DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

21 SETTEMBRE 2016





LA SETE DI GESU'

Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete». La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini. Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento». Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando – sembra dire anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua». È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando avevo sete mi hanno dato aceto». “L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione. Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio», noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita; così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi. Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace», Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani. Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa». (Papa Francesco, Meditazione ad Assisi, 20 settembre 2016)

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LA SENTINELLA


LA MENZOGNA SUBDOLA DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE

La sessualità è qualcosa di molto serio, e il femminismo con la folle parità di genere che ha generato, ci rivelano come la sua banalizzazione genitale, sulla quale soprattutto (è molto più facile, no?) è stata fondata l'ideologia demoniaca dell'uguaglianza (maschio e femmina uguali perché uguali a Dio...) abbia portato a una barbarie che non sembra avere fine. E non solo per una questione ancestrale e culturale, per cui comunque un maschio che fa sesso è un playboy mentre una donna è vista come una sgualdrina. La demolizione delle differenze hanno distrutto la dignità del maschio e della femmina, fomentando proprio quelle convinzione pre-umane che favoriscono il maschio che il femminismo avrebbe voluto abbattere. 

IL LATO OSCURO DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE
Lucetta Scaraffia (Il Corriere della Sera, 21 settembre 2016)

Dietro a queste storie c’è qualcosa d’altro, che non vogliamo vedere: lo chiamerei il lato oscuro della rivoluzione sessuale dal punto di vista delle donne. Quella rivoluzione che doveva renderci tutti liberi e felici e, soprattutto le donne — protette dalla pillola — uguali agli uomini. Se una cosa invece ci dicono clamorosamente tutti gli episodi accaduti in questi giorni è che in barba alla pillola e ad ogni altra rivoluzione uomini e donne restano dal punto di vista del sesso due universi diversi e incomparabili. Che il sesso ha per gli uni e le altre significati diversissimi, rappresenta cose diversissime. La giovane calabrese di Melito non è solo una povera ragazzina schiacciata dai pregiudizi tradizionali del Sud e soprattutto dal timore del potere dei clan. È anche una tredicenne che ha avviato in giovanissima età un fidanzamento con uno di quei ragazzi che sarebbero poi diventati i suoi violentatori. Non era forse meglio evitarlo? Ma oggi nessuno ha il coraggio  di dire a una giovane tredicenne, poco più di una bambina, che sarebbe meglio aspettare, studiare, guardarsi intorno, capire, uscire con le amiche invece di cominciare così precocemente una vita sessuale. C’è da giurare che sarebbe dileggiato come un oscurantista, uno che vuole opprimere la libertà sessuale dei «giovani». Così come egualmente pochi si fermano a pensare, e a dire, che a parti rovesciate la divulgazione di un video con le prestazioni sessuali di un maschio tredicenne non avrebbe certo mai potuto avere le conseguenze tragiche che ha avuto invece per la ragazza. Perché? Forse, appunto, perché la rivoluzione sessuale non esiste come fenomeno di liberazione eguale per tutti. Proprio questo invece credeva la giovane donna del Napoletano che ha inviato agli amici il video che la vedeva protagonista di una scena hard. Ha creduto nella liberazione sessuale eguale per tutti esibendo le sue attività sessuali come avrebbe fatto un maschio. Convinta di essere «liberata» come un uomo, credeva che anche per lei il sesso potesse rappresentare un gesto di sfida, una bravata, un momento di affermazione e di potere da ostentare, magari per compensare un’immagine di debolezza. Proprio come le ragazzine che a Rimini hanno con totale incoscienza filmato l’amica priva di sensi per il troppo bere mentre veniva violentata in una toilette. Anche questa scena atroce, a loro assuefatte all’ideologia bugiarda del sesso come consumo deve essere sembrata una performance «interessante», un momento di cui la povera vittima, chissà, avrebbe potuto l’indomani magari andare addirittura fiera. E loro con lei. Sappiamo bene come invece sono andate le cose, sappiamo bene il senso di vergogna e di ribrezzo che la loro amica ha provato vedendo la scena. Ma ancora una volta chiediamoci: sarebbe mai possibile immaginareuna scena simile con protagonisti maschili? E perché non lo sarebbe? Perché non è vero che — eliminato con un anticoncezionale il problema del rischio maternità — le donne possono fare sesso come gli uomini, possono viverlo ed esibirlo come loro. Non è solo a causa dei pregiudizi sociali che questo non si può fare. È proprio tutto diverso, per le donne e per gli uomini. Quello che per gli uomini è sempre un momento di affermazione di sé, di «potenza », per le donne è un accogliere nella propria intimità. Un’accoglienza che può essere imposta con la forza, anche a loro insaputa, mentre sono incoscienti, e che può essere diffusa nel web come prova del potere del maschio con il quale si accompagnano. In qualunque video porno privato che venga diffuso via Internet la vittima potenziale è la donna: per l’uomo questa esibizione, anche se non voluta, sarà sempre e solo un momento di fierezza, una conquista. Non si sono mai visti uomini disperati, che arrivano al suicidio, perché un loro momento di intimità sessuale è stato diffuso, a meno che non sia stato usato come ricatto per ledere la loro posizione professionale. Ma, di per sé, l’onore maschile non viene mai sminuito da un simile incidente che lo vede, comunque, come un conquistatore. Le protagoniste di questi ultimi casi di cronaca sono state ingannate da una cultura diffusa che le spinge a comportarsi come i maschi da ogni punto di vista, anche quello sessuale. Come se non ci fossero rischi, pericoli specifici da cui metterle in guardia. Come se l’unico pericolo fosse la gravidanza indesiderata e quindi, tolto quello, le donne potessero diventare come gli uomini. Quante povere ragazze ingannate dovremo ancora vedere soffrire — talvolta fino alla morte — per questo stupido equivoco?


LA STOLTA PARITA' DI GENERE CHE STA UCCIDENDO LA SVEZIA

Lohman, descrisse il suo paese come una “terribile società”, a causa di una sorta di “freddo” in cui il conformismo diventa necessità in “una società che odia l’infanzia”. Lohman rimase ovviamente inascoltato. E la Svezia sarebbe assurta alle cronache come “la società di maggior successo che il mondo abbia mai cononosciuto” (copyright The Guardian). Una società benigna, ammirevole, razionalista, industrializzata, basata sul consenso, sulla compassione onnicomprensiva, splendente, il faro dello stato sociale e dei cittadini privilegiati sistemati tranquillamente in una civiltà areligiosa, il “campione mondiale del benessere”, il laboratorio della giustizia e della fiduciosa evoluzione, la confortevole contrada, la “via di mezzo” ammirata da François Hollande e Barack Obama. Come non invidiare un sistema imperniato sulla difesa dei più deboli e sulla correzione delle ingiustizie del destino, oltre che sulla radicale trasformazione dell’idea di famiglia? Se ci si chiede: “Cos’è importante in Svezia?”. La risposta è catechistica: “Come si risolve il problema sociale”. E’ un modello di solerzia didattica. Una sorta di grande compagnia d’assicurazione dove il razionalismo sessuale è spinto all’integralismo, dove la parità dei sessi è assoluta, anche nell’iniziativa amorosa, e l’uso della pillola si impara a scuola. Quando questa rivoluzione prese il via, fuono pensati anche residence con servizi integrati per la comunità e non per la singola cellula-famiglia, in modo “da liberare la donna dall’obbligo del ruolo materno”. Sulle rive del Baltico, l’adulterio cessò di essere una colpa e la gelosia venne addirittura considerata un sentimento riprovevole. La chiamarono “malattia nera”. Ma questo grande anonimato culturale svedese, un sistema che cerca di modellare e uniformare, ha un volto oscuro che nell’ultimo mese ha mostrato i suoi artigli: l’inferno dell’autonomia. “L’Arabia Saudita del femminismo”, come l’ha definita Julian Assange. Alla fine del 1980, il governo socialdemocratico di Ingvar Carlsson presentò un disegno di legge “per la parità di genere assoluta”, con l’obiettivo di femminilizzare la metà dei membri dei consigli di amministrazione. Allora la percentuale era solo del 28 per cento, ma era già un record mondiale. Nei giorni scorsi, per la prima volta nella storia, in Svezia la percentuale di donne nei consigli di amministrazione di enti governativi è stata del 51 per cento. La Svezia ora si appresta a lanciare una nuova agenzia governativa dedicata a realizzare una “società basata sull’uguaglianza di genere”. E per raggiungere questo obiettivo, Stoccolma ha dichiarato la “Könskriget”, la guerra di genere. Si cominciò un anno fa dal linguaggio. Tre lettere, “hen”: alternativa al pronome maschile “han” (lui) e femminile “hon” (lei). Così l’Accademia svedese decise di inserire il termine nel dizionario per indicare coloro che non si sentono né maschi né femmine. Alcuni giorni fa, il servizio pubblico televisivo svedese Svt, l’equivalente svedese di Bbc o Pbs, ha annunciato che varerà programmi per bambini che promuovano “un buon equilibrio tra i sessi”, e ha quindi deciso di cambiare il sesso di diversi beniamini dei bambini. Così Jett, il protagonista di “Super Wings”, ha scoperto il suo lato femminile nella versione svedese. E Ted, il camion di “Trucktown”, in Svezia si è femminilizzato in Linn. Le case editrici svedesi, come la Olika, stanno sfornando intanto fiabe e libri “gender free”. Come “Joanna l’inventore”, una ragazza curiosa che ama inventare cose da maschi, o “I vestiti di Konrad”, che parla di un ragazzo che ama indossare abiti femminili e giocare con le ragazze. In Svezia, per promuovere la “guerra del gender”, sono stati creati pure asili, come “Egalia”, in cui i bambini non hanno sesso, in cui maschi e femmine sono chiamati con il pronome “hen”, in cui anche i giochi devono essere considerati neutri e vicino a una cucina in miniatura ci sono pistole o aeroplani e le bambole “dormono” accanto ai robot e i bambini sono liberi di scegliere con cosa giocare. Il progetto ha avuto inizio nel 1998, quando un emendamento alla legge sull’istruzione della Svezia prevedeva che tutte le scuole dovessero “lavorare contro gli stereotipi di genere”. Di conseguenza, Lotta Rajalin, a capo di cinque scuole dell’infanzia statali per i bambini di età compresa tra uno e sei anni, nell’ultimo anno ha introdotto politiche di genere neutre nei suoi asili. Dai giocattoli, come automobili e bambole, agli spogliatoi, tutto è mescolato, per favorire “una maggiore interazione tra i ragazzi e le ragazze”. Alle superiori, tutte le ragazzine svedesi di sedici anni ricevono una copia del libro “Dobbiamo essere tutte femministe” di Chimamanda Ngozi Adichie, pubblicato con il finanziamento della lobby femminista. La guerra al gender è entrata anche nelle sale cinematografiche. I cinema in Svezia hanno introdotto un nuovo rating per evidenziare “pregiudizi di genere”, o meglio l’assenza di esso. Per ottenere la tripla A, un film deve passare il cosiddetto “Test Bechdel”, il che significa che deve sottostare ad alcune regole: almeno due donne tra gli attori principali; che le due parlino tra loro; che gli argomenti di cui discutono siano diversi da considerazioni sul proprio compagno o che abbiano a che fare solo col sesso maschile. “L’intera trilogia del Signore degli Anelli, tutti i film di ‘Star Wars’, ‘The Social Network’, ‘Pulp Fiction’ e ‘Harry Potter’ non superano questa prova”, ha detto Ellen Tejle, il direttore di Bio Rio, un cinema d’essai nel quartiere Södermalm di Stoccolma e uno dei quattro cinema che hanno per primi lanciato il nuovo rating. Lo Swedish Film Institute, finanziato dal generosissimo welfare svedese, sostiene l’iniziativa, che sta cominciando a prendere piede. La guerra alla differenza investe anche le Forze armate svedesi, che si sono viste sommergere le caserme di un “manuale di genere”. Ma l’utopia a trasformarsi in distopia ci mette poco. Così sempre più giovani svedesi sono confusi con il loro “genere” e cercano assistenza sanitaria. La psichiatra infantile Louise Frisén, dell’Ospedale Astrid Lindgren per i Bambini, ha visto un incremento annuo del cento per cento nei bambini e negli adolescenti che non sono sicuri del loro genere e alla ricerca di assistenza medica. Di recente, la Svezia ha imposto pure i “giocattoli neutri”. Toytop, la multinazionale che detiene la Toys “R” Us svedese, era stata tacciata di “discriminazione di genere” e invitata a cambiare strategia. Per questo, nei nuovi cataloghi ci sono bambini che allattano bambolotti e bambine che sparano, bimbi e bimbe che giocano assieme con le batterie da cucina Happy House, mentre sono i maschi che fanno il “figaro” in erba asciugando i capelli a ragazzine che si ammirano allo specchio. L’agenzia governativa svedese per i sistemi innovativi, Vinnova, ha sviluppato anche un sistema di rating che mette in guardia gli utenti circa “la misoginia nei videogiochi”. L’agenzia lavora con gli sviluppatori di videogiochi per determinare come ritraggono le donne. Il responsabile del progetto per Dataspelsbranschen, Anton Albiin, ha detto che il governo potrebbe imporre anche una certificazione speciale per le aziende che nei giochi promuovono l’uguaglianza. Basta pure con gli “stereotipi sessisti” in pubblicità, come da ordini del Consiglio etico che in Svezia veglia su manifesti e spot di tutte le aziende. Al centro delle polemiche una pubblicità della Lego dove si vede una bambina che gioca in una cameretta rosa, con i pony, mentre un bambino è attorniato da camion dei pompieri e altri giocattoli “virili”. Incoraggiate dallo stato svedese, alcune coppie hanno iniziato ad allevare i figli “senza genere”. Il primo è stato “Pop”, un bimbo che oggi ha nove anni, ma non si può dire se è un bambino o una bambina, perché nessuno ne conosce il sesso, tranne i suoi genitori, ben decisi a non svelare il segreto al resto del mondo. In una intervista allo Svenska Dagbladet, i genitori hanno dichiarato: “Vogliamo che Pop cresca liberamente e non debba adattarsi a un modello di genere specifico”. La madre dice che Pop per lei non è un maschio o una femmina, “è solo Pop”. Un inferno ben ritratto nel nuovo documentario di Erik Gandini e dal titolo “La teoria svedese dell’amore” (nelle sale italiane dal 22 settembre). Il film nasce da un manifesto politico nel 1972 del governo di Olof Palme: “La famiglia del futuro”. Gli individui devono pienamente autodeterminarsi. Per far questo si deve eliminare la dipendenza reciproca: tutte le scelte devono essere svincolate dalle relazioni umane e familiari. I figli dai genitori e viceversa, le mogli dai mariti. Il risultato è che la Svezia ha oggi il record mondiale di persone che vivono sole e di anziani che muoiono soli, dimenticati da tutti. E’ la “terribile società” intuita da Lohman, quella in cui le donne parlano con gli alberi facendo jogging e fabbricano i figli con la fecondazione artificiale grazie a donatori di sperma che “augurano a tutti una vita felice”. (Giulio Meotti, Il Foglio 21 settembre 2016)

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"KNOWLEDGE GRAPH" (GRAFICO DELLA CONOSCENZA: LA NOZIONE DI MONDO CHE IL "DIO GOOGLE" STA PREPARANDO PER NOI. 

COME UN LIBRO DELLA GENESI IN VERSIONE 3.0. IN QUESTO NUOVO PRINCIPIO, MENTRE CI STA CONOSCENDO SIN NELLE PIEGHE PIU' SEGRETE (E QUINDI FATTI SUOI), GOOGLE CI STA RICREANDO A SUA IMMAGINE (DI CHI?... SE NON E' IL DIO DI GESU', CHI PUO' ESSERE?) PLASMANDOCI CON L'ABITUDINE A CERCARE SUL WEB E CON LE ALTRE APPLICAZIONI QUELLO CHE LUI VUOLE. UNA VOLTA COMPLETATA L'OPERA CI METTERA' NEL SUO EDEN TECNOLOGICO. CHE TUTTO QUESTO ABBIA UN'ISPIRAZIONE SATANICA (AL NETTO DELLE UTILITA' E DELLE COMODITA', MA IL PRINICIPE DI QUESTO MONDO MICA TI PRESENTA L'ESITO TRAGICO DELLA SUA SCELTA...) CE LO DICE LA SCHIAVITU' CHE CI CARATTERIZZERA' UNA VOLTA DEPOSTI NEL GIARDINO DI GOOGLE. L'ESATTO CONTRARIO DELLA LIBERTA' NELLA QUALE CI HA CREATI L'UNICO VERO DIO. UNA COSA E' LA DIPENDENZA INDOTTA E SCHIAVIZZANTE, ED E' OPERA DEL DEMONIO, UNA COSA E' L'OBBEDIENZA CHE SCATURISCE DAL SENTIRSI AMATI, CHE SIGNIFICA LIBERTA' VERA, ED E' OPERA DI DIO... 


«Prima o poi arriveremo ad avere un dialogo profondo e articolato con le macchine. E in tutte le lingue del mondo», spiega. «Difficile dire quando ci arriveremo. Ma intanto il motore di ricerca è alla base del nostro nuovo assistente virtuale, le due cose si stanno fondendo. Oggi può sostenere uno scambio basilare: se gli si pongono domande semplici, correlate fra loro, risponde in modo altrettanto semplice. Il nostro obbiettivo è andare oltre. Abbiamo i giusti ingredienti, stiamo progredendo ad una velocità che due o tre anni fa non era pensabile». Nel futuro di tutti noi c’è quindi una versione di Google su misura. Con i suoi lati positivi e negativi. «Io sono cresciuto fra Africa e India. Non è facile avere accesso alle informazioni da quelle parti. E sono le informazioni che ci permettono di evolvere. La missione per noi è la stessa da anni: consentire a tutti di accedere al sapere necessario per migliorare la propria vita e la propria condizione». A proposito di origini, da dove siete partiti? «Dalle parole: addestrare le macchine a capire il parlato, dal mandarino all’italiano. Poi abbiamo iniziato ad insegnargli a comprendere il contesto e il senso di una frase. Ma la tecnica dell’apprendimento delle macchine ha bisogno di tantissimi dati per dare dei risultati. Milioni di fotografie di rane di ogni tipo, prima che un computer sappia riconoscerla e identificarla». Però ora ci riesce. E vale anche per parole, frasi, abitudini, foto e domani video. «Se vuoi avere una conversazione con qualcuno devi avere gli stessi riferimenti. Se chiedo da dove vieni e mi rispondi che vieni dall’Italia, sta avvenendo uno scambio di informazioni su una base comune: tutti e due siamo in grado di comprendere la domanda e tutti e due sappiamo collocare geograficamente la risposta. Abbiamo costruito una nozione del mondo che fosse di riferimento per le macchine. Si chiama Knowledge Graph, o “grafo della conoscenza”. Il nostro motore di ricerca lo ha adottato cinque anni fa. Alla parola Italia è associata quella della capitale Roma, il nome del primo ministro e via discorrendo. Una rete di fatti, luoghi, persone, collegati gli uni agli altri. Ne abbiamo 50 miliardi di connessioni del genere». Arricchite anche da quel che fanno miliardi di persone online ogni giorno. «Le risposte personalizzate restano personali. Se vuoi recuperare una mail, controllare gli impegni dell’agenda, se c’è traffico lungo il tragitto da casa al lavoro, dobbiamo per forza usare dei dati. Serve sapere cosa stai facendo e cosa hai fatto, per aiutarti in quel che probabilmente farai. Alla fine cos’è un’assistente virtuale? Un servizio attraverso il quale ottieni le informazioni che vuoi. È la nostra missione da sempre». Ma c’è chi sostiene che quella missione sia diventata fornire la risposta che voi preferite. «Le risposte variano perché le domande vengono fatte in lingue diverse e in luoghi diversi. Usiamo oltre cento diversi parametri per rispondere, per migliorare le informazioni che forniamo. Ma sempre tentando di dare la giusta risposta» (La Repubblica 21 settembre 2016).


MA IN FONDO GOOGLE HA SOLO SCOPERTO COME FAR SOLDI CON L'INCREDULITA' CREDULONA. TIPO QUELLA DI AUGIAS, PER CUI LA VITA VA E VIENE SENZA ALCUN ALTRO SENSO (DIREZIONE E VALORE) CHE QUELLO ATTRIBUITO DAL SINGOLO INDIVIDUO, CERCANDO DI VIVERE NUOCENDO IL MENO POSSIBILE. IL CHE, GUARDA CASO, COINCIDE PROPRIO CON LA MISSIONE DI GOOGLE, OFFERTA E ACCOLTA DA CHI, DISORIENTATO (SENZA ORIENTE VERSO CUI TENDERE....) HA BISOGNO DI SAPERE COME E DOVE DIRIGERE LA PROPRIA VITA, E QUINDI CREDE A TUTTO CIO' CHE LA SCIENZA AFFERMA.  

La vita va e viene, semplicemente accade, come accade che un albero cresca sano e quello vicino si schianti, come il vitello che nasce con due teste e i siamesi uniti in modo indivisibile perché gli ovuli al concepimento non si sono separati del tutto. Il senso della vita, il solo possibile, è quello che ognuno di noi riesce a conquistare cercando, quando ci riesce, di comportarsi meglio possibile, di vivere nuocendo meno che possa agli altri e all’ambiente. Il resto è benvenuta consolazione, per chi ne ha bisogno. (Corrado Augias, La Repubblica 21 settembre 2016)

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COSTANZA MIRIANO RISPONDE A CAMILLO LANGONE

Da quando un imam ha parlato nel Duomo di Parma, definendo Maometto uomo di pace, io non vado più a messa nel Duomo di Parma: faccio bene o faccio male?
«Credo che sia giusto cercare un’appartenenza che ci somigli dentro la Chiesa. Tutto quello
che ci aiuta nella ricerca di Dio, ma dentro la Chiesa, va bene. Il punto è che in chiesa non basta dire che cerchiamo di voler bene a tutti, ma va annunciata la verità: proprio perché amiamo i musulmani noi desideriamo per loro la vera felicità. Quindi che si convertano a Dio Trinità».

Sento odore di proibito: odore di proselitismo.
«Gesù ha detto di andare e predicare il vangelo a ogni creatura, perché il cuore di tutti è fatto per lui e attraverso il battesimo, e solo attraverso quello, possiamo diventare suoi figli».

Ho notato che davanti ai confessionali non c'è mai nessuno, mentre a prendere l’ostia c’è sempre la fila. Ma cosa succede? Mi sono distratto un attimo ed è stata introdotta l’autoassoluzione?
«Se non vedi la fila durante la messa secondo me è un bene, perché la messa è troppo preziosa per perderne un secondo facendo altro. Io conosco però tanti sacerdoti che passano buona parte della vita in confessionale. Poi, se tutta la gente che fa la comunione sia in grazia di Dio non so. Certo quello che percepisco come sentire comune è che si è perso il senso del peccato. Parlarne suscita insofferenza. L’uomo oggi crede di sapere lui come si fa».

Ma si può stare nella Chiesa come faccio io, disprezzando tanti esponenti del clero?
«No, non si può. Bisogna amare i sacerdoti perché sono di Cristo, e perché ci permettono l’accesso a lui. Quando ci sembra che sbaglino dobbiamo pregare per loro e fare l’esercizio di ascesi di non parlare mai male di loro, neanche in casa. Puoi sfogarti solo con il tuo padre spirituale, è bene averne uno, perché certo un sacerdote che sbaglia ci può far sentire confusi e la nostra fede deve sempre essere confermata dalla Chiesa, non possiamo produrcela da soli».

Fra poco ricomincia la scuola. Mi sono giunte informazioni su scuole cattoliche dove ai bambini vengono insegnate Bella ciao e Imagine, una delle più irreligiose canzoni pop mai composte. Non ci si può più fidare nemmeno delle suore?
«Confermo. Quando andai a cercare informazioni per il mio primo figlio e chiesi alla suora se avrebbero pregato lei si affrettò a rassicurarmi che assolutamente no, non lo avrebbero fatto, che stessi tranquilla. Allora ho preferito la scuola pubblica, preparandomi a fare un lavoro di controinformazione a casa».

Io mi sento come quei discepoli che nel Vangelo di Giovanni dicono: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Sono pessimista ma non ne vado fiero e perciò ti chiedo non retoricamente: tu nella Chiesa di questi ultimi tempi vedi qualche novità che potrebbe farmi cambiare umore?
«Sì. Vedo tanti santi intorno a me. Vedo uomini e donne, laici del Cammino, di CL, del Rinnovamento, dell’Opus Dei e di tante realtà più piccole, o anche semplici cattolici diocesani come me, che abbracciano, accettano, le loro vite faticose, che pregano, che fanno carità, che portano i pesi gli uni degli altri. Persone generosissime, che meno hanno e più sono capaci di dare. Famiglie davvero sante. Tra amici a volte ci chiamiamo la Compagnia dell’Agnello, e quando ne vedo uno anche se non so chi sia lo riconosco subito. E vedo anche sacerdoti santi, grandi, bellissimi. Il meglio, di gran lunga il meglio dei cervelli che ci sono in circolazione. (Il Giornale, 20 settembre 2016)

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IL DIAVOLO E LA POLITICA

"Il Diavolo, probabilmente”, titola un celebre film di Bresson, ma cominciamo da cent’anni fa. “Grande’” è una parola che comunque ha un valore, grande uomo ma anche grande stronzata, ma la Grande guerra andò oltre l’uno e l’altra; un qualcosa che ancora oggi non si riesce a dire cosa sia stata, una nebulosa inelaborata; Freud parlò di cupio dissolvi sotto allegra apparenza, pulsione di morte di ragazzi che cantando andavano a infilzare i loro coetanei e a farsi infilzare, per il gusto dei generali. Le fidanzate piangevano, i giovinotti ridevano: era in atto una formidabile misoginia cui l’Italia contribuì con più di un milione di esseri umani. Il perché è tanto noto quanto sconosciuto. Inelaborata, la Prima guerra mondiale produsse la Seconda, a sua volta ignara di sé, e poi la terza, la quarta, le infinite guerre che si spandono per il mondo, indecifrabili nonostante tutto il saperla lunga da parte di tutti, una lunghezza infinita che porta da nessuna parte. Il Diavolo ha vinto e vince su tutti i fronti; il suo gas è potente, tutti pensano di conoscerne la formula, annusano, s’inebriano. In questi giorni i grandi del mondo si “gasano” straparlando di unificazione, salvo al momento opportunista fare tre passi indietro nella mummificazione, mentre il Papa propone un Dio Unico, difficile da attuare quando nascono sempre nuove dottrine, una più scalcinata dell’altra. Inoltre, un Dio Unico risulterebbe totalitario al punto che, come già adombrato dalla Bibbia, il Diavolo avrebbe le sue onorevoli ragioni per scagliarsi contro l’assolutismo divino. Si può credere all’unicità solo per sfotterla, per il resto a ciascuno il suo Dio, che tanto non è possibile altrimenti, grazie al cielo: il Dio che ho pregato stanotte non è quello che pregherò domani, ciascuno ha un Dio che muta nell’attimo stesso in cui lo pensa e lo invoca. Crocefiggere Dio a se stesso, a quel che vogliamo attribuirgli, è il sonno senza sogno di chi lo vuole morto. Dio è il mobile motore della nostra mente. Il Diavolo ha buona fama presso le sue infinite sette, di conseguenza ovunque stanno risorgendo esorcisti che si contrappongono non tanto alle sette quanto al Maligno in persona, qualora s’impossessi di un individuo. Gli esorcisti ritornano, e lo testimonia il violento (perché pacato) bel film di Federica Di Giacomo e Andrea Sanguigni, che per anni hanno filmato l’esorcista don Cataldo di Palermo, i posseduti, il Maligno, oltre che assistenti, parenti e strani tipi. “Liberatemi”, grida il titolo del film: vale a dire, “ascoltatemi, guardatemi, prendetemi!”. E io l’ho preso, l’ho guardato, ascoltato, gustato. Docufilm, sicché tutti noi possiamo vedere non fiction di diavoli ma i diavoli in carne ed ossa, la carne, le ossa e le urla degliinvasati. “E’ mia, mia”, urla Satananascosto dentro una donna che sottol’incitamento dell’esorcista cerca diliberarsi del Maligno, una guerraall’ultimo sangue. Il prete non molla, manemmeno il Diavolo, la donna contorcel’esofago che sembra preda di una gastroscopia, e in effetti, già che ci siamo,verrebbe voglia di infilarle in gola un bel tubo a vedere che Diavolo davvero succede lì dentro. I posseduti rotolano perla chiesa, l’esorcista non fa una piega, si vede che è un uomo cui piace lottare col Maligno, lo fronteggia senza mai cedere, con una pazienza sterminata quanto quella di Satana, una lotta al penultimo sangue, come su altri ring non meno religiosi combatteva il wrestler di Brooklin, Peter Senerchia detto il grande Tazz. Superba la scena dell’esorcista che in una ricca casa, sprezzante butta l’acqua santa sul quadro di una preziosa Madonna brontolando; mille interpretazioni per un simile gesto. Devo confessare che anch’io a volte sono preda di diaboliche possessioni. Quando qualcosa mi va storto, quando d’un tratto alle tre della notte sento il Dio che mi abbandona, prima di seguire le orme di Antonio sollecitato da Kavafis e avvicinarmi con passo fermo alla finestra per ascoltare commosso i suoni sublimi del religioso corteo e salutare la città che amo, come una belva urlo e mi rotolo sul tappeto e digrigno i denti e al Maligno mordo la coda. Sono il Diavolo ma anche il posseduto, e l’esorcista; faccio tutte le parti e rido che è uno spasso. (Umberto Silva, Il Foglio, 21 settembre 2016)

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