Innanzitutto di fronte a questo fatto gravissimo ci  viene doveroso precisare che a 22 settimane il bambino può sopravvivere  autonomamente, come mostra questo caso; in secondo luogo che di  terapeutico non c'è proprio nulla, visto che lo scopo è sopprimere una  vita e non curarla. Che dire poi di fronte a un personale medico che non  interviene per rianimare, e fa finta di nulla attendendo la morte?  Purtroppo è la triste realtà, che solo a volte emerge nella cronaca. Ci  resta la forza della preghiera per questa piccola vita persa, per la sua  mamma e perché fatti come questi non si ripetano. E' proprio vero che  la pratica dell'aborto ha reso moralmente accettabile ciò che prima  sarebbe stato deprecabile. Ringraziamo il cappellano e quanti si sono  prodigati per salvare il piccolo. Il cappellano dell’ospedale, si era  recato a pregare sul feto, si è accorto che questi aveva ancora il cuore  che batteva. Chiediamo che in tutto il territorio nazionale venga  esteso quanto decretato dalla Regione Lombardia, nel gennaio 2008, n.  327, con l’“Atto di indirizzo per la attuazione della legge 194”.Il  Decreto afferma che "a 23 settimane di età gestazionale è possibile la  vita autonoma del neonato" e stabilisce che "il termine per  l’interruzione di gravidanza di cui all’articolo 6b non debba essere  effettuata oltre la 22ª settimana +3 giorni, ad eccezione dei casi in  cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto". Ricordiamo  che l'art. 6 della legge 194 consente l’interruzione volontaria della  gravidanza, anche dopo i primi novanta giorni, purché ricorra una delle  seguenti condizioni: a) quando la gravidanza o il parto comportino un  grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati  processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o  malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la  salute fisica o psichica della donna. I casi come quello che riportiamo  evidenziano sempre più dubbi sul secondo comma. Ci piacerebbe poi che  venissero effettuate le autopsie dopo il decesso dei piccoli e raccolti i  dati che certificano se la diagnosi di malformazione sia stata  confermata oppure no, in modo da fare una statistica che possa servire  per stabilire quanto le diagnosi siano precise, e il margine reale di  errore delle stesse. Ricordiamo poi che l'art.7 della legge 194, comma  terzo, afferma: "Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del  feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso  di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue  l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita  del feto”. Ricordiamo che i più recenti dati scientifici indicano che la  possibilità di vita autonoma del neonato migliora, tra la 22ª e la 24ª  settimana, per ogni giorno di gravidanza.
Da LA REPUBBLICA
COSENZA - E' rimasto in vita per molte ore il feto di ventidue settimane sopravvissuto ad un interruzione di gravidanza praticata per una malformazione nell'ospedale di Rossano, in provincia di Cosenza. E la curia attacca: "Appare sconcertante l'arbitraria superficialità dei sanitari".
Erano trascorse circa una ventina di ore dall'intervento praticato sabato mattina all'una circa sulla madre, una donna alla prima gravidanza, nel reparto di ostetricia, quando intorno alle 11.15 di ieri mattina, il cappellano dell'ospedale don Antonio Martello, si è accorto che il feto mostrava chiari segni di vita. Da qui l'allarme e la corsa per la vita in ambulanza, con un pediatra e un rianimatore, verso il reparto di neonatologia dell'ospedale di Cosenza dove il cuoricino del piccolo, dopo circa due giorni, ha cessato di battere.
A Rossano, cittadina di circa 35 mila abitanti affacciata sullo Ionio, all'indomani della vicenda che ha scosso l'ambiente sanitario non si parla d'altro. E su tutta la vicenda grava un interrogativo: come è possibile che sia accaduto tutto questo? Se lo chiedono anche gli agenti del commissariato di polizia che, su disposizione della Procura, hanno già acquisito la cartella clinica e sentito il cappellano dell'ospedale e i medici che hanno effettuato l'intervento. In particolare si sta cercando di accertare se ci sono state negligenze, da parte del personale medico, che avrebbe dovuto accertarsi del decesso subito dopo l'interruzione di gravidanza. Sconcerto e incredulità anche tra i dottori. "La legge prevede l'aborto terapeutico - si lascia sfuggire uno dei sanitari che intende mantenere l'anonimato - ma nei casi in cui il feto dovesse rimanere in vita va almeno tenuto in una termoculla".
Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, annuncia l'invio di ispettori nell'ospedale di Rossano "per accertare che cosa sia effettivamente accaduto, e verificare se sia stata rispettata la legge 194 che vieta l'aborto quando ci sia possibilità di vita autonoma del feto e lo consente solo se la prosecuzione della gravidanza comporti un pericolo di vita per la donna. Un bambino, una volta nato, è un cittadino italiano come tutti gli altri, che gode dei diritti fondamentali, tra cui quello alla salute e quindi ad essere pienamente assistito".
Don Martello, il sacerdote che ha lanciato l'allarme sul feto ancora in vita ha la bocca cucita. "Parla la Curia" dice. E dalla sede arcivescovile i toni sono molto duri: "Appare sconcertante - è scritto in un comunicato - l'arbitraria superficialità dei sanitari nell'omettere qualsiasi tipo di cura e rianimazione del bambino il quale, nonostante ciò, ha continuato a sopravvivere autonomamente". Per l'arcivescovo monsignor Santo Marcianò, inoltre, "il caso deve portare la comunità civile a riflettere sulla drammaticità rappresentata dall'aborto in quanto soppressione di un essere umano e, nello specifico, sulla illiceità del definirlo 'terapeutico'".
Da LA REPUBBLICA
COSENZA - E' rimasto in vita per molte ore il feto di ventidue settimane sopravvissuto ad un interruzione di gravidanza praticata per una malformazione nell'ospedale di Rossano, in provincia di Cosenza. E la curia attacca: "Appare sconcertante l'arbitraria superficialità dei sanitari".
Erano trascorse circa una ventina di ore dall'intervento praticato sabato mattina all'una circa sulla madre, una donna alla prima gravidanza, nel reparto di ostetricia, quando intorno alle 11.15 di ieri mattina, il cappellano dell'ospedale don Antonio Martello, si è accorto che il feto mostrava chiari segni di vita. Da qui l'allarme e la corsa per la vita in ambulanza, con un pediatra e un rianimatore, verso il reparto di neonatologia dell'ospedale di Cosenza dove il cuoricino del piccolo, dopo circa due giorni, ha cessato di battere.
A Rossano, cittadina di circa 35 mila abitanti affacciata sullo Ionio, all'indomani della vicenda che ha scosso l'ambiente sanitario non si parla d'altro. E su tutta la vicenda grava un interrogativo: come è possibile che sia accaduto tutto questo? Se lo chiedono anche gli agenti del commissariato di polizia che, su disposizione della Procura, hanno già acquisito la cartella clinica e sentito il cappellano dell'ospedale e i medici che hanno effettuato l'intervento. In particolare si sta cercando di accertare se ci sono state negligenze, da parte del personale medico, che avrebbe dovuto accertarsi del decesso subito dopo l'interruzione di gravidanza. Sconcerto e incredulità anche tra i dottori. "La legge prevede l'aborto terapeutico - si lascia sfuggire uno dei sanitari che intende mantenere l'anonimato - ma nei casi in cui il feto dovesse rimanere in vita va almeno tenuto in una termoculla".
Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, annuncia l'invio di ispettori nell'ospedale di Rossano "per accertare che cosa sia effettivamente accaduto, e verificare se sia stata rispettata la legge 194 che vieta l'aborto quando ci sia possibilità di vita autonoma del feto e lo consente solo se la prosecuzione della gravidanza comporti un pericolo di vita per la donna. Un bambino, una volta nato, è un cittadino italiano come tutti gli altri, che gode dei diritti fondamentali, tra cui quello alla salute e quindi ad essere pienamente assistito".
Don Martello, il sacerdote che ha lanciato l'allarme sul feto ancora in vita ha la bocca cucita. "Parla la Curia" dice. E dalla sede arcivescovile i toni sono molto duri: "Appare sconcertante - è scritto in un comunicato - l'arbitraria superficialità dei sanitari nell'omettere qualsiasi tipo di cura e rianimazione del bambino il quale, nonostante ciò, ha continuato a sopravvivere autonomamente". Per l'arcivescovo monsignor Santo Marcianò, inoltre, "il caso deve portare la comunità civile a riflettere sulla drammaticità rappresentata dall'aborto in quanto soppressione di un essere umano e, nello specifico, sulla illiceità del definirlo 'terapeutico'".