DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La privacy degli esibizionisti

Sulla Stampa Marco Belpoliti sottolinea una contraddizione piuttosto notevole tra due attitudini dilagate in questi anni tra noi umani occidentali: quella all’esibizione di sé e pubblicità a ogni proprio comportamento e pensiero, e quella al timore per la propria riservatezza e privacy violata.

La battaglia per la privacy presuppone l’esistenza di una società del segreto, società discreta, al riparo da sguardi eccessivi, società gerarchica e chiusa. La società di massa, della trasparenza, della visione continua e allargata, è invece per sua natura una società in cui si è visti e si vede continuamente, come dimostra l’uso della televisione commerciale. Anche il computer con cui scriviamo contiene una telecamera, mediante cui ci palesiamo, grazie a Skype, ad amici vicini e lontani, con cui dialoghiamo vedendo l’altro, e al tempo stesso vedendoci in una porzione più piccola dello schermo.

Una spiegazione della contraddizione probabilmente risiede nel fatto che la prima attitudine, quella all’esibizione di sé, pretende anche il controllo e l’affermazione di sé nella scelta di ciò che esibito e quando. Probabilmente siamo tutti contenti che le telecamere ci inquadrino e spiino: vogliamo solo poter dire che lo abbiamo deciso noi.

Dalla fotografia alla telecamera digitale, la tendenza è di registrare ogni momento della nostra vita così che, quando in banca o al supermercato, si passa davanti al video, che ingloba e archivia il nostro ritratto, il primo impulso è di guardarci nello schermo, per verificare la bontà o meno della nostra immagine. Un effetto di derealizzazione ci attraversa di colpo mentre ci contempliamo. Ma è solo un attimo: io sono là, e non solo qui (per quanto del mio ritratto in forma digitale se ne potranno avvantaggiare ipoteticamente investigatori e spioni professionali). Cosa avrò mai da nascondere? Tutto è chiaro e saputo. Come ha scritto Georg Simmel, un segreto noto a più di una persona non è per nulla un segreto. Registratemi, registratemi, alla fine qualcosa di me resterà. O almeno così si spera.



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