Marina Corradi
Nel freddo di un obitorio a Trieste ci sono due giovani morti. Uno, l’agente scelto Pierluigi Rotta, era di Pozzuoli, poliziotto figlio di un poliziotto. L’altro, l’agente semplice Matteo De Menego, veniva da Velletri. Entrambi innamorati del loro lavoro, entrambi fidanzati. Sono stati uccisi in un’assurda sciagura, per mano di un malato di mente, in Questura. Avevano poco più di trent’anni, la vita davanti. Pensando ai loro corpi ora esanimi verrebbe da fare silenzio. Silenzio per dolore, e per rispetto. Invece parole tumultuose si abbattono su social e mass media a pochissime ore dall’omicidio. «Che i due bastardi assassini dei poliziotti di Trieste marciscano in galera per il resto dei loro giorni: sia fatta giustizia, senza attenuanti e senza sconti»: Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Poco dopo, Matteo Salvini: «L’infame assassino dei due poliziotti della Questura di Trieste (anche se molti giornali e telegiornali non lo dicono) è uno "straniero con disagio psichico". Che a nessuno venga in mente che questa sia un’attenuante! Per gli assassini, nessuna pietà».
Parole che rotolano nelle case degli italiani, sulle tavole a cui si cena, parole che soffiano su una rabbia percepibile che si va allargando. "Bastardi", "Marciscano in galera", e: "È uno straniero". Un folle, emerge dopo poco da Trieste. Un incapace di intendere e di volere. Ma "Per gli assassini, nessuna pietà", gridano, per contentare e aizzare un po’ o un tanto di elettorato. Poi c’è uno chef – gli chef sono oggi considerati maestri di pensiero – che si leva a dire sui social che i nostri poliziotti «sono impreparati». Il fratello di un agente morto replica: stai in guardia, o fai una brutta fine. Il fratello, almeno, può essere sconvolto, e infatti poche ore dopo si scusa. Ma il torrente di parole incanaglite intanto si ingrossa, riempie di chiasso il sabato, seppellisce quel po’ di silenzio, di pietà che ci vorrebbe, davanti a quei due morti. Il fragore degli spari nella Questura triestina ha però un antefatto. La notte innanzi qualcuno non dormiva, in una casa di immigrati dominicani.
Augusto Meran, 29 anni, malato psichico in cura presso la Asl, si agitava nel letto, strepitava. La madre cercava di calmarlo. Augusto sentiva le voci. «Ma non vedi, mamma, che sono venuti a prendermi, che vogliono uccidermi?». La madre, impotente, si assopisce. Alle 7 Augusto è scomparso. Lei corre in ospedale, chiede aiuto. Suona il cellulare, è l’altro figlio: «Mamma, Augusto ha combinato un guaio». Ha rapinato un motorino per strada. L’arresto, poi repentino quello scatto: un’arma, vera, in mano, il dito che preme sul grilletto, ciecamente, senza una ragione. La morte assurda di due ragazzi che sognavano di sposarsi. I loro genitori a casa, che ancora non sanno.
La
madre reprime le lacrime, lacrime vere sulla faccia esausta. Una
pausa: «Noi siamo cristiani, noi abbiamo paura di Dio. Io non so come
chiedere perdono a quei genitori». E tu che ascolti hai un sussulto:
(«Che posso dire, non ci sono parole, non so come chiedere perdono»).
Lo straniero 'bastardo' è un folle lasciato a se stesso, e sua madre è
una donna che piange, e comprende il dolore di quei padri, di quelle
madri sconosciute. 'Che marcisca in galera!' 'Nessuna pietà!', gridano
fuori, per conquistare il favore del popolo italiano. Ma a parlare
cristiano è un’immigrata dominicana venuta qui con i figli per lavorare e
sopravvivere. Uno, molto malato, sciaguratamente ha ucciso. Eppure le
parole di una madre disgraziata risuonano, nel fragore delle
maledizioni, quelle più pietose, e vere.
Nel freddo di un obitorio a Trieste ci sono due giovani morti. Uno, l’agente scelto Pierluigi Rotta, era di Pozzuoli, poliziotto figlio di un poliziotto. L’altro, l’agente semplice Matteo De Menego, veniva da Velletri. Entrambi innamorati del loro lavoro, entrambi fidanzati. Sono stati uccisi in un’assurda sciagura, per mano di un malato di mente, in Questura. Avevano poco più di trent’anni, la vita davanti. Pensando ai loro corpi ora esanimi verrebbe da fare silenzio. Silenzio per dolore, e per rispetto. Invece parole tumultuose si abbattono su social e mass media a pochissime ore dall’omicidio. «Che i due bastardi assassini dei poliziotti di Trieste marciscano in galera per il resto dei loro giorni: sia fatta giustizia, senza attenuanti e senza sconti»: Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Poco dopo, Matteo Salvini: «L’infame assassino dei due poliziotti della Questura di Trieste (anche se molti giornali e telegiornali non lo dicono) è uno "straniero con disagio psichico". Che a nessuno venga in mente che questa sia un’attenuante! Per gli assassini, nessuna pietà».
Parole che rotolano nelle case degli italiani, sulle tavole a cui si cena, parole che soffiano su una rabbia percepibile che si va allargando. "Bastardi", "Marciscano in galera", e: "È uno straniero". Un folle, emerge dopo poco da Trieste. Un incapace di intendere e di volere. Ma "Per gli assassini, nessuna pietà", gridano, per contentare e aizzare un po’ o un tanto di elettorato. Poi c’è uno chef – gli chef sono oggi considerati maestri di pensiero – che si leva a dire sui social che i nostri poliziotti «sono impreparati». Il fratello di un agente morto replica: stai in guardia, o fai una brutta fine. Il fratello, almeno, può essere sconvolto, e infatti poche ore dopo si scusa. Ma il torrente di parole incanaglite intanto si ingrossa, riempie di chiasso il sabato, seppellisce quel po’ di silenzio, di pietà che ci vorrebbe, davanti a quei due morti. Il fragore degli spari nella Questura triestina ha però un antefatto. La notte innanzi qualcuno non dormiva, in una casa di immigrati dominicani.
Augusto Meran, 29 anni, malato psichico in cura presso la Asl, si agitava nel letto, strepitava. La madre cercava di calmarlo. Augusto sentiva le voci. «Ma non vedi, mamma, che sono venuti a prendermi, che vogliono uccidermi?». La madre, impotente, si assopisce. Alle 7 Augusto è scomparso. Lei corre in ospedale, chiede aiuto. Suona il cellulare, è l’altro figlio: «Mamma, Augusto ha combinato un guaio». Ha rapinato un motorino per strada. L’arresto, poi repentino quello scatto: un’arma, vera, in mano, il dito che preme sul grilletto, ciecamente, senza una ragione. La morte assurda di due ragazzi che sognavano di sposarsi. I loro genitori a casa, che ancora non sanno.
Sarebbe
solo il luogo di un attonito silenzio, quel pavimento macchiato di
sangue. Ma già comincia la raffica dei 'bastardi', 'stranieri'.
(D’altronde, così si fa per invadere Facebook, perché le agenzie ti
riprendano. Più sbraiti e più moltiplicano la tua voce). In questo
valzer di maledizioni, tuttavia, meraviglia grandemente una breve
intervista della mamma dell’assassino a un tg. Una donna provata dalla
fatica, arrivata in Italia dalla Germania, la faccia precocemente
invecchiata simile a quella di tante colf che lavorano nelle nostre
case. In più, il tormento di quel figlio. Cosa direbbe ai genitori
delle vittime, domanda la giornalista. La donna, smarrita: «Che posso
dire? Che può dire una persona a un padre che perde un figlio? Non c’è
parola, non c’è nulla che possa confortare di un dolore così. Mi
dispiace per quello che mio figlio ha fatto, è un malato mentale».