Anche se “Silenzio” non racconta fedelmente
l’autentica storia della Chiesa in Giappone, imporporata dal sangue di
moltissimi martiri, paragonabili per numero solo al martirologio della
primitiva Chiesa di Roma, il film è un’occasione importante perché si conosca
nel mondo l’opera di Cristo in questa terra. E’ infatti una Parola di Dio per
tutti noi, e per questo, confidando che Dio può trarre il bene anche da opere
cinematografiche come questa, ho preparato questo breve saggio nel quale cerco
di fare giustizia al martirio di tanti fratelli e alla fede di tanti missionari
che mi hanno preceduto, e ai quali devo la mia presenza in Giappone. Il loro
sangue e il loro zelo hanno fecondato questo Paese, preparandolo
all’evangelizzazione che, dopo tanti secoli, sembra essere ancora agli inizi.
Ma proprio per questo, nonostante siano passati secoli, ci sentiamo
contemporanei di San Francesco Saverio, di San Paolo Miki e di tutti gli altri.
Perché in Giappone stiamo sperimentando quello che scriveva Peguy: “Tutto quello che c'è di piccolo è tutto quello che c'è
di più bello e di più grande. Tutto quello che c'è di nuovo è tutto quello che
c'è di più bello e di più grande. Tutto quello che comincia ha una virtù che
non si ritrova mai più. Una forza, una novità, una freschezza come l’alba. Una
giovinezza, un ardore. Uno slancio. Un’ingenuità. Una nascita che non si trova
mai più. C'è in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna. Una
partenza, un'infanzia che non si ritrova, che non si ritrova mai più. Ora la
piccola speranza è quella che sempre comincia. Quella nascita Perpetua.
Quell'infanzia Perpetua” (Il portico del mistero della seconda virtù). Nascita
e infanzia perpetue che ho contemplato in Maria, la nona figlia di Carlo e
Claudia Kumada, lui figlio di un regista giapponese ma romanissimo come la moglie,
una famiglia in missione a Yokohama da qualche anno. Maria è una piccola
martire che ha solo sfiorato questa terra, ma come una benedizione feconda nella
mia vita e in quella di moltissimi altri. Il parto è stato difficilissimo, la
placenta previa non ben diagnosticata ha fatto perdere ben quattro litri di
sangue a Claudia, mentre per lunghissimi momenti è rimasta in apnea la
piccola Maria. Mamma e figlia unite in un misterioso destino che ha fatto
nascere Maria gravemente menomata. Ma solo fisicamente, perché nell’anno e
mezzo in cui è stata tra noi, senza aprire gli occhi, nel totale silenzio, ci
ha fissato e parlato del suo Sposo più di mille sguardi e parole. Maria è
stata, ed è, la Parola di Dio fatta carne che risponde ad ogni nostro dubbio e silenzio, a
quelli più sinceramente angosciati come a quelli che, superbi, esigono risposte
umane ai misteri divini. Ho visto Maria un paio di giorni dopo la sua nascita,
bellissima che sembrava una sposa pronta per le nozze, così semplicemente e
umilmente sottomessa al suo Sposo. Prendetemi pure per pazzo, in fondo
“Silenzio” ci dice chiaramente che lo siamo tutti noi sedotti dal folle amore
di Cristo, ma io l’ho visto il suo Sposo
mentre abbracciava Maria nutrendola di vita attraverso le flebo; l’ho visto
baciarla dolcemente con il respiratore che le donava l’ossigeno per vivere.
L’ho vista come vorrei vedermi ogni giorno, come chiedo al Signore di rendere
il mio essere cristiano e prete, obbediente e sottomesso alla volontà di Dio “perind
ad cadavere”, allo stesso modo di un cadavere, come insegnava S. Ignazio di
Loyola ai missionari della Compagnia di Gesù. Perché un missionario o è puro riflesso di Cristo, o non serve. Niente di più assurdo, lo so;
addirittura illecito in quest’epoca di soli diritti e zero doveri. Eppure
Maria, salita al cielo alcuni giorni fa, è in me l’immagine indelebile di
quell’“infanzia perpetua” senza la quale è impossibile non solo la missione, ma
la vita, ogni vita, che chiama ogni giorno a conversione per ricominciare dalle
proprie debolezze bagnate dalla misericordia rigenerante del Padre. Maria è passata
sulla terra muta, come un agnellino condotto al sacrificio. Maria è vissuta
contemplando senza sosta lo Sposo nell’intimo della sua anima, laddove le
nostre tante buone intenzioni ci impediscono di scendere, e, umili,
inginocchiarci mendicando l’unica cosa buona e necessaria, l’amore di Cristo.
Così, come le migliaia di martiri che l’hanno preceduta, Maria ha evangelizzato
il Giappone stretta alla Croce del suo Sposo. Sul suo lettino era Lui che le
scaldava il corpo troppo freddo, era Lui che le faceva compagnia, istante dopo
istante, senza lasciarla un secondo. No, non era lei che viveva, ma era vivo in
lei Cristo, pienamente, perché totalmente debole e bisognosa. Non poteva
metterci di suo che quel corpo ferito, preparato da sempre per Cristo, sorella e
sposa di Lui che ha offerto se stesso per lei, completamente e senza altra
condizione che la gratuità. Il silenzio di Maria offriva a Cristo la voce per
parlare al nostro cuore; i suoi occhi chiusi sul mondo dischiudevano quelli
dello Sposo su ciascuno di noi che, spesso ciechi sul suo amore, ci avvicinavamo a
lei. Ecco, questo è un cristiano, prete o laico non importa, un altro Cristo
per il mondo. Crocifisso, perché è solo nella debolezza che tacciono le nostre
parole ipocrite e si chiudono i nostri occhi avidi per lasciar posto al potere
della Parola di Cristo e al suo sguardo di autentica compassione. Crocifisso
come i martiri che hanno portato in sé il morire di Gesù per gli aguzzini
perché tra i tormenti dell’ingiustizia risplendesse in loro la sua resurrezione.
Deboli e inermi perché la vita
soprannaturale ed eterna che permette di donare la propria, sia offerta ad ogni
uomo come l’unica testimonianza credibile che i peccati sono perdonati e che si
può vivere già qui un anticipo del paradiso per il quale tutti siamo creati. Per
questo Maria è una piccola martire, testimone innocente della fede nella quale
i suoi genitori si sono aperti alla vita dopo aver avuto otto figli – “orrore”
direbbe il mondo con il Padre Ferreira del film, una follia della superbia cristiana
che pretende di salvarsi sulla Croce e non dalla Croce – e nella quale hanno
camminato accanto a lei in questi lunghissimi mesi, con la spada che scendeva
tagliente nel cuore di Claudia, e le tentazioni subdole di giustizia che, come
l’“anazuri” (la tortura della “fossa” nella quale erano infilati a testa in giù
i cristiani), erano pronte ad inghiottire Carlo torturandone la ragione. Ma
Cristo era accanto a loro, ha vissuto in loro come in Maria, accompagnandoli
insieme nel martirio che, nel mondo, dà ragione al suo amore più forte del dolore, del
peccato e della morte. Entravi nella loro casa e mai avresti immaginato quello
che Carlo e Claudia stavano vivendo. Guardavi e ascoltavi i loro figli sereni
parlare di Maria come di un dono di Dio per la loro famiglia, rinnovata ogni
giorno in una comunione soprannaturale che risplendeva nell’ordinarietà di una
vita vissuta semplicemente, che significa assumere il dolore, restare
crocifissi, e fare quello che c’è da fare. Compreso litigare e fare i capricci
se serve, perché un bambino anche se ha fede è sempre un moccioso che si vuol
far amare. Anche se, come dice Claudia, l'amore che c'è dentro questa storia non si può spiegare... Maria, come Felix, il papà di una famiglia spagnola con cui sono in
missione da tanti anni salito al cielo undici anni fa e qui seppellito, come
tutte le famiglie che sono in Giappone da quasi trent’anni, o da venti, o da
tre, e i figli che sono cresciuti e si sono sposati, e sono anche loro qui in
missione con i loro figli. E i fratelli giapponesi con i quali condividiamo le
croci e la loro gloria in ogni centimetro di storia che ci attende,
sperimentando che Cristo è vivo, che ha vinto il peccato e la morte, che Lui ha
potere sulla “palude” che non è il Giappone ma il cuore dell’uomo schiavo del
peccato, identico qui a quello di ogni altro lembo di mondo. Questi inizi nei quali seguiamo le orme dei primi missionari e cristiani giapponesi, sono il grembo dove
cresce, gioiosa e grata, la fede. La nostra vita crocifissa lietamente con
Cristo è la testimonianza inoppugnabile che la storia non è andata come
racconta Silenzio, ma che anche oggi, qui e ovunque, può essere un prodigio di
fedeltà e amore, che la Grazia plasma attraverso una seria iniziazione
cristiana in una concreta comunità dove, in Cristo crocifisso e risorto, sono abbattuti i muri culturali,
politici e nazionalistici. Guardo Maria, fisso i miei fratelli e vedo in loro
i volti e la fede di chi ci ha preceduto, nella certezza che la stessa Grazia
che opera oggi ha operato in loro. E affido alla misericordia di Dio chi è
caduto e ha cercato, tra dolori inenarrabili, un’improbabile legittimazione
ed esaltazione del proprio peccato. Perché, come scriveva ancora Peguy: “Per non credere bisogna farsi violenza, torturarsi,
contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi al rovescio, mettersi al rovescio,
riprendersi. La fede è tutta naturale, tutta alla buona, tutta semplice” (Véronique
– Dialogo della Storia e dell’anima carnale).
Antonello
Iapicca Pbro
Takamatsu,
30 gennaio 2017
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Dio si è fatto uomo. Saresti morto
per sempre se lui non fosse nato nel tempo.
Mai saresti stato libero dalla carne
del peccato,
se lui non avesse assunto una carne
simile a quella del peccato.
Ti saresti trovato sempre in uno
stato di miseria,
se Lui non ti avesse usato
misericordia.
Non saresti ritornato a vivere, se
Lui non avesse condiviso la tua morte.
Saresti venuto meno, se Lui non fosse
venuto in tuo aiuto.
Ti saresti perduto, se lui non fosse
arrivato .
S. Agostino
Con forza rinnovo la raccomandazione di mettere tutto
l'impegno
per farvi amare nei villaggi dove andrete e
soggiornerete.
Compite tutte le vostre buone azioni con parole di amore
al fine di essere amati e
mai detestati.
È il solo modo di portare molto
frutto.
San Francesco Saverio
Oggi io vengo in questo luogo, come pellegrino,
per ringraziare Dio per la vita e la morte dei
Martiri di Nagasaki,
per quei ventisei, e tutti gli altri che li hanno
seguiti.
Ringrazio Dio per la vita di tutti coloro, ovunque
essi siano, che soffrono per la loro fede in Dio,
per la loro lealtà a Cristo Salvatore, per la loro
fedeltà alla Chiesa.
Ogni epoca – passata, presente e futura – produce,
per l’edificazione di tutti,
brillanti esempi della potenza che è in Gesù
Cristo.
Oggi vengo alla collina dei Martiri per
testimoniare il primato dell’amore nel mondo.
In questo santo luogo gente di ogni condizione
diede prova che l’amore è più forte della morte.
Essi incarnarono l’essenza del messaggio cristiano,
lo spirito delle Beatitudini,
così che chiunque rivolga lo sguardo su di loro
possa essere ispirato a lasciar modellare la sua
vita
dall’amore disinteressato di Dio e dall’amore del
prossimo.
Oggi, Io, Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma e
Successore di Pietro,
vengo a Nishizaka per pregare
affinché questo monumento
possa parlare all’uomo moderno
come le croci su questa collina
parlarono a coloro che furono i testimoni oculari
secoli fa.
Possa questo monumento parlare al mondo per sempre,
dell’amore, parlare di Cristo.
San Giovanni Paolo II
Il cristiano non farebbe abbastanza per i fratelli
se non annunciasse Cristo che porta la redenzione
innanzitutto dal peccato;
se non
annunciasse la realtà dell'alienazione (la "caduta")
e al contempo la realtà della Grazia che ci redime, ci
libera;
se non annunciasse che per ricostruire la nostra
essenza originaria
c'è bisogno di un aiuto al di fuori di noi;
se non annunciasse che l'insistenza
sull'auto-realizzazione,
sull'autoredenzione non porta alla salvezza ma alla
distruzione.
Se non annunciasse, infine, che per essere salvati
occorre abbandonarsi all'Amore.
Benedetto XVI
Eh no, la “palude” non è mica solo il
Giappone. La “palude” circonda la vita di tutti, ovunque, da sempre. Ci
seminiamo il matrimonio e ogni relazione, perché la “palude” è il cuore, infido
e imprevedibile, “un abisso” che rende l’uomo
“un baratro” (Sal 63). Identificarla con una Nazione e la sua cultura, la
storia e la religione, è forse il più fuorviante degli equivoci su cui posa il
contenuto e l’impianto narrativo del libro “Chinmoku - Silenzio” di Shusaki
Endo e dell’omonimo film di Martin Scorsese. “La nostra
religione non può mettere radici in questo Paese perché questo Paese è una
palude; non cresce niente qui, una pianta germoglia e le radici marciscono”
afferma Cristobal Ferreira, Provinciale dei Gesuiti in
Giappone, “prete caduto” durante le terribili persecuzioni che subirono i cristiani
in Giappone. La vera apostasia è tutta in questa frase, ben più grave e gravida
di conseguenze della stessa “formalità” con cui calpestare un immagine sacra,
che è solo la conseguenza dell’inganno cui Ferreira ha dato credito.
Per comprendere l’autentico
messaggio del libro e del film, bisogna essere chiari storicamente ed onesti
intellettualmente: il Ferreira di entrambi non è quello della storia. Prima
Endo e poi Scorsese hanno attinto dalla sua vicenda ciò che della loro hanno
voluto, o creduto di poter identificare. Di certo non l’ha spinto all’apostasia
il pensiero che un suo “korobi” – “caduta” potesse salvare altri cristiani. E’
infatti un’invenzione di Endo trascritta nell’opera teatrale “Ogon no Kuni – Il
Paese dell’oro” pubblicata alcuni mesi prima di “Silenzio”. Scriveva Diego Yuki
Pacheco (missionario gesuita spagnolo, profondo e serio conoscitore della
storia della Chiesa in Giappone e in particolare dei suoi martiri) in un
articolo del 1966 “Il sacerdote caduto nelle opere di Endo Shusaki”, che
“quando Ferreira fu appeso a testa in giù sulla collina di Nishizaka non vi era
lì alcun contadino sottomesso ai tormenti. Suoi compagni nella fossa erano tre
sacerdoti gesuiti e uno domenicano spagnolo, due studenti gesuiti e uno
domenicano, giapponesi. Tutti morirono martiri”.
Non possiamo neppure
affermare che Ferreira apostatò in virtù di una conversione intellettuale al
buddismo, visto che perfino nel “Kengiroku”, un libro probabilmente redatto da
lui per confutare la fede cristiana opponendo ai suoi principi quelli buddisti,
“Ferreira insiste più nell’attacco al cristianesimo che nella sua adesione al
buddismo; nel libro non appare la minima conoscenza della dottrina buddista
mentre non ci dice che Ferreira fosse diventato buddista con il cuore. L’unica
cosa che manifesta è una profonda amarezza, un desiderio di vendetta contro
quegli insegnamenti che un giorno furono la sua vita e dai quali non riusciva a
distaccarsi” (Pacheco, ibid).
Era entrato infatti
appena sedicenne nel noviziato dei gesuiti a Campolido, in Portogallo. E a soli
vent’anni parte per il Giappone dove approda, ancora studente, nel 1602.
Perfezionata la formazione a Macao, torna in Giappone per fare la sua
professione religiosa nel 1617, in piena persecuzione. Molto stimato dai
superiori che vedevano in lui la stoffa del leader, è designato Superiore dei
Gesuiti della Regione di Kyoto e infine, nel 1632, Vice Provinciale del
Giappone. Dopo appena un anno cade in mano dei persecutori e il 18 ottobre del
1633 apostata dopo cinque ore di sofferenza nella “fossa”. Dopo l’abiura
troviamo Ferreira al servizio del “bugyo” o governatore di Nagasaki; ormai è
Sawano Chuan, il nome di un giustiziato da cui ha ereditato anche la moglie e
un figlio. Gira per vari tribunali nei quali vengono giudicati altri
missionari, ma non sembra essere troppo risoluto e convincente; nel 1639 a
Tokyo, ripreso per la sua apostasia dal Padre Gesuita giapponese Pedro Kasui
durante il processo a suo carico, Ferreira abbandona il tribunale; nel 1642
tenta di spingere all’apostasia il Padre Rubino e i suoi tre compagni, ma è
respinto con veemenza e i quattro gesuiti muoiono martiri nella fossa. Il 30
settembre del 1643 torna a Tokyo come collaboratore dell’inquisitore Inoue, e
stavolta riesce a ottenere l’abiura dai missionari da poco giunti in Giappone,
che però ritrattarono più volte. Uno di questi, Giuseppe Chiara, ha ispirato a
Endo la figura del Padre Rodriguez, il protagonista di “Silenzio”. Il nome di
Sawano Chuan appare varie volte nel diario di una fattoria olandese situata
nell’isola di Deshima, arcipelago di Nagasaki, che di lui ci lascia una fosca
istantanea: “Un portoghese che è stato superiore dei Gesuiti da queste parti,
adesso va sempre sporco e ha un cuore nero”. Diametralmente opposta, e quindi falsa
e ingannevole, la figura di Ferreira che appare nel film, dove l’approdo alla
fede buddista sembra averlo rigenerato e “ripulito” anche esteriormente, come
del resto occorre a Rodrigo dopo la sua apostasia.
Il breve exursus
storico ci aiuta a scrostare dalla figura di Ferreira la patina ideologica e
ideale che gli autori gli hanno cucito addosso: “la caduta non fu dovuta ad
alcun atto eroico in favore della cristianità” (Pacheco, ibid). E’ dunque basato su un’invenzione il fatto da cui
il libro e il film traggono il messaggio fondamentale. Logica vuole che un
presupposto falso renda inattendibile l’intero svolgimento e il risultato
finale di qualsiasi ragionamento, anche se la maggior parte dei critici e degli
spettatori è rimasta colpita, e spesso affascinata, proprio dal presunto
sacrifico “vicario” dei due missionari. Quello che invece “Silenzio” vuol dirci
è che l’apostasia è stato un atto d’amore perché ha salvato i cristiani
giapponesi dalla morte a cui li condannava una religione straniera alla quale non
avevano mai davvero aderito. I missionari hanno apostato perché incapaci di
avere ragione della “palude” nella quale, a testa in giù, erano stati calati:
“non sei stato sconfitto da me, ma da questa palude che si chiama Giappone”
dice infatti alla fine l’Inquisitore Inoue a Padre Rodriguez. E’ questa la
frase chiave di tutto il film.
Come afferma
satanicamente Ferreira, sarebbe stato l’orgoglio dei missionari ad uccidere i
cristiani. La superbia di identificarsi con Cristo e di voler piantare la sua
Croce in Giappone. Quella superbia dei sacerdoti che tanto ha colpito Scorsese,
come recentemente detto in un’intervista a Padre
Spadaro pubblicata su “La Civiltà Cattolica”: “se davvero si ha la chiamata, come si fa ad affrontare
il proprio orgoglio? Se si è in grado di eseguire un rito in cui si produce la
transustanziazione, allora sì: si è molto speciali. Tuttavia, è necessario
anche qualcos’altro. Sulla base di ciò che ho visto e vissuto, un buon prete,
oltre ad avere quel talento, quella capacità, deve sempre pensare anzitutto ai
suoi parrocchiani. Quindi la domanda è: come fa quel prete a superare il
suo ego? Il suo orgoglio? Volevo fare quel film. E ho capito che
con Silence, quasi
sessant’anni dopo, stavo facendo quel film. Rodrigues è direttamente alle prese
con quella domanda”. E risponde apostatando, perché crede all’insinuazione di
Ferreira con cui il demonio gli rovesciava la realtà come un calzino: tu non
vuoi apostatare per l’orgoglio di sentirti come Cristo, vedi te stesso come una
transustanziazione di Cristo, mentre per superare l’orgoglio devi pensare agli
altri cristiani che si fidano di te e stanno soffrendo. Apostata e così
salverai te dall’orgoglio e loro dalla morte.
Apostata,
e così diventerai finalmente quello che per Scorsese è un
vero sacerdote: “i buoni sacerdoti che ho
conosciuto hanno sempre messo da parte il loro ego. Quando lo si
fa, restano soltanto le necessità — le necessità degli altri — e vengono meno
le domande sulla penitenza da scegliere o su ciò è o non è la compassione. Esse
diventano prive di significato”. L’ego sarebbe dunque messo da parte in favore
delle necessità tutte terrene degli altri, per le quali è ovvio che la
com-passione, il patire la stessa sofferenza in unione a Cristo non ha
significato; se la Croce smette di essere la porta che dischiude il Cielo,
diventa un’inutile sofferenza priva di significato.
Astuto
come un serpente, con questo velenoso sofisma satana riesce così a trasformare l’apostasia nel supremo
atto d’amore attraverso il quale liberare i giapponesi convertiti
dall’orgogliosa utopia della Chiesa europea di farli diventare cristiani alla
maniera occidentale. La morte dei cristiani giapponesi, dettagliatamente e
lentamente ripresa nella prima parte del film, si rivela così come un martirio
alla rovescia, la testimonianza cioè del fallimento della missione, dalla quale
solo l’apostasia poteva salvarli. Solo Gesù, quello di Endo e Scorsese
ovviamente, lo ha capito, e ce lo dice quando invita Rodriguez a calpestare la
sua immagine occidentale nella quale i missionari volevano trasformare i poveri
e ignoranti contadini giapponesi.
Non so se Scorsese
abbia colto questa subdola e perversa ideologia nazionalistica di “Silenzio”,
un cancro che mette in pericolo l’unità della Chiesa, come già accadde ai tempi
dei grandi scismi eretici e gnostici e delle riforme dell’era moderna. Forse
no, forse si è fermato alla superficie emotiva del dramma di Ferreira e
Rodriguez, quella del presunto silenzio di Dio davanti alle sofferenze patite
per il suo nome, rotto solo dalla voce di Gesù che incoraggia Rodriguez ad
apostatare. Dice infatti che “per questo sono nato in questo mondo, per condividere
il dolore degli uomini. Ho portato questa croce per il vostro dolore”. Non è
possibile che Dio voglia la sofferenza, Dio ci salva dalla morte, no? E come ci
salva? “Condividendo” il dolore degli uomini, sic et simpliciter, che in
“Silenzio” significa lasciarsi calpestare rinunciando ad essere il Dio
Onnipotente che salva dal peccato e dalla morte, per vestire gli abiti degli
uomini e nascondersi in essi, come appare nella scena finale. Insomma, può salvare solo un Dio così
perversamente umile da lasciarsi sconfiggere dalla “palude”, perché il Dio
orgoglioso della sua unicità uccide invece di salvare. Salva un Dio diluito nei
costumi della palude che accoglie e legittima tollerante e pietoso i suoi
liquami.
E’ qui, e non
nell’apostasia come atto estremo d’amore, che si nasconde il messaggio più
potente e velenoso del film. Ed è un veleno mortale, per l’Evangelizzazione e
quindi per ogni uomo. Si tratta infatti del completo rovesciamento del cuore
del cristianesimo che è l’annuncio di Cristo morto per i nostri peccati e
risorto per la nostra giustificazione. Lui è stato calpestato certo, e molto di
più, piantato proprio come un seme nella “palude” più profonda e infeconda che
vi sia, il sepolcro dove il cuore dell’uomo è schiavo del peccato. Si è
incarnato proprio per esservi gettato e morirvi, perché non vi era altro modo
perché gli uomini potessero essere riscattati e così poter dare il frutto
dell’amore per il quale sono stati creati. Ma dalla “palude” Cristo è risorto,
e la Chiesa lo ha sempre annunciato come il Kiryos, il Signore della morte e
del peccato. Lui ha sconfitto la "palude" rigenerandola e
trasformandola in un campo puro e fertile. In essa l'albero della Croce ha dato
il suo frutto incorruttibile perché più forte della tortura e della morte, come
la fede e l’amore per i persecutori che risplendeva nelle migliaia di martiri
che, nati o venuti nella “palude”, vi hanno sparso la fragranza del profumo di
Cristo.
Perché la Chiesa e i
suoi figli, missionari in virtù del battesimo, vivono la vita di Cristo che ha
preso dimora in loro, come ammoniva San Paolo la comunità di Roma: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto
spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi
rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto”. A maggior ragione i missionari inviati ad
evangelizzare, che hanno sempre portato nel cuore il mistero su cui si fonda la
missione espresso da San Paolo: “A Dio piacque salvare gli uomini con la
stoltezza del Kerygma, della predicazione del Vangelo”. Scriveva l’allora
Cardinale Ratzinger:
“… Basilio il Grande si riallaccia
all'autopresentazione del profeta Amos, il quale, nella traduzione greca del
libro del profeta, diceva di sé: "Io ero uno, che taglia i sicomori".
La traduzione si fonda sul fatto che i frutti del sicomoro devono essere incisi
prima del raccolto, poi maturano entro pochi giorni. Basilio scrive: "Il
sicomoro è un albero, che produce moltissimi frutti. Ma non hanno alcun sapore,
se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo,
cosicché divengano gradevoli al gusto. Per questo motivo, noi riteniamo, (il
sicomoro) è un simbolo per l'insieme dei popoli pagani: esso forma una gran
quantità, ma è allo stesso tempo insipido. Ciò deriva dalla vita secondo le
abitudini pagane. Quando si riesce a inciderla con il Logos, si trasforma,
diviene gustosa e utilizzabile". Christian Gnilka commenta così questo
passo: "In questo simbolo si trovano l'ampiezza, la ricchezza, la fastosità
del paganesimo... ma anche si trova qui il suo limite: così come è, è insipido,
inutilizzabile. Necessita di un cambiamento totale, ma questo cambiamento non
distrugge la sostanza, ma le dà la qualità che le manca... D'altra parte la
trasformazione necessaria non potrebbe essere sottolineata in modo più forte
dal punto di vista dell'immagine se non proprio dicendo che si rende
commestibile, ciò che prima non era fruibile. Nella 'fuoriuscita' del succo
inoltre sembra alludersi al processo di purificazione". Ancora una cosa si
deve notare: la trasformazione necessaria non può derivare da una proprietà
dell'albero e del suo frutto - è necessario un intervento del coltivatore, un
intervento dall'esterno. Applicando questo al paganesimo, a ciò che è proprio
della cultura umana, ciò significa: il Logos stesso deve incidere le nostre
culture ed i suoi frutti, cosicché ciò che non era fruibile venga purificato e
non divenga soltanto fruibile, ma buono”. Per questo, “l'evangelizzazione non è
un semplice adattarsi alla cultura, ovvero un rivestirsi con elementi della
cultura nel senso di un concetto superficiale di inculturazione, che ritiene
siano sufficienti un paio di innovazioni nella liturgia e espressioni
linguistiche cambiate. No, il vangelo è un taglio - una purificazione, che
diviene maturazione e risanamento. E' un taglio, che esige paziente
approfondimento e comprensione, cosicché esso sia fatto nel momento giusto,
nella fattispecie giusta e nel modo giusto, che esige quindi sensibilità,
comprensione della cultura dal suo interno, dei suoi rischi e delle sue
possibilità nascoste o anche palesi. Così è evidente che questo taglio
"non è affare di un momento, al quale dovrebbe poi semplicemente seguire
una ovvia maturazione", ma è necessario un continuo paziente incontro fra
la Parola e la cultura, mediato dal servizio dei credenti... La
fede cristiana è aperta a tutto ciò che di grande, vero e puro vi è nella
cultura del mondo, come Paolo ha ben espresso nella lettera ai Filippesi:
"Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello
che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri"
(4,8). La fede conosce e ricerca i punti di contatto, recupera ciò che vi è di
buono, ma è anche opposizione a ciò, che nelle culture sbarra le porte al
vangelo. E' un "taglio". E' quindi stata anche sempre critica delle
culture e deve essere proprio anche oggi impavida e coraggiosa. Gli irenismi
non aiutano nessuno. Hugo Rahner ha mostrato questo efficacemente nel suo
lavoro sulla "pompa diaboli": del rito battesimale fa parte infatti
la rinuncia alla "pompa del demonio". Che cosa è? da che cosa qui il
cristiano si separava? Di fatto la parola si riferiva innanzitutto al teatro
pagano, ai giochi del circo, nei quali lo scannamento di uomini era divenuto
uno spettacolo ricercato, crudeltà, violenza, disprezzo dell'uomo era il
culmine dell'intrattenimento. Ma con questa rinuncia al teatro si intendeva
naturalmente la degenerazione di una cultura, dalla quale innanzitutto doveva
separarsi colui che voleva diventare cristiano e che si impegnava a vedere
nell'uomo un'immagine di Dio e a vivere come tale. Così questa rinuncia
battesimale è espressione sintetica del carattere critico nei confronti della
cultura che è tipico del cristianesimo ed un contrassegno per il
"taglio", che qui si rende necessario" (J. Ratzinger, Intervento al Convegno “Comunicazione e cultura, 9
novembre 2002) .
Questa lunga
citazione illumina la sfida che nel presente sollecita la Chiesa, identica a
quella del mondo pagano nei primi secoli del cristianesimo e a quella che
affrontarono i missionari nel Giappone del '500 e del '600. Ce lo dicono i
documenti che testimoniano lo zelo inesausto per diffondere capillarmente il
Vangelo e il cristianesimo e, contemporaneamente, per approfondirlo nel cuore
dei giapponesi, a prezzo di fatiche sovrumane. Al primo annuncio del Kerygma
seguiva l'istruzione catechetica, spesso fatta anche di notte, realizzando un
catecumenato che accompagnava i candidati al battesimo attraverso esami esigenti
per saggiarne la fede. E accadeva anche che si lasciassero attendere un tempo
differendo i tempi di amministrazione del sacramento sino alla maturazione
della fede. Potevano darsi anche casi di istruzioni più brevi a causa dello
scarso numero di missionari, ma in genere, anche se più breve, la formazione fu
molto seria, come testimoniano i frutti delle migliaia di martiri, che, dalle
tantissime testimonianze dei loro stessi aguzzini, dimostravano di sapere molto
bene perché e per Chi morivano.
Come accadde ad
esempio a Nagasaki: "Sui volti di tutti appariva una certa
letizia, ma in Ludovico era particolare. A lui gridava un altro cristiano che
presto sarebbe stato in paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita
e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori.
Antonio, che stava di fianco a Ludovico, con gli occhi fissi al cielo, dopo
aver invocano il santissimo nome di Gesù e di Maria; intonò il salmo «Laudate,
pueri, Dòminum», che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione
catechistica; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a
questo scopo. Altri infine ripetevano: «Gesù! Maria!», con volto sereno. Alcuni
esortavano anche i circostanti a una degna vita cristiana; con questi e altri
gesti simili dimostravano la loro prontezza di fronte alla morte" (Dalla «Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni» scritta da un
autore contemporaneo).
Oltre ad essere ben
formati prima del battesimo, i cristiani furono curati anche dopo con grande amore
e lungimiranza dai missionari che provvidero ad organizzarli in piccole
comunità ben strutturate attraverso la fioritura di carismi che garantivano una
feconda vita di fede. Liturgia, preghiera e carità erano i pilastri su cui
fondavano queste comunità, che permettevano ai loro membri di vivere e
difendere la fede nella comunione anche quando non potevano essere assistite da
un missionario. Nelle comunità Cristo era vivo in ogni fratello, dove si vedeva
come il "taglio" di cui parlava il Cardinal Ratzinger avesse generato
una reale conversione. In esse si viveva un amore autentico tra i fratelli, che
risplendeva all'esterno nella sua forma più pura e gratuita che è il martirio.
Nei missionari e nella comunità sperimentavano sperimentavano la gratuità dell'amore
di Cristo che li aveva accolti e amati così come erano, senza aspettare la loro
conversione. Il Vangelo li aveva raggiunti nel loro paganesimo, schiavi dei
peccati, e lo avevano visto nei missionari che erano arrivati sin lì senza
sapere chi essi fossero. Sapevano però che senza Cristo la loro vita non era
salvata, non era cioè piena e compiuta.
Questa esperienza fu
tanto forte da legarli indissolubilmente ai Padri e alla comunità che era
diventata la loro nuova Patria. Erano fratelli nei quali la Grazia aveva abbattuto
le barriere del censo, dell'istruzione e della condizione sociale. Proprio
perché erano diventati cittadini del Cielo seppero amare in un solo corpo
offrendo la propria vita per i loro connazionali: "Il nostro
fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai
avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di
appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il vangelo e
di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso. Quindi soggiunse: Giunto a
questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità.
Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella
seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti
quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i
responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al
battesimo cristiano" (Ibid).
In “Silenzio” invece,
anche le scene del martirio sono fredde, dure e strazianti ma, al di là di una
certa compostessa tipicamente giapponese, non vi è traccia dello zelo e della
gioia, dell'amore a Cristo e ai persecutori che la storia ci ha invece
lasciato. I martiri appaiono come dei poveri ignoranti che, ingannati, sono condotti
alla morte per conquistare un utopico paradiso dove non si soffrirà più. Per
giungere ad affermare questo, Endo, e Scorsese con lui, operano l'azzeramento
dell’antropologia biblica e cristiana basata sulla dottrina del peccato
originale e del bisogno della redenzione operata da Cristo per mezzo dei
sacramenti che amministra la Chiesa. Dottrina che proprio la Chiesa del
Concilio di Trento nella quale erano formati i missionari, aveva ribadito
chiaramente, sollecitata dall’eresia protestante. Dalla Riforma in poi infatti,
il peccato originale è il nemico numero uno degli intellettuali illuminati che
hanno avuto influenza anche su certi settori della Chiesa. In fondo,
nell’esperienza di Scorsese da lui stesso raccontata a Padre Spadaro, del
peccato non vi è traccia, solo l’impatto con lo scandalo del male su cui il
cristianesimo e i sacramenti non sembrano avere potere: “mi ricordo che uscivo per strada dopo la fine della
Messa e mi chiedevo: com’è possibile che la vita vada avanti come se niente
fosse accaduto? Perché non è cambiato niente? Perché il mondo non viene scosso
dal corpo e dal sangue di Cristo? È questo il modo in cui ho sperimentato la
presenza di Dio quando ero molto giovane”.
Certo che si cade mille
volte al giorno, figuriamoci, ma ciò non significa che Cristo non abbia potere.
Ma forse né Endo, né Scorsese hanno mai conosciuto, per una povera e
insufficiente formazione nella fede, che nel mondo c’è eccome un posto per
uomini deboli come Kichijiro. Quel posto è la Chiesa, madre e maestra, che ci
accoglie nelle sue viscere rigeneranti,
attraverso sacramenti che non sono una superficiale e impotente smacchiatura dei
sensi di colpa, come appaiono quelle che impartisce Rodriguez a Kinjiro. I
sacramenti sono la partecipazione al Mistero Pasquale di Cristo che ha il
potere di perdonare e ridonare la Grazia perduta. La confessione compie nel
cuore dell’uomo il miracolo di rendere feconda la sua “palude”. Il peccato,
come la "palude", non è invincibile. È ostinato come il demonio, ma
Cristo ha sconfitto entrambi, per sempre. E i cristiani partecipano della sua
vittoria già in questo mondo, proprio quando la "palude" sembra
assorbirci e Dio tace.
Un cristiano di
qualunque epoca, razza, cultura, nazione, religione, sperimenta la propria
trasfigurazione nella notte oscura, la presenza di Dio nella propria carne ma ben
al di là dei limiti umani, come una primizia della vita eterna da gustare nella
sofferenza e nella morte. Mentre “sembra che non cambi nulla, il mondo viene
scosso dal corpo e sangue di Cristo” che uniscono a Lui i cristiani nel martirio sofferto con una letizia
scandalosa, che fa inciampare sul cammino razionalista e materialista perché
testimonia il Cielo, senza la cui certezza sarebbe davvero un “orrore” perdere
la vita ingiustamente. Ma benedetto scandalo, senza il quale come potrebbe
l’uomo intuire che esiste molto di più di quello che l’ideologia ha stabilito?
Non è un caso se proprio
Kichijiro è per Scorsese “il più affascinante e
intrigante di tutti i personaggi… chi c’è accanto a Rodrigues? Kichijiro. Egli
era stato, si scopre, il grande maestro di Rodrigues. Il suo mentore. Il suo
guru, per così dire. Ecco perché Rodrigues lo ringrazia alla fine”. Meglio
sarebbe dire il suo catechista sulla via dell’apostasia. Era accanto a lui come
guru per svelargli l’impossibile conversione di un uomo secondo la dottrina
cattolica, e indicargli l’unica via possibile di salvezza, quella di stare
accanto agli altri per evitargli sofferenza e martirio. Questa “iniziazione
all’apostasia” non può che culminare nell’identificare la
"palude" con il Giappone tout-court, come con qualunque altra nazione
o situazione. Ma così si finisce con l’impantanarsi e si tarpano le ali
all’evangelizzazione. Se la “palude” è buona così come è, anzi, contiene valori
migliori di quelli portati dal cristianesimo (e di valori il Giappone ne ha, e
ben lo sapevano e lo sanno i missionari), beh ditemi perché andare a disturbare
i giapponesi che ci vivono dentro. Al massimo si può offrire il sapere
occidentale (che comunque deve moltissimo al cristianesimo), così come afferma
Ferreira, fiero di insegnare scienza (un’altra cosa che non ha fondamenti
storici, vista la sua formazione): “E’ appagante essere finalmente utile in questo
paese”. Eh sì, quanto è difficile restare nella trincea missionaria quando non
è appagante per la carne… La croce quotidiana della solitudine, la difficoltà
della lingua, tutto perché anche un solo giapponese possa conoscere Cristo. Se
Cristo ha salvato la propria vita e vivere senza di Lui è un non vivere, beh
questo è molto più che appagante, è Cristo che colma la tua vita che si fa
prossima a chi non lo conosce, ed è il salario di ogni missionario.
Ma se un missionario
dimentica il primo amore per sposare il pensiero mondano secondo cui l'uomo non
soffre a causa del peccato, è destinato
inevitabilmente a cadere nel complesso di inferiorità del cristianesimo
nei confronti del mondo. Una volta accolta l'idea che l'uomo soffre a causa
delle contingenze nelle quali è costretto a vivere (vedi le ideologie assassine
di ogni epoca) il passo al relativismo è fatto. La dottrina cattolica sarebbe
insufficiente a comprendere e risolvere i drammi dell'uomo perché chiusa in
dogmi che non tengono conto della realtà cangiante della storia.
Questa conclusione segna
la rinuncia alla metafisica che costituisce uno dei problemi più grandi che
deve affrontare la Chiesa contemporanea. Per essere fruibile e funzionale alla
salvezza dovrebbe adeguare i suoi insegnamenti fondamentali alle religioni
locali, alle nuove realtà che la società viene presentando, ai nuovi diritti
che essa reclama come alle diverse religioni e culture dei popoli, perché, come
afferma il Ferreira post-abiura: “un albero che prospera in una terra può
seccarsi in un’altra; è lo stesso per l’albero del cristianesimo. Le foglie si
seccano qui, le gemme muoiono”. Per questo non è strano ascoltare da alcuni
teologi e, purtroppo, da alcuni Pastori, le stesse parole di uno degli
inquisitori durante il primo incontro del Governatore Inoue con il Padre Rodriguez:
“La dottrina che portate voi potrebbe essere vera in Portogallo o Spagna, e noi
l’abbiamo studiata per molto tempo. Abbiamo concluso che in Giappone non è
utile, anzi pericolosa”.
Utilità… Bisognerebbe
fermarsi un bel po’ di tempo per raccontare dell’utilità del cristianesimo in
Giappone, degli incontri frequenti che ebbero molti missionari con uomini di
cultura e di corte. Tra gli altri spicca il Padre Organtino, missionario italiano, in Giappone dal 1570, amato da tutti al
punto che anche l’imperatore Nobunaga lo invitava a casa sua. Ma, al di là del
contributo scientifico e artistico del cristianesimo (frutto di quel processo
descritto da Ratzineger), resta la questione dell’utilità. Per cosa dovrebbe
essere utile il cristianesimo in Giappone come in qualunque altro Paese?
Sappiamo per certo che in Giappone, come sempre e ovunque accaduto nella storia
della Chiesa, il cristianesimo ha apportato un decisivo miglioramento della
vita quotidiana delle persone. Vi invito a leggere i libri di Rodney Stark, in
particolare “Ascesa e affermazione del cristianesimo” nel quale illustra come
questo, partendo da un pugno di uomini, riuscì a mettere radici e propagarsi
nell’Impero Romano, per concludere che “quello
che il cristianesimo offriva ultimamente ai convertiti non era nulla di meno
della loro umanità”. Come accadde in Giappone, e non solo un’utopica speranza
in un “paraiso” dove non ci sarebbero più lavoro, né tasse, né debiti.
Per
i giapponesi infatti, il cristianesimo è stato “utile” per lo stesso motivo per
cui lo era stato per i missionari che lo testimoniavano, e per ciascuno di noi.
Soprattutto gli ultimi, i piccoli, come sempre accade dal Vangelo in poi, hanno
visto il paradiso incarnato in quegli uomini venuti da lontano mossi
esclusivamente dall’amore a Cristo e per ciascuno di loro. Ciascuno di loro era
finalmente importante per qualcuno che li amava gratuitamente, e per loro aveva
lasciato tutto. Importanti per qualcuno che aveva rischiato la vita, e la
perdeva tra mille privazioni, consumandola senza sosta, perché la loro era
importante. La loro qui ed ora, perché è qui ed ora che ci si gioca il
paradiso. Attualmente molti ridono sotto le mentite spoglie accademiche dello
zelo per la salvezza eterna dei giapponesi che ardeva nel cuore di tutti i
missionari. Ridono con elucubrazioni intellettuali con cui vorrebbero
convincerci che, in fondo, il cristianesimo che parla di Vita e dannazione
eterne non è utile ma addirittura dannoso. Per questo in Giappone non avrebbe
mai davvero attecchito e continua a non espandersi. Teologia e prassi
medievali, europocentriche e romane che veicolano solo fondamentalismo e
divisioni ci dicono. Ma si tratta di goffi tentativi per dissimulare la propria
incredulità nella vita eterna, il vero “utile” portato dai missionari.
Per
questo, molta predicazione ha smesso di parlare dei Novissimi, del paradiso e
dell’inferno, concentrandosi sull’immanente. Ma se non esiste il Cielo, “se
Cristo non è davvero risorto, vana è la nostra fede, e noi siamo da compiangere
più di tutti gli uomini”. Sì, anche più degli aguzzini che hanno torturato e
ucciso migliaia di cristiani in Giappone. E così sembra essere nel film, dove
perfino Inoue appare un uomo “pratico, non crudele”, che esige dai fedeli e dai
missionari “solo una semplice formalità” per salvare la pelle. Certo, per chi
non crede alla resurrezione la "forma" può perfettamente differire
dalla "sostanza", come in Giappone anche oggi appare evidente. Per
chi ha apostatato la fede cattolica per abbracciare un vago umanesimo relativista
una religione che insegna che se non è bonificata la “palude” la vita resterà
sempre un’infinita ipocrisia è pericolosa e dannosa; essa infatti desterebbe le
coscienze delle persone, strappandole alla subalternità nei confronti della
cultura e dei suoi costumi.
I
missionari conoscevano bene il principio della morale cristiana sintetizzato da
San Tommaso d’Aquino per il quale “agere sequitur esse - l'agire segue
l'essere”; annunciando Cristo avevano offerto ai giapponesi la possibilità di
accogliere l’“essere” nuova creatura in Lui, e quindi una nuova e autentica
forma di “agire”. Finalmente divenute persone, per loro, anche se contadini
poveri, umiliati e disprezzati, non esistevano più formalità che potessero
contraddire l’essere che avevano ricevuto gratuitamente. Quell’essere era
Cristo vivo in loro, una vita sovrabbondante che li muoveva nell’amore che
rendeva impossibile calpestare una pur semplice immagine di Colui che li aveva
riscattati colmando di senso la propria vita. Calpestando l’effige di Cristo
avrebbero calpestato anche se stessi, nei quali quell’immagine era stata
impressa indelebilmente nel battesimo.
Il
martirio affrontato dalla stragrande maggioranza dei cristiani testimoniando
con l’agire della loro vita i contenuti della fede, rivela quanto profondamente
si fossero estese le radici di quel nuovo essere che avevano accolto con la
predicazione e la cura dei missionari nelle comunità da loro fondate. Risibili
appaiono quindi le affermazioni di Ferreira per cui i giapponesi avrebbero
aderito solo ad una loro interpretazione del cristianesimo. Essi morivano
perdonando, e vorrei proprio sapere quando "il sole che muore e risorge
ogni giorno" abbia perdonato qualcuno insegnando a fare altrettanto. O
come il buddismo e lo shintoismo, che hanno certo una visione della vita dopo
la morte, abbiano informato le anime dei loro fedeli con l’amore dei nemici.
Solo chi si è scoperto impotente nella “palude” del proprio cuore infettato dal
demonio, e amato lì, e perdonato, e ricreato come figlio di Dio, può offrire,
cantando, la propria vita abbracciando nel perdono i propri aguzzini.
E’ triste constatare come questa idea costituisca oggi la base per rileggere
la missione della Chiesa in Giappone. In un articolo dal titolo “La missione ne
Giappone secolarizzato” il gesuita giapponese Shun'ichi Takayanagi, sostiene
che sia d’obbligo "un mutamento di paradigma nei confronti del concetto di
missione e dei modi di esercitarla". "Anche se la 'missione' ha ottenuto un grande
risultato nel Giappone del XVI secolo, non è più possibile raggiungere un
simile successo nei tempi odierni, caratterizzati da un rapido progresso della
cultura materiale e da un elevato livello di vita. Proprio per questo
l’antiquata concezione della missione, che proviene dall’epoca coloniale
occidentale del XIX secolo e sopravvive nel subconscio di molti missionari,
stranieri e autoctoni, deve essere sostituita da una nuova concezione del
popolo con il quale e per il quale si lavora. La nuova strategia dell’annuncio
del Vangelo deve diventare espressione del bisogno di religione degli uomini di
oggi. Il dialogo deve approfondire la nostra concezione delle altre religioni e
della comune esigenza umana di valori religiosi… Certamente la religione può
far crescere e maturare gli uomini, ma in casi estremi l’appartenenza a una
religione può anche pervertire la natura umana. Il cristianesimo è in grado di
impedire il fanatismo e questa sorta di perversione? Questo è per noi un
interrogativo assillante, che dobbiamo porci nell’esercizio della nostra
attività missionaria. La storia passata del cristianesimo, a questo riguardo,
non è certo ineccepibile. […] In particolare, alcuni intellettuali giapponesi,
sebbene in maniera vaga e quasi inconscia e ispirandosi alla cultura
politeistica giapponese, cominciano a chiedersi se le religioni monoteiste, in
ultima analisi, possano mostrarsi veramente tolleranti verso i membri di altre
religioni. […] Questi intellettuali ritengono che il terreno culturale politeista
dello scintoismo giapponese possa assicurare un approdo morbido alle altre
religioni”.
Questi ragionamenti non fanno altro
che pormi la questione se per caso la “palude” non sia tanto la religione ma il
potere, politico e religioso spesso intrecciati tra loro, all’epoca di Ferreira
come oggi, con lo gnosticismo di impronta massonica che, subdolo, stende la sua
ombra sinistra anche sul film. L’esperienza mi insegna che, per Inoue e i suoi
convertiti come Ferreira, la parola
"Giappone" non è
altro che una scusa per nascondere le proprie gravi responsabilità nell’eccidio
dei cristiani. Altro che apostasia per amore. Interessante quanto scritto circa il
film dal vescovo ausiliare di Los Angeles Robert Barron in un post sul suo blog
“Word and Fire”: "Ciò che mi preoccupa è che tutto questo concentrarsi
sulla complessità e la polivalenza e l'ambiguità della vicenda sia al servizio
dell'élite culturale di oggi, che non è molto diversa dall'élite culturale
giapponese [di quattro secoli fa] messa in scena nel film. Quello che voglio
dire è che l'establishment laico dominante preferisce sempre i cristiani che
sono vacillanti, incerti, divisi e ansiosi di privatizzare la loro religione.
Ed è viceversa fin troppo portato a squalificare le persone ardentemente
religiose come pericolose, violente e, lasciatemelo dire, neppure tanto
intelligenti. Mi chiedo se Shusaku Endo (e forse anche Scorsese) in realtà non
ci abbia invitato a distogliere lo sguardo dai sacerdoti e a volgerlo invece
verso quel meraviglioso gruppo di laici coraggiosi, devoti, dediti, che hanno
sofferto a lungo e hanno mantenuto viva la fede cristiana nelle condizioni più
inospitali immaginabili e che, nel momento decisivo, hanno testimoniato Cristo
con la propria vita. Mentre Ferreira e Rodrigues, con tutta la loro formazione
specialistica, diventavano i cortigiani a libro paga di un governo tirannico,
quella gente semplice rimaneva una spina nel fianco della tirannia”.
Scriveva
infatti San Francesco Saverio: i missionari “che verranno
saranno molto perseguitati perché dovranno
andare contro tutte le loro sètte e dovranno manifestare al mondo e spiegare
come sono ingannevoli i modi e le maniere che i bonzi hanno per prendere denaro dai secolari. E in questo non dovranno mai essere tolleranti,
soprattutto quando diranno [ai bonzi] che non possono liberare le anime
dall'inferno (dato che essi vivono di
questo) e proibiranno il peccato contro natura cosi diffuso tra loro; dovranno superare fatiche e per questo e per molti
altri motivi, saranno assai perseguitati in tutti i modi” (San Francesco Saverio, Lettera 90).
Lo sguardo lucido e
disincantato sull’essenza della missione non lasciò mai Saverio e i missionari
che lo seguirono; non furono le sconfitte e neanche i successi a cancellare
dalla loro mente e dal loro cuore l’intenzione “di spiegare e palesare la verità, per quanto essi (i bonzi) ci possano
contraddire, poiché Dio ci obbliga ad amare di più la salvezza del
nostro prossimo che non la nostra vita corporale”. Il cimento di ogni evangelizzazione si trova infatti in questo
duplice amore, per coloro ai quali il missionario è inviato e per la Verità
alla quale egli è vincolato e di cui è testimone, in virtù del dovere di
annunciarla a chi ha il diritto di ascoltarla: “Essendo noi e loro tanto all'opposto
nel modo di sentire Dio e di come si devono salvare le genti, non mancherà molto che noi saremo perseguitati da essi
(i bonzi), e non soltanto a parole. In questi luoghi quello che noi
pretendiamo è di portare le genti alla
conoscenza del loro Creatore, Redentore e Salvatore Gesù Cristo nostro Signore. Viviamo con molta fiducia, sperando
in Colui che ci darà le forze, la grazia, l'aiuto e il favore per
mandare avanti tutto questo. Noi non
intendiamo avere divergenze con i monaci, ma neanche per timore di loro tralasceremo di parlare della
gloria di Dio e della salvezza delle
anime: ed essi non ci potranno fare più male di quanto Dio nostro Signore
permetterà loro. E il male che da parte loro ci venisse, rappresenta una grazia che ci farà Dio nostro Signore se,
per suo amore e servizio, e zelo delle anime, ci abbreviassero i giorni della
vita ed essi fossero gli strumenti per mezzo dei quali finisca questa
continua morte in cui viviamo e si adempiano
in breve i nostri desideri, andando a regnare per sempre con Cristo. Noi
desideriamo, con l'aiuto, il favore e la grazia di nostro Signore, di adempiere questo precetto, dandoci Lui la forza interiore
per manifestarlo in mezzo a tante
idolatrie come vi sono in Giappone” (San
Francesco Saverio, Ibid).
La caduta di Ferreira e
di Rodriguez mostra come, in loro, questi sentimenti si fossero per lo meno raffreddati.
Accettiamolo ma non canonizziamolo. E non scomodiamo il “silenzio” di Dio,
perché di questo hanno scritto sulla loro carne moltissimi santi, ed è cosa ben
diversa. Certo il “silenzio” è presente nel libro e nel film, ma non è quello
che sembra soffrire Padre Rodriguez. Nelle scene nelle quali ne parla, dove
prega e si dimena in preda a crisi psichiche, appare strumentale. In esse non
vi è alcuna tensione; studiate per catturare l’attenzione su un dramma
interiore, non riescono a coinvolgere. Appare piuttosto un uomo formato
superficialmente, senza un vero rapporto d’amore con Cristo, al quale si
rivolge quasi meccanicamente, sottolineando altrettanto meccanicamente un
presunto suo silenzio. Piuttosto, romanzo e film veicolano un altro silenzio, quello
di Dio dinanzi alla “palude” identificata con il Giappone. Dio è silente agli
orecchi di Ferreira e di Rodriguez, come di Endo e Scorsese, perché parla le
parole di suo Figlio che i missionari avevano sì imparato nella lontana Europa,
ma che per loro erano ormai diventate
incomprensibili. Come lo sono alle orecchie e al cuore di molti
cristiani contemporanei immersi nella “palude” del mondo, dove hanno perduto la
fede perché non sono stati formati sperimentandone il potere.
Dio è silente perché non
deve dire nulla alla “palude” se non, come in battesimo perverso, immergersi in
essa lasciandosi assorbire e trasformare dalla cultura e dalla religione del
posto. Ma ciò significa un rovesciamento del Mistero Pasquale che, se suppone
la Croce e l’assurdo, non salva nessuno. Le parole con le quali Gesù,
perfettamente adattato e inculturato nella "palude", rompe il
silenzio che avvolge Rodriguez - “vieni avanti adesso,
va tutto bene, calpestami, comprendo il tuo dolore, sono nato in questo mondo
per condividere il dolore degli uomini, ho portato questa croce per il vostro
dolore… la tua vita è con me adesso. Calpesta…” – sono una bestemmia.
Etimologicamante "diffamano" Dio perché lo presentano inginocchiato e
sconfitto dinanzi all’idolatria, impotente dinanzi alla palude.
Il Gesù di Endo e
Scorsese assume sì il peccato, ma per benedirlo e legittimarlo. E’ ovvio, se il
presupposto è quello che Scorsese ha spiegato nell’intervista a Padre
Spadaro: “fin da ragazzo mi sono convinto che la pratica non è
qualcosa che avviene soltanto in un edificio consacrato e nel corso di certi
riti svolti a una certa ora del giorno. La pratica è qualcosa che accade fuori,
sempre. Praticare (la fede cattolica), davvero, è fare qualsiasi cosa tu
faccia, di buono o di cattivo, e riflettere su questo. Questa è la sfida”. Eh
no, la prassi della fede cristiana non è fare “qualsiasi cosa”; questo è invece
il relativismo di stampa gnostico-massonica che precipita nell’assurdo di
rinnegare il bene nel nome del bene per spiegare e piegare il male. Il mondo infatti, ingannato dalla suadente menzogna del demonio, non riesce
a venire a capo del male, dal terremoto agli omicidi. Il male è presente, fa
male, ma non possiamo estirparlo. Allora, ed è la via più facile perché quella
delle rivoluzioni è decisamente più faticosa, seguendo le originali istruzioni
del serpente di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, che
decida l’uomo; o meglio, che gli intellettuali illuminati stabiliscano quando
il bene sia male e quando questo sia bene. Esattamente quello
che “Silenzio” mette in bocca a Ferreira (non male come la sua figura di
iniziato…), per il quale il santo desiderio di piantare la Croce di Cristo
nella “palude giapponese” è orgoglio e superbia, a causa della quale Dio stesso
punirebbe il Giappone. Al contrario, l’apostasia, ovvero calpestare la Verità
che sola può rendere liberi, costituirebbe il bene della salvezza della vita
qui ed ora.
Quel ralenty goffo e
grottesco che riprende l’apostasia di Rodriguez con cui Scorsese vorrebbe
coinvolgerci nel drammatico parto dell'amore più grande, ci sembra invece il
replay di un fallo violento in una partita di calcio. E in fondo, che cos’è
l’apostasia se non un intervento a piedi uniti del demonio che ci fa cadere a
terra con le gambe spezzate? Sappiamo bene che lo
scandalo della sofferenza altrui e le pene della propria sono il campo
preferito del demonio per tentarci e riportare vittoria. E i missionari
fiaccati dalla persecuzione erano deboli al punto giusto. Nella grande
maggioranza la potenza del Signore Risorto si manifestata pienamente vincendo
la paura, accompagnando nella letizia e nella pace missionari e laici al
martirio. In questi due no.
Ma almeno per questo
vale la pena vedere il film. Essi sono infatti una Parola di Dio che chiama a
conversione tutti noi, vescovi, preti, suore, mariti e mogli, padri e madri,
figli, fratelli, tutti. Perché l’orgoglio è sempre in agguato, impedendoci di
accogliere il perdono. L’ha intuito anche Scorsese, ma purtroppo seguendo Endo,
ha fornito al problema dell’orgoglio una risposta che lo esalta in una maschera
di compassione.
Invece l’esperienza
fatta nella Chiesa ci dice che l’orgoglio si supera solo con le lacrime, come
accadde a Pietro, scelto da Gesù come Roccia su cui fondare la
Chiesa. Anche lui, il primo Papa, ha apostatato, e solo per salvare se stesso.
Come accade purtroppo anche a me, e a te immagino, molte volte. La morte fa
paura, accidenti se la fa. E non parlo solo della morte fisica, nemmeno della
“fossa” o dei tormenti riservati ai martiri di ogni generazione. Parlo della
morte di ogni giorno, di fronte alla quale apostatiamo, soffocati dalla mano
gelida della paura. “Perché devi soffrire? Dio non esiste, e se esiste è un
mostro geloso di te. Mangia e diventerai come Lui”. E noi mangiamo, ci
ribelliamo, ci autodeterminiamo, tagliamo con Dio, apostatiamo, calpestiamo e
moriamo. Quante volte ci guardiamo allo specchio scoprendoci identici a
Ferreira, “sporchi fuori e scuri nel cuore?”. Forse anche oggi, perché anche
oggi il demonio, brandendo la paura della morte, ci tiene schiavi della sua
volontà malvagia, e ci spinge a peccare.
Il peccato è la
morte, quella oscura che portiamo dentro e ci sporca fuori, riducendo il nostro
cuore a una “palude”. Ma un gallo ha cantato per Pietro innescando le lacrime
del pentimento, il primo passo della conversione con cui si riconosce la
"palude" del proprio cuore per chiedere umilmente il perdono a Cristo
che conosce da sempre quello che l'uomo accecato dall'orgoglio non riesce a
vedere. Non a caso da allora il gallo è il simbolo di ogni Vescovo, testimone
fedele della risurrezione, pastore della Chiesa che ha sperimentato il perdono
su cui Cristo l'ha fondata. Le lacrime di pentimento infatti, troveranno sempre
le viscere di misericordia della Chiesa
pronta ad asciugarle, infondendo però la Grazia e la forza di non peccare più.
La vita di un cristiano
è una milizia, perché la “fossa” appare ogni giorno dinanzi a noi. Forse è il
bambino down che porta in grembo tua figlia. Forse è lei stessa malata e non ce
la fai più dallo strazio. Forse è tuo padre che soffre da mesi per un male
incurabile e invalidante, e davvero il suo corpo sembra prigioniero in una
gabbia. O quel tuo amico malato di Sla che ti implora di lasciarlo andare.
Forse è quel conoscente divorziato a causa di sua moglie, si è risposato, ha
due bellissimi bambini e in totale fanno cinque, e ora si sente rifiutato dalla
Chiesa perché non può ricevere la comunione. Forse è tuo cugino gay, che ama
alla follia il suo compagno e vorrebbe tanto sposarsi, e muore dalla voglia di
essere padre. Forse è quel vicino di casa che è così avaro da impedire di
mettere l’ascensore nel condomino e tua suocera invalida sono due anni che è
confinata a casa. Forse è il mondo intero, i politici, i ricchi, i fascisti e i
comunisti, i russi e gli americani, che fanno guerre e sfruttano i popoli e ora
pure l’ambiente, che osano mangiare ancora gli animali. Forse è tuo marito che
ti ha lasciato per una ventenne rumena. O forse sei tu stesso, che hai subito un’ingiustizia
sul lavoro, che ti hanno calunniato, derubato, abbandonato.
Allora, chi ti sta
parlando mentre sei calato nella “fossa”, dentro la “palude” che è il male
dentro e fuori di te? Il nostro Signore Gesù Cristo crocifisso e risorto, o
Ferreira, ovvero la caricatura blasfema e beffarda con cui sempre si traveste
il demonio? Per caso, nel segreto del cuore, anche attraverso il bombardamento
dei mass media in mano alla massoneria, non ci sta convincendo dell’impotenza
di Dio di fronte al peccato, spingendoci ad apostatare una fede irragionevole e
non credibile tanto per i giapponesi di ieri e di oggi, quanto per l’uomo
contemporaneo ormai libero da ogni tabù e fiero delle sue conquiste culturali e
civili? “Una cosa orribile… pensate alle sofferenze che avete
inflitto a quelle persone solamente per il vostro sogno egoista di un Giappone
cristiano” diceva Ferreira a Rodriguez.
Le stesse parole che
ci sentiamo ripetere in ogni talk-show, serie televisiva, romanzo e film,
perfino a Sanremo: quante sofferenze state infliggendo tu e la Chiesa senza
compassione a tua figlia e al “prodotto del suo concepimento” down, a tuo padre
e a tutti i malati incurabili piccoli e grandi, ai depressi cronici; e poi ai
divorziati e ai risposati, agli omosessuali e a ogni “gender” in divenire. A
quanti bambini orfani e abbandonati che potrebbero avere l’affetto di quella
che vi ostinate a non accettare come famiglia. E alla terra, che riscaldate
senza vergogna e che continuate a riempire senza curarvi di quanti fratelli condannate
alla fame; e agli animali, senza capire che sono come noi, anzi, migliori
perché uccidono solo per fame (sic… basta conoscere i gatti e il loro amore per
topi e lucertole). Ma non capisci? Difendendo cocciutamente la fede cristiana
che la Chiesa ti ha imposto lavandoti il cervello, fai soffrire anche te; che
fai ancora su quella Croce rifiutando di farti giustizia, scendi subito, così
crederemo che davvero ami chi invece stai trascinando nel dolore e nella morte;
i tuoi figli capisci? tuo padre e tua madre, la carne della tua carne stai
uccidendo con la tua fede! Davvero “una cosa orribile”, calpesta accidenti,
oggi Gesù sarebbe favorevole ad aborto ed eutanasia, anche all’inseminazione
artificiale e alla sperimentazione genetica eccome, Lui è venuto sulla terra
per realizzare l’amore più grande, togliere la sofferenza, mica per vendere
oppio ai popoli. Il vero Gesù infatti, sarebbe l’anticristo, quello che Vladimir
Sergeevic Soloviev ha descritto così bene nelle pagine del romanzo omonimo, cameo nascosto
nella trama del film.
Guardiamoci dentro, e
diamo uno sguardo fuori, non siamo così lontani da questo, purtroppo. Ma le parole sataniche di Ferreira, così
attuali, possono essere accolte solo da una “palude” dove Cristo non è mai
stato seminato. Da chi non ha ricevuto una seria iniziazione cristiana dove la
fede possa maturare per crescere sino alla statura adulta. Da un cuore come
quello di Endo, che nell'altra opera "Vita di Gesù Cristo" afferma
che la risurrezione di Gesù Cristo è un mito inventato dalla prima comunità
cristiana, in sintonia con la teologia liberale e protestante di tipi come
Rudolf Bultmann. Ma se Cristo non è risorto, “mangiamo e beviamo, perché domani
moriremo”. E si muore, e si resta incastrati nelle angosce esistenziali tra il
bene che si vorrebbe aver compiuto e il male che invece si fa. Senza un
autentico pentimento, che nasce solo dalla coscienza di aver perduto Cristo e
la sua vita, si comprende il bisogno compulsivo di sentirsi accolti e perdonati
del povero Kinjiro. Ma mi domando, Scorsese cattolico, ha mai conosciuto il
vero volto della Chiesa? Forse no, se nell’intervista con Spadaro afferma una
posizione nichilista rispetto alla salvezza, “qualcosa
che nessuno può conoscere. Al momento della tua morte, se sarai cosciente,
saprai se hai raggiunto la salvezza? Come lo saprai? Quel che
è certo è che non lo sai mentre vivi. L’unica cosa che puoi fare è vivere una
vita quanto più dignitosa possibile”. E qui le responsabilità sono di
quelle comunità locali che da tempo hanno silenziosamente apostatato
chiudendosi all’evangelizzazione. Molti hanno creduto alle parole di Ferreira,
spinti anche dalla persecuzione che suppongono l’amore e la Verità, dalle
sofferenze e dai fallimenti, non diversi oggi da quelli di ogni stagione missionaria.
Il successo non fa per la Chiesa, e personalmente ne so qualcosa, per
esperienza. Gesù ci aveva avvertiti: sale, luce e lievito, un corpo che si
consuma sulla Croce per amore, quello vero però…
“Silenzio” invece ci dice che per essere accolti, il cristianesimo
e la Chiesa devono lasciare i panni sterili della donna brutta che non piace a
Inoue e al mondo, rinnegare cioè la fede dei padri, europea e inadatta, e con
essa il Vangelo, e indossare un vestito giapponese, o, più semplicemente, un
abito mondano. In fondo è il vero motivo che ha spinto Endo a scrivere le due
opere sui missionari apostati. In un’intervista diceva di sé: “mi fecero
ricevere il battesimo quando ero ancora bambino. Quando me ne resi conto ero
già vestito con un abito straniero che non si adattava bene al corpo. Non so
quante volte nella mia gioventù ho cercato di togliere e buttare via quel
vestito che io non avevo scelto. Probabilmente dipendeva dal fatto che, pur
considerandolo straniero, non potevo prescindere da esso. A poco a poco
cominciai ad adattare quel vestito straniero al mio corpo, ma dovevo cucirlo di
nuovo nella forma di un vestito giapponese” (Intervista apparsa sulla rivista “Chuo Kooron, Novembre 1966). Queste
parole, che potrebbero essere le nostre anche se siamo occidentali, illuminano
e svelano il senso della scena finale e decisiva del film, l’approdo
esistenziale di Endo e probabilmente di Scorsese. Come potrebbe essere il
nostro, come lo è di alcuni anche nella Chiesa, in Europa e nei territori di
missione. La Chiesa ha un’unica possibilità in Giappone e in ogni altro Paese,
creare una via indigena al cristianesimo. Una via giapponese, come una via
catalana o maori, milanese o aborigena, latino americana o africana. E perché
no una via scientifica, una eugenetica, rivoluzionaria, adultera e così via?
Tutte vie “compassionevoli” che sanno a gnosticismo massonico, e che riducono
l’uomo in cenere, proprio come si chiude la vicenda terrena di Rodriguez. Ma
accettare l’idea di Endo significa anche accettare anche che il cristianesimo è
un vestito che non si adatta alla vita dell’uomo. Certo che non si adatta, perché
la Chiesa non è in Giappone e nel mondo per sposare la sua “palude”, ma per annunciare
e testimoniare Cristo a ogni uomo, lo Sposo che è venuto e ha preso la sua
carne per rivestirla del suo vestito splendente di resurrezione.
Probabilmente il
cristianesimo è rimasto addosso a Ferreira, come si evince da quel “Nostro
Signore” scappatogli dopo l’abiura, che si affretta a negare di aver detto. D’altronde
il sacramento dell’Ordine, come quello del battesimo, è indelebile; non fa automaticamente
schivare l’inferno, ma imprime un carattere che ti resta cucito dentro.
Appunto, dentro. Ma fuori? Quel crocifisso celato negli
abiti funebri di Rodriguez è il ghigno finale e apparentemente vittorioso del
demonio, anche se per Scorsese alla fine egli è tornato alla fede. “Tu non sei
stato sconfitto da me, ma da questa palude che è il Giappone, dove il
cristianesimo è diventato una cosa strana, diversa”, sono le ultime parole di
Inoue a Rodriguez, e rappresentano bene il sibilo del serpente (forse
inconsapevolmente Scorsese ritrae strisciando sul tatami l’Inquisitore mentre
le pronuncia) che è riuscito a fargli cambiare l’abito perché gli aveva
cambiato il cuore; un altro “agire” perché in Rodriguez vi era ormai un altro “essere”.
Ma se il
cristianesimo non ha il potere di cambiare l’essere, a che serve? Il cambio, la
conversione appunto, la metanoia, il cambio di mentalità, per sua natura non è
a livello esclusivamente interiore, pena lo scadere nel sentimentalismo,
religione così di moda. La conversione si vede, come un bicchiere pulito
all’interno che splende all’esterno. L’essere rinato in Cristo vive
esteriormente il suo agire. Nascosto in un vestito giapponese cucito per un
funerale buddista il crocifisso di Endo e Scorsese è solo una tragica
caricatura che sembra far dire a Cristo ironicamente quel “benevenuto in
Giappone” che Inoue aveva detto a Rodriguez come segno di vittoria.
Qualsiasi via umana
al cristianesimo, per quanto nobile, non può finire che bruciata
nell’irrilevanza. Qualsiasi via superbamente e satanicamente soggettiva al
cristianesimo è inutile e dannosa perché lascia nella “palude” chi invece
pretenderebbe di salvare. Invece nel silenzio Dio ha risposto con la Parola
fatta carne, il Figlio che da quel giorno in cui fu crocifisso fuori
Gerusalemme, ha fatto di ogni “palude” il suo Golgota. Per trasformarla, con la
sua Croce, in un giardino, quello dell’Eden perduto a causa della stessa
menzogna che “Silenzio” ci sussurra velenosamente nel cuore. E’ vero che molti
cristiani sono rimasti nascosti durante più di due secoli, ma non è stato, come
dice Inoue, grazie all’apostasia dei missionari. No, pur tra tante difficoltà,
senza eucarestia e confessione, senza presbiteri, e per questo dimenticando
molte cose e cadendo in qualche sincretismo, loro sì che hanno conservato il
cuore limpido e puro in Cristo.
E’ stata una Grazia,
chiaro, ma non di certo il trionfo della via giapponese al cristianesimo come molti,
purtroppo, proprio in questa terra vorrebbero realizzare. La prova è che,
scoperti proprio perché attirati da un prete, non hanno nascosto la loro fede,
e molti , intorno al 1870, duecento anni dopo l’abiura di Ferreira, hanno
offerto la vita per Cristo. Bambini, adulti, anziani, uniti nella stessa
comunità che secoli prima i missionari aveva fondato, con la forza di
quell’essere nuovo che era Cristo accolto nel battesimo, custodito nella
preghiera e per questo vivo in loro, hanno testimoniato con il sangue quel
nuovo modo di agire che è l’unica via autentica del cristianesimo. Perché
Cristo ha piantato la sua Croce in ogni “palude”, anche quella di un grembo che
gesta un figlio malato, anche nel letto di un malato terminale, nel tuo
matrimonio, in ogni ingiustizia. E salva dalla morte con il suo amore che
infonde senso e pace ad ogni dolore. L’amore che ha vinto la morte e ci fa
partecipi, già nella “palude”, della sua resurrezione. La vita da risorti
gestata in noi come nei cristiani giapponesi di tre secoli fa dalla Chiesa,
Sposa feconda e non sterile del Signore, è il cammino luminoso del cristianesimo,
offerto gratuitamente a ogni uomo di ogni luogo e di ogni generazione. Anche
nella nostra, dove siamo chiamati a combattere la buona battaglia per difendere
la fede nella speranza certa della corona, annunciando il Vangelo alle Nazioni
in obbedienza alle ammonizioni di San Paolo a Timoteo: “Ti scongiuro davanti a
Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua
manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni
occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni
magnanimità e dottrina”. E’ la via dell’evangelizzazione, quella
che ci ha indicato il Signore risorto, come ha spiegato il Cardinale Ratzinger.
Vi lascio queste sue parole che illuminano di speranza il nostro cammino nella
storia:
“Nessuno vive solo. Il richiamo al
rapporto fra vangelo e cultura vuole mettere in luce questo. Divenire cristiano
necessita un rapporto vitale, nel quale si possano realizzare risanamento e
trasformazione della cultura. L'evangelizzazione non è mai soltanto una
comunicazione intellettuale, essa è un processo vitale, una purificazione ed
una trasformazione della nostra esistenza, e per questo è necessario un cammino
comune. Perciò la catechesi deve necessariamente assumere la forma del
catecumenato, nel quale si possano compiere i necessari risanamenti, nel quale
soprattutto viene stabilito il rapporto fra pensiero e vita. Eloquente è al
riguardo il racconto, che Cipriano di Cartagine (+ 258) ha dato della sua
conversione alla fede cristiana. Egli ci racconta che prima della sua
conversione e battesimo non poteva affatto immaginarsi, come si potesse mai
vivere da cristiano e superare le abitudini del suo tempo. Egli fornisce in
proposito una cruda descrizione di quelle abitudini, che ricorda proprio le
Satire di Giovenale, ma anche fa pensare al contesto vitale, nel quale oggi
devono vivere i giovani: si può qui essere cristiani? non è questa una forma di
vita superata? Quanti si chiedono questo, a ragione in realtà parlando da un
punto di vista puramente umano. Ma l'impossibile, così narra Cipriano, fu reso
possibile per la grazia di Dio ed il sacramento della rinascita, che
naturalmente è considerato nel luogo concreto, nel quale esso può divenire
efficace: nel cammino comune dei credenti, che aprono una via alternativa da
vivere e la mostrano come possibile. Qui siamo ora di nuovo al tema della
cultura, al tema del "taglio". Infatti Cipriano parla proprio della
violenza delle "abitudini", cioè di una cultura, che fa apparire la
fede come impossibile. Più di cento anni dopo Gregorio di Nazianzo (+ 390)
esalta la conversione di Cipriano con le seguenti parole: "Per le sue
conoscenze... rendono testimonianza anche le opere, di cui egli compose molte e
notevoli per il nostro argomento, dopo che, grazie alla bontà di Dio, 'che
tutto crea' e 'volge al meglio' egli aveva messo in salvo la sua formazione
precedente portandola da questa parte e aveva sottomesso l'irragionevolezza
alla ragione". Proprio perché egli sul cammino della conversione, mediante
il taglio del Logos, ha trasformato la cultura del suo mondo, egli ha
"messo in salvo" ciò che di essenziale e di vero essa conteneva.
Mediante l'incisione nel sicomoro della cultura antica i Padri l'hanno nel
complesso "messa in salvo" per noi e trasformata da strumento marcio
in un frutto grandioso. Questo è il compito, che oggi è a noi proposto nei
confronti della cultura secolarizzata del nostro tempo” (J. Ratzinger, Intervento al Convegno
“Comunicazione e cultura, 9 novembre 2002).
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