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Uno sguardo profetico sugli eventi

Il sociologo Bovalino: “Il terrorismo dell’Isis? È come l’Isola dei famosi. Siamo all’imagocrazia”



“Il terrorismo dell’Isis? È come l’Isola dei famosi”. Il sociologoGuerino Nuccio Bovalino, ricercatore del Ceaq Sorbonne, studioso dei media e dell’immaginario, traccia un paragone che può sembrare spiazzante, ma che non intende confondere i piani o sminuire l’orrore del terrorismo. E spiega che lo Stato islamico ci impressiona come un pericolo realistico proprio perché concepisce le sue esecuzioni come un film.

Bovalino, come possiamo analizzare mediaticamente la strategia dell’Isis?

«Partendo dalle riflessioni di Baudrillard, mi è sembrato che ci sia stato un salto di qualità dagli attacchi dell’11 settembre».

In cosa consiste?

«La comunicazione dell’Isis si capovolge come retorica comunicativa: le Twin Towers erano il reale comunicato e rappresentato come un videogioco di guerra, le decapitazioni dell’Isis sono raccontate con strumenti sofisticati di trailer cinematografici e scenografie hollywoodiane per esaltarne il sangue reale che viene in superficie. Immagini che ci toccano realmente, sfuggendo alla nostra capacità consolatoria di sentire distanti quei corpi che cadono dalle torri gemelle. Qui pulsa il sangue e la lama pare sentirla strisciare sulle carni tremanti».

Insomma, al netto della tragicità e delle morti, che sono reali, dal punto di vista comunicativo la differenza è che l’11 settembre era realtà che sembrava un film, le esecuzioni dell’Isis sono film che proprio per questo ci sembrano più reali del reale. È così?

«Esatto. Quei morti che cadono dalle Torri Gemelle sembrano usciti da un film hollywoodiano del filone catastrofista. I video dell’Isis, che hanno una sceneggiatura, sono girati con lo slow-motion etc. ci sembrano invece più reali del reale perché adottano una strategia comunicativa adatta ai nostri tempi. Sono dei veri e propri trailer del terrore. L’11 settembre sembra un film perché è pensato come un fatto reale. Le esecuzioni dell’Isis sembrano vere perché sono pensate come un film».

In che senso?

«Io credo che dopo la crisi delle ideologie siamo passati attraverso tre fasi: videocrazia, comunicrazia e imagocrazia».

Può spiegarci in cosa consistono questi momenti?

«La videocrazia è la politica legata ai mass media in modo verticale e verticistico. Il suo massimo interprete è Berlusconi. La comunicrazia è legata ai personal media, alla rete, in cui ciascuno è consumatore e produttore del messaggio. Pensiamo ovviamente a Renzi o Grillo. L’imagocrazia deriva dalla constatazione di Michel Maffesoli per cui la superficie è la vera profondità delle cose. Non c’è attenzione al contenuto, tutto è questione di medium, di immaginario. E l’Isis è bravo a creare un immaginario. Non a caso ricorda un reality».

Dal Grande Fratello al terrorismo globale: non è un salto troppo impegnativo?

«Qualche sera fa vedevo all’Isola dei famosi una prova in cui c’erano due concorrenti in una gabbia, con delle fiamme che uscivano dal terreno. Il giorno dopo abbiamo visto la stessa cosa prodotta dall’Isis. Questa similitudine non deve sconvolgere: oggi noi siamo in grado di comunicare solo tramite un immaginario mediatico. I matrimoni non finiscono perché uno va in macchina a fare sesso con l’amante in campagna ma per i messaggi su Facebook o su WhatsApp. Oppure pensiamo a Charlie Hebdo».

Anche gli attacchi di Parigi rientrano in questa logica?

«Certo. La caratteristica dell’Occidente è la capacità di comunicare liberamente. Non dico che questo sia vero nella realtà, ma è essenziale nell’autorappresentazione dell’Occidente. Per poter penetrare nell’opinione pubblica, allora, i terroristi non devono uccidere 10 militari americani o francesi ma colpire la redazione di un giornale. È sempre un conflitto di immaginari, anche se fa vittime reali».


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