ANCHE LO STUDIO E' AMORE, PERCHE' IN CRISTO TUTTO E' FATTO PER
AMORE
Dante:
"Studio... è applicazione de l'animo innamorato de la cosa a quella cosa"
Mentre preparavo la lezione mi sono imbattuto in
questa definizione dantesca di 'studio': applicazione dell'animo innamorato
della cosa a quella cosa. Non c'è conoscenza senza amore previo. L'intelletto
si dà solo se è d'amore. Per questo studiare è questione prima d'amore e dopo
di applicazione. Non possiamo spiegare se prima non studiamo. Non possiamo
studiare se prima non amiamo. D'altronde studium in latino significa prima di
tutto: passione. Credo che la farò incorniciare in classe. (Alessandro D'Avenia)
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GESU' CI RICREA, ALTRO CHE MAQUILLAGE. UNICA
CONDIZIONE, FARE COME SAN GIROLAMO, DARE A CRISTO OGNI NOSTRO PECCATO CON NOME
E COGNOME
Quello che faceva Gesù non era soltanto un cambiamento dal
brutto al bello, dal cattivo al buono: Gesù ha fatto una trasformazione. Non è
un problema di far bello, non è un problema di maquillage, di trucco: ha
cambiato tutto da dentro! Ha cambiato con una ri-creazione: Dio aveva creato il
mondo; l’uomo è caduto in peccato; viene Gesù a ri-creare il mondo. E questo è
il messaggio, il messaggio del Vangelo, che si vede chiaro: prima di guarire
quell’uomo, Gesù perdona i suoi peccati. Va lì, alla ri-creazione, ri-crea
quell’uomo da peccatore in giusto: lo ri-crea come giusto. Lo fa nuovo,
totalmente nuovo. E questo scandalizza: questo scandalizza! Il Signore, ha
ripreso, “ci aiuti a prepararci al Natale con grande fede” perché “per la
guarigione dell’anima, per la guarigione esistenziale la ri-creazione che porta
Gesù ci vuole grande fede”. “Essere trasformati questa è la grazia della salute
che porta Gesù. E bisogna vincere la tentazione di dire “io non ce la faccio”,
ma lasciarci invece “trasformare”, “ri-creare da Gesù”. “Coraggio” è la parola
di Dio: Tutti siamo peccatori, ma guarda la radice del tuo peccato e che il
Signore vada laggiù e la ri-crei; e quella radice amara fiorirà, fiorirà con le
opere di giustizia; e tu sarai un uomo nuovo, una donna nuova. Ma se noi: ‘Sì,
si, io ho dei peccati; vado, mi confesso… due paroline, e poi continuo così…’,
non mi lascio ri-creare dal Signore. Soltanto due pennellate di vernice e
crediamo che con questo sia finita la storia! No! I miei peccati, con nome e
cognome: io ho fatto questo, questo, questo e mi vergogno dentro il cuore! E
apro il cuore: ‘Signore, l’unico che ho. Ricreami! Ricreami!’ E così avremo il
coraggio di andare con vera fede – come abbiamo chiesto – verso il Natale.
Sempre,cerchiamo
di nascondere la gravità dei nostri peccati. Per esempio quando sminuiamo
l’invidia. Questa, invece, ha detto Francesco “è una cosa bruttissima! E’ come
il veleno del serpente” che cerca “di distruggere l’altro!. Andiamo al fondo
dei nostri peccati e poi darli al Signore, perché Lui li cancelli e ci aiuti ad
andare avanti con fede. Un Santo, studioso della Bibbia che aveva un carattere
troppo forte, con tanti moti di ira e che chiedeva perdono al Signore, facendo
tante rinunce e penitenze: “Il Santo, parlando col Signore diceva: ‘Sei
contento, Signore?’ – ‘No!’ – ‘Ma ti ho dato tutto!’ – ‘No, manca qualcosa…’. E
questo povero uomo faceva un’altra penitenza, un’altra preghiera, un’altra
veglia: ‘Ti ho dato questo, Signore? Va bene?’ – ‘No! Manca qualcosa…’ – ‘Ma
cosa manca, Signore?’ – ‘Mancano i tuoi peccati! Dammi i tuoi peccati!’. Questo
è quello che, oggi, il Signore ci chiede a noi: ‘Coraggio! Dammi i tuoi peccati
e io ti farò un uomo nuovo e una donna nuova’. Che il Signore ci dia fede, per
credere a questo”.
(Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 5 dicembre 2016)
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LA VITTORIA DEL NO PROFEZIA DELLA MISSIONE DEL SALE, DELLA LUCE E DEL LIEVITO CHE SALVANO LA MASSA ACCECATA DALL'IDEOLOGIA E DALLA MENZOGNA
La piazza del Family Day costituì un fatto politico, e oggi ne vediamo gli effetti. Ma quella Piazza è stata molto di più, un evento profetico, capace cioè di leggere la realtà presente, interpretarla, e offrire un discernimento sicuro per camminare nel futuro, perché solo chi ha un passato certo come una Roccia e luminoso come il perdono può inoltrarsi senza paura nella storia. Quella Piazza fu un fatto politico perché ancorato nella fede che sorge nella Chiesa ed è fondata sulla Roccia che è Cristo, la fede verso e nella quale cammina la stragrande maggioranza di quanti vi hanno partecipato. Per questo in quella piazza non c'erano solo slogan e voti, ma volti e storie che il "potere" non ha mai compreso e accolto, perché il potere è in mano al principe di questo mondo e odia quei volti e quelle storie. Il potere arrogante di "chi governa le Nazioni" non serve ma si serve delle persone. Per questo possiamo brindare al risultato di questo referendum solo con la "serena" consapevolezza che la Storia la guida Colui che dall'alto se ne ride dei progetti dei popoli (Sal 2) invitando i governanti alla saggezza. Possiamo rallegrarci oggi solo a patto che sappiamo riconoscere in questo evento un nuovo "kairos", un tempo favorevole di conversione per tutti noi. I cristiani sono persuasi che nessun referendum offrirà mai a un uomo la capacità di amare sino alla fine sua moglie, così come nessun voto saprà dare a una donna la forza di donarsi senza riserve accogliendo suo marito esattamente come egli è. La Costituzione è un pezzo di carta molto importante ma non è Parola di Dio, si può cambiare e adeguare, così come una Legge di bilancio o sul codice della strada. Quello che, come ci hanno insegnato il Signore e il suo Apostolo Paolo, nessuna Legge può dare è la certezza del suo compimento. Può solo arginare (pochissimo) il male e impedire che la deriva morale si trasformi rapidamente in uno tsunami devastante. Ecco, oggi l'argine ha tenuto, e nonostante alcune leggi sconsiderate e sataniche siano state approvate, quel Popolo che si nutre di fede ha mostrato che quella fede ha la capacità di farsi carne e pure voto se necessario. "Per amore dei suoi figli" e di quelli di ogni italiano.... Per dare anche a un voto popolare un pochino di sapore celeste, una luce profetica sulla storia contemporanea dell'Italia offerta a chi ha o sta per prendere il potere. Arriveranno altre tempeste, ben più terribili, sono tutte profetizzate è inutile illudersi, ma se quel Popolo che scese in Piazza saprà perseverare nella Chiesa (nonostante alcune miopie) e restare saldo nella fede ancorando la casa sulla Roccia, non ci sarà da temere. La vita divina e il martirio quotidiano, fino al sangue chissà, saranno il NO a satana e alle sue menzogne che salverà il mondo, esattamente come quel giorno a Piazza San Giovanni prima e al Circo Massimo poi quel Popolo offeso e non considerato gettò le premesse del risultato di oggi. Nessuno o quasi lo riconoscerà, come nessuno sa e può riconoscere il ruolo decisivo della Chiesa nella storia. Non potrebbe essere diversamente, ma non ci preoccupa, anzi. Questo referendum rivela una volta di più il ruolo decisivo dei cristiani, anche nella società. Il ruolo cioè della luce, del sale e del lievito, che offrono se stessi per salvare una massa inconsapevolmente votata al suicidio per aver creduto supinamente alle menzogne del seduttore di tutta la terra. Ecco, dietro la vittoria del No vi sono i piccoli, le famiglie derise e dimenticate, ma senza le quali oggi l'Italia sarebbe stata un pochino peggio. E non è poco.... Coraggio allora, perché in ogni evento Dio continua a parlarci e a chiamarci a conversione, ciascuno nella sua chiamata e vocazione, chiedendo senza posa la comunione, vitale anche per chi si affaccia alla res-publica.
Antonello Iapicca Pbro
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AD-DIO FIDEL. A TE LA MISERICORDIA, A NOI IL DISCERNIMENTO PER NON CADERE NELLE TRAPPOLE DELLE IDEOLOGIE
"Si guasta il carro
funebre..."
La fine di Castro metafora del
suo regime: la camionetta che portava l’urna con le ceneri si guasta. I soldati la trascinano
fino alla tomba (LIBERO 6 DICEMBRE 2016)
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QUESTA LA VERA EMERGENZA: IL
PECCATO CHE FERISCE CHI CI E' ACCANTO
"Turno finito, niente
parto. E il bimbo nasce infermo"
Avevano fretta di andarsene
dall’ospedale: due dottoresse non eseguono il cesareo e falsificano gli esami.
Il piccolo è cerebroleso (LIBERO 6 DICEMBRE 2016)
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LA
VICENDA (SINO AD ORA...) DEL PRESIDENTE RENZI E' UNA PARABOLA PER TUTTI.
"PRECIPITEVOLISSIMEVOLMENTE"
PER
UNA VOLTA SIAMO D'ACCORDO CON GRASSO: "DA TRIBUTO A TESTAMENTO".
Il video si chiama «Mille
giorni di governo» e dura 5’30”. Mille giorni invecchiano: al giuramento il
premier sembrava un ragazzino, al congedo il suo volto reca i segni del tempo.
Le mille e una notte di un governo che ha cercato di sopravvivere anche con i
racconti, come Shahrazad. Renzi si racconta con un timer che scandisce lo scorrere
del tempo, con le date dei provvedimenti, dall’aprile 2014 (reato di scambio
politico-mafioso) al novembre 2016 (nuova disciplina del cinema e
dell’audiovisivo). Per ironia della storia, un audiovisivo che si trasforma in
testamento. Renzi parla di Renzi, sempre in primo piano, come se la
collegialità non esistesse, come se il suo Io fosse ingovernabile. È un testo
prezioso (fatto troppo bene per essere confezionato in poche ore), la
confessione di un arcangelo caduto. (Corriere della Sera, 6 dicembre 2016)
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"NELLA BUONA E NELLA
CATTIVA SORTE". LA VERA BUONA NOTIZIA E' UNA DONNA CHE CORAGGIOSAMENTE
RIVELA IL COMPIMENTO BELLO E AUTENTICO DI SE STESSA NELL'ESSERE MOGLIE
SEMPRE...
NEMESI A PALAZZO CHIGI.
PROPRIO CHI HA OBBEDITO ALL'EUROPA DEI MASSONI FACENDO UNA LEGGE CHE DEMOLISCE
LA FAMIGLIA E L'ANTROPOLOGIA AUTENTICA E RIVELATA, TROVA NELLA MOGLIE E NELLA
FAMIGLIA IL PARACADUTE PER NON SCHIANTARSI SULLA PROPRIA SCONFITTA. MATTEO,
GUARDA LA MANO TESA DELLA VERITA', E RIPARTI DA LI'....
"A Matteo resta soltanto
Agnese. Ma non è poco"
Agnese era lì, nel salone di
Palazzo Chigi, a tre passi di distanza dal marito premier sconfitto, mentre lui
annunciava le sue dimissioni irrevocabili dalla guida del governo nella sua
tragica notte del referendum. Agnese era lì, in piedi,dignitosa, composta e
silenziosa, con le mani raccolte,vestita non con i pizzi di Scervino delle
grandi occasioni ma in pantaloni neri e maglione chiaro a collo alto, come
quando si sta in famiglia in inverno, lontano dagli impegni ufficiali,e come
pronta a prendere per mano il marito e riportarlo a casa tra il calore degli
affetti veri.
Agnese era lì, nella sede del
governo, nel giorno più amaro di Matteo Renzi, illuminato dalle telecamere di
tutte le reti televisive nazionali,mentre di fronte al podio lui pronunciava il
suo discorso di addio. Agnese era lì, gli era accanto, esponendola sua
complicità di moglie, la sua condivisione di sentimenti, la sua indiscussa
solidarietà, testimoniando come di solito solo le mogli vere sono le uniche
destinate a stare vicino ai mariti nei momenti peggiori, di matrimonio, di vita
o di malattia.
Agnese era lì,senzaunsorriso,
senza espressione, ma quella sua presenza in piedi, in quel salone, parlava più
di tanti discorsi, di tante battute e diceva: «Io sono qui, ti sono vicina come
sempre, ti aspetto, quando avrai finito ti accompagno a casa dai nostri figli,
che la cena è pronta». Agnese era lí, impassibile e a ciglio asciutto,
lontanamille miglia dalle lacrime delministro Maria Elena Boschi nella stanza
accanto, lontana dalle polemiche rumorose del gigliomagico sulla catastrofe
referendaria, lontana dalle faide interne con a capo D’Alema e Bersani, lontana
da quelli che avevano cantato vittoria sul filo di lana, ed anche lontana dalla
valanga diNo rovesciata dagli italiani addosso a Renzi.
Agnese era lí per Matteo, per
suo marito, per il bullo di Rignano sicuro e spaccone che davanti a lei
recitava con voce incrinata il suoultimodiscorsodacapodelgovernoitaliano.
Agnese era lìnon da first lady , ma damoglie edamadre, da compagna di vita
dell’ex boy scout abituato a vincere, a prendersi quello che voleva con
arroganza e spocchia, con coraggio e con violenza, dal ragazzo che calpestava
le regolecondisprezzo,che esercitava il potere acquisito ridicolizzando i ruoli
degli amici di partito, che denigrava i suoi predecessori, che tentava di
governare con un personalismo inesperto che lo ha condotto in un colpo solo
alla sua catastrofe politica. Agnese era lì,sorda agli sghignazzi festanti dei
grillini in piazza,agliattacchi duri dei leghisti davanti ai microfoni, alla
soddisfazione beata dei forzisti nel salotto di Bruno Vespa e ai sorrisi
ironici della sinistra del Pd radunata nella sede di via delNazareno.
Agnese era lì, a schiena
dritta, con lo sguardo fisso sul marito e con il dolore ben nascosto, con la
delusione mascherata, senza isterie, senza drammi e soprattutto senza parole.
Agnese era lì nel giorno della caduta, come nessuna moglie di premier aveva mai
fatto fino ad oggi, né quella di Andreotti, di Craxi, di Ciampi,di Prodi, di
Berlusconi, diMonti e di Letta, e come nessuna di loro ci ha messo la faccia,
il corpo e il cuore a sostegno del marito che da rottamatore si è ritrovato
rottamato. Agnese era lì, di fronte all’Italia che ha dettoNo, di fronte ai
consensi divenuti dissensi, di fronte al suo uomo fino a poco prima
protagonista assoluto di un’invasione mediatica e di una campagna referendaria
senza precedenti,di una battaglia dura,dai toni esasperati, di una lotta corale
persa con l’onore dei vinti, e lei era lì immobile e impassibile di fronte ai
giornalisti che vergavano frenetici il disonore da mandare nei titoli in prima
pagina all’alba.
Agnese era lì,pacata e
rassicurante, mentre in mente le scorrevano veloci le immagini degli ultimi mesi,
le visite di Stato, i ricevimenti, le cene con la Merkel, le foto con gli
Obama, le Leopolde affollate, un mondo finito, un sipario sceso all’improvviso,
una scenografia cambiata e capovolta, più reale, dalla quale emergevano con
forza solo le macerie dei recenti terremoti, i barconi zeppi di immigrati che
continuano ad arrivare sulle nostre coste, le strade e i ponti che crollano
sotto le alluvioni, i giovani senza speranza di lavoro, la ripresa economica
promessa e mai arrivata e gli italiani che non ci credono più. Agnese era lì
per stare accanto a suo marito durante il suo ultimo discorso da presidente del
Consiglio, il suo annuncio più sincero, per non fargli tradire l’emozione, per
accoglierlo quando lui si è poi avvicinato a lei, quando le ha messo il braccio
sulle spalle e si è lasciato portare via, per tornare a casa al riparo dai
tanti nemici,dagli odi e dai rancori, come un marito qualunque, che si appoggia
alla moglie quando ha bisogno,quando è smarrito,ma che le riconosce la forza
femminile e il conforto sicuro.
Agnese era lì. (Libero, 6
dicembre 2016)
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“NO FEDE NO BELLEZZA”, PERCHE'
L'AGIRE, TUTTO, SEGUE SEMPRE L'ESSERE...
"IN MORTE DELLA
BELLEZZA". ALDO MARIA VALLI ANALIZZA LUCIDAMENTE L'ARCHITETTURA ECCLESIALE
CONTEMPORANEA CHE SCATURISCE DALLA PERDITA DELLA FEDE
Ogni volta che viene consacrata una nuova
chiesa sono contento, perché Dio ha una nuova casa e le persone un luogo dove
pregarlo. Se poi il luogo in cui la chiesa è consacrata è una periferia
desolata, ancora meglio: in mezzo ai palazzoni-dormitorio, dove magari non c’è
neanche una piazza per incontrarsi, la chiesa diventa un’isola di umanità e di
speranza in un mare di grigiore reale ed esistenziale. Tra le periferie più
desolate ci sono quelle romane, e dunque quando su «Roma sette», supplemento di
«Avvenire», ho letto che a Ponte di Nona sarà presto consacrata una chiesa
intitolata a Santa Teresa di Calcutta, ho pensato: che bello! Poi purtroppo ho
visto la foto. Questa nuova chiesa, devo dire, non è brutta. È orrenda. E allora
mi sono chiesto: perché? Voglio dire: perché una chiesa così orrenda? E perché
le chiese nuove sono tutte immancabilmente
orrende? Che cosa abbiamo fatto di male noi cattolici contemporanei per
meritarci chiese che fanno letteralmente spavento? Quale colpa dobbiamo
espiare? Mi piacerebbe chiederlo ai vescovi e ai responsabili diocesani che si
occupano di queste cose. Qui non posso pubblicare immagini, ma vi chiedo di
andare a vedere in internet. Se cercate la nuova chiesa dedicata a Santa Teresa
di Calcutta, a Ponte di Nona, a Roma (via Guido Fiorini, 12) la trovate subito.
Purtroppo. Penso che se avessero chiesto di disegnarla a un bambino di sei anni
il risultato sarebbe stato di gran lunga migliore. Come definire questa
presunta chiesa? Un magazzino? Un hangar? Un pezzo di fabbrica? Un bunker? Una
casamatta? Secondo l’architetto, del quale per carità non faccio il nome, vista
di profilo la chiesa può contenere l’immagine di Madre Teresa in preghiera. Ci
vuole una certa immaginazione. Il problema è che, di profilo o non di profilo,
questo edificio resta orrendo. Quello che dovrebbe essere il campanile sembra
una lunga zanna cariata, oppure una specie di torretta industriale, o una
cabina elettrica non terminata. Quanto al corpo centrale, potrebbe sembrare la
tribuna di uno stadio, ma una brutta tribuna di un brutto stadio. E vogliamo
parlare dell’interno? Un grande vuoto. Di una freddezza sconcertante. Penso che
un deposito di frigoriferi, al confronto, trasmetta più calore. Ora torno alla
domanda di prima: perché? Perché le chiese di questi nostri tempi devono essere
così orrende? Perché ci siamo condannati alla bruttezza estrema, senza
speranza? Perché gli architetti ai quali vengono commissionate non sanno fare
altro che tirare linee dritte come se fossero alle prese con il progetto d’un
supermarket? Perché ignorano del tutto il bisogno di raccoglimento e di
intimità spirituale? Perché non possiedono nemmeno una briciola di senso del
sacro? Ma, soprattutto, perché le nostre diocesi si rivolgono proprio a questi
architetti che sembrano ignorare tutto della vita della Chiesa? Perché, a dirla
tutta, i nostri vescovi commissionano chiese a chi, con ogni evidenza, la
Chiesa la odia? Possibile che non ci sia in giro un architetto dotato di un
minino di pietà per i fedeli e di un minimo di amore per nostro Signore? Mentre
scrivo, mi viene in mente una possibile risposta. Forse è tutto un calcolo
astuto. Siccome le liturgie, in queste nostre chiese di questi nostri tempi,
sono spesso, a loro volta, orrende, ecco che i signori vescovi pensano: per
liturgie orrende ci vogliono chiese orrende, è una questione di coerenza. Per
liturgie sciatte, a base di schitarrate e canti sguaiati, con altoparlanti che
ti sfondano i timpani, cori stonati, preti che pensano di essere a un
talent show e fedeli che si comportano come se fossero al centro commerciale, è
giusto mettere a disposizione chiese adeguate. Non so se questo sottile
ragionamento – che comunque è un’ipotesi – sia animato anche da un
intento pedagogico, ma penso di no. Probabilmente l’intento è soltanto
punitivo.
Ma ecco che mi si propone un’altra risposta. E
se fossimo davanti, ancora una volta, al vecchio complesso d’inferiorità che
immancabilmente coglie molti nostri pastori? Se, semplicemente, facendo
costruire queste chiese che sembrano magazzini, i nostri pastori pensassero di
essere «moderni»? Probabilmente anche loro le considerano orrende, ma per non
mostrarsi arretrati e inadeguati dicono che sono belle, innescando così un
equivoco terribile e senza fine, a causa del quale gli architetti presentano
progetti sempre più orrendi e i vescovi dicono che sono sempre più belli. Il
problema è che le vittime finali siamo noi poveri fedeli, costretti a
frequentare luoghi di culto dai quali, se non fossero stati consacrati
ufficialmente, staremmo certamente alla larga, tanto sono repellenti. Mi viene
da sorridere, amaramente, pensando che noi contemporanei, capaci solo di
sfornare chiese orribili e agghiaccianti, ricorriamo all’espressione «secoli
bui» per parlare del medioevo, quando i nostri progenitori costruivano
cattedrali meravigliose, capaci di indurre a pensieri di fede perfino gli atei
più incalliti. Se quelli erano «secoli bui», i nostri che cosa sono? Una cosa è
certa: le chiese nuove, al contrario delle cattedrali medievali, riescono a
indurre pensieri di ateismo perfino nei cattolici più devoti. Non so se ci
avete fatto caso, ma nelle chiese nuove, in questi ambienti terribili che non
sembrano case di Dio ma luoghi di punizione e perdizione, non si sa letteralmente
dove guardare. Non avendo un’anima, non hanno un centro. Per trovare il
tabernacolo, un visitatore può impiegare un bel po’, e magari alla fine non lo
trova. Non c’è niente che conduca lo sguardo e lo spirito verso il cuore della
chiesa. Tutto sembra pensato, piuttosto, per sviare e confondere. Tutto sembra
pensato e progettato perché tra lo spazio di fuori, quello della quotidianità,
e lo spazio di dentro, quello che dovrebbe essere lo spazio sacro, non ci sia
alcuna differenza. Bruttezza fuori, bruttezza dentro. Anonimato fuori,
anonimato dentro. Appiattimento fuori, appiattimento dentro.
Ora, io so bene che il buon Dio non si fa
problemi e abita tra noi ovunque. Ma perché noi non siamo più capaci di
rendergli gloria? Perché facciamo di tutto per accoglierlo male? Perché i
nostri pastori si ostinano a trovargli case così terribili, così inospitali,
così fredde, quasi che, anziché invitarlo a entrare, lo volessero cacciar via?
Sento già la risposta: ma tu sei un vecchio conservatore e consideri brutto
tutto ciò che è moderno e bello solo ciò che è antico! Eh no, cari miei. Io
sarò pure un vecchio conservatore, ma considero brutto ciò che è oggettivamente
brutto, e rivendico il diritto di dirlo a voce alta. E forse, se ci mettessimo
in tanti, a dirlo, qualcosa potrebbe cambiare. Da Platone a san Tommaso, la
bellezza è un attributo della verità e dunque di Dio. Noi invece inseguiamo la
bruttezza. Perché? Solo stupidità? Solo sciatteria? No, senz’altro c’è di più.
Immersi in un pensiero che prova odio per l’idea stessa di verità e
considera inesistente il bene oggettivo, non possiamo far altro che consegnarci
al brutto. È fatale. Ma che questo avvenga con il timbro dei pastori mi mette
una grande tristezza. Se è vero, come scrisse Dostoevskij, che la bellezza
salverà il mondo, mi sa tanto che noi dobbiamo considerarci spacciati.
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L'UNIVERSITA' DI OXFORD DIXIT. NON CERTO UNA FACOLTA' TEOLOGICA...
LA RIVINCITA DEL PADRE, CONTRO
IL "PENSIERO UNICO SECOLARIZZATO"
Università di Oxford: “Padri presenti donano equilibrio ai
figli”.
Un padre molto presente, aiuta lo sviluppo dei figli e ne fa
donne e uomini più equilibrati. Ragazzini ben seguiti, infatti, hanno il 28% di
probabilità in meno di avere problemi comportamentali. È quanto emerge da una
ricerca dell’Università di Oxford, che ha esaminato un campione di seimila
bambini, seguiti per dieci anni. Sulla stampa internazionale la notizia ha
avuto una notevole eco. Proprio in una fase storica in cui spira forte in
Occidente il vento di ideologie tese a destrutturare l’identità sessuale e a
demolire l’istituto familiare, la scienza lucida a nuovo e ricolloca al vertice
la figura dell’uomo quale pater familias. Siamo forse al tramonto
della campagna di indebolimento del ruolo del padre, portata avanti fin dal ’68
dal “capitalismo edonista” di concerto con le “burocrazie politiche
marxiste”?
ZENIT ne ha parlato con il prof. Claudio Risé,
psicoterapeuta e scrittore, docente di Psicologie dell’educazione
all’Università Bicocca di Milano.
Prof. Risé, finalmente viene rivalutata l’importanza del ruolo
del padre? Per la verità dati simili, anche molto dettagliati e
impressionanti, erano già noti, raccolti dal Bureau of Census Usa e altre
istituzioni nazionali e internazionali, e già presentati nel mio Il
padre l’assente inaccettabile, la cui prima edizione italiana è del 2003,
poi tradotto in gran parte del mondo. Il fatto è che questi dati non vengono
finora diffusi e presi sul serio da gran parte dei centri di potere politico ed
economico, impegnati invece nell’indebolimento del padre, in quanto figura
potenzialmente disturbante nei confronti della proposta omologante di figure
genitoriali neutre, portata avanti dal pensiero unico secolarizzato,
fino a poco fa dominante nell’ultimo cinquantennio in Occidente.
Nel suo libro Il padre. Libertà dono (ed. Ares,
2013), Lei dice che è compito del padre fare dono della libertà al figlio. Cosa
intende di preciso? In quel libro, per il quale il filosofo Pietro Barcellona ha
scritto una prefazione prima di morire, ho presentato l’importanza per il buon
equilibrio successivo del figlio del rapporto con la madre dal concepimento e
nei primi anni dopo la nascita. Una relazione di carattere fusionale,
istitutiva di forti dipendenze nel figlio e nella stessa madre ma decisiva per
il benessere del piccolo. Perché il figlio “nasca” però, anche come soggetto
autonomo, è necessario che il padre entri affettuosamente nella diade
madre-figlio, portandovi il “dono della libertà al figlio”. Vale a dire
una proposta di emancipazione per entrambi, attraverso specifiche pratiche
e iniziative. Ciò richiede nel padre, ad esempio, una grande attenzione nello
scorgere e valorizzare nel figlio tutti quegli interessi e vocazioni personali
che egli normalmente esprime già dalla prima infanzia, ma che non vengono
spesso colte né dalla madre, troppo preoccupata a soddisfarne i bisogni per
raccoglierne le spinte emancipanti. Anche le figure educative esterne sono
ancora troppo spesso immerse in un modello unidirezionale (dagli
educatori agli educandi), per cogliere le proposte e potenzialità presenti in
questi ultimi. Il padre invece, vicino al figlio senza però esservi mai stato
unito come la madre, è in grado di portare questo dono di libertà, in
particolare se accompagnato dalla proposta e testimonianza di sviluppo
spirituale e accesso al simbolico.
Quanto ha inciso sulla crisi del ruolo paterno il ’68?Il ‘68, che si è a
volte autopresentato come rivolta contro il padre, è stato invece,
a livello profondo, anche una sorta di grido di aiuto verso il
padre, affinché questi smettesse di crogiolarsi nell’autocontemplazione
narcisistica già imperante nell’Occidente secolarizzato e si facesse interprete
della necessità di “liberazione” dei giovani dall’ideologia della soddisfazione
del bisogno che si intuiva già imperante allora e ancor più nei decenni a
venire. Questo richiamo non fu naturalmente accolto da padri già compromessi,
anche moralmente e culturalmente, dall’edonismo di massa. La società dei
consumi e delle pulsioni fu anzi ulteriormente rafforzata, coinvolgendovi il
più possibile anche i nuovi ribelli e decapitando le loro
spinte ideali e potenzialità spirituali. Capitalismo edonista e burocrazie
politiche marxiste si impegnarono con successo a far naufragare nell’opulenza e
nell’immagine la spinta ideale di un’intera generazione, peraltro già confusa
di suo.
È indice di stabilità che giova ai figli anche il rapporto
complementare tra padre e madre?L’innegabile complementarità tra madre e
padre, impressa dalla natura nella fisiologia e psicologia femminile e
maschile, non implica – anzi esclude – ogni ambigua e confusiva complicità,
sempre di scarso valore nel processo educativo. La complementarità è invece
fondata sulla convinta testimonianza da parte di ognuno dei due della propria
diversità, e dell’assoluta necessità di un accordo con l’altro per la presenza
armonica dei due principi e delle rispettive forze e vocazioni.
Se è così importante l’equilibrio dei ruoli di madre e padre,
cosa ne è delle cosiddette “coppie omogenitoriali”?Si tratta di
esperienze recenti, con un tempo di osservazione troppo breve per fornire
valutazioni e dati precisi. Inoltre quelli finora raccolti sono stati
presentati su iniziativa volontaria, e non su raccolte di dati e campionature
scientificamente valide. Il loro significato è soltanto di propaganda di queste
nuove tecniche, e costumi. Si tratta comunque di iniziative tese a cambiare la
stessa riproduzione umana, e dunque l’umanità, finora fondata appunto
sull’unione tra maschile e femminile.
Inoltre le biotecnologie fanno passi da gigante. Quali conseguenze
può avere su un figlio il concepimento da utero in affitto? Hanno l’aspetto di
deliri di onnipotenza individuali, sostenuti da forti interessi politici ed
economici. Dal punto di vista psicologico, ma anche cognitivo e simbolico,
appare evidente che un bambino nutrito da relazioni affettive ed esperienziali
con un solo sesso viene privato delle risorse di quello tagliato fuori dal
processo riproduttivo. Senza dimenticare la diversa qualità dei processi
naturali e quelli costruiti in laboratorio. Si tratta però di altri ed enormi
campi e questioni, sulle quali non desidero inoltrarmi in questo momento.
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Amoris laetitia. Card. Müller: “Non rinnega il
magistero precedente”
Il dibattito
sulla Amoris laetitia, che va avanti ormai dalla sua pubblicazione
avvenuta nell’aprile 2016, si è arricchito di un ulteriore contributo del
cardinale Gerhard Ludwig Müller. In un’intervista all’agenzia austriaca Kathpress,
il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha risposto ai
dubbi sollevati nei giorni scorsi da quattro cardinali, in modo particolare sul
capitolo 8, dedicato al discernimento delle situazioni “irregolari”.
Premettendo di parlare “con l’autorità del Papa” e di non poter “partecipare
alla diatriba delle opinioni”, il cardinale Müller specifica anche che il Santo
Padre potrebbe “incaricare” il suo dicastero di risolvere la controversia. “In questo
momento – ha detto il porporato tedesco – è importante che ognuno di noi
rimanga obiettivo e non si lasci trascinare in una sorta di polarizzazione e
meno ancora contribuisca a rinfocolarla”. In merito all’interrogativo stimolato
dalla Amoris laetitia, ovvero se i divorziati risposati possano, in
casi eccezionali, essere riammessi all’eucaristia, e quindi i pronunciamenti
dei pontefici precedenti non siano più validi, Müller fa presente che il
magistero precedente è ancora valido e cita, a tal proposito, il veto posto nel
1994 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, suo predecessore, alla lettera
pastorale dei vescovi Kasper, Lehman e Saier, che annunciavano la permissione
dell’eucaristia ai divorziati risposati. Il cardinale Müller ha quindi ribadito
che “l’indissolubilità del matrimonio deve essere il fondamento dottrinale
incrollabile per l’accompagnamento pastorale”, mentre il principale obiettivo
di papa Francesco, con la Amoris laetitia, è quello di aiutare le
famiglie e i matrimoni in crisi a trovare “una via che sia in corrispondenza
con la volontà sempre misericordiosa di Dio”. In conclusione il prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede esprime l’auspicio che le vere o
presunte lotte dottrinali all’interno del Vaticano si risolvano con la
“vittoria della verità” e non con il “trionfo del potere”. Non è la prima volta
che Müller interviene sul capitolo 8 dell’ultima esortazione apostolica. Lo
scorso maggio, durante una conferenza presso il Seminario Conciliare di Oviedo,
il cardinale aveva ribadito che la Amoris laetitia non è
affatto in contrasto con la Familiaris consortio di San
Giovanni Paolo II, che indicava ai divorziati risposati, come unico modo per
ricevere la comunione, il vivere castamente, “come fratello e sorella” (cfr FC 84).
“Se la Amoris laetitia avesse voluto cancellare una disciplina
tanto radicata e di tanta rilevanza l’avrebbe detto con chiarezza e presentando
ragioni a sostegno – aveva dichiarato Müller in quell’occasione -. Invece non
vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun
momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano
sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo
visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo”. “Cambiare la
disciplina in questo punto concreto- aveva aggiunto il cardinale tedesco –
ammettendo una contraddizione tra l’eucarestia e il matrimonio, significherebbe
necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza
l’armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l’ha ricevuta da Gesù. Su questa
fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà
concreta, è stato versato sangue di martiri”.
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Abe in visita a Pearl Harbor
Giappone e Stati Uniti chiudono i conti con la Storia
NEW YORK Dopo Hiroshima,
Pearl Harbor. Barack Obama e Shinzo Abe chiudono la doppia operazione
politico-diplomatica. Il 27 maggio scorso il presidente americano aveva
visitato la città giapponese distrutta dalla bomba atomica del 6 agosto 1945.
Il prossimo 26 dicembre, il premier nipponico arriverà nella base navale
americana bombardata a sorpresa il 7 dicembre del 1941. Date, simboli della
grande storia che i due leader hanno trasformato in questo 2016 nell’occasione
per archiviare definitivamente le antiche ostilità. Il modo più plateale, più
solenne per consolidare l’alleanza chiave tra Stati Uniti e Giappone. Obama ha
cercato su tutti i fronti possibili di chiudere i conti con il passato: Cuba,
Vietnam e, appunto, Hiroshima. Shinzo Abe, politico conservatore e
nazionalista, sta cercando di emancipare il Paese dai sensi di colpa maturati
nel Dopoguerra e dalla conseguente irrilevanza militare nel mondo. L’attacco a
Pearl Harbor è forse l’immagine ancora più potente di quella bellicosa
aggressività nipponica che Shinzo Abe vuole oggi sostituire con uno status di
moderna e pacifica potenza armata. L’allora presidente americano Franklin
Delano Roosevelt definì quel 7 dicembre «il giorno dell’infamia». Il blitz
nelle Hawaii fu concepito dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, come risposta
all’embargo petrolifero deciso dal governo americano per appoggiare la Cina e
gli altri Paesi asiatici occupati o minacciati dal Giappone. Circa 350 aerei
piombarono nella baia, affondando la flotta alla fonda e uccidendo circa 2.000
persone. Il premier giapponese visiterà il memoriale, dove sono custoditi i
resti della nave da battaglia Arizona. Gli staff di Tokyo e di Washington sono
al lavoro per allestire un cerimoniale simile a quello che abbiamo visto la
scorsa primavera a Hiroshima. Questa volta toccherà ad Abe pronunciare il discorso
più atteso. È chiaro che nelle previsioni di Obama e, probabilmente anche in
quelle di Shinzo Abe, tutta questa coreografica manovra sarebbe proseguita con
Hillary Clinton alla Casa Bianca. Ma, per quello che si è visto finora, Donald
Trump potrebbe essere un interlocutore ancora più interessante per l’ambizioso
nazionalismo di Abe. Non a caso il premier giapponese è stato il leader
straniero più lesto a ottenere, il 18 novembre, un appuntamento nella Trump
Tower. Le mosse successive del neo presidente americano, però, hanno attirato
l’attenzione dei giapponesi. Trump si è spinto fino alla provocazione nei
confronti della Cina, prima telefonando alla presidente di Taiwan e ieri,
insistendo con un tweet: «I cinesi ci chiedono forse il permesso quando svalutano
la moneta?». Il Giappone ora vuole verificare quali siano le reali intenzioni
di Trump. Fonti del «transition team», il comitato che sta gestendo le consegne
alla Casa Bianca, fanno sapere che il nuovo presidente non avrebbe nulla in
contrario se il Parlamento di Tokyo modificasse la Costituzione, aprendo la
strada al riarmo del Paese. (CORRIERE DELLA SERA, 6 DICEMBRE 2016)
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UN LIBRO DA LEGGERE: IL
DEMONIO DIETRO AD HITLER, NEMICO DI CRISTO E DEI SUOI FRATELLI.
Anticristiano e antiborghese,
i rimpianti finali di Hitler
Nella prefazione Giorgio Galli
rilegge in chiave esoterica ciò che Adolf Hitler dice nel libro Il mio
testamento politico (Bur, pp. 154, e 13), che raccoglie alcune
conversazioni del 1945, oggi riproposte in Italia dopo un’edizione del 1961. Ma
nel testo ci sono anche altri motivi d’interesse. Qui il razzista Hitler, per
cui gli Usa multietnici sono un «gigante dai piedi d’argilla», si distacca dal
determinismo genetico e indica come connotato cruciale degli odiati ebrei la
«struttura mentale»: preferisce il «razzismo spirituale» a quello biologico.
Poi accentua la polemica anticristiana e antiborghese. Rinnega Vichy e si duole
di non aver aiutato «i lavoratori della Francia a realizzare la loro rivoluzione».
Condanna il franchismo, «regime di profittatori capitalisti, fantocci della
cricca clericale». Ammette di aver condotto una «politica dei reazionari
piccolo borghesi» inadeguata ai suoi progetti. Rimpianti di un uomo finito, ma
anche sintomi di una vocazione rivoluzionaria che smentisce l’idea del Terzo
Reich come prodotto del capitalismo. (Corriere della Sera, 6 dicembre 2016)
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