DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

22 SETTEMBRE 2016




"La Chiesa non può che essere sacramento della misericordia di Dio nel mondo, in ogni tempo e verso tutta l’umanità. Ogni cristiano, pertanto, è chiamato ad essere testimone della misericordia, e questo avviene in cammino di santità" (Papa Francesco). 

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LA SENTINELLA



L'INGANNO DELLA TECNOLOGIA CHE NON CANCELLA IL PECCATO 

LA TECNOLOGIA NON E' UN PONTE GETTATO TRA LE DIFFICOLTA'. CHI PENSA CHE LO SVILUPPO TECNOLOGICO E I SUOI GADGET CI ALLEGGERISCANO IL PESO DEL SACRIFICIO, DELL'IMPEGNO E DEL SACRIFICIO, IL COMBATTIMENTO QUOTIDIANO, E' INGANNATO DI NUOVO DAL PRINICIPE DI QUESTO MONDO (E QUINDI ANCHE DELLA TECNOLOGIA). IL CASO EMBLEMATICO DELL'OROLOGIO "ACTIVITY TRACKER", SEMPLICE MONITOR SUL QUALE APPAIONO DELLE INFORMAZIONI OGGETTIVE, A CUI PERO' NON POSSIAMO CHIEDERE DI SOSTITUIRE I NOSTRI MUSCOLI E LA NOSTRA MENTE. E CHE INVECE SI RIVELA ADDIRITTURA CONTROPRODUCENTE AI FINI DELLA DIETA (E DELLA SALUTE). COME OGNI SUBDOLA SCORCIATOIA CHE CI PROPONE IL DEMONIO, LA STRADA LARGA INVECE DELLA STRETTA... NON SARA' LO SVILUPPO DELLA MENTE UMANA E DELLA SUA GENIALITA' A CAMBIARE LE SORTI DELL'UOMO ESULE DAL PARADISO E PER QUESTO BISOGNOSO DI AMORE E DI CONVERSIONE. OGNI GIORNO. INSOMMA, NON SARA' UN AGGEGGIO A PLACARE QUELLO CHE NELL'ARTICOLO E' CHIAMATO SENSO DI COLPA - IL MIGLIOR DIETOLOGO DI SEMPRE - E CHE NOI RICONOSCIAMO COME L'ANTICO RIMORSO DELLA COSCIENZA - IL MIGLIORE DIRETTORE SPIRITUALE DI SEMPRE - PER UN "CUORE TORPIDO COME IL GRASSO"....

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Barack Obama ne ha fatto sfoggio involontario ancora martedì durante il suo ultimo discorso davanti all’Assemblea generale dell’Onu. Gesticolando e difendendo la sua visione dell’ordine liberale del mondo, il presidente americano ha più volte lasciato scoperto sotto la manica della camicia il suo ingombrante orologio elettronico, che indossa già da oltre un anno. Gli osservatori di cose tecnologiche lo hanno individuato da tempo: il presidente indossa un Fitbit, non uno smartwatch, ma un “activity tracker”, un apparecchio che misura i passi fatti durante la giornata, i chilometri percorsi, le calorie bruciate in allenamento, la frequenza cardiaca a riposo e sotto sforzo – e che solo incidentalmente dice anche l’ora. Un orologio per sportivi di cui esistono infinite marche e varianti, e che per ora costituisce l’unica categoria di successo di quel variegato mondo di “wearable”, dispositivi indossabili e collegati a internet, che dovrebbe misurare e controllare ogni nostra attività nel futuro ma che non sta davvero sfondando. Secondo il Times, soltanto nel Regno Unito saranno venduti dieci milioni di activity tracker e di smartwatch, che comunque hanno tutti funzione avanzate per il fitness, e questo mese anche Apple, visto che il mercato è fiorente, ha praticamente riorientato il marketing della seconda versione del suo Apple Watch, trasformandolo da strumento per la produttività a compagno per l’attività fisica. Il boom degli activity tracker conforta l’idea, solitamente fondata, che una vita più ricca di dati empirici sia una vita più consapevole. In questo caso, sapere quante calorie consumiamo ogni giorno o quanti chilometri percorriamo (l’orologio di Obama segna anche quante rampe di scale saliamo) dovrebbe contribuire ad avere una vita più sana, a essere più in forma, a perdere peso. Una ricerca dell’Università di Pittsburgh uscita questa settimana e ripresa dal New York Times dice però il contrario: chi usa un activity tracker fa più fatica a perdere peso di chi non lo usa. La ricerca, che ha coinvolto 471 volontari tra i 18 e i 35 anni nell’arco di due anni, ha mostrato come dopo una dieta durata sei mesi e che ha portato tutti i partecipanti alla ricerca a perdere circa 8 chili, i volontari a cui nei mesi successivi è stato dato un activity tracker per valutare e misurare i loro progressi abbiano in media ripreso su più chili (4,5) dei volontari che non avevano addosso nessun misuratore digitale (questi ultimi hanno ripreso soltanto 2 chili di media). La ricerca va in controtendenza rispetto ad altri studi che avevano invece rilevato un effetto positivo degli activity tracker sulla forma fisica, ma che avevano avuto una durata inferiore. I dati andranno approfonditi, anche vista l’età omogenea dei volontari, ma intanto il risultato è sorprendente, anche perché, se inizialmente i ricercatori avevano pensato che quelli che indossavano il tracker erano aumentati di peso perché si muovevano di più e dunque per compensare mangiavano troppo, a guardare bene i dati si nota il contrario: chi indossa braccialetti e orologi da sportivi fa meno sport. I volontari con braccialetto tech “potrebbero essersi concentrati sulla tecnologia e aver perso il focus sul comportamento”, ipotizza John Jakicic, professore a capo della ricerca, e si potrebbe parlare di pensiero magico associato alla tecnologia. Quando si parla di diete e di tenersi in forma, un braccialetto che sforna a ritmo continuo dati, rilevazioni biometriche e nuovi obiettivi di fitness diventa un palliativo, la misurazione continua diventa speranza di far meglio il giorno dopo o accettazione di progressi insufficienti, e alla fine tutto serve a placare il miglior dietologo di sempre, il senso di colpa. (Eugenio Cau, Il Foglio 22 settembre 2016)

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PERDONO

La misericordia si esprime, anzitutto, nel perdono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (v. 37). Gesù non intende sovvertire il corso della giustizia umana, tuttavia ricorda ai discepoli che per avere rapporti fraterni bisogna sospendere i giudizi e le condanne. È il perdono infatti il pilastro che regge la vita della comunità cristiana, perché in esso si mostra la gratuità dell’amore con cui Dio ci ha amati per primo. Il cristiano deve perdonare! Ma perché? Perché è stato perdonato. Tutti noi che stiamo qui, oggi, in piazza, siamo stati perdonati. Nessuno di noi, nella propria vita, non ha avuto bisogno del perdono di Dio. E perché noi siamo stati perdonati, dobbiamo perdonare. Lo recitiamo tutti i giorni nel Padre Nostro: “Perdona i nostri peccati; perdona i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”. Cioè perdonare le offese, perdonare tante cose, perché noi siamo stati perdonati da tante offese, da tanti peccati. E così è facile perdonare: se Di ha perdonato me, perché non devo perdonare gli altri? Sono più grande di Dio? Questo pilastro del perdono ci mostra la gratuità dell’amore di Dio, che ci ha amato per primi. Giudicare e condannare il fratello che pecca è sbagliato. Non perché non si voglia riconoscere il peccato, ma perché condannare il peccatore spezza il legame di fraternità con lui e disprezza la misericordia di Dio, che invece non vuole rinunciare a nessuno dei suoi figli. Non abbiamo il potere di condannare il nostro fratello che sbaglia, non siamo al di sopra di lui: abbiamo piuttosto il dovere di recuperarlo alla dignità di figlio del Padre e di accompagnarlo nel suo cammino di conversione. (Papa Francesco, Udienza generale 21 settembre 2016)


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I "NOVISSIMI" NELL'INTERVISTA DI CAZZULLO AL CARD. RUINI

LE ESPERIENZE TRA LA VITA E LA MORTE CI DICONO CHE E' SBAGLIATO RIDURRE L'AUTOCOSCIENZA AI NEURONI E ALLE LORO ATTIVITA'

Cardinale Ruini, il suo nuovo libro si intitola C’è un dopo?., con il punto interrogativo. Questo significa che neppure lei è assolutamente certo che un dopo. ci sia?
Personalmente sono certo. Ma mi rendo conto che questa certezza è  un dono di Dio, e che nel contesto culturale di oggi può essere difficile raggiungerla..

Lei cita gli studi di Moody e van Lommel sulle esperienze tra la vita e la morte. Le considera la conferma empirica che dopo c’è davvero qualcosa?
Si tratta di esperienze ben documentate. Dimostrano che in qualche caso, molto raro, si può tornare in vita dopo la “morte clinica”, cioè dopo che, per pochi istanti, l’encefalogramma era diventato piatto. La morte . per. un processo, che raggiunge il suo stadio definitivo solo quando il cervello ha perduto irrimediabilmente le proprie funzioni: a quel punto nessuno ritorna indietro. Non ci sono quindi conferme empiriche di un “dopo”. Quelle esperienze ci dicono comunque che è sbagliato ridurre l’autocoscienza ai neuroni e alla loro attività.

Poi il libro ricostruisce la discussione sull’anima, da Tommaso alle neuroscienze; è possibile secondo lei accertarne razionalmente l’immortalità?
Non penso che sia possibile accertare con la sola ragione l’immortalità dell’anima. A mio parere si può accertare però che l’uomo ha un’anima non materiale: altrimenti non si spiegherebbero la nostra capacità di conoscere ciò che è universale e necessario, e la nostra libertà.

Il cristianesimo però parla non solo di immortalità dell’anima, ma di risurrezione della carne. Lei come la concepisce?
Direi di più: il cristianesimo parla anzitutto della risurrezione. Solo nella risurrezione il soggetto umano trova il suo pieno compimento. L’immortalità dell’anima è però indispensabile perché la risurrezione abbia un senso: se qualcosa di me non rimanesse dopo la morte, la risurrezione sarebbe una nuova creazione, che non avrebbe con me alcun rapporto. Riguardo al modo di esistere dei risorti, possiamo dire due cose: la risurrezione è qualcosa di reale, non solo una nostra idea; ma non è qualcosa di fisico, non è un ritorno alla vita di questo mondo..

In attesa dell’ultimo giorno, dove andiamo?
Lei evoca san Paolo, secondo cui saremo con Cristo. subito dopo la morte. 

Ma come? 
Saremo con Cristo, e con Dio Padre, in quanto parteciperemo alla loro vita, saremo conosciuti e amati da loro e a nostra volta li conosceremo e ameremo: non come adesso nel chiaroscuro della fede, ma direttamente nella loro sublime realtà.

Che cosa sappiamo davvero dell’aldilà?
Nella sostanza l’aldilà è Dio stesso: il mistero che ci supera infinitamente. Sarebbe una grossa ingenuità pretendere di poter fare una descrizione anticipata del futuro che ci attende, come se ne avessimo già avuto esperienza. Dell’aldilà possiamo parlare, in qualche modo, solo a partire dal presente, da ciò che portiamo dentro di noi e viviamo in questo mondo: soprattutto a partire da Gesù Cristo, vissuto, morto e risorto per noi. E' lui la via di accesso al mistero di Dio e della nostra sorte eterna..

Lei ha assistito molte persone giunte al passo d’addio. Come si muore?
Si muore in tanti modi, che dipendono da quello che siamo nel profondo e dal genere di persone che ci sono vicine; oltre che, naturalmente, dalla nostra maggiore o minore solidità psichica e dal tipo di infermità che ci conduce alla morte. Mescolata a tutti questi fattori gioca però un grande ruolo anche la fede in Dio e nella vita eterna. Rimane vera cioè la parola di san Paolo: i cristiani sono coloro che hanno speranza. L’ho verificato tante volte negli altri, e incomincio a verificarlo dentro di me..

Lei definisce l’inferno una possibilità concreta e tragica.. Non è vero quindi che l’inferno è vuoto, come si augurava Von Balthasar?
Von Balthasar se lo augurava, non pretendeva di saperlo. Che l’inferno sia una possibilità concreta ce lo ha detto anzitutto Gesç Cristo: non possiamo pensare che Gesù scherzasse quando ammoniva che la via verso la perdizione è spaziosa, mentre è angusta quella verso la vita. Non è detto però che degli esseri umani siano effettivamente dannati: possiamo e dobbiamo sperare di salvarci tutti; ma deve essere una speranza umile, che non presume di noi stessi e si affida alla misericordia di Dio..

Il paradiso lei come se lo immagina?
In estrema sintesi, il paradiso è l’essere per sempre con Dio in Gesù Cristo, e secondariamente con i nostri fratelli in umanità..

L’inferno?
L’inferno, al contrario, è solitudine assoluta, chiusura definitiva a Dio e al prossimo..

E il purgatorio?
Il purgatorio è gioia grandissima di essere amati da Dio, e al tempo stesso è sofferenza che, nell’incontro con Cristo, ci purifica dalle nostre colpe..

Qual è la sorte dei bambini morti senza battesimo?
La Sacra Scrittura non si pone questa domanda. Nel medioevo si affermò la dottrina del limbo, secondo la quale i bambini morti senza battesimo restano privi dell’unione immediata con Dio ma godono di quell’unione con lui che ci appartiene per natura. Oggi però, quando speriamo la piena salvezza anche per i peggiori peccatori, diventa insostenibile escluderne i bambini che sono morti senza colpe personali, non avendo ancora l’uso della ragione. Oggi è questo l’insegnamento della Chiesa..

Come si immagina, tra molto tempo s’intende, la sua vita dopo la morte?
Alla morte e al dopo penso spesso, se non altro perché il mio declino fisico si incarica di ricordarmeli. Cerco di prepararmi pregando di più ed essendo un po’ più buono e più generoso. Soprattutto mi affido alla misericordia di Dio. Per il “dopo” spero di essere accolto nel mistero di amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e di ritrovare tutte le persone che mi hanno amato in questo mondo — a cominciare dai miei genitori — ma anche tutti coloro che ho conosciuto, vivi per sempre nella grande famiglia di Dio. Dato che la curiosità intellettuale non mi ha ancora abbandonato, confido inoltre di scoprire in Dio il senso di tutta la realtà.

E come vorrebbe essere ricordato?
Come una persona semplice, con un forte e forse eccessivo senso del dovere, che ha cercato di servire il Signore e che non ha odiato nessuno.

C’è qualche errore, almeno uno, che ritiene di aver commesso?
Di errori ne ho fatti molti, a cominciare dai miei tanti peccati, e chiedo di cuore perdono a Dio e al mio prossimo. Nelle responsabilità che ho avuto un errore è stato il fidarmi troppo di me stesso..

Spesso le viene rimproverato il caso Welby, il rifiuto del funerale.
Negare a Piergiorgio Welby il funerale religioso è stata una decisione sofferta, che ho preso perchè ritenevo contraddittoria una scelta diversa. Su questo non ho cambiato parere. Ho comunque pregato parecchio perché il Signore lo accolga nella pienezza della vita..

Quale immagine porterà con sé dei Papi che ha conosciuto da vicino? Wojtyła, Ratzinger, Bergoglio?
Karol Wojtyła è il grande santo che ha cambiato in profondità la mia vita: l’immagine che ne ho . quella di un’umanità straordinariamente cresciuta nella luce di Dio. Anche a Joseph Ratzinger devo tanto: vedo in lui un grande maestro, non solo del pensiero ma del rapporto con Dio, e una persona estremamente gentile che mi onora della sua amicizia. Con Jorge Mario Bergoglio ho, logicamente, un rapporto minore perché . diventato Papa quando ero già emerito: . un uomo di profonda fede, che spende tutto se stesso..

Ma questo Papa sta facendo il bene della Chiesa?
Il bene che fa alla Chiesa, e all’umanità, .sotto gli occhi di tutti: non vederlo significa essere prigionieri delle proprie idee e anche dei propri pregiudizi. Personalmente prego il Signore perché l’indispensabile ricerca delle pecore smarrite non metta in difficoltà le coscienze delle pecore fedeli.. (Corriere della sera, 22 settembre 2016)

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VERSO ROSH HASHANAH. IL SUONO DELLO SHOFAR

Uno degli aspetti paradossali dello Shofar, il corno di montone che si suona durante Rosh Hashanah, sta nel fatto che nel capitolo della Torah relativo alla festività noi troviamo soltanto la prescrizione del suono, ma non le istruzioni su come lo Shofar vada suonato. Per conoscere queste regole, i Maestri del Talmud si devono appellare ad altre parti della Torah: e tutto questo non serve ad altro che a sottolineare come l’eco dello Shofar si propaghi nella vita ebraica ben oltre l’angusto limite di due giorni di festa e a spronarci nella ricerca di sempre nuovi significati di un precetto tanto caro al popolo d’Israel. Nel trattato Rosh HaShanah del Talmud le regole relative al suono dello Shofar si deducono dal capitolo della Torah che tratta del Giubileo. In epoche trascorse, allorché tutte le tribù d’Israel abitavano la Terra dei Padri, ogni cinquant’anni ricorreva un’annata speciale, segnata dalla liberazione di tutti gli schiavi e dal ritorno delle terre ai loro primitivi proprietari. L’inizio dell’anno del Giubileo era annunciato, il Giorno di Kippur, dal suono dello Shofar: la Torah prescrive che in quell’occasione si dovesse emettere un suono lungo (Teki’ah), seguito da una serie di suoni brevi e rotti (Shevarim o Teru’ah) e poi da un ultimo suono lungo (Teki’ah). Il suono dello Shofar del Giubileo annuncia la liberazione: cosi, anche il suono di Rosh haShanah di ogni anno simboleggia una liberazione, la liberazione dal giogo delle trasgressioni e dell’istinto del male. Ma vi e un’altra tradizione che noi troviamo nel Sifre, un’antichissima raccolta di Midrashim halakhici sul libro dei Numeri. In esso Moshé riceve da D. il comandamento di farsi delle trombe d’argento con le quali avrebbe guidato Israel nel deserto. Se si fosse trattato di radunare il popolo, avrebbe dovuto suonare la Teki’ah; qualora invece avesse voluto dare ordine di partenza, avrebbe suonato la Teru’ah. Ciò perché il suono disteso è naturalmente adatto a situazioni statiche, mentre per situazioni a carattere dinamico assai meglio si addice il suono spezzato. A Rosh Hashanah la sequela dei suoni è Teki’ah – (Shevarim) Teru’ah – Teki’ah. In un processo di Teshuvah collettiva, in cui una Comunità decide di riappropriarsi della Torah e dei suoi valori, come accade dovunque nei Giorni Penitenziali, la prima cosa da fare è radunare il popolo: non solo in senso fisico, ma anche in senso ideale, sincerarsi cioè che la Comunità sia unita. Senza tale unità non c’è via al progresso. Ma l’unità da sola non basta: ancorché valore positivo, esso è tuttavia di sua natura statico, contemplativo. L’unità di partenza deve essere al servizio di una Comunità dinamica. E il dinamismo spesso si raggiunge solo attraverso lievi rotture di quell’unita di fondo: per carità, nulla di sistematico, ma semmai di metodico e di transeunte. Senza persone che all’interno del gruppo prendano l’iniziativa di muoversi, di creare qualcosa di nuovo, di rompere con la routine, anche a costo di sacrificare per qualche tempo persino il proprio rapporto con il resto della Comunità, ben difficilmente questa potrà progredire. A questo stadio corrisponde il suono centrale dello Shofar, la Teru’ah, suono rotto per definizione. Simboleggia la “crisi di crescenza” della Comunità. L’obbiettivo da raggiungere dev’essere nuovamente l’unità. Non il ritrovamento dell’unita passata, naturalmente, ma il raggiungimento di una nuova unità, fondata sulla sintesi fra la tesi, costituita dalla vecchia compagine (la prima Teki’ah) e l’antitesi, rappresentata dalla crescita nel frattempo intervenuta (la Teru’ah): cosi nasce l’ultima Teki’ah che conclude felicemente ciascun gruppo di suoni, in tempo perché se ne ricominci un altro. Ma non è ancora tutto qui. Perché la crescita è problematica: il suono che ha fatto maggiormente discutere i Chakhamim è proprio la Teru’ah. L’emissione rotta da essa rappresentata corrisponde al lamento prima di affrontare l’incognita della novità (Shevarim, letteralmente “rottura”) o al singhiozzo strepitante di chi piange la routine perduta, la Teru’ah propriamente detta? I Maestri su questo punto non prendono una decisione: le “proteste” devono rimanere entrambe, e cosi noi manteniamo, variamente alternati, tanto il suono di Shevarim che la Teru’ah. Ma la crescita è necessaria. “Il S. sale nella Teru’ah”, afferma l’autore dei Salmi (47,6). Solo attraverso la Teru’ah, sia pure con le piccole lacerazioni che può comportare, si compie la salita. Ma perché questa possa agevolmente avvenire, è giocoforza distinguere fra la Teki’ah che la precede e quella che la segue, giacché vi è una fondamentale differenza fra le due. La seconda Teki’ah, leggi “unita della Comunità”, è compito del suo leader: sta a lui ricrearla dopo aver innovato. Ma la prima Teki’ah, a mio avviso, è responsabilità della Comunità stessa. E’ l’unità che il gruppo deve mettere a disposizione del leader perché questi possa svolgere al meglio il suo lavoro. Il leader non ha alcun obbligo di crearsi da solo tale presupposto, mentre ha il diritto, comune a chiunque lavori, di vedere un prodotto della sua attività: è perciò compito della Comunità far trovare alle sue guide l’unità di fondo necessaria, in ultima analisi, al progresso della Comunità stessa. Chi suona lo Shofar sa bene quanto la prima Teki’ah sia la più difficile da imboccare, ancor più della successiva Teru’ah! “Quando radunerete la Comunità, suonerete la Teki’ah e non la Teru’ah”: se saprete davvero essere uniti, piantati nel suolo come pioli di una tenda (teku’im), osserva R. Moshe Eliakim di Koznitz, nessun ostacolo e nessuna difficoltà avrà più alcun potere su di voi e avrete soltanto occasioni di festa e di letizia: “e nei vostri giorni di gioia e di festa e nei capi-mese suonerete la teki’ah con le vostre trombe…”. Le-shanah Tovah Tikkatevu ve-techatemu. (Alberto Moshe Somekh, rabbino, Pagine Ebraiche, settembre 2012)

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UN MATRIMONIO NON E' UNA CRASI 

CONTRAPPASSO DELLA STORIA: NON SARA' IL PROGRESSO DEL NUOVO ORDINE MONDIALE A SALVARE L'UOMO. CE LO DICONO BRAD E ANGELINA, NELLA LORO NORMALISSIMA E DEBOLE UMANITA' CON LE SUE DIFFERENZE INCONCILIABILI.

New York. Il contesto è importante. La notizia delle “differenze inconciliabili” fra Angelina Jolie e Brad Pitt è arrivata non in un momento qualsiasi ma proprio mentre nella caverna di marmo verde dell’Onu Barack Obama stava intonando il più appassionato degli inni al Progresso, all’Ordine Democratico e Liberale, perfezionare l’Umanità e redimere la Storia, e molte altre cose con la lettera maiuscola. Ha tratteggiato un’escatologia umanista, un orizzonte salvifico che si scontra quotidianamente con paturnie nazionaliste, ossessioni per i muri, istinti anti globalizzazione, logiche tribali e faide fra clan. La certezza di Obama, però, è che il Progresso democratico prevarrà infine su questi residuali accidenti della Storia. La Democrazia contiene l’antidoto alle sue stesse patologie: “Questo non significa che le democrazie sono senza difetti. Significa che la cura per ciò che mette in pericolo le nostre democrazie è un maggiore, non minore, coinvolgimento da parte dei nostri cittadini”. A dispetto di tutte le crisi globali, le divisioni e le difficoltà percepite, Obama è certo che la parte più nobile dell’umanità stia prevalendo, e per dimostrarlo illumina un contesto fatto di dati e indicazioni con il segno positivo. “I fatti e la storia sono dalla nostra parte”, ha proclamato. E ancora: “I princìpi dei mercati aperti e della governance responsabile, della democrazia, dei diritti umani e del diritto internazionale che abbiamo forgiato rimangono il più solido fondamento del progresso umano in questo secolo”. Nel consesso onusiano ha superato, spostandosi nella corsia del liberalismo più puro e astratto, anche l’idea dell’eccezionalismo americano: il Progresso non è ancorato a un luogo e a un assetto di governo, ma riguarda l’idea stessa di Umanità, tutti sono coinvolti in questa corsa verso il Mondo Migliore. Dovendo scegliere un testimonial per far risuonare questo messaggio in modo accattivante, a chi pensereste? A una crasi: Brangelina. Non c’è coppia nell’universo occidentale che meglio incarna tutto ciò di cui Obama ha parlato con urgenza e visione ideale. Le campagne umanitarie, i figli adottati, la vita glamour ma responsabile, le campagne a fin di bene, la leggerezza senza frivolezza, la sensualità senza la volgarità, una coppia cosmopolita e plurilingue che si muove fra l’Unesco e gli Oscar, fra i campi profughi e il Gay pride, spaziando da Tomb Raider a Terrence Malick senza sentirsi in difetto o in contraddizione. La chirurgia preventiva di Angelina, che si è sottoposta a una doppia mastectomia per ingannare le cellule che avrebbero potuto modificarsi nel modo sbagliato, è una delle vette di modernità di una coppia che è diventata un archetipo. E mentre Obama celebrava davanti ai potenti della terra l’archè che Brangelina interpreta, la coppia si disfaceva, quel grande progetto che era molto più di un matrimonio o di una macchina da soldi, mostrava la sua profonda fragilità, smentendo con un fatto da copertina più potente di qualunque discorso da Palazzo di vetro quello che il presidente andava dicendo con la sua fredda passione. Mentre lui spingeva avanti la Storia, la loro storia era finita.(Mattia Ferraresi, Il Foglio 22 settembre 2016)

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IL DOLORE DI ORIANA FALLACI E LA VOCAZIONE INSOPPRIMIBILE DI OGNI DONNA

Una lettera inedita (ma è davvero una lettera? Sembra un Intervento scritto per un’inchiesta) illumina un momento importante della vita di Oriana Fallaci e le origini del suo libro più famoso, Lettera a un bambino mai nato (1975). Il documento fa parte del Fondo Fallaci, l’archivio donato da Edoardo Perazzi, nipote e unico erede della scrittrice, al Consiglio regionale della Toscana. Ne dà notizia, con un servizio di Cristina Manetti, il numero di Panorama oggi in edicola. La «lettera» affronta il tema della pillola anticoncezionale ma racconta anche la storia di un aborto spontaneo. Difficile stabilire quando sia stata scritta ma alcuni indizi lasciano pensare che risalga al 1971-1972. Perazzi Ttestimonia l’esistenza di una redazione precedente, molto simile, appuntata in un quaderno del 1967. Sarebbe quindi escluso che il padre del bambino perduto da Oriana fosse Alekos Panagulis: il loro amore sboccia nel 1973. C’è un dettaglio che però sembra rimandare a Panagulis: la Fallaci dice infatti che il suo compagno «è morto». Comunque sia, la questione riguarda i biografi. Quello che importa sono le parole della Fallaci. Scrive la giornalista: «Non ho mai usato anticoncezionali perché, con la stessa intensità con cui ho sempre detestato e rifiutato il contratto matrimoniale, ho sempre desiderato avere un figlio». Ecco la parte autobiografica: «Uno dei più grandi dolori della mia vita è stato perdere il bambino che io e il mio compagno aspettavamo con orgoglio e allegria. Ed oggi il dilemma di usare o non gli anticoncezionali si pone ancora meno per me in quanto il mio compagno è morto e non considero nemmeno l’eventualità di avere rapporti sessuali con qualcuno che lo sostituisca».  Eutanasia: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze.La Morte è morte e basta». Testamento biologico: «È una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte (…) Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri (SchindlerSchiavo, nda) vorrai-staccare-la-spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L’istinto di sopravvivenzaè incontenibile, incontrollabile". Diritti umani legati alle questioni di bioetica: «Nella nostrasocietà parlare di Diritti-Umaniè davvero un’impostura, una farisaicacommedia (…) Ne deduco che, per non esser gettati dallarupe, nella nostra società bisogna essere sani e belli e in grado di partecipare alle Olimpiadi o almeno giocare la fottuta partita di calcio». Inequivocabili dichiarazioni pro-life che hanno però generato un mezzo equivoco... l’anticlericale Fallaci aveva trovato come compagna di stradala Chiesa dell’ammiratissimo Ratzinger. Per questo si definiva «atea cristiana». Ne La Forza della Ragione, dopo aver citato Benedetto Croce, la Fallaci spiega cosa intenda: «E lo sono perché il discorso che sta alla base del cristianesimo mi piace. Mi convince. Mi seduce a tal punto che non vi trovo alcun contrasto col mio ateismo e il mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di Nazareth, ovvio, non di quello elaborato o distorto o tradito dalla Chiesa cattolica ed anche dalle Chiese protestanti. Il discorso, voglio dire, che scavalcando la metafisica si concentra sull’Uomo. Che riconoscendo il libero arbitrio, cioè rivendicando la coscienza dell’Uomo ci rende responsabili delle nostre azioni, padroni del nostro destino. Ci vedo un inno alla Ragione, al raziocinio, in quel discorso. E poiché ove c’è raziocinio c’è scelta, ove c’è scelta c’è libertà, ci vedo un inno alla Libertà». (IL GIORNALE, 22 SETTEMBRE 2016)

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LA DENATALITA' CANCELLERA' UN TERZO DELLA GERMANIA

Con un rapporto a firma di Philip Booth, economista inglese presente a Milano alla convention di Stefano Parisi, il pensatoio londinese Institute of Economic Affaire getta luce sulla “bomba demografica a orologeria dell’Europa”. Il grande collasso. “Mai prima d’ora un paese sviluppato con un alto livello di spesa pubblica e un enorme sistema di sicurezza sociale ha affrontato il tipo di calo demografico che vedremo nelle prossime generazioni”, scrive Booth. Una contrazione senza precedenti. Se gli attuali tassi di fertilità persistono (oggi siamo all’1,3), la Germania perderà 24 milioni di abitanti entro il 2080. Il 31 per cento degli attuali 80 milioni. Questo nelcaso in cui i flussi migratori si interrompano. Se dovessero proseguire, la Germania perderà il venti per cento della sua attuale popolazione. La Grecia, con una perdita del 29 per cento della popolazione, passerà dagli attuali undici a meno di sette milioni di abitanti. La Polonia, con un calo del 25 per cento, passerà dagli attuali 38 a 29 milioni. La Slovenia, con una perdita del 17 per cento, scenderà a un milione e seicentomila abitanti. La parte più grande della popolazione europea si concentrerà in Francia e Gran Bretagna, con il numero di cittadini che raggiungeranno i 78 e gli 85 milioni di abitanti rispettivamente. Le proiezioni indicano che Grecia, Portogallo, Bulgaria, Slovacchia e Lettonia vedranno un terzo delle loro popolazioni scomparire entro il 2080, mentre la Lituania vedrà la più grande caduta proporzionale della popolazione (37,4 per cento) tra gli stati membri della Ue. Ma è il dato tedesco a essere il più sorprendente. Le proiezioni indicano che la Germania sperimenterà più di 64 milioni di morti nel corso del prossimo mezzo secolo e meno di 40 milioni di nascite. La denatalità farà scomparire un pezzo più grande della ex Germania comunista. I dati dell’Institute of Economic Affairs confermano quelli dell’Istituto tedesco di studi demografici, secondo cui la popolazione della Germania diminuirà del venti per cento entro il 2050 e di un altro dieci entro il 2080, per una perdita demografica che è l’equivalente delle popolazioni di Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera, Colonia e Francoforte messe assieme. Per dirla con Peter Hahne, “La festa è finita”.I tedeschi opulenti e soddisfatti non sono più interessati al sesso. Lo dice una ricerca dello Stiftung für Zukunftsfragen, pensatoio di Amburgo, che rivela che il sesso arriva ultimo come attività post lavoro fra i tedeschi, dopo tv, internet e fitness. Un quarto degli uomini tedeschi ha detto “no” ai figli. In Italia sono chiamati “bamboccioni”; in Giappone sono noti come “parasaito shinguru-o”, i single parassiti; in Germania, sono i “nesthocker” e non hanno intenzione di lasciare l’“Hotel Mama”. Tutto iniziò nella ricca Germania dell’ovest La demografia resta tabù nella società tedesca e ogni volta che se ne parla torna lo spettro del “numero fa la forza”, l’obolo di Hitler, il “babygeld”, soldo per il bambino. Che ironia! Nella Seconda guerra mondiale, la Germania ha perso milioni di suoi abitanti, uccidendone altrettanti, in una lotta per il “Lebensraum”, lo spazio vitale, mentre oggi perde territorio e pezzi di società a causa della bomba che non fa rumore: l’insipienza demografica. Dal 1972, la Germania non ha visto un solo anno in cui il numero dei neonati ha superato il numero dei morti. Le famiglie hanno cominciato a essere fuori moda in quella che allora era la Germania ovest, quando il paese prosperò e il tasso di fertilità ha cominciato a scendere a circa 1,4 figli per donna e poi praticamente è rimasto lì, ben al di sotto del tasso di 2,1 figli che mantiene stabile una popolazione. Adesso si parla di tante piccole città in Sassonia e Brandeburgo che potrebbero chiudere bottega e diventare città- fantasma, tale e profonda è la contrazione della popolazione tedesca. L’alternativa all’irrilevanza demografica, economica e politica è l’immigrazione, ma non basta che i migranti entrino alla spicciolata. Servono tante ondate come il 2015. L’esperto di demografia Herwig Birg sostiene che la Germania ha bisogno di due milioni di immigrati all’anno per evitare il collasso. Porte aperte per sopperire alle culle vuote. Ma che importa, saranno comunque tutti bravi cittadini tedeschi. (G. Meotti, Il Foglio 22 settembre 2016)

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DISPERSIONE, OVVERO CIO' CHE CONNOTERA' LE CITTA' NEL FUTURO

SECCHI: Avremo probabilmente grandi poli metropolitani (megacities), collegati da veloci reti di comunicazione, all’interno di vaste aree «connotate dalla dispersione». Perché ciò che si definisce città diffusa o sprawl, perdurerà anche se le politiche urbane, da noi come in Europa, non hanno considerato questo fenomeno come merita. La città contemporanea oggi è inefficiente ed è «arretrata tecnologicamente». In futuro è certo che subirà trasformazioni così come accadrà allo spazio pubblico che aumenterà per estensione, anche se a gestirlo saranno chiamati soggetti privati. Tuttavia Secchi esclude che a causa della bassa crescita demografica si giunga a densificare la città fino a renderla compatta. Al suo interno si conserveranno «differenti ecologie», tutto vi conviverà tra disuguaglianze e originali forme di socialità, in un processo di continue e inarrestabili modificazioni, di distruzione di valori e comparsa di nuovi. (Il Fatto, 22 settembre 2016)

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OBO-SAN-BIN: IN GIAPPONE IL MONACO LO TROVI SU AMAZON

COME SEMPRE IL GIAPPONE E' PROFEZIA DEL FUTURO PROSSIMO OCCIDENTALE. COSI' IL RAPPORTO CON DIO TI ARRIVERA' A DOMICILIO DOPO AVER PAGATO CON CARTA DI CREDITO LA SALVEZZA...

In Giappone Amazon ha iniziato a “consegnare” monaci buddisti a domicilio per le commemorazioni religiose dei defunti grazie alla collaborazione, avviata da circa un anno, con una start-up locale, Minrevi. Il servizio si chiama “Obo-san bin” che significa “consegna del monaco” ed è stato molto criticato dai leader religiosi del paese. I monaci che si sono resi disponibili per questo servizio dicono invece che si tratta semplicemente di una soluzione veloce ed economica a un bisogno reale, e che “Obo-san bin” sta contribuendo a preservare le tradizioni buddiste rendendole accessibili a milioni di persone che, in Giappone, per vari motivi si sono allontanate dalla religione o dai suoi rituali. “Obo-san bin” è stato inventato nel 2013 da Minrevi, una start-up con sede a Tokyo che prima di essere ospitata su Amazon aveva costruito una rete di 400 monaci disponibili a offrire i loro servizi: si potevano prenotare tramite il sito oppure per telefono. Minrevi tratteneva circa il 30 per cento del prezzo pagato dai clienti, mentre il resto della tariffa andava direttamente al monaco. Dopo l’accordo con Amazon, Minrevi ha aggiunto altri 100 monaci per soddisfare l’aumento della domanda. La prenotazione del servizio su Amazon funziona come quella di un qualsiasi altro prodotto. Si sceglie una delle quattro opzioni a disposizione e la si aggiunge al carrello. Si specifica che il servizio è disponibile per le commemorazioni (non per i funerali veri e propri) e che la “consegna” ha tempi che vanno dalle tre alle cinque settimane. Ordinare una cerimonia commemorativa di base presso la casa di una persona morta ha un costo fisso che è di 35 mila yen (circa 260 euro). La tariffa più alta è 65 mila yen e prevede anche che al defunto venga assegnato un nome postumo buddista, diverso da quello anagrafico usato in vita. Un rito funebre tradizionale in un tempio, compresa la cremazione del corpo, è invece estremamente costoso e può arrivare anche a superare un milione di yen. Il prezzo medio di una commemorazione è, in media, di 100 mila yen. Akisato Saito, direttore dell’Associazione giapponese buddista, ha criticato l’iniziativa dicendo: «una cosa del genere non succede da nessun’altra parte del mondo. Dobbiamo dire di essere scontenti del modo in cui Amazon tratta la religione». Per i sostenitori del servizio fornito da Amazon, però, il prezzo richiesto dai templi è eccessivo. Dicono infatti che i templi tradizionali hanno in un certo senso trasformato la religione in un business, perché di fatto funzionano come delle imprese pur ricevendo molte agevolazioni fiscali dal governo: per esempio vendono le candele a prezzi altissimi e ricevono donazioni spesso superiori al reale prezzo dovuto dai fedeli. C’è poi il fatto che moltissimi templi buddisti (sono circa 75 mila in tutto il paese) sono in declino e non hanno più contatti con le comunità locali. Jumpei Masano, un portavoce di Minrevi, ha spiegato che molte persone non hanno più alcun legame con il tempio della loro zona e che non sanno a chi rivolgersi o cosa fare quando devono organizzare un funerale: «Allo stesso tempo, sono numerosissimi i monaci che non riescono più a sopravvivere legati ai luoghi di culto, sempre meno frequentati. Abbiamo messo insieme le due necessità e creato un buon servizio». Molti templi stanno infatti scomparendo a causa di un calo delle donazioni e del fatto che la popolazione si sta trasferendo dalle campagne alle città: i templi si trovano soprattutto nelle zone rurali. Il 70 per cento dei giapponesi dice di non essere religioso o di essere ateo, anche se in molti hanno detto di seguire ancora le abitudini religiose soprattutto in occasione di alcune ricorrenze tradizionali o quando muore qualcuno. Amazon non ha voluto fare commenti su questo suo servizio o intervenire nella discussione, scrive il New York Times. Ma lo scorso aprile, rispondendo alle critiche dell’Associazione giapponese buddista, aveva fatto sapere che il suo obiettivo era «fornire quante più informazioni possibili» ai propri utenti in modo che «potessero prendere le loro decisioni». Aveva poi precisato di aver soltanto ospitato i servizi di Minrevi, la quale ha detto di essere «molto soddisfatta» dell’aumento delle richieste ottenuto grazie alla nuova collaborazione.

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L’equinozio d’autunno sarà oggi pomeriggio

L'estate finisce alle 14.21, e inizierà l'autunno: il momento preciso si deve al movimento della Terra intorno al Sole.
L’inizio delle stagioni è scandito da eventi astronomici precisi: l’estate e l’inverno cominciano il giorno con i solstizi – in cui le ore di luce al dì sono al loro massimo (estate) o al loro minimo (inverno) – mentre la primavera e l’autunno cominciano il giorno degli equinozi – i momenti in cui la lunghezza del giorno è uguale a quella della notte. Tuttavia, a causa di un fenomeno che si chiama “rifrazione atmosferica”, la luce del Sole è curvata dall’atmosfera: è quella cosa per cui vediamo il Sole qualche minuto prima che sorga effettivamente. Questo vuol dire che in realtà oggi in Italia il dì sarà ancora un po’ più lungo della notte per qualche minuto. Per la vera uguaglianza tra dì e notte sarà tra qualche giorno. Gli equinozi e i solstizi (e le durate del dì e della notte) sono determinati dalla posizione della Terra nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole, cioè il movimento che il nostro pianeta compie girando intorno alla sua stella di riferimento. L’equinozio è il momento in cui il Sole si trova all’intersezione del piano dell’equatore celeste (la proiezione dell’equatore sulla sfera celeste) e quello dell’eclittica (il percorso apparente del Sole nel cielo). Al solstizio invece il Sole a mezzogiorno è alla massima o minima altezza rispetto all’orizzonte. Le variazioni del momento in cui avvengono equinozi e solstizi sono causate dalla diversa durata dell’anno solare e di quello del calendario (è il motivo per cui esistono gli anni bisestili, che permettono di rimettere “in pari” i conti). In Italia, la primavera cade tra il 20 e il 21 marzo, l’estate tra il 20 e il 21 giugno, l’autunno tra il 22 e il 23 settembre l’autunno, l’inverno tra il 21 e il 22 dicembre: per capirci, quest’anno l’inverno inizierà il 21 dicembre alle 10.44 del mattino. Oltre alle stagioni astronomiche, poi, ci sono anche quelle meteorologiche: iniziano in anticipo di una ventina di giorni rispetto a solstizi ed equinozi, e durano sempre tre mesi. Indicano, con maggiore precisione, i periodi in cui si verificano le variazioni climatiche annuali, specialmente alle medie latitudini con climi temperati. (IL POST, 22 SETTEMBRE 2016)


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