DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Profonda Etiopia. Viaggio nel cuore della Dancalia dove la donna non vale un fucile



MARIA TERESA RUTA

 È appena uscito anche
in Italia, prodotto da Angelina
Jolie, che ha pianto per
venti minuti alla prima proiezione,
scritto e diretto da ZeresenayBerhaneMehari,
«Difret: il coraggio per cambiare». 
Il film racconta l'Etiopia,
un Paese in cui è in atto una
lentae sanguinosatrasformazione
per il raggiungimento
dell'uguaglianza di diritti tra
uomoedonna.Laprotagonista
è Hirut, una ragazzina di
in un villaggio a sole tre ore
da Addis Abeba, che tornando
a casa dopo la scuola, viene
aggredita e rapita da un
gruppo di uomini guidati da
Tadele, l'ideatore del rapimento
e suo “aspirante futuro
sposo”. Sì, perché nel villaggio
di Hirut e Tadele, cosi
comenel resto dell'Etiopia, la
pratica del rapimento a scopo
dimatrimonio è una delle
tradizionipiùantiche erispettate
e alle donne non viene
lasciata alcuna libertà di scelta,
se non quella di subire un
trattamento inumano, dallo
stessouomoche,daquelmomento
fino alla fine dei propri
giorni, dovranno accettare
come marito.Hirut non ci
sta,e imbracciatounfuciledimenticato
da uno dei rapitori,
nel tentativodi fuggire,spara
uccidendo il suo aguzzino,
firmando così la propria condannaamorte.
Maunagiovane
avvocatessa arriverà dalla
capitale perdifenderla.È una
storia vera e nella realtàMeaza
Ashenafi per il suo
impegnoadifesadeidirittidelledonnein
Etiopianel2003
haricevuto
l'HungerProjects Prize,
il Premio Nobel Africano
e l'attenzione di Angelina
Jolie, da sempre
impegnata in cause comequesta.
Il film è bellissimo
ma purtroppo milioni
di donne etiopi non lo
vedranno, né ne sentiranno
parlare.
Non dobbiamo farci
illusioni. Nel film, la
mamma di Hirut lo dice
chiaramente che è
colpa delmarito che ha
volutomandare ascuola
la figlia. Se fosse rimasta a
lavorare i campinonsi sarebbe
ribellata.Ma poi aggiunge
chenonpuòfirmarelaprocura
all'avvocato, solo il marito
decide in casa. E siamo a tre
ora da Addis Abeba.
TERRA DEI VULCANI
Sono appena tornata da
un lungo viaggio in Etiopia,
nella regione della Dancalia,
profonda depressione, un
fondalemarino a -130mche
si è prosciugato 20 mila anni
fa lasciando dietro un deserto
di sale di 600 km quadrati;
dove i vulcani sono allineati
in una dorsale di fuoco che
culminacol crateredi lavaperenne
dell'Erta Ale. L'Etiopia
è immensa e la Dancalia si
trova a 7 giornidi viaggio dalla
capitale. Qui Hirut non
avrebbeavutoalcunapossibilitàdi
ribellarsi .GliAfar (chiamati
anche Dancali) che la
abitano, circa due milioni,
guerrieri, nomadi poco inclinial
rapporto conglialtri,prevalentemente
musulmani,
sonomoltoseri , severi, solitari,
aggressivi, silenziosiechiusi.
Leragazzechehoincontrato
hanno nomi bellissimi
Adanec (salvatrice), Aklilu
(sua corona), Alemayehu
(ho visto il mondo), Hiruti
(scelta),ma si sposano a 13 o
14 anni.È il padre che sceglie
il marito e costruisce anche
la capanna per inovelli sposi,
il“burra” tondeggiante,bellissima
esteticamentema scarna
anche se assai spaziosa all’interno.
E sempre il padre
cerca i doni, le stuoie e le coperte.
C'è forse anche amore
in questo ma più che altro
ataviche abitudini.
LedonneinDancalia sono
belle, alte,magrissime con le

gambe lunghe e il bacin
 stretto, i capelli neri raccolti
in intrecci dalla perfezione
matematica ma non contano
nulla: fin da bambine piccolissime
lavorano. Al mattinoprestissimoprimadel
sorgere
del sole quando tutto
(cieloe terra)è azzurroplumbeocartadazucchero.
Portanole
caprette apascolarenelle
zonemeno desertiche, poi
vanno a prendere l’acqua (a
quelle fortunate viene dato
unasinelloperportare le taniche),
poi fanno la legna, cataste
immense sulle piccolissimespalle.
Tuttomentreaccudiscono
i fratelli più piccoli,
bagnano il pavimento perché
non si sollevi la polvere,
controllano il fuoco sempre
acceso per preparare la 'njera
(pane acido che accompagna
tutti gli intingoli),cucinano,
lavanoinunapozzanghera
indumenti e vettovaglie e
spazzano.
A trent'anni hanno un
aspetto già consumato. Solo
lavori umili, non possono
neppureaccudire idromedari:
mestieremaschileper l'importanza
di questo animale
con cui si calcola l'ammontare
del patrimonio, delle riparazioni
per un crimine o un
offesa, insomma status sociale
ed economico, appannaggioesclusivomaschile.
Eppure
questo viaggio è stato uno
dei più belli che ho fatto. Mi
ha segnato in profondità.Ho
scrutato questo popolo attraverso
gli occhi di Nati la nostra
guida locale di tribù
Amar (persona straordinaria,
preparatissima) e ne ho
compreso le ragioni “irragionevoli
per noi europei” con i
racconti dello scrittore fotografo
Andrea Semplici, due
compagnidi viaggiopreziosi,
insieme alle 2 guardie armate.
TUTTI ARMATI
 Se nasci ad Aysa'iyta, anticacapitaledel
sultanonomade
degli Afar sperduto luogo
di sosta delle carovane, o a
Karswat, dove finisce la strada
asfaltata e dove per raggiungere
le pendici dell'Erta
Aleconuna superaccessoriata
jeep si percorrono 28 km
di sabbia in 3 ore e ci vogliono
altre 3 ore per soli 12 km
di terreno disegnato e scolpito
dalla lava, se nasci qui
insomma non conosci
neppure le bambole. A
Karswat sono tutti armati
: l'AK-47 qui è più amato di una donna,
il kalashnikov
sovietico che pesa
più di 4 kg, uccide a 700
metri e spara 600 colpi al
minuto. Tutti gli uomini
lo vogliono. Se è vero che
«la penombra è il rifugio
preferitodagli etiopi» (come
ci fa capire Rimbaud,
poeta francese),nella penombrasociale oggi vivono
soprattutto le donne…
Questo film vi farà venir
voglia di partire per
questa terra magnifica,
ed io tornerò lìpresto per
fotografare la varietà dei
popoli della Valle dell’Omo,
le chiese Rupestri di
Lalibela emolto altro.
Ma credo si debba esser
prudenti per non violare
i loro codici così diversi
da quelli occidentali.
Aspettando con pazienza e
conamorevigilechela condizione
femminile possa migliorare,
mai a discapito però
della dignità degliAfar.
La Dancalia, con i suoi deserti
di sale, di zolfo, di pietra
o di lava , costringe per pochi
“birr” tutti gli uomini a spalare
e trasportare sale per giorni
e giorni tuttiuguali,perché
lìnonc'è null'altro che sipossa
fare, e guardandoli durante
la loro giornata fattadi lavoromassacrante
epausenoiosissime
forse ci domanderemo
se questa povertà è anche
un po’ colpa nostra.


Il Giornale 3 febbraio 2015