DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Nella mente dei khmer rossi
Avvenire
by Lorenzo Fazzini
«Solo più tardi ho saputo che la maggior parte di coloro che transitavano dal mio ufficio finivano i loro giorni nel S-21 (il famigerato lager di Phon Phem, ndr)». Ordinarietà di un genocidio. Il più sanguinoso di tutta la storia. Un terzo della popolazione cambogiana fu sterminato nell’arco di soli 4 anni, da quel 17 aprile 1975 quando le truppe di Pol Pot conquistarono il potere in quella che fu celebrata (purtroppo anche in Occidente) come la Kampuchea democratica, "paradiso" proletario per generazioni di intellettuali "democratici". Un milione e mezzo di persone, su poco più di 4 milioni di abitanti, sacrificate sull’altare di nozioni come "lotta di classe", "dittatura del proletariato" e altri diktat di marca marxista-leninista.
Ora, per la prima volta, la genesi e la "normalità" del genocidio cambogiano è descritto nel suo formarsi, nel suo accrescere e nel suo svolgere da una voce interna. A farlo è Suong Sikoeun, intellettuale asiatico che militò nelle forze khmer, anzi fu il "megafono" della propaganda di Pol Pot quando nel 1977 al ministero degli Affari Esteri - denominato B-1, in stretto linguaggio burocratico-comunista - fu incaricato della sezione "stampa", precipuamente dell’Agence Kampuchéa d’Information. Fu così, en passant, che Suong - che ha da poco pubblicato in Francia le sue poderose memorie, Itinéraire d’un intellectuel khmer rouge (Cerf, pp. 540, euro 35) - ebbe a che fare con Oriana Fallaci, la celebre inviata italiana, e Tiziano Terzani, la prima "insistente" nel cercare un’intervista con Ieng Sary, numero due del regime; il secondo autore di una memorabile intervista allo stesso per il settimanale L’Espresso. Nella quale lo stesso Ieng - nota bene: il mattatoio ordito da Pol Pot per "purificare" il popolo da tutti gli elementi borghesi era già in atto - qualificava "l’esperienza rivoluzionaria cambogiana" come "senza precedenti".
Ma torniamo a Suong e al suo itinerario all’interno del comunismo orientale. L’apprendistato di salsa marxista avviene per lui, come per altri, a Parigi, santuario degli studenti cambogiani, dove una serie di insegnanti universitari introducono quella che domani sarà un domani l’elite dello sterminio asiatico ai concetti della Rivoluzione del 1789 coniugati all’esperienza comunista. Confessa Suong: «Per quel che mi riguarda, vi è stato un lento processo che risale agli anni ’50 in cui, mentre ero alle superiori, mi sono esaltato per la Rivoluzione francese di cui feci miei gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità.
Questa influenza è stata rafforzata dal mio arrivo in Francia per l’università. Nel corso degli anni mi sono gettato a peso morto nelle attività e nei dibattiti politici, attraverso riflessioni personali approfondite, si è formato a poco a poco nel mio spirito un amalgama di concetti che mi ha condotto alla convinzione che solo una rivoluzione violenta, condotta per un manipolo di militanti devoti e risoluti, intimamente legati alle masse, sotto la direzione del Partito marxista-leninista, potesse mettere un termine ai mali di cui soffriva il mio Paese e il mio popolo: dominazione straniera, oppressione feudale e ingiustizia sociale». Ancora: «Ho letto con avidità tutto quello che riguardava sulla Rivoluzione francese, con preferenza per i giacobini e il suo capo, Robespierre, che era il mio eroe e il mio idolo. Mi sono convinto all’idea di una trasformazione della società con il metodo rivoluzionario e la necessità di una dittatura proletaria».
Suong dà così ragione direttamente al compianto cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger il quale nel suo libro-intervista (La scelta di Dio, Longanesi) indicava nel mix Rivoluzione del ’89-marxismo - di cui era imbevuta una certa cultura francese del Novecento - la responsabilità di aver "armato" la pistola del genocidio cambogiano: «Abbiamo saputo più tardi che un futuro braccio destro di Pol Pot faceva parte di uno dei gruppi estremisti dell’Ecole Normale di Parigi», attivi durante il ’68 francese.
Non mancano, nelle pagine di Suong, racconti di fatti e curiosità quotidiane in salsa polpotiana: negli uffici dei ministeri non si potevano usare i ventilatori anti-caldo, "pratica borghese", sebbene ci fossero tutti gli strumenti del caso; la famiglia veniva "rieducata", i genitori perdevano il diritto di educazione verso i figli (terribile l’aneddoto per cui la seconda figlia di Suong, vedendo il padre insieme al fratello, indica a questo la presenza "di suo padre", distanziandosi così dal genitore secondo le direttive del Partito); nessuna possibilità di celebrare delle feste, addirittura i matrimoni veniva combinati dai responsabili del Partito; e seguendo il celebre detto della Fattoria degli animali, anche nella Cambogia proletaria vi era qualcuno "più uguale degli altri": i membri del Comitato centrale del Partito ricevevano 3 pasti al giorno, i cittadini normali dovevano far meno della colazione.
Lo stesso Suong, al culmine della propria fede nel comunismo, non aveva esitato a pensare di dare un nome "sovietico" alla primogenita, chiamandola Néva in onore del fiume che attraversava Leningrado. Poi, però, quando l’Urss aveva cambiato atteggiamento verso l’esperienza rivoluzionaria cambogiana, anche la piccola mutò nome.
Eppure, una domanda serpeggia nel racconto di Suong, e talora affiora in superficie nel racconto dell’interessato: come è potuto succedere che una persona all’interno della stessa classe politica ai massimi livelli del regime non si sia potuta accorgere della strage, tanto massiccia, quanto invisibile, che Pol Pot metteva in atto? «Perché non ci siamo accorti di niente? È certo che il sistematico lavaggio del cervello combinato ad una psicosi della paura ci ha resi muti e ciechi. Da qui, a parlare di lassismo e complicità, il limite è aleatorio. Nessuno, tra di noi, ha avuto il coraggio di riconoscerlo».
Eppure qualche avvisaglia un politico ed esperto come Suong (che ha girato il mondo, in nome della rivoluzione perfetta alla Pol Pot) poteva averlo. Ma, è lui ad ammetterlo, «ho preferito chiudere orecchi e occhi». Come quando, nel 1977 un contrattempo durante un viaggio con gli ambasciatori di Thailandia e Svezia lo costringe a fermarsi per strada. La delegazione si vide avvicinata da una bimbetta malnutrita che chiedeva di esser portata a vivere a Phnom Penh. «Per convincerci iniziò a raccontare la vita che faceva nella cooperativa locale. Con un lavoro molto duro e un solo pasto di riso al giorno, non le era possibile sopravvivere. E lei non ci poteva mentire visto il suo aspetto di malnutrizione avanzata e di grande malessere fisico». Ma si sa, l’ideologia rende ciechi anche di fronte all’evidenza. E allora a Suong non resta che ammettere: «La Rivoluzione è morta. Abbasso la Rivoluzione!».
Avvenire
Cambogia, un popolo trucidato due volte
Il 17 aprile di trentacinque anni fa, i Khmer rossi, guidati dal loro leader Pol Pot, si impadronirono di Phnom Penh, la capitale della Cambogia. Lo scopo era quello di creare una “società socialista perfetta”.
Le milizie di Pol Pot, sostenute ed armate dalla Cina, avviarono un progetto di "rieducazione" della popolazione, che prevedeva la sua deportazione in massa nelle campagne e il lavoro forzato nei campi di concentramento. Per loro 7 milioni di cambogiani non erano necessari, ne bastavano 4 milioni. E così il 17 aprile 1975 gli abitanti di Phnom Penh furono scacciati dalla città e spinti verso le campagne. Ciò accadde poi nel resto del del paese. Vennero abolite le religioni, le scuole, le professioni, gli intellettuali, la moneta; fu organizzato il lavoro dei campi in cooperative con precisi e massacranti ritmi di lavoro; venne epurata la lingua con l’introduzione di un nuovo vocabolario e con la cancellazione di qualsiasi parola attinente la proprietà, il capitalismo o le semplici relazioni familiari (persino marito, moglie, mangiare o morire); fu istituito un nuovo calendario con l’avvio dell’anno zero della rivoluzione. Il popolo doveva essere rieducato, per eliminare totalmente le “nefaste” influenze occidentali.
Si dette così vita alla Repubblica Comunista di Kampochea (Cambogia). Tutti si si dovevano chiamare “fratelli” e i prigionieri erano costretti a rivolgersi ai loro guardiani con l’appellativo di “fratello maggiore”, fossero questi anche bambini, figli o nipoti, come di fatto avvenne. I ragazzi, le persone poco istruite ma, soprattutto, i bambini erano la forza più adatta alla rivoluzione, addestrati a spiare e denunciare anche i loro stessi genitori nel nome di un’ideologia che considerava crimini cose come l’amare, il rompere un singolo germoglio di riso o semplicemente portare gli occhiali. Tutti potevano essere denunciati, tutti potevano essere criminali, “nemici”, corrotti da eliminare e da cancellare dalla faccia della terra. Le esecuzioni di massa, la fame e le malattie uccisero due milioni di persone in questo esperimento di “socialismo perfetto”. Il genocidio cambogiano passò sotto silenzio e le autorità internazionali dettero un’ennesima prova del loro cinismo. Ed è così che il popolo cambogiano affrontò la morte due volte: una sotto il regime feroce di Pol Pot e l’altra nell’essere dimenticato da una storia oscurata, cancellata persino dai libri di scuola.
Toni Brandi, epolis
Inizia in questi giorni il processo ai Kmer rossi cambogiani. Eppure ben pochi sanno, in Italia, chi siano costoro. Complice una storiografia adulterata dalla propaganda delle sinistre massimaliste, che hanno monopolizzato la cultura per decenni, nel nostro paese...per questo riportiamo un bellissimo contributo dello storico Matteo D'Amico, sul tema.
Gli Khmer rossi prendono il potere il 17 aprile 1975 e lo conservano fino al gennaio del 1979, La loro ascesa al potere era stata preceduta da almeno un decennio di guerra civile e di guerriglia continua, innestata dal fatto che è in corso la guerra del Vietnam e che il territorio cambogiano è utilizzato dalle truppe vietcong per rifornire di armi la guerriglia del sud.
La risposta americana: gli U.S.A. stanno appoggiando il governo conservatore della Cambogia, che nella parte finale è in realtà una dittatura militare) consiste nel bombardamento a tappeto indiscriminato con i B-52 di quasi tutta la Cambogia confinante con il Vietnam, nel tentativo folle di fermare così il contrabbando di armi. In pochi anni, dal 1973 al 1976 la Cambogia (paese, si badi, formalmente alleato degli U,S.A.) è colpita da qualcosa come 540.000 tonnellate di bombe americane, che distruggono i campi di riso e le infrastrutture e uccidono fino a un massimo di 500.000 persone.
Il costo delle bombe scaricate sulla “alleata” Cambogia è di nove miliardi di dollari di allora, qualcosa come dieci volte il P.I.L. di un anno dell’intera Cambogia. E’ un fiume di denaro con il quale si sarebbe potuto rendere la Cambogia stato all’avanguardia in tutto il Sud-est asiatico, ricostruendola completamente. Invece i bombardamenti producono un allontanamento del popolo e dei contadini dal governo e un avvicinamento degli stessi agli Khmer rossi, che appaiono come una vera forza di liberazione. Si tratta in realtà di una forza combattente non superiore ai 60.000 soldati e per lo più composta da adolescenti di tredici , quindici anni.
Il genocidio realizzato da Pol Pot (dal 10% al 40 % della popolazione eliminata in poco più di tre anni di dittatura) sembra in contrasto con il fatto che Pol Pot aveva dato ordine agli suoi quadri di moltiplicare la Popolazione cambogiana da 7 milioni a 20 milioni in 10 anni! Non voleva formalmente distruggere il Popolo cambogiano con uno dei più grossi genocidi in rapporto di numero di morti della popolazione iniziale e al periodo di tempo a disposizione per compierlo. Due milioni circa su 7 milioni di abitanti scompaiono nel nulla. Eppure Pol Pot voleva 20 milioni di abitanti per avere una grande Cambogia industrializzata! Il problema è che il suo pensiero gnostico e contro-esistenziale è irrealistico, è utopistico e quindi si hanno 2 milioni di morti: il crollo più assoluto della natalità, con il 64 % delle donne cambogiane vedove nel 1990. Di fronte a questi dati sarebbe ingenuo pensare che Pol Pot volesse dimezzare la popolazione cambogiana. Non è così! Pol Pot voleva una popolazione molto più numerosa, per avere una Cambogia vincente, capace di contrapporsi al popolosissimo Vietnam.
Dopo la presa del potere viene immediatamente dato corso al Regime comunista più violento forse della Storia. Fin’ora, nei Regimi comunisti c’erano i campi di concentramento, con milioni d’internati. La Cambogia supera questo criterio e diventa lei, tutta, un unico enorme campo di concentramento a cielo aperto.
Normalmente i regimi totalitari comunisti deportano la popolazione. I Cambogiani sono tutti permanentemente sottoposti a regime di deportazione, spostati incessantemente da un posto all’altro come bestiame.
Per esempio, in 3 giorni una città di 2 milioni e mezzo d’abitanti, Phom Penh, viene svuotata di tutti gl’abitanti. Con marce della morte folli che costano circa 20.000 morti. La descrizione di come è ridotta la capitale dopo lo svuotamento sono impressionanti. È come svuotare Roma o Milano in 2 giorni di tutti i suoi abitanti a piedi, lasciando tutto in casa. Non solo, dopo la prima deportazione, la popolazione ciclicamente viene spostata a milioni, da una zona all’altra della Cambogia.
In alcune regioni è proibito per legge ridere o cantare.
Sono bandite le religioni.
Passaporti interni anche solo per spostarsi da un quartiere all’altro delle città per chi poi viene riportato in città!
Divieto di possedere attrezzi da cucina personali. Si può tenere con sé solo un cucchiaio.
Cucine rigorosamente solo comunitarie, con la dipendenza di tutti dagli abusi dei cucinieri.
Divieto di raccogliere frutta o altro cibo o fonte di alimentazione anche se è caduta a terra.
La frutta viene lasciata marcire, la pena di morte viene applicata regolarmente e più severamente su questo tema che per qualunque altra infrazione.
Il divieto sommo è alimentarsi in modo autonomo!
Sequestro di ogni possesso personale.
Dai 7 anni, i bambini sono tolti alla famiglia e vivono in asili con istruttori che iniziano a formarli alla politica comunista attraverso l’uso di canzoni particolari.
Divieto ai genitori di castigare i figli!
Ai mariti è vietato sgridare le mogli : la pena è la morte
Divieto di ogni segno d’affetto in pubblico anche fra marito e moglie.
Obbligo per legge di stare, per un uomo non sposato, ad almeno 3 metri da qualsiasi donna.
Progetto di ricostruire tutti i villaggi come nell’antico totalitarismo incas, con casette totalmente uguali e uniformi.
Obbligo di trasformare tutte le risaie in risaie di 1 ettaro quadrato esatto con la rovina di tutta l’agricoltura cambogiana e la carestia (perché il sistema irriguo preesistente era molto diverso come partizione).
Obbligo per legge di vestire tutti una divisa nera unisex, che poi non è altro che una specie di pigiama tradizionale.
Divieto di indossare un qualsiasi oggetto colorato.
Capelli alla maschietta per tutte le donne indifferentemente.
La pena di morte viene comminata anche per i reati minori: infatti se tutto, come in ogni regime comunista, appartiene allo Stato, ogni delitto, anche il più piccolo è di lesa maestà.
Eliminazione dei 60 mila monaci buddisti ridotti a circa 1000 alla fine del Regime.
Sterminio metodico di tutti i giornalisti e intellettuali se non rinunciano al possesso di libri e se non buttano gli occhiali.
Non si potevano mantenere gli occhiali perché significava conoscere la cultura passata.
Naturalmente, viene anche condannato, in genere alla morte, chi sa il francese la lingua degli ex-colonizzatori.
Gruppo soggetto in proporzione al più duro sterminio: i cattolici, con il 48,9% di morti.
Obbligo di legge, per i musulmani di mangiare carne di maiale, per profanare la loro religione.
Pol Pot considera la malattia come un atto di sabotaggio, che viene spesso punito con la morte. La razione alimentare già ridotta viene ridotta della metà a chi è ammalato.
Marito e moglie non possono dormire insieme; le guardie rosse prendono nota del ciclo mestruale femminile per mandare in base a calcoli medici, i mariti a dormire con le donne solo quando sono in un periodo potenzialmente fecondo (non dimentichiamo il sogno totalmente irrealistico di raddoppiare la popolazione!).
Vietata la cremazione tradizionale dei cadaveri.
Vietata per legge vietata per legge l’uso della parola morte; che va sostituita con l’espressione corpo che scompare (davvero interessante questa inimicizia dei comunisti per l’idea tradizionale di morte: ci ricorda la frase fatta scrivere durante la Rivoluzione francese sui cimiteri: “la morte è un sonno eterno”)
Pena di morte per i rapporti sessuali fuori dal matrimonio.
Massacri eugenetici di feriti, pazzi, mutilati, handicappati.
Soppressa per legge la parola”io”, sostituita con la parola “noi”. Divieto di usare le parole papà e mamma anche per i bambini, con la sostituzione delle parole vietate con “zio o zia”, termini più impersonali.
Per legge vengono bruciate le carte d’identità, i diplomi scolastici e gli album di fotografie.
Le pene più pesanti e più frequenti sono per chi si alimenta da solo sfuggendo alle mense collettive. Conseguenze: da 1 milione e mezzo a 3 milioni di morti in 3 anni di dittatura. Un milione di persone muoiono di fame e malattie legate alla fame.
Un terzo della popolazione è cronicamente sotto alimentato e ammalato.
Il Campo SS-21, il luogo centrale di tortura, inghiotte 1000 persone al mese, 20 mila in 3 anni: tutte morte tranne 3 che sono sopravissute e che sono i testimoni di un interessantissimo documentario2. Fra le altre cose un numero altissimo di persone finite al SS-21 veniva ucciso prelevandogli tutto il sangue per il vicino ospedale.
Durante la dittatura Khmer muore il 33,9% degli uomini adulti e il 15,7% delle donne cambogiane, il 54% dei vecchi oltre i 60 anni. Vi è un crollo completo della natalità: vent’anni dopo la fine della dittatura la popolazione cambogiana non è ancora arrivata al livello a cui era giunta nel 1970.
Vengono uccisi l’82% degli Ufficiali e dei funzionari del Regime precedente. Uccisi anche il 51 % dei laureati e il 41,9% dei abitanti di Phom Penh.
La superficie a riso nel 1976, dopo un anno di dittatura, è il 50% della superficie di riso di prima dell’inizio della dittatura.
20.000 fosse comuni scavate vicine ai campi per usare i cadaveri come concimi per le risaie.
La modalità della morte: 29% fucilazione, 53% sfondamento del cranio, 6% impiccati, 5% sgozzati, 5% percorsi.
I Quadri illustri venivano seppelliti vivi in fosse di carbone ardente per colpire di più la popolazione.
Corsi di rieducazione per tutti gli intellettuali attraverso il lavoro sforzato e la denutrizione.
Distruzione della Biblioteca nazionale e di tutte le biblioteche per fare carta da macero (con danni a volte irreparabili sul piano culturale).
Abolizione del denaro; divieto del baratto e di qualunque attività di commercio.
Monopolio assoluto di ogni fonte alimentare quindi da parte di un potere totalitario e inumano.
È il primo Stato schiavista della Storia moderna. Vi è qui un salto qualitativo rispetto allo stato totalitario; nello stato totalitario si è schiavi solo metaforicamente (a parte i deportati), qui tutti sono deportati e tutti sono schiavi.
Infine, obbligo di piantare il grano, per convincere gli intellettuali a redimersi, anche in campi di pallacanestro o di cemento armato!
Lavaggio del cervello attraverso la redazione di autobiografie e autocritiche continue.
Avvento di una neolingua con la cancellazione, fra le altre parole, della parola “bellezza”, che non si poteva dire, “comodità” che non si poteva dire, e “colore” che viene vietato per legge.Divieto di giocattoli per i bambini e di qualunque attività sportiva, considerata borghese.
Totale isolamento postale, telefonico, aereo, marittimo della Cambogia: impossibilità assoluta di viaggi turistici.Lo scopo di tutto questo insieme di norme spesso anche in contraddizione fra loro era, attraverso un inferno attentamente programmato , plasmare un uomo nuovo.
Siamo di fronte al primo stato schiavista della storia moderna, nel quale lo schiava non può decidere nemmeno cosa mangiare, dove dormire, chi sposare.Viene sequestrato tutto ciò che può distinguere il singolo dalla comunità: biciclette, carri, buoi.
Ucciisone dell’ 82, 6 % degli ufficiali di Lon Nol e del 51,5 dei laureati.
Chiudiamo con il racconto di un testimone oculare che da solo, pensiamo, sintetizza perfettamente il lungo viaggio nella follia e nell’orrore rappresentato dal comunismo:
“Ci ordinarono di piantare riso in un campo di palla canestro sul cemento armato, i Khmer rossi, non volevano che spaccassimo il pavimento ma che lo ricoprissimo con uno strato di terriccio.
Io pensai questi sono matti. Piantare grano senza spaccare il cemento! Poi cominciai a ragionare che un campo di palla canestro è dove va la borghesia a giocare per divertirsi; i contadini devono lavorare per vivere; prediamo una via cittadina, è quella dove i borghesi vanno in automobile; i contadini non hanno automobili e allora distruggiamo la strada! Nella zona sud di Phom Penh ho piantato pomodori per le strade. Ho scavato buche profonde un metro nell’asfalto, le ho riempite di paglia e di merda con le mie mani. Deve piacerti. Ti deve piacere la merda perché dà la vita.
La strada non dà la vita? Non puoi mangiare la strada ma una volta fatti crescere i pomodori, te li puoi mangiare. Non importa quanto produci. Puoi produrre tonnellate di verdure, ma in sè quello non conta; quello che conta è cambiare la propria mentalità!”.
© Copyright Libertà e Persona
Condividi
Dimenticare Pol Pot Un viaggio in Cambogia e la scoperta che i processi politici non eccitano l’opinione pubblica
lontano assegna una
luce diversa anche alle
cose di casa nostra.
Metti Mu Sochua, una donna
cambogiana di 55 anni che è
stata ministro per gli Affari femminili e
poi, in rotta con il governo, ha ingaggiato
una battaglia legale dopo essere stata
diffamata dal premier, che l’aveva
definita “donna dalle forti gambe”, il che
suona, da queste parti, come un insulto.
Mu Sochua ha perso la causa, uscendone
condannata, ma si sta rifiutando di
pagare la multa che le è stata imposta.
Da ministro, Mu aveva patrocinato una
legge contro la violenza domestica e
condotto campagne contro l’abuso dei
minori e lo sfruttamento delle donne. Mu
Sochua sta facendo campagna elettorale
paese dopo paese per rimediare al
bando di fatto che la esclude dalla
televisione e dalla stampa pro
governativa. Ma, e questo risulta curioso
per noi che ci lamentiamo di vivere
un’eterna campagna elettorale, in
Cambogia mancano tre anni alle
elezioni. E’ uno strano paese, quello che
ho girato per una settimana, con un senso
del tempo tutto suo, che non so se
mettere, banalmente, in relazione con il
buddhismo. Metti l’inaugurazione, alla
fine di dicembre, di un nuovo tratto delle
strade numero 5 e numero 6, costruite
durante la dominazione francese per
congiungere Phnom Penh con la
frontiera thailandese. Cinquemila
abitanti dei villaggi sono accorsi alla
cerimonia inaugurale, sotto a uno
striscione che recitava “Dove ci sono
ponti e strade c’è speranza”. Quando sarà
completata, la strada renderà il viaggio
da Bangkok ai templi di Angkor
un’escursione comoda, e già oggi i tratti
completati hanno sottratto molti villaggi
alla loro sonnolenta economia. Ma la
madre di un giovane motociclista, prima
vittima della nuova strada, dopo aver
tamponato un camion privo di luci
posteriori si è lamentata: “Prima, quando
le strade erano cattive, il mio ragazzo
non guidava così veloce”. Nella
costruzione della nuova strada, che
attraversa l’ultimo bastione dei khmer
rossi e alla fine sarà lunga più di mille
chilometri, gli operai, prima di porre
l’asfalto, hanno dovuto rimuovere i segni
del passato: 300 mine antiuomo e 30 mila
proiettili. Ma anche il passato, essendo
una forma del tempo, è strano, in
Cambogia. Alcuni dei 350 operai erano
ex khmer rossi. E Hun Sen, il primo
ministro che ha celebrato
l’inaugurazione perse un occhio, a fianco
dei khmer rossi, nella presa di Phnom
Penh, salvo distaccarsene due anni dopo,
quando si rese conto della politica
genocida di Pol Pot. Per il viaggiatore è
difficile affrontare la Cambogia
dimenticando quel passato, ma per i
cambogiani lo stesso processo che
trent’anni dopo ha messo alla sbarra i
leader dei khmer rossi sembra un pegno
non appassionante da pagare a un
passato che sarebbe meglio dimenticare.
L’altro giorno, nella remota provincia di
Kampong Thom è morto l’ultimo fratello
di Pol Pot, l’ottantaquattrenne Saloth
Nep, che aveva vissuto da contadino. Ha
la stessa età Ieng Sary, già ministro degli
Esteri dei khmer rossi, e per lui gli
avvocati hanno chiesto gli arresti
domiciliari, per le cattive condizioni di
salute, cosa che si apprestano a fare
anche Khieu Sampan, già presidente
della Kampuchea, e Ieng Thirith, moglie
di Sary e cognata di Pol Pot, già ministro
degli Affari sociali. Forse è la loro età
(Nuon Chea, l’ideologo e braccio destro
di Pol Pot, ha compiuto 83 anni in
carcere), forse il fatto che alcuni hanno
scampato la giustizia terrena: (Ta Mok,
l’ex monaco buddhista che si era
guadagnato il titolo di “macellaio”, è
morto in carcere prima del processo), ma
per noi, usi a vedere nella giustizia un
terreno di lotta politica decisivo,
l’opinione pubblica sembra davvero poco
attenta al lavoro di una corte di cui i
giornali sottolineano che è già costata un
milione e mezzo di dollari. Ho chiesto
come mai, e un cooperante italiano mi ha
detto che forse è la convinzione che i rei
pagheranno i loro misfatti nella prossima
vita. La questione “khmer rossi”, che
massacrarono un quarto della
popolazione cambogiana, sembra
affascinare più gli stranieri: sul
lungofiume di Phnom Penh le agenzie
offrono, insieme con le gite ad Angkor o
ad Ho Chi Minh City, un tour dei Killing
Fields che porta alle fosse comuni di
Choeung e al famigerato centro di
detenzione S21, ora museo del
Genocidio. Alla sera anche il viaggiatore
può coltivare l’oblio sedendo sulla
terrazza del Foreign Corrispondent Club,
bevendo qualcosa e guardando il
Mekong, dopo aver salito le scale con le
foto del passato e l’atrio con i ritratti
della famiglia reale. Che effigiano il re in
carica Norodom Sihamoni, fiancheggiato
dal padre Sihanouk e dalla madre
Monineath. Sihanouk è l’uomo al mondo
che ha ricoperto il maggior numero di
cariche politiche, e che ha avuto pochi
tratti coerenti, oltre all’attaccamento al
potere: la passione per il cinema – decine
di film firmati come regista – per le
donne – sei o sette matrimoni – e, dopo
l’esilio in Nord Corea e a Pechino,
Internet, dove ha un sito personale.
Pochi pericoli di continuismo: la carica
di re è elettiva, Sihamoni è un single, e
per lui le donne sono come sorelle, ha
detto un membro della corte.
Toni Capuozzo
© Copyright Il Foglio 24 febbraio 2010
Cambogia. Nuovo vescovo a Phnom Penh: una Chiesa “cattolica e cambogiana” al servizio delle persone
Claire Ly: ritornata dall'inferno della Cambogia comunista
La Cambogia è un paese del Sud-est asiatico con una superficie di 181.000 km2 . Confina con il Laos, la Thailandia e il Vietnam. Nel 1975, la forza rivoluzionaria kmer rossa diretta da Pol Pot prese il potere.
Per costruire una società nuova khmer pura , libera da influenze occidentali, i khmer rossi cominciarono con l’eliminare gli intellettuali khmer. Dopo aver fucilato i notabili, i capiservizio, tutti coloro che avevano responsabilità nell’amministrazione del paese, i khmer vuotarono le città: i cittadini furono mandati senza nessuna struttura di accoglienza nella risaia per una rieducazione attraverso i lavori forzati e la carestia. Io facevo parte di quei cittadini.
Mio marito, mio padre e i miei due fratelli furono fucilati con trecento notabili della mia città natale. In un universo del tutto ignoto, mi sforzai di sopravvivere con i miei figli. L’aggressione psicologica era fortissima: non si sapeva più a quale identità aggrapparsi. Feci l’esperienza di una angoscia esistenziale assoluta. Un solo grido esisteva ancora in me: un grido di collera e di odio senza fine. Sperimentai la forza dell’odio, capace di tenermi in piedi nel turbine della violenza. L’odio che mi invadeva era così travolgente che provavo il bisogno di avere “uno” di fronte a me. La solitudine di fronte a se stessi è vertiginosa, rischia di condurti alla follia. Per non perdere l’equilibrio, avevo bisogno di un”garde-fou”, un parapetto. La buddista che ero nel 1975, avrebbe vissuto una totale destrutturazione della sua coerenza spirituale. La destrutturazione era mia personale, non metteva in dubbio l’insegnamento del Bouddha Sâkyamoni, ma la mia identità personale: chi sono? Come scrive Paul Ricoeur in Soi même comme un autre, stavo per attraversare “la prova del nulla dell’identità”.
Secondo l’insegnamento del Bouddha, l’io è di fatto un’illusione, l’essere vivente è un assemblaggio effimero dei cinque aggregati: corpo, sensazione, percezione,volizione e coscienza. Ma la mia sofferenza era così presente che non avevo più la forza morale di relativizzarla per arrivare all’equanimità del saggio buddista che attraversa “le turbolenze” della realtà senza attaccarvisi. Consapevole della mia grande debolezza morale nel vivere le “virtù buddiste” fino in fondo, sentii il bisogno di avere un capro espiatorio sul quale trasferire tutti i miei sentimenti negativi.
Ho scritto in Revenue de l’enfer”(p. 68, éd. de l’Atelier): “Per ingaggiare la lotta di sopravvivenza spinta da un odio feroce, sento la necessità di un testimone. Mi viene allora in mente di prendere come testimone “il Dio degli Occidentali”, e ”il Dio della loro Bibbia”. Non so se questo Essere Supremo esista davvero o no, ma non ha importanza. Ho deciso che sarà mio testimone, lo sarà fino a nuovo ordine.”
La persona del “Dio degli Occidentali” divenne il mio interlocutore per eccellenza. Non c’è nulla di straordinario per la psicologia attuale: un essere umano in difficoltà è capace di inventare qualunque cosa per sopravvivere … “L’uno di fronte a me” ha permesso un equilibrio nell’annientamento della mia identità. In quanto esperta buddista, ho acutissima consapevolezza della grandezza dell’uomo, il che non mi permette di abbassarmi ad implorare i geni della terra o le altre divinità subalterne. Sono persuasa che il “Dio degli Occidentali” è solo un’astuzia da parte mia per poter sopravvivere in condizioni estreme. Un’astuzia di cui ogni essere umano in difficoltà necessita: una persona che lo ascolti, una persona che si addossi un poco di responsabilità di tutto quello che gli accade.
Un passaggio del salmo 22 dice bene ciò che sentivo nell’inferno di Pol Pot: “Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi ha deposto.”
Quando tutto è naufragio, il “Tu” è una boa di salvataggio nell’oceano scatenato. Il “Dio degli Occidentali” fu per me la boa di salvataggio per due anni. Fu il frutto intelligente della mia mente. I buddisti parlano del fatto di trasferire l’energia delle passioni su oggetti creati mentalmente. All’inizio di quell’avventura spirituale, il “Dio degli Occidentali” esisteva solo per permettermi di trasferire l’energia negativa dell’odio sulla sua persona.
Ma un giorno, vissi la certezza spirituale profonda di un dono venuto da una persona altra da me. Come se il personaggio che credevo fosse un puro prodotto di fantasia di donna rivendicasse la sua identità. Fu una rivendicazione molto timida lontanissima dalle apparizioni rumorose e spettacolari. Come se un innamorato mi offrisse un mazzo di fiori senza nessuna dichiarazione. Il suo bouquet fu la pace nel cuore nel silenzio di un tramonto in mezzo alle risaie di Pol Pot. “Il silenzio è totale, rotto solo dal rumore dei miei passi. Ma si sprigiona da quel silenzio una quiete profonda. Accade qualcosa, come se il mio cuore si fosse infine riconciliato con se stesso, dopo tanti tradimenti, tanto odio, tante vendette.” (Revenue del’enfer, p.103).
Quella quiete mi permise di rifarmi un’identità; una pace del cuore che mi aprì gli altri, una serenità di spirito che mi ridette il gusto della bellezza della natura. Fu come se il dono del Dio degli Occidentali consistesse nel ridarmi un posto nell’intera creazione e mi aiutasse così a ricomporre una identità nell’inferno genocidario. Vissi quell’esperienza in modo certo, spiritualmente, ma molto confuso intellettualmente. Non ho parole per parlare dell’esperienza forte ma incomunicabile. Non riuscivo a identificare l’innamorato dietro il mazzo di fiori….
Fu l’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo che mi dette le parole per parlare dell’irruzione inaspettata di Dio nella mia vita. Accadde in Francia nel 1980. Grazie al Vangelo, riuscii a raccontare il mio vissuto: il racconto per me stessa, essenziale perché mi permise di diventare soggetto della mia propria storia. È il narrare che costruisce l’identità: si racconta ad un altro e il racconto all’altro diventa racconto a se stessi. Affrontai il Vangelo come qualcosa di nuovo. Sono davvero “novità” nel primo significato della parola. Molte cose mi interrogavano: l’annunciazione, la resurrezione…ma Gesù Cristo mi sedusse per la sua umanità. È un maestro che ha una parola per me. Un maestro che non si lascia rinchiudere. Un maestro che dice va, neppure io ti condanno… Uno sguardo oltre gli usi sociali….Un maestro che libera…
Per un anno intero, il Vangelo divenne il mio libro prediletto. Nel 1981, in un santuario mariano nelle Alpi del Sud, feci l’esperienza di un terzo incontro. Durante la celebrazione eucaristica, fui consapevole che il più umano è il luogo di Dio….Accettai il paradosso di Gesù Cristo pienamente Dio pienamente Uomo…. Non è solo un vuoto discorso teologico ma l’esperienza che Dio è là nel vuoto di ogni vita…. Il Vaticano II parla dell’Eucarestia come cima e sorgente della vita cristiana. Vissi l’esperienza durante la celebrazione dell’Eucarestia nel santuario mariano delle Alpi del Sud, a Notre Dame du Laus, come una chiamata: una chiamata ad unirmi alla stirpe di quelli che sono di Gesù Cristo. Domandai quindi il battesimo. Ricevetti il sacramento del battesimo il 24 Aprile 1983 nella diocesi di Nîmes, dipartimento del Gard (Francia).
(Testimonianza di Claire Ly, da : L'eclissi della bellezza, Genocidi e diritti umani, Fede & Cultura, http://fedecultura.com/eclissidellabellezza.aspx, )