DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Nuove chiese e nazionale di calcio, così risorgono i cattolici d’Egitto



Roma. Tre nuove chiese sorgeranno presto
in Egitto. L’ha deciso il presidente Abdel
Fattah al Sisi, riprendendo in mano le
pratiche che Hosni Mubarak, il rais deposto
nell’inverno di quattro anni fa, aveva
accantonato. “Ora il governo ha deciso di
accelerare i permessi per queste vecchie
domande e ha già dato il via libera per costruire
una chiesa nella nuova Cairo e due
nell’Alto Egitto. Domande che erano già
state presentate otto o dieci anni fa”, spiega
al sito Asianews il portavoce della minuscola
chiesa cattolica egiziana, padre
Rafic Greiche. Quello che non era possibile
neppure immaginare prima, ora sta per
diventare realtà. E non si tratta solo di
mattoni per edificare chiese, osserva, ricordando
che presto potrebbe essere varata
anche la legge sulla famiglia non islamica:
“Fino a oggi anche per i cristiani valeva
la sharia musulmana. Ora invece si vuole
valorizzare il matrimonio cristiano e riconoscerlo
dal punto di vista civile”, aggiunge
padre Greiche. Segnali che vanno
nella direzione di quanto al Sisi aveva
chiesto nel suo discorso all’Università al
Azhar dello scorso 28 dicembre, quando
aveva invocato dinanzi ai dotti della umma
lì convenuti una rivoluzione religiosa finalizzata
a sradicare il fanatismo islamista.
Quello è stato un evento storico, “ma non
è stato l’unico”, dice al Foglio il professor
Wael Farouq. Egiziano, musulmano, docente
di Scienze linguistiche alla Cattolica
di Milano e docente presso l’Istituto di
lingua araba all’Università americana del
Cairo, Farouq ricorda che “anche la sua visita
alla cattedrale copta di San Marco, durante
la messa del Natale ortodosso, è storica.
E’ stato il primo capo di stato che, in
duemila anni, abbia mai compiuto una visita
del genere”. Certo, è comunque opportuno
usare prudenza: “Tutte queste azioni
non fanno di lui un pioniere del pensiero
illuminato, perché in realtà ha incarnato il
cambiamento popolare avvenuto in Egitto
dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011,
che fra le sue motivazioni dirette aveva anche
il coinvolgimento del ministro dell’Interno
di Mubarak nell’attentato alla chiesa
dei due Santi di Alessandria, il 1° gennaio
2011”. Il grande cambiamento, spiega Farouq,
è dato dal fatto che “ora i cristiani
non sono più le vittime sacrificali che il regime
porge su un piatto d’argento agli
estremisti islamici”. E’ stato decisivo, spiega
il nostro interlocutore, quanto avvenuto
il 30 giugno 2013: quella “è stata una rivoluzione
contro l’islam politico”, ai cui
gruppi di riferimento “Mubarak consentiva
di portare avanti il loro lavoro di propaganda
che contribuiva a diffondere l’odio
e l’incitamento contro i cristiani”.
Quel che poco si sottolinea in occidente
è che “il cambiamento nella prassi politica
è il risultato di un movimento popolare
e di un vero cambiamento di coscienza. E’
stato sorprendente sentire le campane delle
chiese annunciare l’ora della rottura del
digiuno all’unisono con il muezzin. Ho visto
con i miei occhi – ricorda Farouq – dei musulmani
creare una chiesa in piazza Tahrir
per permettere ai cristiani di celebrare la
messa della domenica. E la stessa cosa hanno
fatto i cristiani per i musulmani, durante
la preghiera del venerdì. La visita del
presidente Sisi, in occasione della messa di
Natale, è stata possibile perché, dopo la rivoluzione
del 25 gennaio, le chiese hanno
preso a riempirsi di musulmani che venivano
a fare gli auguri”. Naturalmente, molto
hanno fatto i cristiani: se oggi la loro situazione
è migliore, “ciò lo si deve principalmente
al fatto che loro hanno abbattuto le
barriere che li isolavano. Si pensi che nei
trent’anni di governo di Mubarak dieci milioni
di cristiani non hanno regalato al calcio
egiziano nient’altro che sette giocatori,
tant’è che molti pensavano che i cristiani
non giocassero a calcio. La chiesa, infatti,
organizzava un campionato di calcio interno,
al quale partecipavano decine di migliaia
di giocatori. Questo ben esprime il totale
ritiro dei cristiani dalla vita pubblica”.

Matteo Matzuzzi

Twitter @matteomatzuzzi

Il Foglio 4 febbraio 2015