del re a non essere obbligato ad agire
contro coscienza con la necessità del
buon funzionamento della democrazia
parlamentare. Vorrei terminare questa
lettera sottolineando due punti importanti
sul piano umano. La mia obiezione di
coscienza non vuole esprimere alcun
giudizio sulle persone che sono favorevoli
al progetto di legge. D’altra parte, la
mia decisione non significa che io sia
insensibile alla situazione molto difficile e
talvolta drammatica con la quale alcune
donne devono confrontarsi. Vi chiedo,
signor Primo Ministro, di rendere nota
questa lettera, nei modi che riterrete più
opportuni, al Governo e al Parlamento».
Di fronte a questa crisi politica e
istituzionale, il Governo belga si riunisce
e escogita, dopo febbrili trattative,
una scappatoia giuridica, appellandosi
all’articolo 82 della Costituzione. Esso
prevede che «qualora il re si trovi
nell’impossibilità di assolvere le sue
funzioni di Capo dello Stato», il Governo
stesso può farne le veci. La pratica e la
dottrina avevano finora individuato due
casi in cui applicare quella norma: la
prima volta, per la malattia grave e per
la privazione di libertà personale. Questo
secondo caso si era verificato nel 1940,
quando il Governo aveva esautorato
Leopoldo II, arresosi ai tedeschi e da loro
imprigionato. Nel caso di Baldovino i
termini sono però diversi: il Governo
parla stavolta di ‘impossibilità
moralè, perché la sua coscienza
gli impedisce di compiere il
dovere costituzionale di firmare
le decisioni parlamentari in
materia di aborto. Baldovino
viene quindi sospeso dalle
sue funzioni per la giornata di giovedì 4
aprile 1989 e fino alle ore 15 del giorno
successivo. Venerdi’ 5 aprile alle ore 15
le due Camere riunite in seduta plenaria,
con 245 sì e 93 astensioni, restituiscono
al monarca i suoi poteri, ponendo fine
allo stato di emergenza. Al di là della
sostenibilità tecnica e giuridica, la
soluzione elaborata avrà permesso di
rispettare il valore delle posizioni morali
del re, il suo diritto all’obiezione di
coscienza, senza però aprire un conflitto
politico e istituzionale che sarebbe stato
lacerante per il Belgio.
Cercare la verità, sulla via della santità
Questo nobile rifiuto è il coronamento di
una lunga ascensione, spesso dolorosa,
sulla via della santità. La fedeltà ai doveri
del proprio stato nelle azioni ordinarie ha
preparato il Re a quest’atto esemplare
che manifesta una coscienza retta,
perfettamente docile alla voce di Dio.
«La coscienza – scrive san Bonaventura
– è come l’araldo di Dio e il messaggero,
e ciò che dice non lo comanda da se
stessa, ma lo comanda come proveniente
da Dio, alla maniera di un araldo quando
proclama l’editto del re. E da ciò deriva
il fatto che la coscienza ha la forza
di obbligare» (vedi Giovanni Paolo II,
Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993,
n. 58). «Certamente, per avere una ‘buona
coscienza’ (1Tm 1, 5), l’uomo deve cercare la
verità e deve giudicare secondo questa stessa
verità. […] La Chiesa si pone solo e sempre
al servizio della coscienza, aiutandola a non
essere portata qua e là da qualsiasi vento
di dottrina secondo l’inganno degli uomini
(cfr. Ef 4,14), a non sviarsi dalla
verità circa il bene dell’uomo,
ma, specialmente nelle
questioni più difficili,
a raggiungere
con sicurezza
la verità e a
r ima n e r e
in essa»
(Ibid., nn.
62 e
64).
Rispondendo
alla lettera del
Re, e per uscire dal
vicolo cieco in cui
si trova il governo,
il Primo Ministro fa
appello ad un articolo
della Costituzione belga che
prevede che il Re possa, in casi
estremi, trovarsi nell’impossibilità
di regnare. Il 3 aprile, il Consiglio dei
Ministri constata che, nella presente
situazione, tale impossibilità è reale. Lo
stesso Consiglio agisce allora come se
non ci fosse più il Re, e promulga la
legge rifiutata da Baldovino. Ma
perché il Re sia reintegrato
nelle sue funzioni, si
rende necessario
un voto del
C a m e r e
riunite. Il
5 aprile, il
voto del
Parlamento
permette a
Baldovino di
riprendere il
suo posto di
Capo dello
Stato.
Il Re
reintegra dunque le sue funzioni al servizio
del paese; ma, da dieci anni ormai, la sua
salute si è deteriorata ed egli sente che
la morte si avvicina. Nel 1991 e nel 1992,
subirà due interventi chirurgici, di cui uno
a cuore aperto. Il 21 luglio 1993, giorno
della festa nazionale, si rivolge ai suoi
concittadini e, poco dopo, lascia il Belgio
per recarsi in Spagna a riposarsi. La sera
del 31 luglio, si installa sulla terrazza della
dimora. Verso le 21, la Regina lo chiama
per la cena. Non ottenendo risposta, gli
si avvicina e lo trova accasciato nella
poltrona, fulminato da una crisi cardiaca.
In occasione dei funerali, una folla
notevole va a manifestare l’attaccamento
alla sua persona, e poveri fra i più poveri
testimoniano quanto il cuore fraterno
del Re fosse stato vicino alle più grandi
miserie umane.
Il Re Baldovino «aveva un segreto: era il
suo Dio, che amava follemente e da cui
era tanto amato. Sotto il fogliame delle
attività pubbliche e politiche, scorreva una
sorgente tranquilla e nascosta: era la sua
vita in Dio... Mentre il Re serviva gli uomini,
non cessava di pensare a Dio. In ogni viso
umano che gli si presentava, ravvisava il
viso di Cristo» (Cardinale Danneels, Omelia
per i funerali del Re Baldovino, 7 agosto
1993). Papa Giovanni Paolo II l’ha definito
«Re esemplare» e «fervente cristiano».
La Chiesa cattolica ha aperto un fascicolo
per la sua eventuale beatificazione presso
la Congregazione per le cause dei santi.

La Croce 3 febbraio 2015