"La Chiesa non può che essere sacramento della misericordia
di Dio nel mondo, in ogni tempo e verso tutta l’umanità. Ogni cristiano,
pertanto, è chiamato ad essere testimone della misericordia, e questo avviene
in cammino di santità" (Papa Francesco).
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LA SENTINELLA
LA TECNOLOGIA NON E' UN PONTE GETTATO TRA LE DIFFICOLTA'. CHI
PENSA CHE LO SVILUPPO TECNOLOGICO E I SUOI GADGET CI ALLEGGERISCANO IL PESO DEL
SACRIFICIO, DELL'IMPEGNO E DEL SACRIFICIO, IL COMBATTIMENTO QUOTIDIANO, E'
INGANNATO DI NUOVO DAL PRINICIPE DI QUESTO MONDO (E QUINDI ANCHE DELLA TECNOLOGIA).
IL CASO EMBLEMATICO DELL'OROLOGIO "ACTIVITY TRACKER", SEMPLICE
MONITOR SUL QUALE APPAIONO DELLE INFORMAZIONI OGGETTIVE, A CUI PERO' NON
POSSIAMO CHIEDERE DI SOSTITUIRE I NOSTRI MUSCOLI E LA NOSTRA MENTE. E CHE
INVECE SI RIVELA ADDIRITTURA CONTROPRODUCENTE AI FINI DELLA DIETA (E DELLA
SALUTE). COME OGNI SUBDOLA SCORCIATOIA CHE CI PROPONE IL DEMONIO, LA STRADA
LARGA INVECE DELLA STRETTA... NON SARA' LO SVILUPPO DELLA MENTE UMANA E DELLA
SUA GENIALITA' A CAMBIARE LE SORTI DELL'UOMO ESULE DAL PARADISO E PER QUESTO
BISOGNOSO DI AMORE E DI CONVERSIONE. OGNI GIORNO. INSOMMA, NON SARA' UN
AGGEGGIO A PLACARE QUELLO CHE NELL'ARTICOLO E' CHIAMATO SENSO DI COLPA - IL
MIGLIOR DIETOLOGO DI SEMPRE - E CHE NOI RICONOSCIAMO COME L'ANTICO RIMORSO
DELLA COSCIENZA - IL MIGLIORE DIRETTORE SPIRITUALE DI SEMPRE - PER UN
"CUORE TORPIDO COME IL GRASSO"....
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Barack Obama ne ha fatto sfoggio involontario ancora martedì
durante il suo ultimo discorso davanti all’Assemblea generale dell’Onu.
Gesticolando e difendendo la sua visione dell’ordine liberale del mondo, il
presidente americano ha più volte lasciato scoperto sotto la manica della
camicia il suo ingombrante orologio elettronico, che indossa già da oltre un
anno. Gli osservatori di cose tecnologiche lo hanno individuato da tempo: il
presidente indossa un Fitbit, non uno smartwatch, ma un “activity tracker”, un
apparecchio che misura i passi fatti durante la giornata, i chilometri
percorsi, le calorie bruciate in allenamento, la frequenza cardiaca a riposo e
sotto sforzo – e che solo incidentalmente dice anche l’ora. Un orologio per
sportivi di cui esistono infinite marche e varianti, e che per ora costituisce
l’unica categoria di successo di quel variegato mondo di “wearable”,
dispositivi indossabili e collegati a internet, che dovrebbe misurare e
controllare ogni nostra attività nel futuro ma che non sta davvero sfondando.
Secondo il Times, soltanto nel Regno Unito saranno venduti dieci milioni
di activity tracker e di smartwatch, che comunque hanno tutti funzione avanzate
per il fitness, e questo mese anche Apple, visto che il mercato è fiorente, ha
praticamente riorientato il marketing della seconda versione del suo Apple
Watch, trasformandolo da strumento per la produttività a compagno per
l’attività fisica. Il boom degli activity tracker conforta l’idea, solitamente
fondata, che una vita più ricca di dati empirici sia una vita più consapevole.
In questo caso, sapere quante calorie consumiamo ogni giorno o quanti
chilometri percorriamo (l’orologio di Obama segna anche quante rampe di scale
saliamo) dovrebbe contribuire ad avere una vita più sana, a essere più in
forma, a perdere peso. Una ricerca dell’Università di Pittsburgh uscita questa
settimana e ripresa dal New York Times dice però il contrario: chi usa un
activity tracker fa più fatica a perdere peso di chi non lo usa. La ricerca,
che ha coinvolto 471 volontari tra i 18 e i 35 anni nell’arco di due anni,
ha mostrato come dopo una dieta durata sei mesi e che ha portato tutti i
partecipanti alla ricerca a perdere circa 8 chili, i volontari a cui nei mesi
successivi è stato dato un activity tracker per valutare e misurare i loro
progressi abbiano in media ripreso su più chili (4,5) dei volontari che non
avevano addosso nessun misuratore digitale (questi ultimi hanno ripreso
soltanto 2 chili di media). La ricerca va in controtendenza rispetto ad altri
studi che avevano invece rilevato un effetto positivo degli activity tracker
sulla forma fisica, ma che avevano avuto una durata inferiore. I dati andranno
approfonditi, anche vista l’età omogenea dei volontari, ma intanto il risultato
è sorprendente, anche perché, se inizialmente i ricercatori avevano pensato che
quelli che indossavano il tracker erano aumentati di peso perché si muovevano
di più e dunque per compensare mangiavano troppo, a guardare bene i dati si
nota il contrario: chi indossa braccialetti e orologi da sportivi fa meno
sport. I volontari con braccialetto tech “potrebbero essersi concentrati
sulla tecnologia e aver perso il focus sul comportamento”, ipotizza John
Jakicic, professore a capo della ricerca, e si potrebbe parlare di pensiero
magico associato alla tecnologia. Quando si parla di diete e di tenersi in
forma, un braccialetto che sforna a ritmo continuo dati, rilevazioni
biometriche e nuovi obiettivi di fitness diventa un palliativo, la misurazione
continua diventa speranza di far meglio il giorno dopo o accettazione di
progressi insufficienti, e alla fine tutto serve a placare il miglior dietologo
di sempre, il senso di colpa. (Eugenio Cau, Il Foglio 22 settembre 2016)
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PERDONO
La misericordia si esprime, anzitutto, nel perdono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non
condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (v. 37). Gesù
non intende sovvertire il corso della giustizia umana, tuttavia ricorda ai
discepoli che per avere rapporti fraterni bisogna sospendere i giudizi e le
condanne. È il perdono infatti il pilastro che regge la vita della comunità
cristiana, perché in esso si mostra la gratuità dell’amore con cui Dio ci ha
amati per primo. Il cristiano deve perdonare! Ma perché? Perché è stato
perdonato. Tutti noi che stiamo qui, oggi, in piazza, siamo stati perdonati.
Nessuno di noi, nella propria vita, non ha avuto bisogno del perdono di Dio. E
perché noi siamo stati perdonati, dobbiamo perdonare. Lo recitiamo tutti i
giorni nel Padre Nostro: “Perdona i nostri
peccati; perdona i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”.
Cioè perdonare le offese, perdonare tante cose, perché noi siamo stati
perdonati da tante offese, da tanti peccati. E così è facile perdonare: se Di
ha perdonato me, perché non devo perdonare gli altri? Sono più grande di Dio?
Questo pilastro del perdono ci mostra la gratuità dell’amore di Dio, che ci ha
amato per primi. Giudicare e condannare il fratello che pecca è sbagliato. Non
perché non si voglia riconoscere il peccato, ma perché condannare il peccatore
spezza il legame di fraternità con lui e disprezza la misericordia di Dio, che
invece non vuole rinunciare a nessuno dei suoi figli. Non abbiamo il potere di
condannare il nostro fratello che sbaglia, non siamo al di sopra di lui:
abbiamo piuttosto il dovere di recuperarlo alla dignità di figlio del Padre e
di accompagnarlo nel suo cammino di conversione. (Papa Francesco, Udienza
generale 21 settembre 2016)
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I "NOVISSIMI" NELL'INTERVISTA DI CAZZULLO AL CARD.
RUINI
LE ESPERIENZE TRA LA VITA E LA MORTE CI DICONO CHE E'
SBAGLIATO RIDURRE L'AUTOCOSCIENZA AI NEURONI E ALLE LORO ATTIVITA'
Cardinale Ruini, il suo nuovo libro si intitola C’è un
dopo?., con il punto interrogativo. Questo significa che neppure lei è
assolutamente certo che un dopo. ci sia?
Personalmente sono certo. Ma mi rendo conto che questa
certezza è un dono di Dio, e che nel contesto culturale di oggi può
essere difficile raggiungerla..
Lei cita gli studi di Moody e van Lommel sulle esperienze
tra la vita e la morte. Le considera la conferma empirica che dopo c’è davvero
qualcosa?
Si tratta di esperienze ben documentate. Dimostrano che in
qualche caso, molto raro, si può tornare in vita dopo la “morte clinica”, cioè
dopo che, per pochi istanti, l’encefalogramma era diventato piatto. La morte .
per. un processo, che raggiunge il suo stadio definitivo solo quando il
cervello ha perduto irrimediabilmente le proprie funzioni: a quel punto nessuno
ritorna indietro. Non ci sono quindi conferme empiriche di un “dopo”. Quelle
esperienze ci dicono comunque che è sbagliato ridurre l’autocoscienza ai
neuroni e alla loro attività.
Poi il libro ricostruisce la discussione sull’anima, da
Tommaso alle neuroscienze; è possibile secondo lei accertarne razionalmente
l’immortalità?
Non penso che sia possibile accertare con la sola ragione
l’immortalità dell’anima. A mio parere si può accertare però che l’uomo ha
un’anima non materiale: altrimenti non si spiegherebbero la nostra capacità di
conoscere ciò che è universale e necessario, e la nostra libertà.
Il cristianesimo però parla non solo di immortalità
dell’anima, ma di risurrezione della carne. Lei come la concepisce?
Direi di più: il cristianesimo parla anzitutto della
risurrezione. Solo nella risurrezione il soggetto umano trova il suo pieno
compimento. L’immortalità dell’anima è però indispensabile perché la
risurrezione abbia un senso: se qualcosa di me non rimanesse dopo la morte, la
risurrezione sarebbe una nuova creazione, che non avrebbe con me alcun
rapporto. Riguardo al modo di esistere dei risorti, possiamo dire due cose: la
risurrezione è qualcosa di reale, non solo una nostra idea; ma non è qualcosa
di fisico, non è un ritorno alla vita di questo mondo..
In attesa dell’ultimo giorno, dove andiamo?
Lei evoca san Paolo, secondo cui saremo con Cristo. subito
dopo la morte.
Ma come?
Saremo con Cristo, e con Dio Padre, in quanto parteciperemo
alla loro vita, saremo conosciuti e amati da loro e a nostra volta li
conosceremo e ameremo: non come adesso nel chiaroscuro della fede, ma
direttamente nella loro sublime realtà.
Che cosa sappiamo davvero dell’aldilà?
Nella sostanza l’aldilà è Dio stesso: il mistero che ci
supera infinitamente. Sarebbe una grossa ingenuità pretendere di poter fare una
descrizione anticipata del futuro che ci attende, come se ne avessimo già avuto
esperienza. Dell’aldilà possiamo parlare, in qualche modo, solo a partire dal
presente, da ciò che portiamo dentro di noi e viviamo in questo mondo:
soprattutto a partire da Gesù Cristo, vissuto, morto e risorto per noi. E' lui
la via di accesso al mistero di Dio e della nostra sorte eterna..
Lei ha assistito molte persone giunte al passo d’addio. Come
si muore?
Si muore in tanti modi, che dipendono da quello che siamo
nel profondo e dal genere di persone che ci sono vicine; oltre che,
naturalmente, dalla nostra maggiore o minore solidità psichica e dal tipo di
infermità che ci conduce alla morte. Mescolata a tutti questi fattori gioca
però un grande ruolo anche la fede in Dio e nella vita eterna. Rimane vera cioè
la parola di san Paolo: i cristiani sono coloro che hanno speranza. L’ho
verificato tante volte negli altri, e incomincio a verificarlo dentro di me..
Lei definisce l’inferno una possibilità concreta e tragica..
Non è vero quindi che l’inferno è vuoto, come si augurava Von Balthasar?
Von Balthasar se lo augurava, non pretendeva di saperlo. Che
l’inferno sia una possibilità concreta ce lo ha detto anzitutto Gesç Cristo:
non possiamo pensare che Gesù scherzasse quando ammoniva che la via verso la
perdizione è spaziosa, mentre è angusta quella verso la vita. Non è detto però
che degli esseri umani siano effettivamente dannati: possiamo e dobbiamo
sperare di salvarci tutti; ma deve essere una speranza umile, che non presume
di noi stessi e si affida alla misericordia di Dio..
Il paradiso lei come se lo immagina?
In estrema sintesi, il paradiso è l’essere per sempre con
Dio in Gesù Cristo, e secondariamente con i nostri fratelli in umanità..
L’inferno?
L’inferno, al contrario, è solitudine assoluta, chiusura
definitiva a Dio e al prossimo..
E il purgatorio?
Il purgatorio è gioia grandissima di essere amati da Dio, e
al tempo stesso è sofferenza che, nell’incontro con Cristo, ci purifica dalle nostre
colpe..
Qual è la sorte dei bambini morti senza battesimo?
La Sacra Scrittura non si pone questa domanda. Nel medioevo
si affermò la dottrina del limbo, secondo la quale i bambini morti senza
battesimo restano privi dell’unione immediata con Dio ma godono di quell’unione
con lui che ci appartiene per natura. Oggi però, quando speriamo la piena
salvezza anche per i peggiori peccatori, diventa insostenibile escluderne i
bambini che sono morti senza colpe personali, non avendo ancora l’uso della
ragione. Oggi è questo l’insegnamento della Chiesa..
Come si immagina, tra molto tempo s’intende, la sua vita
dopo la morte?
Alla morte e al dopo penso spesso, se non altro perché il
mio declino fisico si incarica di ricordarmeli. Cerco di prepararmi pregando di
più ed essendo un po’ più buono e più generoso. Soprattutto mi affido alla
misericordia di Dio. Per il “dopo” spero di essere accolto nel mistero di amore
di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e di ritrovare tutte le persone che mi
hanno amato in questo mondo — a cominciare dai miei genitori — ma anche tutti
coloro che ho conosciuto, vivi per sempre nella grande famiglia di Dio. Dato
che la curiosità intellettuale non mi ha ancora abbandonato, confido inoltre di
scoprire in Dio il senso di tutta la realtà.
E come vorrebbe essere ricordato?
Come una persona semplice, con un forte e forse eccessivo
senso del dovere, che ha cercato di servire il Signore e che non ha odiato
nessuno.
C’è qualche errore, almeno uno, che ritiene di aver
commesso?
Di errori ne ho fatti molti, a cominciare dai miei tanti
peccati, e chiedo di cuore perdono a Dio e al mio prossimo. Nelle
responsabilità che ho avuto un errore è stato il fidarmi troppo di me stesso..
Spesso le viene rimproverato il caso Welby, il rifiuto del
funerale.
Negare a Piergiorgio Welby il funerale religioso è stata una
decisione sofferta, che ho preso perchè ritenevo contraddittoria una scelta
diversa. Su questo non ho cambiato parere. Ho comunque pregato parecchio perché
il Signore lo accolga nella pienezza della vita..
Quale immagine porterà con sé dei Papi che ha conosciuto da vicino?
Wojtyła, Ratzinger, Bergoglio?
Karol Wojtyła è il grande santo che ha cambiato in
profondità la mia vita: l’immagine che ne ho . quella di un’umanità
straordinariamente cresciuta nella luce di Dio. Anche a Joseph Ratzinger devo
tanto: vedo in lui un grande maestro, non solo del pensiero ma del rapporto con
Dio, e una persona estremamente gentile che mi onora della sua amicizia. Con
Jorge Mario Bergoglio ho, logicamente, un rapporto minore perché . diventato
Papa quando ero già emerito: . un uomo di profonda fede, che spende tutto se
stesso..
Ma questo Papa sta facendo il bene della Chiesa?
Il bene che fa alla Chiesa, e all’umanità, .sotto gli occhi
di tutti: non vederlo significa essere prigionieri delle proprie idee e anche
dei propri pregiudizi. Personalmente prego il Signore perché l’indispensabile
ricerca delle pecore smarrite non metta in difficoltà le coscienze delle pecore
fedeli.. (Corriere della sera, 22 settembre 2016)
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VERSO ROSH HASHANAH. IL SUONO DELLO SHOFAR
Uno degli aspetti paradossali dello Shofar, il corno di montone
che si suona durante Rosh Hashanah, sta nel fatto che nel capitolo della Torah
relativo alla festività noi troviamo soltanto la prescrizione del suono, ma non
le istruzioni su come lo Shofar vada suonato. Per conoscere queste regole, i
Maestri del Talmud si devono appellare ad altre parti della Torah: e tutto
questo non serve ad altro che a sottolineare come l’eco dello Shofar si
propaghi nella vita ebraica ben oltre l’angusto limite di due giorni di festa e
a spronarci nella ricerca di sempre nuovi significati di un precetto tanto caro
al popolo d’Israel. Nel trattato Rosh HaShanah del Talmud le regole relative al
suono dello Shofar si deducono dal capitolo della Torah che tratta del
Giubileo. In epoche trascorse, allorché tutte le tribù d’Israel abitavano la
Terra dei Padri, ogni cinquant’anni ricorreva un’annata speciale, segnata dalla
liberazione di tutti gli schiavi e dal ritorno delle terre ai loro primitivi
proprietari. L’inizio dell’anno del Giubileo era annunciato, il Giorno di
Kippur, dal suono dello Shofar: la Torah prescrive che in quell’occasione si
dovesse emettere un suono lungo (Teki’ah), seguito da una serie di suoni brevi
e rotti (Shevarim o Teru’ah) e poi da un ultimo suono lungo (Teki’ah). Il suono
dello Shofar del Giubileo annuncia la liberazione: cosi, anche il suono di Rosh
haShanah di ogni anno simboleggia una liberazione, la liberazione dal giogo
delle trasgressioni e dell’istinto del male. Ma vi e un’altra tradizione che
noi troviamo nel Sifre, un’antichissima raccolta di Midrashim halakhici sul
libro dei Numeri. In esso Moshé riceve da D. il comandamento di farsi delle
trombe d’argento con le quali avrebbe guidato Israel nel deserto. Se si fosse
trattato di radunare il popolo, avrebbe dovuto suonare la Teki’ah; qualora
invece avesse voluto dare ordine di partenza, avrebbe suonato la Teru’ah. Ciò
perché il suono disteso è naturalmente adatto a situazioni statiche, mentre per
situazioni a carattere dinamico assai meglio si addice il suono spezzato. A
Rosh Hashanah la sequela dei suoni è Teki’ah – (Shevarim) Teru’ah – Teki’ah. In
un processo di Teshuvah collettiva, in cui una Comunità decide di
riappropriarsi della Torah e dei suoi valori, come accade dovunque nei Giorni
Penitenziali, la prima cosa da fare è radunare il popolo: non solo in senso
fisico, ma anche in senso ideale, sincerarsi cioè che la Comunità sia unita.
Senza tale unità non c’è via al progresso. Ma l’unità da sola non basta:
ancorché valore positivo, esso è tuttavia di sua natura statico, contemplativo.
L’unità di partenza deve essere al servizio di una Comunità dinamica. E il
dinamismo spesso si raggiunge solo attraverso lievi rotture di quell’unita di
fondo: per carità, nulla di sistematico, ma semmai di metodico e di transeunte.
Senza persone che all’interno del gruppo prendano l’iniziativa di muoversi, di
creare qualcosa di nuovo, di rompere con la routine, anche a costo di
sacrificare per qualche tempo persino il proprio rapporto con il resto della
Comunità, ben difficilmente questa potrà progredire. A questo stadio corrisponde
il suono centrale dello Shofar, la Teru’ah, suono rotto per definizione.
Simboleggia la “crisi di crescenza” della Comunità. L’obbiettivo da raggiungere
dev’essere nuovamente l’unità. Non il ritrovamento dell’unita passata,
naturalmente, ma il raggiungimento di una nuova unità, fondata sulla sintesi
fra la tesi, costituita dalla vecchia compagine (la prima Teki’ah) e
l’antitesi, rappresentata dalla crescita nel frattempo intervenuta (la
Teru’ah): cosi nasce l’ultima Teki’ah che conclude felicemente ciascun gruppo
di suoni, in tempo perché se ne ricominci un altro. Ma non è ancora tutto qui.
Perché la crescita è problematica: il suono che ha fatto maggiormente discutere
i Chakhamim è proprio la Teru’ah. L’emissione rotta da essa rappresentata corrisponde
al lamento prima di affrontare l’incognita della novità (Shevarim,
letteralmente “rottura”) o al singhiozzo strepitante di chi piange la routine
perduta, la Teru’ah propriamente detta? I Maestri su questo punto non prendono
una decisione: le “proteste” devono rimanere entrambe, e cosi noi manteniamo,
variamente alternati, tanto il suono di Shevarim che la Teru’ah. Ma la crescita
è necessaria. “Il S. sale nella Teru’ah”, afferma l’autore dei Salmi (47,6).
Solo attraverso la Teru’ah, sia pure con le piccole lacerazioni che può
comportare, si compie la salita. Ma perché questa possa agevolmente avvenire, è
giocoforza distinguere fra la Teki’ah che la precede e quella che la segue,
giacché vi è una fondamentale differenza fra le due. La seconda Teki’ah, leggi
“unita della Comunità”, è compito del suo leader: sta a lui ricrearla dopo aver
innovato. Ma la prima Teki’ah, a mio avviso, è responsabilità della Comunità
stessa. E’ l’unità che il gruppo deve mettere a disposizione del leader perché
questi possa svolgere al meglio il suo lavoro. Il leader non ha alcun obbligo
di crearsi da solo tale presupposto, mentre ha il diritto, comune a chiunque
lavori, di vedere un prodotto della sua attività: è perciò compito della
Comunità far trovare alle sue guide l’unità di fondo necessaria, in ultima
analisi, al progresso della Comunità stessa. Chi suona lo Shofar sa bene quanto
la prima Teki’ah sia la più difficile da imboccare, ancor più della successiva
Teru’ah! “Quando radunerete la Comunità, suonerete la Teki’ah e non la
Teru’ah”: se saprete davvero essere uniti, piantati nel suolo come pioli di una
tenda (teku’im), osserva R. Moshe Eliakim di Koznitz, nessun ostacolo e nessuna
difficoltà avrà più alcun potere su di voi e avrete soltanto occasioni di festa
e di letizia: “e nei vostri giorni di gioia e di festa e nei capi-mese
suonerete la teki’ah con le vostre trombe…”. Le-shanah Tovah Tikkatevu
ve-techatemu. (Alberto Moshe Somekh, rabbino, Pagine Ebraiche, settembre
2012)
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UN MATRIMONIO NON E' UNA CRASI
CONTRAPPASSO DELLA STORIA: NON SARA' IL PROGRESSO DEL NUOVO
ORDINE MONDIALE A SALVARE L'UOMO. CE LO DICONO BRAD E ANGELINA, NELLA LORO
NORMALISSIMA E DEBOLE UMANITA' CON LE SUE DIFFERENZE INCONCILIABILI.
New York. Il contesto è importante. La notizia delle
“differenze inconciliabili” fra Angelina Jolie e Brad Pitt è arrivata non in un
momento qualsiasi ma proprio mentre nella caverna di marmo verde dell’Onu
Barack Obama stava intonando il più appassionato degli inni al Progresso,
all’Ordine Democratico e Liberale, perfezionare l’Umanità e redimere la Storia,
e molte altre cose con la lettera maiuscola. Ha tratteggiato un’escatologia
umanista, un orizzonte salvifico che si scontra quotidianamente con paturnie
nazionaliste, ossessioni per i muri, istinti anti globalizzazione, logiche
tribali e faide fra clan. La certezza di Obama, però, è che il Progresso
democratico prevarrà infine su questi residuali accidenti della Storia. La
Democrazia contiene l’antidoto alle sue stesse patologie: “Questo non significa
che le democrazie sono senza difetti. Significa che la cura per ciò che mette
in pericolo le nostre democrazie è un maggiore, non minore, coinvolgimento da
parte dei nostri cittadini”. A dispetto di tutte le crisi globali, le
divisioni e le difficoltà percepite, Obama è certo che la parte più nobile
dell’umanità stia prevalendo, e per dimostrarlo illumina un contesto fatto di
dati e indicazioni con il segno positivo. “I fatti e la storia sono dalla
nostra parte”, ha proclamato. E ancora: “I princìpi dei mercati aperti e della
governance responsabile, della democrazia, dei diritti umani e del diritto
internazionale che abbiamo forgiato rimangono il più solido fondamento del
progresso umano in questo secolo”. Nel consesso onusiano ha superato,
spostandosi nella corsia del liberalismo più puro e astratto, anche l’idea
dell’eccezionalismo americano: il Progresso non è ancorato a un luogo e a un
assetto di governo, ma riguarda l’idea stessa di Umanità, tutti sono coinvolti
in questa corsa verso il Mondo Migliore. Dovendo scegliere un testimonial per
far risuonare questo messaggio in modo accattivante, a chi pensereste? A una
crasi: Brangelina. Non c’è coppia nell’universo occidentale che meglio incarna
tutto ciò di cui Obama ha parlato con urgenza e visione ideale. Le
campagne umanitarie, i figli adottati, la vita glamour ma responsabile, le
campagne a fin di bene, la leggerezza senza frivolezza, la sensualità senza la
volgarità, una coppia cosmopolita e plurilingue che si muove fra l’Unesco e gli
Oscar, fra i campi profughi e il Gay pride, spaziando da Tomb Raider a Terrence
Malick senza sentirsi in difetto o in contraddizione. La chirurgia preventiva
di Angelina, che si è sottoposta a una doppia mastectomia per ingannare le
cellule che avrebbero potuto modificarsi nel modo sbagliato, è una delle vette
di modernità di una coppia che è diventata un archetipo. E mentre Obama
celebrava davanti ai potenti della terra l’archè che Brangelina interpreta, la
coppia si disfaceva, quel grande progetto che era molto più di un matrimonio o
di una macchina da soldi, mostrava la sua profonda fragilità, smentendo con un
fatto da copertina più potente di qualunque discorso da Palazzo di vetro quello
che il presidente andava dicendo con la sua fredda passione. Mentre
lui spingeva avanti la Storia, la loro storia era finita.(Mattia
Ferraresi, Il Foglio 22 settembre 2016)
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IL DOLORE DI ORIANA FALLACI E LA VOCAZIONE INSOPPRIMIBILE DI
OGNI DONNA
Una lettera inedita (ma è davvero una lettera? Sembra un
Intervento scritto per un’inchiesta) illumina un momento importante della vita
di Oriana Fallaci e le origini del suo libro più famoso, Lettera a un bambino
mai nato (1975). Il documento fa parte del Fondo Fallaci, l’archivio donato da
Edoardo Perazzi, nipote e unico erede della scrittrice, al Consiglio regionale
della Toscana. Ne dà notizia, con un servizio di Cristina Manetti, il numero di
Panorama oggi in edicola. La «lettera» affronta il tema della pillola
anticoncezionale ma racconta anche la storia di un aborto spontaneo. Difficile
stabilire quando sia stata scritta ma alcuni indizi lasciano pensare che
risalga al 1971-1972. Perazzi Ttestimonia l’esistenza di una redazione
precedente, molto simile, appuntata in un quaderno del 1967. Sarebbe quindi
escluso che il padre del bambino perduto da Oriana fosse Alekos Panagulis: il
loro amore sboccia nel 1973. C’è un dettaglio che però sembra rimandare a
Panagulis: la Fallaci dice infatti che il suo compagno «è morto». Comunque
sia, la questione riguarda i biografi. Quello che importa sono le parole della
Fallaci. Scrive la giornalista: «Non ho mai usato anticoncezionali perché, con
la stessa intensità con cui ho sempre detestato e rifiutato il contratto matrimoniale,
ho sempre desiderato avere un figlio». Ecco la parte autobiografica: «Uno dei
più grandi dolori della mia vita è stato perdere il bambino che io e il mio
compagno aspettavamo con orgoglio e allegria. Ed oggi il dilemma di usare o non
gli anticoncezionali si pone ancora meno per me in quanto il mio compagno è
morto e non considero nemmeno l’eventualità di avere rapporti sessuali con
qualcuno che lo sostituisca». Eutanasia: «La parola eutanasia è per me
una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci
credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla
Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze.La Morte è morte e basta». Testamento
biologico: «È una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà
dinanzi alla morte (…) Inutile dichiarare che in un caso simile a quello
di Terri (SchindlerSchiavo, nda) vorrai-staccare-la-spina, morire stoicamente
come Socrate che beve la cicuta. L’istinto di sopravvivenzaè incontenibile,
incontrollabile". Diritti umani legati alle questioni di bioetica: «Nella
nostrasocietà parlare di Diritti-Umaniè davvero un’impostura, una
farisaicacommedia (…) Ne deduco che, per non esser gettati dallarupe, nella
nostra società bisogna essere sani e belli e in grado di partecipare alle
Olimpiadi o almeno giocare la fottuta partita di calcio». Inequivocabili
dichiarazioni pro-life che hanno però generato un mezzo equivoco...
l’anticlericale Fallaci aveva trovato come compagna di stradala Chiesa
dell’ammiratissimo Ratzinger. Per questo si definiva «atea cristiana». Ne La
Forza della Ragione, dopo aver citato Benedetto Croce, la Fallaci spiega cosa
intenda: «E lo sono perché il discorso che sta alla base del cristianesimo mi
piace. Mi convince. Mi seduce a tal punto che non vi trovo alcun contrasto col
mio ateismo e il mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di
Nazareth, ovvio, non di quello elaborato o distorto o tradito dalla Chiesa
cattolica ed anche dalle Chiese protestanti. Il discorso, voglio dire, che
scavalcando la metafisica si concentra sull’Uomo. Che riconoscendo il libero
arbitrio, cioè rivendicando la coscienza dell’Uomo ci rende responsabili delle
nostre azioni, padroni del nostro destino. Ci vedo un inno alla Ragione, al
raziocinio, in quel discorso. E poiché ove c’è raziocinio c’è scelta, ove c’è
scelta c’è libertà, ci vedo un inno alla Libertà». (IL GIORNALE, 22 SETTEMBRE
2016)
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LA DENATALITA' CANCELLERA' UN TERZO DELLA GERMANIA
Con un rapporto a firma di Philip Booth, economista inglese
presente a Milano alla convention di Stefano Parisi, il pensatoio londinese
Institute of Economic Affaire getta luce sulla “bomba demografica a orologeria
dell’Europa”. Il grande collasso. “Mai prima d’ora un paese sviluppato con un
alto livello di spesa pubblica e un enorme sistema di sicurezza sociale ha
affrontato il tipo di calo demografico che vedremo nelle prossime generazioni”,
scrive Booth. Una contrazione senza precedenti. Se gli attuali tassi di
fertilità persistono (oggi siamo all’1,3), la Germania perderà 24 milioni di
abitanti entro il 2080. Il 31 per cento degli attuali 80 milioni. Questo
nelcaso in cui i flussi migratori si interrompano. Se dovessero proseguire, la
Germania perderà il venti per cento della sua attuale popolazione. La Grecia,
con una perdita del 29 per cento della popolazione, passerà dagli attuali
undici a meno di sette milioni di abitanti. La Polonia, con un calo del 25 per
cento, passerà dagli attuali 38 a 29 milioni. La Slovenia, con una perdita del
17 per cento, scenderà a un milione e seicentomila abitanti. La parte più
grande della popolazione europea si concentrerà in Francia e Gran Bretagna, con
il numero di cittadini che raggiungeranno i 78 e gli 85 milioni di abitanti
rispettivamente. Le proiezioni indicano che Grecia, Portogallo, Bulgaria,
Slovacchia e Lettonia vedranno un terzo delle loro popolazioni scomparire entro
il 2080, mentre la Lituania vedrà la più grande caduta proporzionale della
popolazione (37,4 per cento) tra gli stati membri della Ue. Ma è il dato
tedesco a essere il più sorprendente. Le proiezioni indicano che la Germania
sperimenterà più di 64 milioni di morti nel corso del prossimo mezzo secolo e
meno di 40 milioni di nascite. La denatalità farà scomparire un pezzo più
grande della ex Germania comunista. I dati dell’Institute of Economic Affairs
confermano quelli dell’Istituto tedesco di studi demografici, secondo cui la
popolazione della Germania diminuirà del venti per cento entro il 2050 e di un
altro dieci entro il 2080, per una perdita demografica che è l’equivalente
delle popolazioni di Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera, Colonia e Francoforte
messe assieme. Per dirla con Peter Hahne, “La festa è finita”.I tedeschi
opulenti e soddisfatti non sono più interessati al sesso. Lo dice una ricerca
dello Stiftung für Zukunftsfragen, pensatoio di Amburgo, che rivela che il
sesso arriva ultimo come attività post lavoro fra i tedeschi, dopo tv, internet
e fitness. Un quarto degli uomini tedeschi ha detto “no” ai figli. In Italia
sono chiamati “bamboccioni”; in Giappone sono noti come “parasaito shinguru-o”,
i single parassiti; in Germania, sono i “nesthocker” e non hanno intenzione di
lasciare l’“Hotel Mama”. Tutto iniziò nella ricca Germania dell’ovest La
demografia resta tabù nella società tedesca e ogni volta che se ne parla torna
lo spettro del “numero fa la forza”, l’obolo di Hitler, il “babygeld”, soldo
per il bambino. Che ironia! Nella Seconda guerra mondiale, la Germania ha perso
milioni di suoi abitanti, uccidendone altrettanti, in una lotta per il
“Lebensraum”, lo spazio vitale, mentre oggi perde territorio e pezzi di
società a causa della bomba che non fa rumore: l’insipienza demografica. Dal
1972, la Germania non ha visto un solo anno in cui il numero dei neonati ha
superato il numero dei morti. Le famiglie hanno cominciato a essere fuori moda
in quella che allora era la Germania ovest, quando il paese prosperò e il tasso
di fertilità ha cominciato a scendere a circa 1,4 figli per donna e poi
praticamente è rimasto lì, ben al di sotto del tasso di 2,1 figli che mantiene
stabile una popolazione. Adesso si parla di tante piccole città in Sassonia e
Brandeburgo che potrebbero chiudere bottega e diventare città- fantasma, tale e
profonda è la contrazione della popolazione tedesca. L’alternativa
all’irrilevanza demografica, economica e politica è l’immigrazione, ma non
basta che i migranti entrino alla spicciolata. Servono tante ondate come il
2015. L’esperto di demografia Herwig Birg sostiene che la Germania ha bisogno
di due milioni di immigrati all’anno per evitare il collasso. Porte aperte per
sopperire alle culle vuote. Ma che importa, saranno comunque tutti bravi
cittadini tedeschi. (G. Meotti, Il Foglio 22 settembre 2016)
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DISPERSIONE, OVVERO CIO' CHE CONNOTERA' LE CITTA' NEL FUTURO
SECCHI: Avremo probabilmente grandi poli metropolitani
(megacities), collegati da veloci reti di comunicazione, all’interno di vaste
aree «connotate dalla dispersione». Perché ciò che si definisce città diffusa o
sprawl, perdurerà anche se le politiche urbane, da noi come in Europa, non
hanno considerato questo fenomeno come merita. La città contemporanea oggi è
inefficiente ed è «arretrata tecnologicamente». In futuro è certo che subirà
trasformazioni così come accadrà allo spazio pubblico che aumenterà per
estensione, anche se a gestirlo saranno chiamati soggetti privati. Tuttavia
Secchi esclude che a causa della bassa crescita demografica si giunga a
densificare la città fino a renderla compatta. Al suo interno si conserveranno
«differenti ecologie», tutto vi conviverà tra disuguaglianze e originali forme
di socialità, in un processo di continue e inarrestabili modificazioni, di
distruzione di valori e comparsa di nuovi. (Il Fatto, 22 settembre 2016)
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OBO-SAN-BIN: IN GIAPPONE IL MONACO LO TROVI SU AMAZON
COME SEMPRE IL GIAPPONE E' PROFEZIA DEL FUTURO PROSSIMO
OCCIDENTALE. COSI' IL RAPPORTO CON DIO TI ARRIVERA' A DOMICILIO DOPO AVER
PAGATO CON CARTA DI CREDITO LA SALVEZZA...
In Giappone Amazon ha iniziato
a “consegnare” monaci buddisti a domicilio per le commemorazioni
religiose dei defunti grazie alla collaborazione, avviata da circa un anno, con
una start-up locale, Minrevi. Il servizio si chiama “Obo-san bin” che
significa “consegna del monaco” ed è stato molto criticato dai leader religiosi
del paese. I monaci che si sono resi disponibili per questo servizio dicono
invece che si tratta semplicemente di una soluzione veloce ed economica a un
bisogno reale, e che “Obo-san bin” sta contribuendo a preservare le tradizioni
buddiste rendendole accessibili a milioni di persone che, in Giappone, per vari
motivi si sono allontanate dalla religione o dai suoi rituali. “Obo-san
bin” è stato inventato nel 2013 da Minrevi, una start-up con sede a Tokyo che
prima di essere ospitata su Amazon aveva costruito una rete di 400 monaci
disponibili a offrire i loro servizi: si potevano prenotare tramite il sito
oppure per telefono. Minrevi tratteneva circa il 30 per cento del prezzo pagato
dai clienti, mentre il resto della tariffa andava direttamente al monaco.
Dopo l’accordo con Amazon, Minrevi ha aggiunto altri 100 monaci per soddisfare
l’aumento della domanda. La prenotazione del servizio su Amazon funziona
come quella di un qualsiasi altro prodotto. Si sceglie una delle quattro
opzioni a disposizione e la si aggiunge al carrello. Si specifica che il servizio
è disponibile per le commemorazioni (non per i funerali veri e propri) e che la
“consegna” ha tempi che vanno dalle tre alle cinque settimane. Ordinare una
cerimonia commemorativa di base presso la casa di una persona morta ha un costo
fisso che è di 35 mila yen (circa 260 euro). La tariffa più alta è 65 mila yen
e prevede anche che al defunto venga assegnato un nome postumo buddista,
diverso da quello anagrafico usato in vita. Un rito funebre tradizionale in un
tempio, compresa la cremazione del corpo, è invece estremamente costoso e può
arrivare anche a superare un milione di yen. Il prezzo medio di una
commemorazione è, in media, di 100 mila yen. Akisato Saito, direttore
dell’Associazione giapponese buddista, ha criticato l’iniziativa
dicendo: «una cosa del genere non succede da nessun’altra parte del mondo.
Dobbiamo dire di essere scontenti del modo in cui Amazon tratta la religione».
Per i sostenitori del servizio fornito da Amazon, però, il prezzo richiesto dai
templi è eccessivo. Dicono infatti che i templi tradizionali hanno in un certo
senso trasformato la religione in un business, perché di fatto funzionano come
delle imprese pur ricevendo molte agevolazioni fiscali dal governo:
per esempio vendono le candele a prezzi altissimi e ricevono donazioni
spesso superiori al reale prezzo dovuto dai fedeli. C’è poi il fatto che
moltissimi templi buddisti (sono circa 75 mila in tutto il paese) sono in
declino e non hanno più contatti con le comunità locali. Jumpei Masano, un
portavoce di Minrevi, ha spiegato che molte persone non hanno più alcun legame
con il tempio della loro zona e che non sanno a chi rivolgersi o cosa fare
quando devono organizzare un funerale: «Allo stesso tempo, sono numerosissimi i
monaci che non riescono più a sopravvivere legati ai luoghi di culto, sempre
meno frequentati. Abbiamo messo insieme le due necessità e creato un buon
servizio». Molti templi stanno infatti scomparendo a causa di un calo delle
donazioni e del fatto che la popolazione si sta trasferendo dalle campagne alle
città: i templi si trovano soprattutto nelle zone rurali. Il 70 per cento dei
giapponesi dice di non essere religioso o di essere ateo, anche se in molti
hanno detto di seguire ancora le abitudini religiose soprattutto in
occasione di alcune ricorrenze tradizionali o quando muore
qualcuno. Amazon non ha voluto fare commenti su questo suo servizio o
intervenire nella discussione, scrive il New York Times. Ma lo
scorso aprile, rispondendo alle critiche dell’Associazione giapponese buddista,
aveva fatto sapere che il suo obiettivo era «fornire quante più
informazioni possibili» ai propri utenti in modo che «potessero prendere le
loro decisioni». Aveva poi precisato di aver soltanto ospitato i servizi di
Minrevi, la quale ha detto di essere «molto soddisfatta» dell’aumento
delle richieste ottenuto grazie alla nuova collaborazione.
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L’equinozio
d’autunno sarà oggi pomeriggio
L'estate finisce alle 14.21, e inizierà
l'autunno: il momento preciso si deve al movimento della Terra intorno al Sole.
L’inizio delle stagioni è
scandito da eventi astronomici precisi: l’estate e l’inverno cominciano il
giorno con i solstizi – in cui le ore di luce al dì sono al loro massimo
(estate) o al loro minimo (inverno) – mentre la primavera e l’autunno
cominciano il giorno degli equinozi – i momenti in cui la
lunghezza del giorno è uguale a quella della notte. Tuttavia, a causa di
un fenomeno che si chiama “rifrazione atmosferica”, la luce del Sole è curvata
dall’atmosfera: è quella cosa per cui vediamo il Sole qualche minuto prima che
sorga effettivamente. Questo vuol dire che in realtà oggi in Italia il dì sarà
ancora un po’ più lungo della notte per qualche minuto. Per la vera uguaglianza
tra dì e notte sarà tra qualche giorno. Gli equinozi e i solstizi (e
le durate del dì e della notte) sono determinati dalla posizione della Terra
nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole, cioè il movimento che il nostro
pianeta compie girando intorno alla sua stella di riferimento. L’equinozio
è il momento in cui il Sole si trova all’intersezione del
piano dell’equatore celeste (la proiezione dell’equatore sulla sfera celeste) e
quello dell’eclittica (il percorso apparente del Sole nel cielo). Al solstizio
invece il Sole a mezzogiorno è alla massima o minima altezza rispetto all’orizzonte. Le
variazioni del momento in cui avvengono equinozi e solstizi sono causate
dalla diversa durata dell’anno solare e di quello del calendario (è il
motivo per cui esistono gli anni bisestili, che permettono di rimettere “in
pari” i conti). In Italia, la primavera cade tra il 20 e il 21 marzo, l’estate
tra il 20 e il 21 giugno, l’autunno tra il 22 e il 23 settembre l’autunno,
l’inverno tra il 21 e il 22 dicembre: per capirci, quest’anno l’inverno
inizierà il 21 dicembre alle 10.44 del mattino. Oltre alle stagioni
astronomiche, poi, ci sono anche quelle meteorologiche: iniziano in
anticipo di una ventina di giorni rispetto a solstizi ed equinozi, e durano
sempre tre mesi. Indicano, con maggiore precisione, i periodi in cui si
verificano le variazioni climatiche annuali, specialmente alle medie latitudini
con climi temperati. (IL POST, 22 SETTEMBRE 2016)
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