DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

14 Dicembre 2015






Maria sulla Porta della Misericordia

Articolo scritto per "La Croce"
 


IL CAMMINO DELLA MISERICORDIA DURA PER TUTTA LA VITA

Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza; non ci è consentita nessuna forma di tristezza, anche se ne avremmo motivo per le tante preoccupazioni e per le molteplici forme di violenza che feriscono questa nostra umanità. 
Abbiamo aperto la Porta Santa, qui e in tutte le cattedrali del mondo. Anche questo semplice segno è un invito alla gioia. Inizia il tempo del grande perdono. E’ il Giubileo della Misericordia. E’ il momento per riscoprire la presenza di Dio e la sua tenerezza di padre. Dio non ama le rigidità. Lui è Padre, è tenero. Tutto fa con tenerezza di Padre.
La fede in Cristo provoca ad un cammino che dura per tutta la vita: quello di essere misericordiosi come il Padre. La gioia di attraversare la Porta della Misericordia si accompagna all’impegno di accogliere e testimoniare un amore che va oltre la giustizia, un amore che non conosce confini. E’ di questo infinito amore che siamo responsabili, nonostante le nostre contraddizioni. (Omelia di Papa Francesco del 13 dicembre 2015)


SANTITA’

La santità non è un lusso, non una imposizione, un onere, è un privilegio, è un dono, è un onore sommo. E’ come ereditare la dignità del proprio casato, del proprio padre: è un obbligo, sì, ma che deriva dalla nobiltà di essere figli di Dio (...) Non è tanto natura, è  vocazione. Se dunque noi siamo “chiamati ad essere santi”, se la nostra vocazione è questa, allora saremo persone vere, riuscite, nella misura in cui saremo santi. Diversamente, siamo dei falliti. Il contrario di santo non è peccatore, ma fallito!


MARTIRI BAMBINI

“Un giorno sono arrivati quelli dello Stato islamico e hanno dato il via a una vera e propria caccia all’uomo. Ne hanno ammazzati moltissimi”. Compresi dei bambini cristiani. Uccisi perché cristiani. Quattro in particolare. I bambini sono stati posti di fronte alla terribile alternativa tra la conversione all’islam e la morte. I militanti islamici sono andati da un adulto e gli hanno detto: “Dì le parole per la conversione all’islam o uccidiamo i tuoi bambini”. Disperato, l’uomo ha pronunciato le parole. “L’uomo poi mi ha chiamato – ha raccontato White – e mi ha chiesto se Gesù avrebbe smesso di amarlo se avesse pronunciato la formula di abiura. Gli ho risposto che Gesù lo avrebbe amato per sempre”. I quattro bambini invece hanno risposto di no, che avrebbero seguito Gesù fino alla morte. “Noi amiamo Yeshua (Gesù in arabo, ndr), abbiamo seguito sempre Yeshua, Yeshua è sempre stato con noi”, hanno risposto i bambini ai jihadisti dell’Isis. I terroristi: “Di’ le parole”. I bambini: “Non possiamo”. Così hanno pagato con la vita. Hanno tagliato le loro teste. “E’ in corso un olocausto dei cristiani”, aveva detto settimane fa alla Cnn Mark Arabo, leader cristiano, parlando di “sistematica decapitazione di bambini” da parte dell’Is. “I bambini vengono decapitati, le madri violentate e uccise, i padri impiccati”. La drammaticità di quanto ha detto Mark Arabo colpisce il giornalista della Cnn, Jonathan Mann, che gli chiede: “Stanno decapitando bambini?”. Risposta: “Sistematicamente”. Bambini cristiani. A Qaraqosh, culla della cristianità di Ninive, un bambino cristiano di cinque anni di nome Andrew è stato decapitato dall’Is durante la presa della città. (Il Foglio)


DIVORATORI

Divorare è la prima esperienza che il neonato fa, saziandosi col latte materno. E’ fisiologica e dimostra la sua spinta vitale. Quando questa prima fase (appunto “orale”), viene pienamente appagata, con cibo, attenzione e affetto, si passa ad altre modalità. Si apprezza la propria capacità di procurarci l’affetto e il cibo, e il rapporto con l’altro diventa di reciproco scambio, e dono. Il guerriero è utile, ma non sempre  indispensabile. Se l’appagamento è stato parziale, la spinta divorante dell’infante è sempre pronta a farsi viva. (Claudio Risé. Corriere della Sera)


VIRILITA’

Avevamo perduto la guerra. Non parlo di un’assenza di successo. Al contrario, avevamo preso l’abitudine di cullarci nel comfort e nei successi, fintanto che una malattia, un incidente, un fatto di cronaca, un male senza lotta né nemico non ci avessero portati via come un computer impallato, in una insignificanza al di qua dell’assurdo. ci eravamo rammolliti, avevamo perduto ogni virilità, ridotti allo stato di bambini viziati, di marionette preoccupate del loro cardio-training, di pupazzi consumatori di pornografia. Non volevamo la pace che si fa, ma quella che ci lascia in pace, poco importa al prezzo di chissà quali devastazioni, di chissà quali “danni collaterali”. Avevamo dimenticato una cosa fondamentale, cioè che «la pace è opera della giustizia», come dice Isaia. E’ normale, quando si rifiuta questa battaglia per la giustizia, che la nostra pace apparente ci esploda in faccia. Ed ecco allora che girovagare per la strada non è più qualcosa di scontato, come per i passeggiatori disincantati. La guerra ci ha raggiunti. È già qualcosa, nell’ottica del risveglio. Ma questa guerra la vinceremo? Combatteremo la «buona battaglia», secondo le parole di san Paolo? Certo, è la figura dell’amore a dominare nella vita cristiana, quella del fratello, del figlio, di colui che dialoga, di colui che ha compassione. Non possiamo dimenticare quella del guerriero. Un guerriero dalle armi anzi tutto spirituali, ma pur sempre guerriero. Certo, contrariamente a quanto crede un certo darwinismo, la vita è comunione prima di essere battaglia, è dono prima di essere lotta. Ma poiché questa vita è ferita fin dall’origine, incessantemente attaccata dal Maligno, occorre lottare per il dono, combattere per la comunione, impugnare la spada per estendere il Regno dell’amoreSe non ritroviamo questa virilità guerriera, quella che faceva cantare a san Bernardo l’«elogio della nuova milizia», noi avremo perso contro l’islamismo tanto spiritualmente quanto materialmente. Molti giovani, in effetti, si rivolgono all’islam perché il cristianesimo che proponiamo non contiene più eroicità né cavalleria (quando invece Tolkien sta dalla nostra parte), ma si riduce a garbati consigli di civismo e di comunicazione non-violenta. Qual è il vero terreno di questa guerra? Alcuni vorrebbero farci credere che la forza dei terroristi dello scorso venerdì 13 consista nel fatto di essere stati addestrati, formati nei campi di Daesh, di modo che la battaglia sarebbe ancora quella della potenza tecnocapitalista per fabbricare un armamento più pesante. Ma in che modo un ragazzo bloccato alle uscite di sicurezza, e che si fa saltare in aria con degli esplosivi rudimentali, può essere un soldato navigato? Noi sappiamo – e lo ha provato l’esperienza recente di Israele – che chiunque può improvvisarsi assassino nel momento in cui è posseduto da un’intenzione suicidaria. Ciò che costituisce la sua forza di distruzione, pronta a esplodere in qualunque momento e luogo, non è la sua abilità militare, ma la sua sicurezza morale. Chi sarebbe disposto a morire per difendere la società dei consumi, la libertà (forse è meglio dire l’alienazione) sessuale o quel clima di larvata anarchia che detta legge nei rapporti economici e sociali? La putrefazione della libertà è il terreno d’elezione della schiavitù… Cosa abbiamo noi da opporre per impedire il contagio? I nostri «valori» possono al massimo mobilitare un esercito di consumatori, non di combattenti. Perciò è qui che si svolge la battaglia fondamentale – al livello di una fede capace di sostenere un vero martirio – contro quella parodia diabolica del martirio che è l’attentato suicida. l comunicato di Daesh che rivendica l’«attacco benedetto» parla di Parigi come della capitale «che porta la bandiera della croce in Europa». Quanto vorremmo che dicesse la verità. La guerra è qui: nel coraggio di avere una speranza tanto forte da poter dare le nostre vite e dare la vita. (Fabrice Hadjadj, Dal Blog di Costanza Miriano)


INTERNET

E' Internet che ci rende peggiori? Sul New York Times di oggi Farhad Manjoo prova a dare una risposta, o per lo meno prova a offrire qualche riflessione sul tema: “Non sarebbe quasi un mondo da sogno, in queste recenti settimane così sovreccitate, vivere liberi dai social media?”. Manjoo non è un vecchio editorialista conservatore e trombone: è un trentottenne giornalista esperto di tecnologia e internet, appassionato di innovazioni, che si occupa di questi temi da anni e in passato ha scritto anche suSlate e sul Wall Street Journal. I toni su Internet sono quasi sempre sopra le righe, dice Manjoo, ma quest’anno lo sono stati più del solito: estremisti di ogni tipo riescono a spiccare nel rumore di fondo e ottenere più visibilità a scapito di chi ha toni più pacati e ragionevoli, rendendo di fatto Internet un posto inospitale. Susan Benesch, docente dell’università di Harvard, spiega: “È diventato così comune incappare in spazzatura e violenza online che le persone ormai hanno accettato la cosa. Ed è diventato tutto così rumoroso da obbligarti a urlare più forte, e dicendo cose più scioccanti, per farti sentire”. (Il Post)