DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Sant’Antonio ne ha fatta un’altra delle sue



di Lorenzo Bertocchi
In fila. Turisti distratti, fedeli assorti, famiglie
con bambini, anziani. Tutti in fila.
Per andare a toccare la tomba del Santo.
Sono circa cinque milioni i pellegrini che
ogni anno vanno sulla tomba di Sant’Antonio
a Padova, una buona parte di loro, circa un
milione, passano anche davanti alla Cappella
del Tesoro dove ci sono preziose reliquie, tra
cui la famosa lingua.
«O lingua benedetta, che hai sempre benedetto
il Signore e lo hai fatto benedire dagli
altri, ora appare a tutti quanto grande è stato
il tuo valore presso Dio». Così disse un altro
santo, Bonaventura da Bagnoregio, quando
nel 1263 aprì la cassa dove era custodito il
corpo di Antonio, morto trentadue anni prima.
E con grande sorpresa si ritrovò davanti,
incorrotta, la lingua del Santo.
Quella lingua, che tanto aveva “benedetto
il Signore”, doveva veramente aver smosso
nel profondo il cuore di Dio, al punto che Lui,
dietro le richieste di quella lingua, ha fatto
piovere dal Cielo grazie su grazie. Per tanti,
questo giovane frate portoghese nato agostiniano
e morto francescano,
è semplicemente il santo dei
miracoli. Perché, sì, in giro
c’è ancora gente che crede
ai miracoli. Nonostante David
Hume e compagnia.
Mentre mi avvicino alla tomba
del Santo osservo le persone
che stanno davanti a me.
Quando è il loro momento di
sostare davanti alla tomba,
anche quelli con la faccia da
turista, cambiano espressione,
si fanno più attenti, e una
mano su quella pietra la passano
praticamente tutti. Sai
mai…
La maggior parte, sono lì per
chiedere. Due giovani donne,
insieme al padre, si fermano
a lungo, una lacrima di commozione,
un abbraccio tra
loro. Chissà forse sono alla
ricerca di una nuova speranza
per qualcuno che soffre. Altri
sollevano bambini che, lì per
lì, sembrano non capire, ma la
loro manina su quella tomba
la mettono lo stesso. Piccole
carezze per il Santo che,
guarda caso, è spesso rappresentato
con Gesù bambino in
braccio.
«Sono ormai dieci anni che
sono rettore della Basilica, mi
dice P. Enzo Poiana, e ho incontrato
una realtà che non
avrei mai pensato. In questi
anni sono rimasto stupito dalla
continua testimonianza di
grazie ricevute». Allora, dico
io, non solo c’è ancora gente
che crede ai miracoli, ma per
qualcuno accadono ancora.
Roba da matti per una cultura
come la nostra che ha già archiviato
tutti questi fenomeni
alla voce “impossibile”.
Ma più della filosofia può la realtà. Lo scorso
gennaio P. Enzo ha fatto un battesimo speciale.
Si tratta di una bambina, Kayrin, nata
da genitori che abitano nel veronese. «Un
bel giorno, dopo la nascita della bambina,
vedo arrivare in Basilica i due genitori e mi
dicono che dovevano raccontarmi un fatto».
Qualcosa di concreto quindi, qualcosa contro
cui “non valet argumentum”.
«Lì, per lì, ho ascoltato, ma non ho dato troppo
peso alla cosa. – continua P. Enzo – Poi
però, di fronte alla insistenze, sono andato
ad incontrali a casa loro. Era fine novembre.
Lì ho avuto modo di capire meglio e ho preso
atto anche della documentazione medica».
Ok, P. Enzo, andiamo per ordine.
«Tutto è partito da una ecografia dall’esito
preoccupante. Era stata rilevata una macchia
sul viso della bimba, con diagnosi di
lipoma, o peggio di liposarcoma. A quel punto
la coppia si rivolge ad una specialista di
Verona, la quale, purtroppo, evidenzia anche
un infezione al cervello della piccola, con
pericolo di vita sia per lei, che per la madre. I
genitori, ovviamente, sono angosciati. Qualcuno
prospetta la possibilità di aborto. Ma
loro non la prendono minimamente in considerazione.
Vengono quindi consigliati di andare a Bologna
da un professore esperto, ma l’appuntamento
viene dato dopo due mesi. Quasi
disperati si rivolgono di nuovo alla specialista
di Verona che contatta direttamente la
segreteria del professore bolognese e riesce
a spuntare un nuovo appuntamento: il 13
giugno alle ore 18».
E allora, una data vale l’altra, no? «Beh, mi
dice P. Enzo, è curioso. Perché quella è la
data della festa di S. Antonio e le 18 è l’ora
precisa della tradizionale processione del
Santo.
A questo punto entrano in gioco le due
nonne che, vista anche la data, pregano insistentemente
S. Antonio perché interceda.
Convinte che proprio questo fatto della data
costituisca un segno. E così arriva il 13 giugno.
Prima di andare all’appuntamento di
Bologna la famiglia passa da Padova, entrano
in basilica, fanno la fila come tutti, passano
davanti alla tomba del Santo, vanno nella
cappella delle reliquie e vengono benedetti
insieme a un gruppo di persone. Ma loro ne
chiedono una speciale.
Dopo aver raccontato il fatto al sacerdote
nigeriano che stava prestando servizio, la
mamma e la bimba vengono benedette e gli
si dice di avere fiducia».
Quindi arrivano a Bologna… «Sì, arrivano con
anticipo, passano un po’ di tempo in un bar.
Per allentare la tensione decidono di giocare
a carte. Ad un certo punto entra un uomo
con il volto deformato e le nonne, che stavano
accompagnando la giovane famiglia, in
modo sfacciato cominciano a fargli domande.
L’uomo ascolta e risponde con pazienza
e racconta i suoi problemi. Anche questo
viene interpretato come un segno, come
se qualcuno volesse fargli vedere una sofferenza
simile a quella che avrebbe potuto
aggredire la vita della piccola. Il tempo passa
e quindi, alle 18, tutta la famiglia entra finalmente
nell’ambulatorio del professore».
Immagino l’atmosfera. “Beh, mi dice P. Enzo,
a quanto mi hanno raccontato, dopo i saluti
e le parole di rito, da quando il medico ha acceso
l’ecografo, è calato un grande silenzio.
Nessuno parlava, provate a pensare lo stato
d’animo… mentre il professore guardava lo
schermo loro non osavano chiedere. Poi il silenzio
si prolunga, anche il dottore non parla.
Ad un certo punto comincia a guardare le
vecchie ecografie, poi il monitor, ancora le
carte, poi di nuovo il monitor. «Non so cosa
sia successo – dice il professore – ma le carte
che mi avete portato non corrispondono
con quello che io sto vedendo sul monitor».
Si potrebbe pensare ad un errore degli altri
medici, sa com’è, imperizie. «Già, però il professore
conosceva bene i medici che avevano
consigliato la visita a Bologna e dice ai
genitori che la loro professionalità è fuori
discussione. Insomma, per farla breve, la
macchia sul viso era totalmente scomparsa
e dell’infezione al cervello nessuna traccia».
Miracolo! «La Chiesa – mi frena P. Enzo – su
queste cose procede con prudenza. Ma il
fatto merita attenzione».
Sì, capisco. Ma, mi tolga una curiosità, e le
nonne?
«Dopo le parole del medico sono state loro
a rompere il ghiaccio. Con le lacrime agli
occhi gli hanno fatto una domanda: “Professore,
lei crede ai miracoli?” “Beh, ha risposto
lui, qualche volta noi medici dobbiamo
rassegnarci”».
P. Enzo, dico io, anche la Chiesa, a volte, si
deve rassegnare. Lui ride e aggiunge: “Sì
sono prudente, ma non posso non gioire della
gioia di questa famiglia”.
Pare proprio che S. Antonio ne abbia combinata

un’altra delle sue. 

La Croce 7 febbraio 2015