LA SETE DI GESU'
Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue
parole: «Ho sete». La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo
dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così
il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli
uomini. Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento
essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno
essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche
di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di
Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento». Ma ha dato anche voce alla sofferenza
divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando – sembra dire
anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è
scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua». È il
dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si
rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che
è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando
avevo sete mi hanno dato aceto». “L’Amore non è amato”: secondo alcuni
racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per
amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce
alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve
stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa
di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al
Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla
croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta.
Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato
quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà
“benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto
amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Le parole
di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la
vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido
nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo,
l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le
vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi;
implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei
bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto,
spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso,
piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a
loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta?
Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio
assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di
chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in
televisione. Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio»,
noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a
riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato
trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a
essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono
al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua,
simbolo dello Spirito che dà la vita; così da noi suoi fedeli esca compassione
per tutti gli assetati di oggi. Come Maria presso la croce, ci conceda il
Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi
vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto,
cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la
nostra pace», Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani.
Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in
cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa». (Papa
Francesco, Meditazione ad Assisi, 20 settembre 2016)
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LA SENTINELLA
LA MENZOGNA SUBDOLA DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE
La sessualità è qualcosa di molto serio, e il femminismo
con la folle parità di genere che ha generato, ci rivelano come la sua
banalizzazione genitale, sulla quale soprattutto (è molto più facile, no?) è
stata fondata l'ideologia demoniaca dell'uguaglianza (maschio e femmina uguali
perché uguali a Dio...) abbia portato a una barbarie che non sembra avere fine.
E non solo per una questione ancestrale e culturale, per cui comunque un
maschio che fa sesso è un playboy mentre una donna è vista come una sgualdrina.
La demolizione delle differenze hanno distrutto la dignità del maschio e della
femmina, fomentando proprio quelle convinzione pre-umane che favoriscono il
maschio che il femminismo avrebbe voluto abbattere.
IL LATO OSCURO DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE
Lucetta Scaraffia (Il Corriere della Sera, 21 settembre
2016)
Dietro a queste storie c’è qualcosa d’altro, che non
vogliamo vedere: lo chiamerei il lato oscuro della rivoluzione sessuale dal
punto di vista delle donne. Quella rivoluzione che doveva renderci tutti liberi
e felici e, soprattutto le donne — protette dalla pillola — uguali agli uomini.
Se una cosa invece ci dicono clamorosamente tutti gli episodi accaduti in
questi giorni è che in barba alla pillola e ad ogni altra rivoluzione uomini e
donne restano dal punto di vista del sesso due universi diversi e incomparabili.
Che il sesso ha per gli uni e le altre significati diversissimi, rappresenta
cose diversissime. La giovane calabrese di Melito non è solo una povera
ragazzina schiacciata dai pregiudizi tradizionali del Sud e soprattutto dal
timore del potere dei clan. È anche una tredicenne che ha avviato in
giovanissima età un fidanzamento con uno di quei ragazzi che sarebbero poi
diventati i suoi violentatori. Non era forse meglio evitarlo? Ma oggi nessuno
ha il coraggio di dire a una giovane tredicenne, poco più di
una bambina, che sarebbe meglio aspettare, studiare, guardarsi intorno,
capire, uscire con le amiche invece di cominciare così precocemente una vita
sessuale. C’è da giurare che sarebbe dileggiato come un oscurantista, uno che
vuole opprimere la libertà sessuale dei «giovani». Così come egualmente pochi
si fermano a pensare, e a dire, che a parti rovesciate la divulgazione di un
video con le prestazioni sessuali di un maschio tredicenne non avrebbe certo
mai potuto avere le conseguenze tragiche che ha avuto invece per la ragazza.
Perché? Forse, appunto, perché la rivoluzione sessuale non esiste come fenomeno
di liberazione eguale per tutti. Proprio questo invece credeva la giovane donna
del Napoletano che ha inviato agli amici il video che la vedeva protagonista di
una scena hard. Ha creduto nella liberazione sessuale eguale per tutti esibendo
le sue attività sessuali come avrebbe fatto un maschio. Convinta di essere
«liberata» come un uomo, credeva che anche per lei il sesso potesse rappresentare
un gesto di sfida, una bravata, un momento di affermazione e di potere da
ostentare, magari per compensare un’immagine di debolezza. Proprio come le
ragazzine che a Rimini hanno con totale incoscienza filmato l’amica priva di
sensi per il troppo bere mentre veniva violentata in una toilette. Anche questa
scena atroce, a loro assuefatte all’ideologia bugiarda del sesso come consumo
deve essere sembrata una performance «interessante», un momento di cui la
povera vittima, chissà, avrebbe potuto l’indomani magari andare addirittura
fiera. E loro con lei. Sappiamo bene come invece sono andate le cose, sappiamo
bene il senso di vergogna e di ribrezzo che la loro amica ha provato vedendo la
scena. Ma ancora una volta chiediamoci: sarebbe mai possibile immaginareuna scena
simile con protagonisti maschili? E perché non lo sarebbe? Perché non è vero
che — eliminato con un anticoncezionale il problema del rischio maternità
— le donne possono fare sesso come gli uomini, possono viverlo ed esibirlo come
loro. Non è solo a causa dei pregiudizi sociali che questo non si può fare. È
proprio tutto diverso, per le donne e per gli uomini. Quello che per gli uomini
è sempre un momento di affermazione di sé, di «potenza », per le donne è un
accogliere nella propria intimità. Un’accoglienza che può essere imposta con la
forza, anche a loro insaputa, mentre sono incoscienti, e che può essere diffusa
nel web come prova del potere del maschio con il quale si accompagnano. In
qualunque video porno privato che venga diffuso via Internet la vittima
potenziale è la donna: per l’uomo questa esibizione, anche se non voluta, sarà
sempre e solo un momento di fierezza, una conquista. Non si sono mai visti
uomini disperati, che arrivano al suicidio, perché un loro momento di intimità
sessuale è stato diffuso, a meno che non sia stato usato come ricatto per
ledere la loro posizione professionale. Ma, di per sé, l’onore maschile non
viene mai sminuito da un simile incidente che lo vede, comunque, come un
conquistatore. Le protagoniste di questi ultimi casi di cronaca sono state
ingannate da una cultura diffusa che le spinge a comportarsi come i maschi da
ogni punto di vista, anche quello sessuale. Come se non ci fossero rischi,
pericoli specifici da cui metterle in guardia. Come se l’unico pericolo fosse
la gravidanza indesiderata e quindi, tolto quello, le donne potessero diventare
come gli uomini. Quante povere ragazze ingannate dovremo ancora vedere soffrire
— talvolta fino alla morte — per questo stupido equivoco?
LA STOLTA PARITA' DI GENERE CHE STA UCCIDENDO LA SVEZIA
Lohman, descrisse il suo paese come una “terribile
società”, a causa di una sorta di “freddo” in cui il conformismo diventa
necessità in “una società che odia l’infanzia”. Lohman rimase ovviamente inascoltato.
E la Svezia sarebbe assurta alle cronache come “la società di maggior successo
che il mondo abbia mai cononosciuto” (copyright The Guardian). Una società
benigna, ammirevole, razionalista, industrializzata, basata sul consenso, sulla
compassione onnicomprensiva, splendente, il faro dello stato sociale e dei
cittadini privilegiati sistemati tranquillamente in una civiltà areligiosa, il
“campione mondiale del benessere”, il laboratorio della giustizia e della
fiduciosa evoluzione, la confortevole contrada, la “via di mezzo” ammirata da
François Hollande e Barack Obama. Come non invidiare un sistema imperniato
sulla difesa dei più deboli e sulla correzione delle ingiustizie del destino,
oltre che sulla radicale trasformazione dell’idea di famiglia? Se ci si chiede:
“Cos’è importante in Svezia?”. La risposta è catechistica: “Come si
risolve il problema sociale”. E’ un modello di solerzia didattica. Una sorta di
grande compagnia d’assicurazione dove il razionalismo sessuale è spinto
all’integralismo, dove la parità dei sessi è assoluta, anche nell’iniziativa
amorosa, e l’uso della pillola si impara a scuola. Quando questa rivoluzione
prese il via, fuono pensati anche residence con servizi integrati per la
comunità e non per la singola cellula-famiglia, in modo “da liberare la donna
dall’obbligo del ruolo materno”. Sulle rive del Baltico, l’adulterio cessò di
essere una colpa e la gelosia venne addirittura considerata un sentimento
riprovevole. La chiamarono “malattia nera”. Ma questo grande anonimato culturale
svedese, un sistema che cerca di modellare e uniformare, ha un volto oscuro che
nell’ultimo mese ha mostrato i suoi artigli: l’inferno dell’autonomia.
“L’Arabia Saudita del femminismo”, come l’ha definita Julian Assange. Alla fine
del 1980, il governo socialdemocratico di Ingvar Carlsson presentò un disegno
di legge “per la parità di genere assoluta”, con l’obiettivo di femminilizzare
la metà dei membri dei consigli di amministrazione. Allora la percentuale era
solo del 28 per cento, ma era già un record mondiale. Nei giorni scorsi, per la
prima volta nella storia, in Svezia la percentuale di donne nei consigli di
amministrazione di enti governativi è stata del 51 per cento. La Svezia ora si
appresta a lanciare una nuova agenzia governativa dedicata a realizzare una
“società basata sull’uguaglianza di genere”. E per raggiungere questo
obiettivo, Stoccolma ha dichiarato la “Könskriget”, la guerra di genere. Si
cominciò un anno fa dal linguaggio. Tre lettere, “hen”: alternativa al pronome
maschile “han” (lui) e femminile “hon” (lei). Così l’Accademia svedese decise
di inserire il termine nel dizionario per indicare coloro che non si sentono né
maschi né femmine. Alcuni giorni fa, il servizio pubblico televisivo svedese
Svt, l’equivalente svedese di Bbc o Pbs, ha annunciato che varerà programmi per
bambini che promuovano “un buon equilibrio tra i sessi”, e ha quindi deciso di
cambiare il sesso di diversi beniamini dei bambini. Così Jett, il
protagonista di “Super Wings”, ha scoperto il suo lato femminile nella versione
svedese. E Ted, il camion di “Trucktown”, in Svezia si è femminilizzato in
Linn. Le case editrici svedesi, come la Olika, stanno sfornando intanto fiabe e
libri “gender free”. Come “Joanna l’inventore”, una ragazza curiosa che ama
inventare cose da maschi, o “I vestiti di Konrad”, che parla di un ragazzo che
ama indossare abiti femminili e giocare con le ragazze. In Svezia, per
promuovere la “guerra del gender”, sono stati creati pure asili, come “Egalia”,
in cui i bambini non hanno sesso, in cui maschi e femmine sono chiamati con il
pronome “hen”, in cui anche i giochi devono essere considerati neutri e vicino
a una cucina in miniatura ci sono pistole o aeroplani e le bambole “dormono”
accanto ai robot e i bambini sono liberi di scegliere con cosa giocare. Il
progetto ha avuto inizio nel 1998, quando un emendamento alla legge
sull’istruzione della Svezia prevedeva che tutte le scuole dovessero “lavorare
contro gli stereotipi di genere”. Di conseguenza, Lotta Rajalin, a capo di
cinque scuole dell’infanzia statali per i bambini di età compresa tra uno e sei
anni, nell’ultimo anno ha introdotto politiche di genere neutre nei suoi asili.
Dai giocattoli, come automobili e bambole, agli spogliatoi, tutto è mescolato,
per favorire “una maggiore interazione tra i ragazzi e le ragazze”. Alle
superiori, tutte le ragazzine svedesi di sedici anni ricevono una copia del
libro “Dobbiamo essere tutte femministe” di Chimamanda Ngozi Adichie,
pubblicato con il finanziamento della lobby femminista. La guerra al gender è
entrata anche nelle sale cinematografiche. I cinema in Svezia hanno introdotto
un nuovo rating per evidenziare “pregiudizi di genere”, o meglio l’assenza di
esso. Per ottenere la tripla A, un film deve passare il cosiddetto “Test
Bechdel”, il che significa che deve sottostare ad alcune regole: almeno due
donne tra gli attori principali; che le due parlino tra loro; che gli argomenti
di cui discutono siano diversi da considerazioni sul proprio compagno o che
abbiano a che fare solo col sesso maschile. “L’intera trilogia del Signore
degli Anelli, tutti i film di ‘Star Wars’, ‘The Social Network’, ‘Pulp Fiction’
e ‘Harry Potter’ non superano questa prova”, ha detto Ellen Tejle, il direttore
di Bio Rio, un cinema d’essai nel quartiere Södermalm di Stoccolma e uno dei
quattro cinema che hanno per primi lanciato il nuovo rating. Lo Swedish Film
Institute, finanziato dal generosissimo welfare svedese, sostiene l’iniziativa,
che sta cominciando a prendere piede. La guerra alla differenza investe anche
le Forze armate svedesi, che si sono viste sommergere le caserme di un “manuale
di genere”. Ma l’utopia a trasformarsi in distopia ci mette poco. Così sempre
più giovani svedesi sono confusi con il loro “genere” e cercano assistenza
sanitaria. La psichiatra infantile Louise Frisén, dell’Ospedale Astrid Lindgren
per i Bambini, ha visto un incremento annuo del cento per cento nei bambini e
negli adolescenti che non sono sicuri del loro genere e alla ricerca di
assistenza medica. Di recente, la Svezia ha imposto pure i “giocattoli
neutri”. Toytop, la multinazionale che detiene la Toys “R” Us svedese, era
stata tacciata di “discriminazione di genere” e invitata a cambiare strategia.
Per questo, nei nuovi cataloghi ci sono bambini che allattano bambolotti e
bambine che sparano, bimbi e bimbe che giocano assieme con le batterie da
cucina Happy House, mentre sono i maschi che fanno il “figaro” in erba
asciugando i capelli a ragazzine che si ammirano allo specchio. L’agenzia
governativa svedese per i sistemi innovativi, Vinnova, ha sviluppato anche un
sistema di rating che mette in guardia gli utenti circa “la misoginia nei
videogiochi”. L’agenzia lavora con gli sviluppatori di videogiochi per
determinare come ritraggono le donne. Il responsabile del progetto per
Dataspelsbranschen, Anton Albiin, ha detto che il governo potrebbe imporre
anche una certificazione speciale per le aziende che nei giochi promuovono
l’uguaglianza. Basta pure con gli “stereotipi sessisti” in pubblicità, come da
ordini del Consiglio etico che in Svezia veglia su manifesti e spot di
tutte le aziende. Al centro delle polemiche una pubblicità della Lego dove si
vede una bambina che gioca in una cameretta rosa, con i pony, mentre un bambino
è attorniato da camion dei pompieri e altri giocattoli “virili”. Incoraggiate
dallo stato svedese, alcune coppie hanno iniziato ad allevare i figli “senza
genere”. Il primo è stato “Pop”, un bimbo che oggi ha nove anni, ma non si può
dire se è un bambino o una bambina, perché nessuno ne conosce il sesso, tranne
i suoi genitori, ben decisi a non svelare il segreto al resto del mondo. In una
intervista allo Svenska Dagbladet, i genitori hanno dichiarato: “Vogliamo che
Pop cresca liberamente e non debba adattarsi a un modello di genere specifico”.
La madre dice che Pop per lei non è un maschio o una femmina, “è solo Pop”. Un
inferno ben ritratto nel nuovo documentario di Erik Gandini e dal titolo “La
teoria svedese dell’amore” (nelle sale italiane dal 22 settembre). Il film
nasce da un manifesto politico nel 1972 del governo di Olof Palme: “La famiglia
del futuro”. Gli individui devono pienamente autodeterminarsi. Per far
questo si deve eliminare la dipendenza reciproca: tutte le scelte devono essere
svincolate dalle relazioni umane e familiari. I figli dai genitori e viceversa,
le mogli dai mariti. Il risultato è che la Svezia ha oggi il record mondiale di
persone che vivono sole e di anziani che muoiono soli, dimenticati da tutti. E’
la “terribile società” intuita da Lohman, quella in cui le donne parlano con
gli alberi facendo jogging e fabbricano i figli con la fecondazione artificiale
grazie a donatori di sperma che “augurano a tutti una vita felice”. (Giulio
Meotti, Il Foglio 21 settembre 2016)
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"KNOWLEDGE GRAPH" (GRAFICO DELLA CONOSCENZA: LA
NOZIONE DI MONDO CHE IL "DIO GOOGLE" STA PREPARANDO PER NOI.
COME UN LIBRO DELLA GENESI IN VERSIONE 3.0. IN QUESTO NUOVO PRINCIPIO, MENTRE
CI STA CONOSCENDO SIN NELLE PIEGHE PIU' SEGRETE (E QUINDI FATTI SUOI), GOOGLE
CI STA RICREANDO A SUA IMMAGINE (DI CHI?... SE NON E' IL DIO DI GESU', CHI PUO'
ESSERE?) PLASMANDOCI CON L'ABITUDINE A CERCARE SUL WEB E CON LE ALTRE
APPLICAZIONI QUELLO CHE LUI VUOLE. UNA VOLTA COMPLETATA L'OPERA CI METTERA' NEL
SUO EDEN TECNOLOGICO. CHE TUTTO QUESTO ABBIA UN'ISPIRAZIONE SATANICA (AL NETTO
DELLE UTILITA' E DELLE COMODITA', MA IL PRINICIPE DI QUESTO MONDO MICA TI
PRESENTA L'ESITO TRAGICO DELLA SUA SCELTA...) CE LO DICE LA SCHIAVITU' CHE CI
CARATTERIZZERA' UNA VOLTA DEPOSTI NEL GIARDINO DI GOOGLE. L'ESATTO CONTRARIO
DELLA LIBERTA' NELLA QUALE CI HA CREATI L'UNICO VERO DIO. UNA COSA E' LA
DIPENDENZA INDOTTA E SCHIAVIZZANTE, ED E' OPERA DEL DEMONIO, UNA COSA E'
L'OBBEDIENZA CHE SCATURISCE DAL SENTIRSI AMATI, CHE SIGNIFICA LIBERTA' VERA, ED
E' OPERA DI DIO...
«Prima o poi arriveremo ad avere un dialogo profondo e
articolato con le macchine. E in tutte le lingue del mondo», spiega. «Difficile
dire quando ci arriveremo. Ma intanto il motore di ricerca è alla base del
nostro nuovo assistente virtuale, le due cose si stanno fondendo. Oggi può
sostenere uno scambio basilare: se gli si pongono domande semplici, correlate
fra loro, risponde in modo altrettanto semplice. Il nostro obbiettivo è andare
oltre. Abbiamo i giusti ingredienti, stiamo progredendo ad una velocità che due
o tre anni fa non era pensabile». Nel futuro di tutti noi c’è quindi una
versione di Google su misura. Con i suoi lati positivi e negativi. «Io sono
cresciuto fra Africa e India. Non è facile avere accesso alle informazioni da
quelle parti. E sono le informazioni che ci permettono di evolvere. La missione
per noi è la stessa da anni: consentire a tutti di accedere al sapere
necessario per migliorare la propria vita e la propria condizione». A proposito
di origini, da dove siete partiti? «Dalle parole: addestrare le macchine a
capire il parlato, dal mandarino all’italiano. Poi abbiamo iniziato ad
insegnargli a comprendere il contesto e il senso di una frase. Ma la tecnica
dell’apprendimento delle macchine ha bisogno di tantissimi dati per dare dei
risultati. Milioni di fotografie di rane di ogni tipo, prima che un computer
sappia riconoscerla e identificarla». Però ora ci riesce. E vale anche per
parole, frasi, abitudini, foto e domani video. «Se vuoi avere una conversazione
con qualcuno devi avere gli stessi riferimenti. Se chiedo da dove vieni e mi
rispondi che vieni dall’Italia, sta avvenendo uno scambio di informazioni su
una base comune: tutti e due siamo in grado di comprendere la domanda e tutti e
due sappiamo collocare geograficamente la risposta. Abbiamo costruito una
nozione del mondo che fosse di riferimento per le macchine. Si chiama Knowledge
Graph, o “grafo della conoscenza”. Il nostro motore di ricerca lo ha adottato
cinque anni fa. Alla parola Italia è associata quella della capitale Roma, il
nome del primo ministro e via discorrendo. Una rete di fatti, luoghi,
persone, collegati gli uni agli altri. Ne abbiamo 50 miliardi di connessioni
del genere». Arricchite anche da quel che fanno miliardi di persone online ogni
giorno. «Le risposte personalizzate restano personali. Se vuoi recuperare una
mail, controllare gli impegni dell’agenda, se c’è traffico lungo il tragitto da
casa al lavoro, dobbiamo per forza usare dei dati. Serve sapere cosa stai
facendo e cosa hai fatto, per aiutarti in quel che probabilmente farai. Alla
fine cos’è un’assistente virtuale? Un servizio attraverso il quale ottieni le
informazioni che vuoi. È la nostra missione da sempre». Ma c’è chi sostiene che
quella missione sia diventata fornire la risposta che voi preferite. «Le
risposte variano perché le domande vengono fatte in lingue diverse e in luoghi
diversi. Usiamo oltre cento diversi parametri per rispondere, per migliorare le
informazioni che forniamo. Ma sempre tentando di dare la giusta risposta» (La Repubblica 21 settembre 2016).
MA IN FONDO GOOGLE HA SOLO SCOPERTO COME FAR SOLDI CON
L'INCREDULITA' CREDULONA. TIPO QUELLA DI AUGIAS, PER CUI LA VITA VA E VIENE
SENZA ALCUN ALTRO SENSO (DIREZIONE E VALORE) CHE QUELLO ATTRIBUITO DAL SINGOLO
INDIVIDUO, CERCANDO DI VIVERE NUOCENDO IL MENO POSSIBILE. IL CHE, GUARDA CASO,
COINCIDE PROPRIO CON LA MISSIONE DI GOOGLE, OFFERTA E ACCOLTA DA CHI,
DISORIENTATO (SENZA ORIENTE VERSO CUI TENDERE....) HA BISOGNO DI SAPERE COME E
DOVE DIRIGERE LA PROPRIA VITA, E QUINDI CREDE A TUTTO CIO' CHE LA SCIENZA
AFFERMA.
La vita va e viene, semplicemente accade, come accade che
un albero cresca sano e quello vicino si schianti, come il vitello che nasce
con due teste e i siamesi uniti in modo indivisibile perché gli ovuli al
concepimento non si sono separati del tutto. Il senso della vita, il solo possibile,
è quello che ognuno di noi riesce a conquistare cercando, quando ci riesce, di
comportarsi meglio possibile, di vivere nuocendo meno che possa agli altri e
all’ambiente. Il resto è benvenuta consolazione, per chi ne ha bisogno.
(Corrado Augias, La Repubblica 21 settembre 2016)
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COSTANZA MIRIANO RISPONDE A CAMILLO LANGONE
Da quando un imam ha parlato nel Duomo di Parma, definendo
Maometto uomo di pace, io non vado più a messa nel Duomo di Parma: faccio bene
o faccio male?
«Credo che sia giusto cercare un’appartenenza che ci
somigli dentro la Chiesa. Tutto quello
che ci aiuta nella ricerca di Dio, ma dentro la Chiesa, va
bene. Il punto è che in chiesa non basta dire che cerchiamo di voler bene a
tutti, ma va annunciata la verità: proprio perché amiamo i musulmani noi
desideriamo per loro la vera felicità. Quindi che si convertano a Dio Trinità».
Sento odore di proibito: odore di proselitismo.
«Gesù ha detto di andare e predicare il vangelo a ogni
creatura, perché il cuore di tutti è fatto per lui e attraverso il battesimo, e
solo attraverso quello, possiamo diventare suoi figli».
Ho notato che davanti ai confessionali non c'è mai
nessuno, mentre a prendere l’ostia c’è sempre la fila. Ma cosa succede? Mi sono
distratto un attimo ed è stata introdotta l’autoassoluzione?
«Se non vedi la fila durante la messa secondo me è un
bene, perché la messa è troppo preziosa per perderne un secondo facendo altro.
Io conosco però tanti sacerdoti che passano buona parte della vita in
confessionale. Poi, se tutta la gente che fa la comunione sia in grazia di Dio
non so. Certo quello che percepisco come sentire comune è che si è perso il
senso del peccato. Parlarne suscita insofferenza. L’uomo oggi crede di sapere
lui come si fa».
Ma si può stare nella Chiesa come faccio io, disprezzando
tanti esponenti del clero?
«No, non si può. Bisogna amare i sacerdoti perché sono di
Cristo, e perché ci permettono l’accesso a lui. Quando ci sembra che sbaglino
dobbiamo pregare per loro e fare l’esercizio di ascesi di non parlare mai male
di loro, neanche in casa. Puoi sfogarti solo con il tuo padre spirituale, è
bene averne uno, perché certo un sacerdote che sbaglia ci può far sentire
confusi e la nostra fede deve sempre essere confermata dalla Chiesa, non
possiamo produrcela da soli».
Fra poco ricomincia la scuola. Mi sono giunte informazioni
su scuole cattoliche dove ai bambini vengono insegnate Bella ciao e Imagine,
una delle più irreligiose canzoni pop mai composte. Non ci si può più fidare
nemmeno delle suore?
«Confermo. Quando andai a cercare informazioni per il mio
primo figlio e chiesi alla suora se avrebbero pregato lei si affrettò a
rassicurarmi che assolutamente no, non lo avrebbero fatto, che stessi
tranquilla. Allora ho preferito la scuola pubblica, preparandomi a fare un
lavoro di controinformazione a casa».
Io mi sento come quei discepoli che nel Vangelo di
Giovanni dicono: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove
l’hanno posto!». Sono pessimista ma non ne vado fiero e perciò ti chiedo non
retoricamente: tu nella Chiesa di questi ultimi tempi vedi qualche novità che
potrebbe farmi cambiare umore?
«Sì. Vedo tanti santi intorno a me. Vedo uomini e donne,
laici del Cammino, di CL, del Rinnovamento, dell’Opus Dei e di tante realtà più
piccole, o anche semplici cattolici diocesani come me, che abbracciano,
accettano, le loro vite faticose, che pregano, che fanno carità, che portano i
pesi gli uni degli altri. Persone generosissime, che meno hanno e più sono
capaci di dare. Famiglie davvero sante. Tra amici a volte ci chiamiamo la
Compagnia dell’Agnello, e quando ne vedo uno anche se non so chi sia lo
riconosco subito. E vedo anche sacerdoti santi, grandi, bellissimi. Il meglio,
di gran lunga il meglio dei cervelli che ci sono in circolazione. (Il Giornale,
20 settembre 2016)
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IL DIAVOLO E LA POLITICA
"Il Diavolo, probabilmente”, titola un celebre film
di Bresson, ma cominciamo da cent’anni fa. “Grande’” è una parola che comunque
ha un valore, grande uomo ma anche grande stronzata, ma la Grande guerra andò
oltre l’uno e l’altra; un qualcosa che ancora oggi non si riesce a dire cosa
sia stata, una nebulosa inelaborata; Freud parlò di cupio dissolvi sotto
allegra apparenza, pulsione di morte di ragazzi che cantando andavano a
infilzare i loro coetanei e a farsi infilzare, per il gusto dei generali. Le
fidanzate piangevano, i giovinotti ridevano: era in atto una formidabile
misoginia cui l’Italia contribuì con più di un milione di esseri umani. Il
perché è tanto noto quanto sconosciuto. Inelaborata, la Prima guerra mondiale
produsse la Seconda, a sua volta ignara di sé, e poi la terza, la quarta, le
infinite guerre che si spandono per il mondo, indecifrabili nonostante tutto il
saperla lunga da parte di tutti, una lunghezza infinita che porta da nessuna
parte. Il Diavolo ha vinto e vince su tutti i fronti; il suo gas è potente,
tutti pensano di conoscerne la formula, annusano, s’inebriano. In questi
giorni i grandi del mondo si “gasano” straparlando di unificazione, salvo al
momento opportunista fare tre passi indietro nella mummificazione, mentre il
Papa propone un Dio Unico, difficile da attuare quando nascono sempre nuove
dottrine, una più scalcinata dell’altra. Inoltre, un Dio Unico risulterebbe
totalitario al punto che, come già adombrato dalla Bibbia, il Diavolo avrebbe
le sue onorevoli ragioni per scagliarsi contro l’assolutismo divino. Si può
credere all’unicità solo per sfotterla, per il resto a ciascuno il suo Dio, che
tanto non è possibile altrimenti, grazie al cielo: il Dio che ho pregato
stanotte non è quello che pregherò domani, ciascuno ha un Dio che muta
nell’attimo stesso in cui lo pensa e lo invoca. Crocefiggere Dio a se stesso, a
quel che vogliamo attribuirgli, è il sonno senza sogno di chi lo vuole morto.
Dio è il mobile motore della nostra mente. Il Diavolo ha buona fama presso le
sue infinite sette, di conseguenza ovunque stanno risorgendo esorcisti che
si contrappongono non tanto alle sette quanto al Maligno in persona,
qualora s’impossessi di un individuo. Gli esorcisti ritornano, e lo testimonia
il violento (perché pacato) bel film di Federica Di Giacomo e Andrea Sanguigni,
che per anni hanno filmato l’esorcista don Cataldo di Palermo, i posseduti, il
Maligno, oltre che assistenti, parenti e strani tipi. “Liberatemi”, grida il
titolo del film: vale a dire, “ascoltatemi, guardatemi, prendetemi!”. E io l’ho
preso, l’ho guardato, ascoltato, gustato. Docufilm, sicché tutti noi possiamo
vedere non fiction di diavoli ma i diavoli in carne ed ossa, la carne, le ossa
e le urla degliinvasati. “E’ mia, mia”, urla Satananascosto dentro una donna
che sottol’incitamento dell’esorcista cerca diliberarsi del Maligno, una
guerraall’ultimo sangue. Il prete non molla, manemmeno il Diavolo, la donna
contorcel’esofago che sembra preda di una gastroscopia, e in effetti, già che
ci siamo,verrebbe voglia di infilarle in gola un bel tubo a vedere che Diavolo
davvero succede lì dentro. I posseduti rotolano perla chiesa, l’esorcista non
fa una piega, si vede che è un uomo cui piace lottare col Maligno, lo
fronteggia senza mai cedere, con una pazienza sterminata quanto quella di
Satana, una lotta al penultimo sangue, come su altri ring non meno religiosi
combatteva il wrestler di Brooklin, Peter Senerchia detto il grande Tazz.
Superba la scena dell’esorcista che in una ricca casa, sprezzante butta l’acqua
santa sul quadro di una preziosa Madonna brontolando; mille interpretazioni per
un simile gesto. Devo confessare che anch’io a volte sono preda di diaboliche
possessioni. Quando qualcosa mi va storto, quando d’un tratto alle tre della
notte sento il Dio che mi abbandona, prima di seguire le orme di Antonio
sollecitato da Kavafis e avvicinarmi con passo fermo alla finestra per
ascoltare commosso i suoni sublimi del religioso corteo e salutare la città che
amo, come una belva urlo e mi rotolo sul tappeto e digrigno i denti e al
Maligno mordo la coda. Sono il Diavolo ma anche il posseduto, e l’esorcista;
faccio tutte le parti e rido che è uno spasso. (Umberto Silva, Il Foglio,
21 settembre 2016)
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