DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Nella patria di Lutero i cattolici hanno sorpassato i protestanti

La salute della Chiesa cattolica in Germania è così e così. Intanto però cresce. Lestatistiche ufficiali aggiornate al 2009 dicono che essa ha conquistato il primo posto a spese delle Chiese protestanti.

Prendendo il 1950 come anno di confronto, il sorpasso ha del clamoroso.

I protestanti nel 1950 erano 42,2 milioni. Nel 2009 sono scesi a 24,2 milioni, con una diminuzione del 42,7 per cento.

Al contrario, i cattolici sono passati da 23,2 milioni nel 1950 a 24,9 milioni nel 2009, con una crescita del 7,3 per cento.

Evidentemente, la cura modernizzante che le Chiese protestanti tedesche si sono imposta in dosi massicce, con le donne pastore, le donne vescovo e il via libera ad aborto, eutanasia, divorzio, matrimonio omosessuale, eccetera, ha prodotto questo bel risultato.

Ma nonostante ciò, per curare le magagne della Chiesa cattolica dottoroni tipo Hans Küng insistono a prescrivere la stessa ricetta. E protestano perché il papa tedesco non ne vuole sapere.


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Leggende nere e altri luoghi comuni sul cristianesimo, come controbattere

Come si sa, un metodo rapido e infallibile
per apparire illuminati progressisti
politicamente molto corretti nonché aperti,
lungimiranti, antidogmatici e amabilmente
tolleranti è quello di sparare sul cristianesimo,
sulla chiesa cattolica e sul Papa.
Il successo è assicurato. In una cultura
come la nostra, nella quale, per dire, se ti
permetti di formulare un giudizio anche
vagamente critico verso l’islam ti ritrovi automaticamente
iscritto nel club dei reietti,
parlar male del cristiano e del cattolico
non solo è possibile, ma vivamente consigliato.
La patente di libero pensatore è garantita.
E poco importa che dal punto di vista
storico ciò che tu dici sia insostenibile,
condito di falsità e leggende. Nella società
dell’immagine non c’è tempo per la storia,
e approfondire è attività considerata poco
compatibile con l’apparire. Ciò che conta è
come tu ti presenti. E se vuoi essere à la page
devi attrezzarti: prova a buttare là una
battuta contro Benedetto XVI, fai un accenno
ai preti che insidiano i bambini, ricorda
che la chiesa è sempre stata un’istituzione
retrograda, innalza un inno alla liberazione
sessuale. Vedrai, non te ne pentirai. Da
quando poi il sistema mondiale della comunicazione
ha deciso di utilizzare i casi
di sacerdoti pedofili per allestire un processo
sommario contro il Papa e la chiesa
(perché di questo in effetti si tratta, anche
se nessuno nega che il reato-peccato c’è, e
anche bello grosso e disgustoso), il procedimento
suddetto ha ricevuto una sorta di
certificazione. Ma il problema è: il cristiano
sa controbattere? Purtroppo quel misto
di ignoranza, mancanza di consapevolezza
e superficialità che caratterizza il panorama
culturale contemporaneo alligna anche
fra i moderni seguaci di Gesù, i quali di
conseguenza, una volta messi sotto attacco,
non riescono a ributtare la palla nell’altra
metà campo e si lasciano intristire senza
una prospettiva.
La vulgata laicista
Bisogna dare il benvenuto quindi a un libro
come “Indagine sul cristianesimo” di
Francesco Agnoli (Piemme, 282 pagine, 17
euro), che dà gli strumenti non solo per rimandare
la palla di là ma per organizzare
un vero e proprio gioco offensivo incentrato
su quello schema antico ma sempre nuovo
che risponde al nome di verità. Un po’
saggio storico, un po’ approfondimento filosofico
e teologico con incursioni nella sociologia
della religione, il libro ha un intento
dichiarato: fare piazza pulita della vulgata
laicista secondo cui la maggior parte delle
calamità e delle sventure abbattutesi
sull’umanità da duemila anni a questa parte
sarebbe made in christianity. Compito
che Agnoli svolge con il giusto piglio polemico,
anche prendendosela con qualche
nostrano maitre à penser che ha fatto dell’anticristianesimo
militante un marchio di
fabbrica e un’ottima risorsa per campare
di rendita sfruttando i più triti luoghi comuni.
Ecco, appunto, i luoghi comuni.
Agnoli ne mette in fila un bel po’. Ma a tutti
aggiunge un salutare punto di domanda,
premessa per distruggerli a colpi di verità
storiche. Quella dell’imperatore Costantino
non fu vera conversione ma solo mossa politica?
Il cristianesimo è contro le donne?
Il cristianesimo, là dove arriva, distrugge le
culture locali? L’Inquisizione è stata solo
una spietata macchina punitiva? La fede
cristiana tiene i credenti in uno stato di
passività? La chiesa quando le fa comodo
usa la forza? Il cristianesimo è nemico della
scienza e dell’istruzione? La rottura dell’unità
fra i cristiani è stata colpa di Roma?
Con l’elenco si potrebbe andare avanti a
lungo. La storia si è incaricata di sgombrare
il campo dalle falsità e Agnoli, puntigliosamente,
corregge, confuta, precisa, contesta,
chiarisce. Un’arringa difensiva appassionata,
che offre gli strumenti per rispondere
ai calunniatori e rimetterli al loro posto.
E che, una confutazione dopo l’altra, dimostra
come i comportamenti che oggi consideriamo
più civili e i sentimenti che giudichiamo
più nobili si siano formati non,
come dicono i falsari della storia, nonostante
il cristianesimo e la chiesa cattolica,
ma precisamente grazie a loro.
Una vicenda poco nota
Una vicenda poco nota è quella che riguarda
il nazista Alfred Rosenberg, autore
di “Der Mythus des 20” (“Il mito del Ventesimo
secolo”), opera seconda solo al “Mein
Kampf” hitleriano come best seller del nazionalsocialismo.
Con lo stesso Hitler e con
Dietrich Eckart (finanziatore, fra l’altro, del
primo quotidiano nazista), Rosenberg si intrattiene
in lunghe discussioni incentrate
sull’influenza nefasta che ebraismo e cristianesimo
avrebbero avuto sull’umanità.
Ai loro occhi, veramente, le due fedi si
confondono, fino a diventare una cosa sola.
Il cattolicesimo sarebbe una perversione
del messaggio di Cristo operata dall’ebreo
Paolo, Cristo sarebbe stato un vincitore e
non uno sconfitto, un ariano e non un ebreo
e, soprattutto, non avrebbe mai sostenuto di
essere Dio. Inoltre il crocifisso, in quanto
simbolo di martirio e di cedimento, andrebbe
sostituito con monumenti ai soldati caduti
per la patria. Rosenberg non perdona
al cristianesimo di aver predicato e praticato
l’universalismo e l’individualismo, nemici
del concetto germanico di razza; difende
le eresie come giuste reazioni alla “ipnosi
romano-mediorientale” e si scaglia contro
la caccia alle streghe condotta, dice, per togliere
di mezzo le ultime tracce di religiosità
pagana germanica. Ma il vero pericolo
insito nel cristianesimo, scrive, è che innalza
gli esseri inferiori. Questo il nazismo non
può proprio accettarlo. La parola amore va
eliminata; un popolo non può permettersi
di cedere alla debolezza e all’umiltà. Le forze
vitali sono ben altre. Sulla scia di Nietzsche,
Rosenberg teorizza la creazione del
superuomo attraverso l’eugenetica e sostiene
che il cristianesimo potrà essere accettato
solo dopo un’opportuna trasformazione:
la chiesa cattolica romana dovrà essere
soppressa, Cristo germanizzato, il Vecchio
testamento eliminato e il Nuovo depurato
eliminando le parti meno funzionali al dominio
germanico. Non c’è da stupirsi che la
chiesa cattolica metta il libro di Rosenberg
all’indice. Ma intanto il volume, nonostante
le sue settecento pagine, ha venduto più di
due milioni di copie ed è stato imposto come
testo obbligatorio nelle scuole di tutta la
Germania. A guerra finita Rosenberg sarà
giustiziato a Norimberga senza aver riveduto
le sue idee e senza ombra di pentimento.
Ma in ciò che sosteneva non avvertite qualcosa
a noi familiare anche oggi?

Aldo Maria Valli

© Copyright Il Foglio 7 maggio 2010

La questione cattolica nell’Italia che cambia. Ricognizione storiografica e coscienza storica. di Gianpaolo Romanato

Relazione al seminario di studio su "L'unità nazionale: memoria condivisa, futuro da condividere", Genova, 3 maggio 2010, in preparazione alla 46.ma settimana sociale dei cattolici italiani. L'autore è professore di storia contemporanea all'Università di Padova

di Gianpaolo Romanato



1. La riflessione che mi è stato chiesto di proporvi in questo seminario preparatorio alla prossima Settimana Sociale di Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010) non può non partire dal famoso discorso che Giovanni Battista Montini tenne in Campidoglio il 10 ottobre 1962, alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II e un anno dopo la celebrazione del centenario dell’unità d’Italia. Con quel periodare che gli era caratteristico, che nella elaborata complessità delle espressioni quasi rifletteva la complessità dei problemi in discussione, l’arcivescovo di Milano, che meno di un anno dopo sarebbe diventato sommo pontefice, sostenne che il 20 settembre del 1870 la “Provvidenza” aveva ingannato tutti, credenti e non credenti.

Aveva ingannato i credenti, che dalla fine del potere temporale temevano il crollo dell’istituzione ecclesiastica, e aveva ingannato i non credenti, che dopo la presa di Roma quel crollo desideravano e attendevano. Accadde infatti, osservò Montini, che perduta “l’autorità temporale”, ma acquistata “la suprema autorità nella Chiesa”, il papato riprese “con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo” (1). Non avvenne, dunque, il disastro annunciato – temuto o sperato che fosse – ma si schiuse al papato una stagione di ritrovata credibilità e alla Chiesa tutta un capitolo di profondo rinnovamento.

Chi vi sta parlando – cioè uno studioso laico, che è abituato a ragionare laicamente – non può far ricorso alla parola Provvidenza come categoria interpretativa dei fatti storici. E si trova quindi spiazzato davanti all’evidente paradossalità di quanto accadde un secolo e mezzo fa. Da un evento che la Chiesa del tempo, sia pure con significative eccezioni, visse come catastrofico, e che alimentò una drammatica e annosa rottura con lo Stato italiano, nacque una stagione di vitalità cattolica e di prestigio per il papato indubbiamente più felice e rigogliosa di quella che ci si era lasciati alle spalle. Un caso esemplare, potremmo dire, di eterogenesi dei fini.

C’è dunque un risultato positivo del 20 settembre, che va ricordato. Il papato si liberò dell’ingombrante fardello del potere temporale ed entrò nella modernità finalmente libero da un impaccio che rendeva la Chiesa, in piena epoca liberale, un’anacronistica sopravvivenza dell’ancien régime prerivoluzionario.

Ma ricordando questo risultato, non possiamo fare a meno di riflettere sul fatto che a produrlo fu la pressione degli eventi italiani, cioè un fattore esterno e contrapposto alla Chiesa, e non un’autonoma scelta ecclesiastica. Né possiamo ignorare che ciò che Montini chiamerà evento provvidenziale e liberatorio, la Chiesa del tempo lo visse in tutt’altro modo: come un dramma di proporzioni apocalittiche che alimentò una frattura politica e sociale le cui conseguenze non si sono ancora, a ben guardare, del tutto e totalmente rimarginate. Non possiamo fare a meno di notare, insomma, negli eventi che accompagnarono il compimento dell’unificazione, un aspetto contraddittorio che fatichiamo anche oggi, a distanza di quasi un secolo e mezzo, a comprendere.

È vero, potremmo aggiungere, che alla dimensione statuale la Santa Sede non ha mai rinunciato, e l’ha riottenuta con gli accordi del 1929 e la conserva tuttora saldamente. Ma è evidente che ciò non può essere in alcun modo una giustificazione a posteriori della grande rottura ottocentesca. Tra lo Stato pontificio anteriore al 1870 e quello Stato reale ed effettivo, ma territorialmente simbolico e sostanzialmente privo del potere civile che è l’odierna Città del Vaticano, corre una differenza immensa, che a nessuno può sfuggire.

Perché, dunque – questa, credo, è la domanda che un secolo e mezzo dopo non possiamo non porci, portando a conclusione il ragionamento del card. Montini –, perchè la Chiesa del tempo subì anziché provocare essa stessa un mutamento che, alla lunga, si rivelò un guadagno? Perché non rinunciò essa stessa allo Stato temporale che già in occasione della guerra federale del 1848 era apparso un peso e una contraddizione?

Non ho risposte da dare a questo interrogativo, che ripropone, in tutta la sua drammatica e irrisolta complessità, il nodo difficile e sempre riaffiorante del rapporto della Chiesa con il tempo e la storia, una storia che essa vorrebbe dominare e dalla quale invece, non infrequentemente, è dominata, e non sempre, aggiungo, ricevendone un danno.

Il pensiero corre quasi per forza agli eventi tristi di queste ultime settimane. Anche oggi è la pressione esterna, probabilmente tutt’altro che disinteressata, che ha fatto emergere la piaga della corruzione morale di una parte del clero e ha costretto l’istituzione a voltar pagina. Oggi però a capo della Chiesa c’è un pontefice il quale, anziché subire gli eventi, quasi li precorre, imponendo alla Chiesa universale una linea di condotta non di arroccamento attorno alla propria giurisdizione ma di totale rispetto e adeguamento alle giurisdizioni pubbliche e civili. La svolta che Benedetto XVI sta oggi imprimendo all’istituzione ecclesiastica costituisce una rivoluzione di portata epocale, una svolta che non tutti hanno ancora compreso, né dentro né fuori della Chiesa.

Una rivoluzione che suggerisce qualche interrogativo circa l’esito che avrebbero potuto avere gli eventi risorgimentali se anche un secolo e mezzo si fossero anticipati i fatti anziché subirli. Interrogativo naturalmente senza risposta, ma che serve a farci capire come una memoria condivisa del nostro passato debba necessariamente passare attraverso un serio ripensamento critico anche da parte cattolica, dei fatti che accompagnarono l’unificazione nazionale.

Ripensamento critico che se dovesse coinvolgere anche l’altro dei due contendenti di allora, cioè lo Stato, non potrebbe tralasciare di affrontare il nodo rappresentato dalla guerra alla Chiesa che si volle ingaggiare allora. Guerra che produsse l’effetto di demolire l’unico sentimento che accomunava gli italiani, a qualsiasi ceto sociale appartenessero e in qualunque degli stati preunitari vivessero: il sentimento religioso, il senso di appartenenza alla Chiesa. A me pare che il vuoto, anche civile, che si è aperto allora, non sia stato ancora colmato.


2. E ripensando i fatti di allora c’è un secondo problema sul quale vale la pena di soffermarsi. L’arroccamento attorno alla protesta del papato isolò il cattolicesimo italiano, quasi lo staccò dal flusso degli eventi nazionali, lo rinchiuse dentro le proprie istituzioni. All’ombra della cultura intransigente nacquero in Italia giornali, scuole, istituti di credito ed enti con finalità sociali, nuove congregazioni religiose e inedite proiezioni missionarie, mentre le vecchie forme religiose cambiavano e si rinnovavano in profondità. La parrocchia, da luogo di culto devozionale divenne in centro propulsore di molteplici attività e il sacerdote, per così dire, scese dall’altare entrando nel vivo delle questioni del tempo.

I cattolici si abituarono a pensarsi come una realtà civile e politica distinta e separata dal resto del Paese, protetti e riparati dalle proprie istituzioni, dalla propria ideologia, da una cultura dell’assedio che dava forza ma limitava inesorabilmente gli orizzonti. E dalla separazione alla contrapposizione il passo fu breve. Fu una grande trasformazione, che riceverà ulteriori impulsi quando l’enciclica "Rerum novarum", nel 1891, aprirà all’azione del cattolicesimo organizzato gli spazi sterminati della questione sociale.

Il risultato di tutto ciò fu una generale politicizzazione dei cattolici i quali, loro malgrado, si trovarono ad essere un partito, cioè una parte rispetto al tutto della nazione, inevitabilmente contrapposta alle altre, e una parte che scendendo nell’agone politico diventava antagonista e competitrice nella lotta per il potere.

La trasformazione fu colta perfettamente da Luigi Sturzo nel celebre discorso che pronunciò a Caltagirone nel 1905, ben prima della fondazione del popolarismo, allorché affermò: “Io suppongo i cattolici non come congregazione religiosa (…), nè come l’autorità religiosa (…), né come la turba dei fedeli (…), né come un partito clericale (…), ma come una ragione di vita civile informata ai principi cristiani nella morale pubblica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita pubblica”. E aggiunse che i cattolici erano ormai “i rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del vivere civile” (2). Erano diventati cioè un partito, che attendeva solo il momento opportuno per costituirsi come tale e scendere nell’agone parlamentare. Ciò avverrà, come sappiamo, dopo la prima guerra mondiale, evento che aprì una fase nuova, interrotta dall’irruzione del fascismo e ripresa alla caduta del regime per durare fin quasi alla fine del secolo scorso.

Anche questa quasi secolare vicenda – una vicenda definitivamente conclusa o solo interrotta? propongo un interrogativo che credo non sia privo di qualche aspetto di interesse… – si presta a diverse letture, ad un ripensamento critico che finora è stato troppo condizionato dalla conclusione ingloriosa in seguito alle ben note vicende di Tangentopoli. L’esperienza partitica dei cattolici presenta indubbiamente un bilancio positivo che è doveroso ricordare, a partire dal giudizio che un grande storico, Federico Chabod, diede della nascita del popolarismo: “L’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo” (3).

Perché quel giudizio è ancora valido, benché pronunciato mezzo secolo fa? Per dirla in breve: perché allora si sanò una frattura drammatica; perché si ricompose il rapporto fra corpo sociale e rappresentanza politica, cioè fra Paese legale e Paese reale, come si diceva nell’Ottocento, significando con tale espressione come una parte cospicua del Paese vero, quello che vive concretamente la vita d’ogni giorno, dall’Unità fino al 1919 fosse rimasta esclusiva, priva di rappresentanza e di voce; perché furono immesse nel circuito politico idee destinate a fare molta strada. Ricorderò le principali: la riforma agraria e la necessità di creare la piccola proprietà contadina; l’adozione della proporzionale in luogo del maggioritario; il decentramento amministrativo e la valorizzazione dell’ente locale, inclusa la regione; la riforma tributaria fondata sulla progressività delle imposte; il superamento del nazionalismo e l’avvio di un ordinamento internazionale capace di imbrigliare gli stati-nazione.


3. Poche di queste idee si realizzarono allora. Bisognerà attendere il secondo dopoguerra e l’assunzione del governo da parte della Democrazia Cristiana, alla fine del 1945, per vedere attuato più largamente quel programma. Io credo che a questo partito, del quale oggi, con poca equanimità, si ricordano le infelici circostanze della morte più che la lunga vita, tutto sommato operosa e positiva, si debbano riconoscere almeno due meriti.

Il primo è quello di aver reso la democrazia costume diffuso, pratica accettata e condivisa, di aver superato quella cultura politica delle separazioni e delle contrapposizioni – di classe, di ceto, di interessi, di ideologie – che aveva segnato la storia nazionale tanto nel periodo liberale quanto nel tragico quadriennio prefascista quanto poi nel ventennio del fascismo.

Per più di ottant’anni c’erano state due Italie che si erano contrapposte, quella del potere e quella dell’antipotere, democratico, mazziniano, garibaldino, cattolico, socialista, fascista o antifascista che fosse. Il sogno di un’Italia diversa ha alimentato la fantasia di generazioni di italiani. Con i giudizi dei delusi e degli sconfitti – giudizi critici, sprezzanti, frustrati, dolenti, arrabbiati – si potrebbe riempire un’antologia, da Alberto Mario, il vecchio garibaldino repubblicano, uno dei padri del Risorgimento, secondo il quale (siamo nel 1880) “sussistono più relazioni tra la luna e la terra che fra Montecitorio e l’Italia, perchè alla luce del pensiero nazionale non riesce mai di penetrare nell’atmosfera che avvolge Montecitorio” (4), a Giovanni Amendola, che su "La Voce", la rivista di Prezzolini, sentenziava lapidario nel 1910, un anno prima delle celebrazioni cinquantenarie: “L’Italia come è oggi non ci piace”, aggiungendo che “la nazione è poco più di un mito che tramonta e di una speranza che sorge” (5). Insomma: un mito infranto e una vaga speranza nel futuro. Perché stupirci allora dello scarso entusiasmo che suscitano le prossime celebrazioni centocinquantenarie? È una vecchia storia che si ripete…

Se vogliamo parlare concretamente e non astrattamente della memoria storica che ha costruito la nostra identità non possiamo prescindere dal ricordare questa secolare divisione fra le due Italie, né dobbiamo stupirci davanti al fatto che anche oggi essa riaffiori. La spaccatura che ne derivò fu all’origine di molte tragedie nazionali, dall’ingresso nella prima guerra mondiale alla guerra civile, come ormai viene comunemente chiamata (6), che insanguinò questo Paese prima e dopo il ventennio fascista.

Per capire quanto il potere fosse lontano dall’Italia vera, profonda, quanto poco interpretasse il Paese che governava, bisogna andare a rileggere le pagine dimenticate dell’Inchiesta Jacini sulle condizioni dell’agricoltura in Italia. Era trascorso poco più di un ventennio dall’unificazione e il ritratto delle campagne italiane che ci presentano studiosi e analisti di scuola liberale, non socialista o rivoluzionaria, è a dir poco spaventoso, soprattutto nel Veneto, la parte d’Italia che oggi ci si chiede perché sia così lontana da Roma. Se tornassimo a meditare gli atti di quell’indagine, capiremmo qualcosa di più degli stati d’animo che hanno prodotto e alimentato nel tempo, già a partire dal momento dell’annessione (1866), i sentimenti di estraneità d’una regione contadina che sarà poi costretta a sopportare tutto il peso della Grande Guerra e nella quale per troppi anni il Governo si fece riconoscere quasi soltanto con il volto nemico del gendarme, dell’esattore, della cartolina precetto.


4. Credo sia un dovere di equanimità e non un giudizio di parte affermare che la lunga stagione dei governi a guida democristiana ha sanato quella frattura, ha stemperato le distanze fra governanti e governati e fra gli stessi governati, ha contribuito a rendere più omogeneo, unito e compatto un Paese che fino ad allora aveva conosciuto più contrapposizioni e discordie che motivi di unione. Gli anni della guida degasperiana, benché coincidenti con la fase più acuta e lacerante della guerra fredda, sono stati in questo senso esemplari. Forse per la consapevolezza della fragilità del nostro tessuto sociale, consapevolezza che nello statista trentino, nato austriaco e non italiano, era maggiore che negli uomini nati e cresciuti sempre in Italia.

Tale consapevolezza in lui si aggiungeva a quella della condizione di minoranza del cattolicesimo in Italia, come scrisse lucidamente e direi quasi profeticamente all’indomani dei Patti Lateransi, in una lettera dell’8 giugno 1929: “Ritengo che la fonte principale dei guai è e sarà la premessa storicamente non vera che l’Italia sia uno Stato cattolico. La dittatura non offre particolari vantaggi per vedere in fondo, ma il fondo è che i cattolici sono in minoranza, non avanzano ma regrediscono” (7).

Il secondo merito che, a mio giudizio, va riconosciuto alla Democrazia Cristiana, consiste nel fatto di avere proposto e imposto all’Italia una politica estera finalmente lineare e coerente, abbandonando quei sogni di grandezza, troppo sproporzionati rispetto alle nostre deboli forze, che a suo tempo ci trascinarono nella sciagurata avventura coloniale e poi in entrambe le guerre mondiali. Il crollo della nostra immagine internazionale, frutto di molte scelte sbagliate e di troppi cinici voltafaccia diplomatici, è tristemente ritratto nel giudizio che diede di noi il segretario di Stato americano Donald Acheson nel marzo del 1949 quando propose al presidente Truman di non accoglierci nella nascente Alleanza atlantica – proposta poi accantonata grazie alle pressioni francesi in nostro favore – perché, scrisse, “nelle due guerre mondiali l’Italia ha dimostrato di essere un alleato inefficace e infido avendo cambiato bandiera in entrambe le guerre” (8).

È da qui, quasi da un abisso, che dovettero ripartire De Gasperi e quanti lo coadiuvarono nel ricostruire la credibilità italiana, per ricollocare e poi mantenere il nostro Paese in un quadro di relazioni internazionali, dall’alleanza atlantica all’unione europea, con tutti gli oneri che ne derivarono, al quale da allora siamo sempre rimasti saldamente e coerentemente ancorati.


5. È tempo di concludere. Nella complessa storia italiana la questione cattolica è passata attraverso tre fasi. La prima fase è stata quella dello scontro e dell’opposizione, per riprendere una vecchia espressione di Spadolini. La seconda fu quella del popolarismo, che pose semi fecondi ma si concluse troppo in fretta, prima che quella seminagione potesse dare risultati. La terza fase, quella del governo del Paese, composta di luci e di inevitabili ombre, terminò malamente, come sappiamo, in circostanze che hanno enfatizzato solo gli errori e le colpe, oscurando tutto il positivo di una storia che si era prolungata per quasi mezzo secolo.

Su quella vicenda è calata una coltre di silenzio che a mio parere ha ingiustamente punito tutto e tutti e creato un’altra artificiale frattura nella storia nazionale. Si è così dimenticata un’esperienza di solidarietà politica fra cattolici e laici non comunisti – quell’esperienza fermamente voluta e quasi imposta da De Gasperi anche quando la Dc avrebbe potuto governare da sola – che ha dato molti positivi risultati, non ultimo dei quali è quello di aver saputo tenere a freno certe intemperanze integraliste della sinistra cattolica di matrice dossettiana (9). E si è dimenticata una stagione di pace, di progresso e di modernizzazione del nostro Paese che ha definitivamente inserito l’Italia nel campo ristretto dei paesi più civili e avanzati.

Ricordare tutto questo non significa promuovere o difendere una memoria di parte, ma ricomporre le tessere sparse di una memoria nazionale che esiste, ed è viva e feconda solo se riconosciamo che si compone di diversità storiche, ideologiche, sociali, culturali e politiche. È solo, a mio parere, dal riconoscimento e dal rispetto delle diverse memorie che compongono il nostro passato – posto che gli eventi trascorsi sono oggettivi, irrevocabili, e il loro ricordo inevitabilmente soggettivo – che sarà possibile guardare avanti e progettare un futuro di condivisione e non di ulteriori fratture.

Oggi il cattolicesimo non è più la realtà politica che è stato, non è più un partito. E sono convinto che questo sia un bene per tutti. Il sentire cattolico cerca nuove strade, nuove forme di espressione, che in questo momento sono rese difficili dall’evidente indebolimento del senso di appartenenza alla Chiesa e dai crescenti ostacoli con cui si scontra l’esperienza del credente di fronte alle sfide continue e sempre nuove della modernità. Ma questo seminario, che precede la prossima settimana sociale di Reggio Calabria, dimostra che l’Italia può ancora contare sull’apporto costruttivo e sincero dei cattolici, non più condizionato dagli interessi di parte ma orientato verso un futuro di convivenza e di solidarietà.

__________


(1) G.B. Montini, "Discorsi e scritti sul Concilio (1959-1963)", a cura di A. Rimoldi, Quaderni dell’Istituto Paolo VI, Roma-Brescia, 1983, pp. 170-171.

(2) L. Sturzo, "I discorsi politici", Istituto Sturzo, Roma, 1951, pp. 358-359.

(3) F. Chabod, "L’Italia contemporanea", Einaudi, 1961, p. 43.

(4) "Tra Risorgimento e Nuova Italia. Alberto Mario un repubblicano federalista", a cura di Pier Luigi Bagatin, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2000, p. 170.

(5) G. Prezzolini, "La Voce 1908-1913. Cronaca, antologia e fortuna di una rivista", Rusconi, Milano, 1974, pp. 685-687.

(6) F. Fabbri, "Le origini della guerra civile. L’Italia dalla Grande Guerra al fascismo", 1918-1921, Utet, Torino, 2009.

(7) Maria Romana Catti De Gasperi, "De Gasperi uomo solo", Mondadori, Milano, 1964, p. 145.

(8) G. Mammarella-P. Cacace, "La politica estera dell’Italia dallo Stato unitario ai nostri giorni", Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 178.

(9) È interessante questa riflessione di Giuseppe Dossetti. “Nel 1948, quando noi avevamo avuto una maggioranza assoluta che ci consentiva di governare con governi stabili non si sono fatti i governi stabili, oppure si è fatto passare chi sosteneva i governi stabili, quelli efficienti, come un integralista che voleva il potere solo per la propria parte; non è che si volesse il 'potere', ma si voleva che la parte cattolica, avendo la responsabilità e il mandato da parte dell’opinione pubblica che aveva dato quei voti, adempisse questa responsabilità. Non l’ha voluta adempiere per il pregiudizio di De Gasperi – questo espressamente detto con me – che non si potevano escludere le correnti risorgimentali, quindi i liberali, i socialisti e i socialisti democratici, dal governo; che sarebbe stata maggiore la responsabilità del partito cattolico se fosse stato solo; e, terza cosa, che sarebbe stata meno facilmente removibile la pressione della Santa Sede su un governo di soli cattolici” (G. Dossetti, "La ricerca costituente. 1945-1952", Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 50-51).

Nell'Africa subsahariana il cristianesimo cresce più dell'Islam

I dati di una ricerca del Pew Forum on Religion and Public Life confermano che il continente nero è il meno afflitto dal secolarismo. Buone le prospettive di convivenza pacifica tra le religioni


di Luca Marcolivio

Nell'Africa subsahariana il numero dei cristiani cresce più dei musulmani. Le religioni animiste nel continente nero sono ormai minoritarie e la fede in maggiore espansione è proprio quella cristiana. Lo riporta uno studio del Pew Forum on Religion and Public Life, pubblicato lo scorso 15 aprile. La ricerca stima che i cristiani siano passati dai 7 milioni dell'anno 1900 ai 470 milioni di oggi. L'Islam, che all'inizio del XX secolo contava 11 milioni di fedeli è salito a 234 milioni, subendo però il sorpasso cristiano intorno agli anni '30.

In definitiva, rispetto a un secolo fa, i numeri si sono ampiamente rovesciati in favore delle fedi monoteistiche. Nel 1900, in piena epoca coloniale, le religioni africane tradizionali coprivano il 76% della popolazione, oggi appena il 13%. Per contro i cristiani, in poco più di un secolo, sono saliti dal 9% al 57%, mentre i musulmani sono passati dal 14% al 29%. Nell'Africa subsahariana, in definitiva, vivono un quinto dei cristiani di tutto il mondo e un settimo dei musulmani della terra.
Se da un lato, a sud del Sahara, le religioni abramitiche continuano ad essere contaminate da elementi di paganesimo animista, il dato che fa sperare è attribuibile alla concezione positiva che gli africani hanno della religione in senso lato. In altre parole, se c'è un continente dove il secolarismo non attecchisce, quel continente è proprio l'Africa. Il numero di intervistati che definisce la fede un elemento “molto importante” della propria vita, oscilla da un 69% in Botsawana a un 98% in Senegal. Inoltre le religioni – proprie ed altrui – non sono viste come un elemento di minaccia alla pace sociale. La maggior parte dei musulmani e dei cristiani riconoscono elementi di positività reciproca e sono fiduciosi nella possibilità di una pacifica convivenza. Soltanto il 28% della popolazione subsahariana considera i conflitti religiosi un “grosso problema” del proprio paese.
Per contro la grande maggioranza degli intervistati ammette di conoscere molto poco delle religioni diverse dalla propria. Circa il 43% dei cristiani considera l'Islam una religione violenta: tale percentuale tende a scendere tanto più si va a Sud, dove la presenza dell'Islam è minima o nulla. Ancora più bassa (20%) è la percentuale di musulmani che considerano il cristianesimo una religione violenta.
La maggior parte degli africani (oltre il 70% in quasi tutti i paesi) è favorevole alla libertà di culto, tuttavia – questo è il dato meno confortante – è altrettanto alto il numero persone favorevoli all'applicazione della Sharia (63%) o di una legge 'biblica' (60%), così come molti si dichiarano favorevoli a pratiche contrarie alla dignità della persona come la lapidazione. Circa il 20% degli africani è disposto a giustificare l'uso della forza contro i civili, se l'obiettivo è difendere la propria religione.
L'ultima parte del sondaggio illustra i numeri delle conversioni. In linea generale il numero di coloro che sono passati dall'Islam al Cristianesimo è pari a quello di coloro che hanno fatto il cammino inverso. Un'eccezione significativa è rappresentata dall'Uganda, dove il 4% degli intervistati dichiara la propria conversione al cristianesimo in età adulta, a fronte di un 5% che ha abbandonato la religione musulmana.

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Cattolici nel mondo in crescita Africa e Asia «protagoniste»

I cattolici nel mondo aumentano, soprattutto per effetto della crescita del numero di battezzati in Asia ed Africa, due continenti che si rivelano anche ricchi di vocazioni e alzano il numero globale dei sacerdoti. Sono alcuni dei dati contenuti nella nuova edizione dell’Annuario statistico della Chiesa, che viene pubblicato in questi giorni. I principali dati contenuti nel volume, denso di statistiche e dettagli Paese per Paese, sono stati presentati ieri dalla Santa Sede.

A livello planetario il numero dei cattolici battezzati è passato da 1.045 milioni nel 2000 a 1.166 milioni nel 2008. In Africa si registra un incremento del 33,02% dei cattolici, all’estremo opposto, in Europa si manifesta una situazione di pratica stabilità (+1,17%); da registrare anche i significativi incrementi che si rilevano in Asia (+15,61%), in Oceania (+11,39%) e in America (+10,93%). Peraltro questi andamenti si leggono anche nell’effetto che producono sul peso relativo che i cattolici assumono nei vari continenti: si va dalla riduzione relativa dei cattolici europei che, pur aumentando in valore assoluto, vedono scendere il loro peso nel mondo, dal 26,81% del 2000 al 24,31% del 2008, alla aumentata importanza dei cattolici africani che passano, nei due anni appena citati, dal 12,44% al 14,84%. Per gli altri continenti si individua una sostanziale stabilità dell’America e dell’Oceania e un lieve aumento per l’Asia.

Per quanto riguarda i vescovi, negli otto anni che vanno dal 2000 al 2008 il loro numero è passato da 4.541 a 5.002, con un aumento relativo che supera di poco il 10% ed una crescita che si riscontra in tutti i continenti. Un trend positivo di crescita è quello dei sacerdoti diocesani, passati in otto anni da 265.781 a 272.431; a fronte di notevoli incrementi per l’Africa e per l’Asia, dove si registra un +33,1% e un +23,8%, rispettivamente, ad una situazione stazionaria per l’America, si nota in Europa un calo di oltre il 7% e del 4% per l’Oceania. I sacerdoti appartenenti a congregazioni religiose sono calati da 139 mila a 135 mila. Complessivamente i sacerdoti sono passati da da 405.178 a 408.024. Per le altre figure di operatori pastorali abbiamo una crescita consistente dei diaconi permanenti, da 28mila a 37mila in otto anni; calano invece i religiosi professi non sacerdoti e le suore, che nel 2008 erano 740 mila – distribuite per il 41% in Europa, seguita dall’America che conta oltre 203 mila consacrate e dall’Asia che raggiunge le 161 mila unità. Rispetto al 2000, la flessione ha riguardato Europa, America e Oceania; in Africa e in Asia, invece, l’incremento è stato decisamente sostenuto, intorno al 21% per la prima e al 16% per la seconda.

Gli ultimi dati di sintesi riguardano la crescita degli studenti di filosofia e di teologia presenti nei centri diocesani e religiosi: nel mondo si è passati da quasi 110mila candidati nel 2000 a oltre 117mila nel 2008, con una variazione di +28,6%. L’evoluzione è molto differente nei vari continenti. Se ci si riferisce all’anno di riferimento iniziale, si osserva che l’America al totale mondiale contribuiva per il 33%, l’Europa per il 24%, l’Asia per il 23% e l’Africa per il 18%. Otto anni più tardi il contributo americano è sceso al 31%, quello europea al 18%, mentre l’Asia è salita a circa il 28% e l’Africa al 22%.
Fabrizio Mastrofini

Contrordine, laici: la Chiesa è più avanti. Ries difende il Papa e rivela: i non credenti ci guardano con interesse

DI LORENZO FAZZINI

La Chiesa attaccata per screditarne la missione «educatrice».
Il Papa oggetto di manipolazioni di stampa perché fedele alla tradizione cristiana. Ma anche una persistente speranza perché il messaggio della Chiesa viene ormai considerato pure in ambito «laico» in quanto la dignità dell’uomo, cardine del messaggio sociale cattolico, è riconosciuta fondamentale anche fuori dal recinto ecclesiale. Julien Ries, sacerdote belga, storico delle religioni di fama mondiale, docente emerito all’università cattolica di Lovanio, ha appena compiuto 90 anni ma il suo sguardo resta lucido e penetrante nell’interpretare l’attualità.

Come valuta i ripetuti, recenti attacchi a Benedetto XVI?

«Esiste certamente un risentimento per il fatto che la Chiesa rimane forte: così si cerca di indebolirla in tutti i modi.
Soprattutto in Europa vediamo una forte opposizione alla Chiesa, al Papa e alle sue iniziative. Quando Benedetto XVI è andato in Africa lo scorso anno e ha parlato di preservativo e Aids, le sue parole sono state trasformate dai mass media. E così perfino alcuni governi – come quello belga – l’hanno attaccato. A mio parere questo Pontefice viene criticato perché lo si considera ancora come il prefetto dell’ex Sant’Uffizio.
Nei primi tempi del suo pontificato lo è considerato come un uomo dell’ ancien régime , quindi veniva attaccato per questo. Le forze occulte all’opera in Europa (di stampo massonico) hanno capito quanto sia intelligente Benedetto XVI e quindi lo criticano in ogni situazione, proprio mentre egli vuole applicare fino in fondo il concilio Vaticano II su quale sia la vera idea della Chiesa nel mondo. Del resto già Giovanni Paolo II aveva iniziato il suo pontificato all’insegna dell’invito 'Non abbiate paura'. E invece altri hanno avuto paura di lui, tanto da cercare di ucciderlo con l’attentato in piazza San Pietro nel 1981».

Alcuni osservatori hanno sottolineato che le attuali critiche alla Chiesa cattolica si verificano perché quest’ultima si presenta ancora come portatrice di verità. È d’accordo?

«Si è molto insistito sulla questione della pedofilia e se ne è approfittato per mostrare una Chiesa debole e che nasconde le proprie colpe. Credo che si sia abusato di questa situazione per dire che oggi non bisogna più avere nessuna fiducia verso la Chiesa. E la si è voluta colpire proprio in un punto preciso, ovvero la sua missione di educatrice. Questa è un’operazione che mira a smontare l’affidabilità della Chiesa su quella che è una delle sue missioni principali: l’educazione, in particolare dei giovani».

Quale risposta occorre in questa situazione?

«Penso che quanto si sta facendo in questo periodo sia positivo.
Primo, il fatto che la Chiesa affermi di essere anzitutto dalla parte delle vittime. La pedofilia è un crimine da bandire in ogni modo. Bisogna poi che i preti siano all’altezza del loro compito e per questo è importante la formazione nei seminari. Inoltre è necessario ricordare che la Chiesa vuole il celibato come consacrazione totale a Cristo».

Vede spazio per un dialogo tra credenti e non credenti oggi in Europa?

«Osservo come la Chiesa prenda sempre più coscienza della propria visione sull’uomo, sulla famiglia e la persona umana.
Sono temi importanti, questi, sui quali insiste molto l’ultima enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate , che sottolinea in modo speciale la dignità della persona umana. Questi principi fanno avanzare il dialogo in tutti i campi di discussione, ad esempio sull’inizio della vita e la sua fine. Ho trovato molto bella, al riguardo, l’immagine del 'cortile dei gentili' lanciata da Benedetto XVI: rappresenta un vero simbolo di quei pagani o proseliti che all’epoca del Tempio cercavano Dio. Quella del 'cortile' è un’immagine molto ricca perché indica che esiste lo spazio per un confronto e che vi sono tematiche sulle quali è possibile lavorare insieme. Ci sono non credenti o anche persone non particolarmente 'amiche' della Chiesa che sono però sensibili ai principi cattolici in tema di lavoro, dignità delle persone, rispetto della vita».

Può farci un esempio di questa attenzione «laica»?

«In Francia segnalo l’antropologo Maurice Godelier (autore del recente Al fondamento delle società umane. Ciò che ci insegna l’antropologia, Jaca Book, ndr ), il quale è entrato in un’ottica di ricerca sull’uomo diversa da quella strutturalista di Claude Lévi-Strauss. E il mio editore francese, Cerf, mi ha chiesto in occasione della pubblicazione del terzo volume sull’antropologia religiosa, di tenere a Parigi un incontro pubblico con la stampa: la mia posizione sull’ homo religiosus suscita l’interesse dei media francesi».

Come si spiega questa curiosità?

«Per il fatto che l’uomo resta al cuore della società e tutti si domandano quale debba essere il suo ruolo e, ad esempio, il compito della famiglia nella nostra epoca».

© Copyright Avvenire, 27 aprile 2010

Nel mondo ci sono più cattolici, più vescovi e più sacerdoti

L’Annuario statistico della Chiesa registra che sul pianeta i cattolici sono 1.166 milioni, cresciuti un po’ di più dell’aumento della popolazione. I vescovi sono 5.002 e i sacerdoti 409.166. Si conferma la vitalità del cattolicesimo in Asia, ove sono positivi tutti i dati.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Aumentano i cattolici nel mondo: da 1.045 milioni nel 2000 sono saliti a 1.166 milioni nel 2008, con una variazione relativa di +11,54%. Analogo l’andamento del numero dei vescovi passato da 4.541 del 2000 a 5.002 del 2008, con un aumento relativo che supera di poco il 10%, dei sacerdoti, cresciuto da 405.178 a 409.166, dei candidati al sacerdozio, aumentati da 110.583 a 117.024 e dei diaconi permanenti, saliti da 27.824 a 37.203. Sono alcuni dei dati che emergono dall’Annuario statistico della Chiesa, pubblicato in questi giorni.
A livello planetario il numero dei cattolici battezzati è passato da 1.045 milioni nel 2000 a 1.166 milioni nel 2008, con una variazione relativa di +11,54% ; incremento solo di poco superiore a quello della popolazione della Terra, pari al 10,77%. L’aumento più alto si registra in Africa (+33,02%), seguito da Asia (+15,61%), Oceania (+11,39%) e America (+10,93%). Sostanzialmente stabile l’Europa (+1,17%). Nel 2008, dunque, i cattolici erano il 17,40% della popolazione mondiale, erano il 17,28% nel 2000. L’incremento maggiore si è registrato in Africa, dal 16,47 al 17,77%, con una variazione di oltre il 33%, seguita dall’Asia, con una crescita del 15,61% e una percentuale sulla popolazione passata dal 2,90 al 3,05%.
Passando ai sacerdoti, fronte di notevoli incrementi per l’Africa e per l’Asia, dove si registra un +33,1% e un +23,8%, rispettivamente, e ad una quasi stazionarietà per l’America, si pone l’Europa con un calo di oltre il 7% e l’Oceania con un - 4%. Se si fa poi la distinzione tra sacerdoti diocesani e sacerdoti religiosi, mentre il numero dei primi è passato da 265.781 nel 2000 a 272.431 nel 2008, manifestando quindi una significativa ripresa, quello dei secondi appare in costante declino. Infatti, i sacerdoti religiosi, che erano 139.397 nel 2000, sono scesi a circa 135mila otto anni più tardi.
La distribuzione percentuale del complesso dei sacerdoti per continente evidenzia, come era da attendersi, notevoli cambiamenti negli otto anni considerati. Africa e Asia contribuivano nel 2000 al 17,5% del totale mondiale, nel 2008 la loro incidenza è salita a 21,9%. Anche l’America ha lievemente incrementato la propria percentuale. L’unico continente che ha visto diminuire la propria quota è l’Europa: nel 2000 gli oltre 208 mila sacerdoti europei rappresentavano quasi il 51% del totale dei sacerdoti mondiali, mentre otto anni più tardi sono scesi a quasi il 47%.
Dal gioco combinato delle variazioni demografiche e dei mutamenti del numero dei sacerdoti derivano alcuni assetti variabili per il numero di cattolici per sacerdote. Questo rapporto è aumentato nel corso del tempo e, a livello globale, è passato da 2.579 cattolici per sacerdote all’inizio del periodo, a 2.849 alla fine. Il numero di cattolici per ogni sacerdote è aumentato in ogni continente; tuttavia la dimensione del rapporto appare non poco diversa da continente a continente. Nel 2008, ad esempio, a fronte di circa 1.400 cattolici, che mediamente gravitano su ogni sacerdote in Europa, in Africa se ne contano circa 4.800 ed in America 4.700 e questi valori danno conto del differente assetto dei rapporti fra i sacerdoti e i fedeli.
Le religiose professe rappresentano, nel 2008, complessivamente una popolazione di 740mila unità, circa due volte quella dei sacerdoti e per circa il 41% presente in Europa, seguita dall’America che conta oltre 203 mila consacrate e dall’Asia che raggiunge le 161 mila unità. Rispetto al 2000, il gruppo subisce una flessione del 7,75%. Il declino ha riguardato tre continenti (Europa, America e Oceania), con variazioni negative anche di rilievo (intorno al 15-17 per cento). In Africa e in Asia, invece, l’incremento è stato decisamente sostenuto, intorno al 21% per il primo e al 16% per il secondo. Come risultato finale di queste dinamiche assai differenziate, la frazione delle religiose in Africa e Asia sul totale mondiale passa dal 23% al 30%, a discapito dell’Europa e dell’America la cui incidenza nell’insieme si riduce dal 75% al 68%.
Chiara, infine, la tendenza alla crescita degli studenti di filosofia e di teologia presenti nei centri diocesani e religiosi: nel mondo si è passati da quasi 110mila candidati nel 2000 a oltre 117mila nel 2008, con una variazione di +28,6%. L’evoluzione è molto differente nei vari continenti. Se ci si riferisce all’anno di riferimento iniziale, si osserva che l’America al totale mondiale contribuiva per il 33%, l’Europa per il 24%, l’Asia per il 23% e l’Africa per il 18%. Otto anni più tardi il contributo americano è sceso al 31%, quello europea al 18%, mentre l’Asia è salita a circa il 28% e l’Africa al 22%.
Facendo riferimento al numero dei cattolici, la vitalità dell’Asia e dell’Africa vengono confermate, con circa 148 candidati per milione di fedeli in Africa e 263 in Asia. I valori europei (75) e americani (63) sono assai meno elevati. In rapporto a 100 sacerdoti, Africa e Asia confermano il loro primato con 72 e 61 candidati, rispettivamente, mentre più debole è la situazione europea: soltanto 11 candidati ogni 100 sacerdoti (nel 2000 erano 13). A livello mondiale, comunque, si è passati grazie all’apporto di Asia e Africa, da circa 27 a poco meno di 29.

Spingere il cristianesimo fuori dall'Occidente

Bruno Cescon

Da un lato, si invocano crocifissi e presepi e, dall'altro, emerge un certo fastidio verso il cristianesimo, anzi per essere più precisi verso il cattolicesimo. Non è una novità. La storia conosce ieri come oggi vere e proprie persecuzioni. Ai cristiani non manca, come non è mai mancato, "il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti", come si è espresso Benedetto XVI nella Domenica delle Palme. Ma il fatto si può inserire in un contesto più ampio che preoccupa anche intellettuali laici, come Ernesto Galli della Loggia.
E non è, come si potrebbe immediatamente ritenere, una questione religiosa che riguarda i cristiani. È piuttosto un fenomeno culturale che si esprime quale intolleranza verso il ruolo pubblico del cattolicesimo.
Disturba che proponga e difenda pubblicamente, nonostante i suoi limiti e peccati riconosciuti nella richiesta di perdono, un'etica sia in campo sociale sia bioetico. Nel cattolicesimo spesso la cultura moderna e postmoderna tende a ravvisare un ostacolo a quello che ritiene il progresso della scienza, fatta diventare ormai una dea a cui tutto è lecito, compresa l'eutanasia o il suicidio assistito. La cultura cristiana viene considerata nemica di una cultura unica, laica e autosufficiente, autoproclamatasi progressista.
Alla Chiesa si rimprovera di tutto: il silenzio nella persecuzione degli ebrei, l'antifemminismo, la contrarietà all'aborto, il rifiuto delle famiglie di fatto e omosessuali, l'avversione all'uso dei preservativi che avrebbe favorito la diffusione dell'Aids, l'intolleranza, l'esclusione della libera espressione sessuale, le crociate, il fascismo, persino le crisi finanziarie. Contemporaneamente vengono esaltate le sue debolezze, i suoi peccati, andando a rimestare nel passato mirando direttamente, come nell'Ottocento, al Papato. In campo sociale fino all'altro ieri le veniva rinfacciato di stare dalla parte dei borghesi contro la classe operaia, oggi di essere "buonista" perché aiuta i nuovi poveri prodotti da una forbice che allarga le differenze sociali accrescendole a favore dei ricchi.
Nel caso gravissimo della pedofilia, "crimine odioso e peccato aberrante di cui proviamo vergogna" verso il quale va esercitata "tolleranza zero e totale trasparenza" come ha detto il cardinale Bagnasco facendo eco a Benedetto XVI, si intravedono anche "strategie di discredito generalizzate" verso il cattolicesimo in molta parte dell'Europa. Sono stati davvero oscurati il Vangelo e il rispetto della persona. Ma "ai preti, alla Chiesa, alla vicenda cristiana - scrive Della Loggia - non viene perdonato da nessuno più nulla".
Il punto non è tanto se va risorgendo un nuovo anticlericalismo. Non sarebbe nulla di nuovo e magari qualcuno nella stessa Chiesa può ritenere che è un giusto prezzo da pagare per tante o poche prepotenze. Piuttosto va sottolineato un fenomeno più importante che interessa la nostra società italiana, la nostra cultura, la stessa sensibilità dell'Europa.
L'impressione è che si voglia accelerare l'uscita occidentale dal cristianesimo come un atto di emancipazione da secoli bui di oscurantismo. Paiono dimenticate le grandi crisi della ragione e della politica che hanno colpito la nostra Europa: vedi nazifascismo e comunismo con due grandi e cruentissime guerre, che hanno trascinato il mondo stesso nel dolore. E ciò avveniva anche in nome della liberazione dalla propria tradizione cristiana.
Dall'Europa, che vanta giustamente tra i suoi valori la libertà di coscienza e la libertà di religione, non si levano che tenui voci pubbliche per la persecuzione e, talvolta, il massacro di cristiani in varie parti del mondo. Non pare che il problema stia nell'agenda di politica estera dei governi europei e della stessa Ue. Eppure molti acquisti dell'Europa, dai diritti umani alle conquiste sociali, sono frutto anche dell'opera intensa dei cristiani.
Disposti gli europei all'intercultura, all'accoglienza delle altre religioni, sembrano soffrire e volersi sbarazzare della rilevanza pubblica della propria tradizione cristiana.

© Copyright Sir

Usato e anche abusato, il cristianesimo me lo tengo caro. a

I media, nel mondo occidentale, stanno mettendo
sul banco degli imputati la chiesa e il suo
Pontefice, Benedetto XVI. Si ha l’impressione che
alcuni vogliano approfittare di scandali senz’altro
abominevoli che riguardano singole persone per
regolare i conti con la chiesa. Ma forse qualcuno
pensa che sia giunto anche il momento di
regolare i conti con lo stesso cristianesimo,
magari in nome di un individualismo che è niente
altro che la legittimazione ideologica
dell’egoismo. Lo ha capito molto bene
l’arcivescovo anglicano di Canterbury, che è sceso
in campo con forza a difesa di Benedetto XVI.
Ma cosa sarebbe il mondo moderno senza il
messaggio di Cristo? “Vi do un comandamento
nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho
amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli altri”. Questo
insegnava Cristo, e fu un messaggio dirompente
che cambiò il corso della storia. L’idea di
filantropia non era estranea al mondo classico,
ma nel cristianesimo si aggancia a una verità
soprannaturale, e trasforma una idea generica di
amicizia e di buona predisposizione verso l’altro,
in amore operoso verso il prossimo destinato ad
alleviare la sofferenza umana, ovunque la
incontri.
Ed è proprio Cristo che in virtù di questo amore
pronuncia parole durissime contro chi
scandalizzi i più piccoli, i più indifesi: “Sarebbe
meglio per lui che gli fosse appesa al collo una
macina girata da un asino, e fosse gettato negli
abissi del mare”. Il cristianesimo ha dato agli
uomini, più di qualsiasi altra religione o filosofia,
una meta alta e nobile, un’alternativa al nostro
egoismo, ha additato un esempio, spesso difficile,
qualche volta, per molti, quasi impossibile, ma ha
contribuito a elevare la storia dell’umanità.
Il cristianesimo è stato usato e abusato, come
“instrumentum regni”, come occasione di
successo personale, come copertura per vizi
individuali, ma tutto ciò non ha scalfito in nulla la
portata del suo insegnamento perché quella
Parola appartiene per sempre alla storia
dell’umanità.
D’altro canto senza la fede in quell’ordine
naturale delle cose che discende dal Vangelo,
persino il giudizio su tutto ciò che di più
spaventoso è accaduto nel corso della storia,
sarebbe senz’altro relativo e affidato ai meri
equilibri di potere. Di fronte al messaggio
cristiano, mi comporto come quel legato che si
dice fosse stato inviato da Tiberio in Palestina per
assumere notizie su Cristo e i suoi discepoli. Di
ritorno, avrebbe detto: “Io non so se Cristo sia
effettivamente il figlio di Dio, ma ciò che lui dice
è buono e giusto e perciò io credo in Lui”. E
questo grande messaggio di amore che pretende
di fondarsi sulla verità, val la pena difendere, a
prescindere dagli errori che uomini
necessariamente imperfetti possano aver
compiuto, consapevoli che quelle ignominie sono
nient’altro che il frutto perverso di un egoismo
che ha rinnegato la parola di Cristo.

Giuseppe Valditara

© Copyright Il Foglio 31 marzo 2010

Ecco come il cattolicesimo in America è diventato influente maggioranza

Roma. Andy Warhol: che senza farlo sapere
in giro andava tutte le domeniche a
messa in una chiesa che seguiva il rito cattolico
bizantino dei suoi avi slovacchi, e la
cui arte è in realtà fortemente influenzata
dalla tradizione delle icone, anche se magari
non tutti se ne accorgono. Flannery
O’Connor: scrittrice cattolica del Sud, una
specie di Chesterton in gonnella nella terra
di Faulkner, che non si addormentava
mai senza prima leggere qualche pagina
della “Summa Theologiae” di san Tommaso,
e che proponeva appunto il cattolicesimo
come rimedio a una religione del Sud
da lei percepita come “cupamente comica,
non avendo nulla che corregga le proprie
eresie, la gente le elabora drammaticamente”;
pur essendo al contempo orgogliosa
di come il protestantesimo popolare
aveva trasmesso all’inglese sudista il linguaggio
biblico. Walter Miller Junior: il
mitragliere di uno degli aerei che rasero
al suolo l’Abbazia di Cassino, che per il rimorso
non solo si fece poi cattolico, ma
scrisse “Un cantico per Leibowitz”; straordinaria
epopea fantascientifica su un ordine
monastico che dopo una guerra nucleare
si sforza di salvare il ricordo della civiltà,
in modo analogo a quanto monasteri
come quello di Cassino avevano appunto
fatto nel Medioevo. Tennesse Williams: il
drammaturgo di “Un tram chiamato desiderio”
e “Lo zoo di vetro”, passato al cattolicesimo
come unica soluzione a una
drammatica crisi creativa.
E poi Dorothy Day: l’attivista anarchica
che dopo essersi convertita fondò durante
la Grande depressione il Movimento operaio
cattolico ed è stata dichiarata da Giovanni
Paolo II serva di Dio. Thomas Merton:
il trappista leader del movimento dei
diritti civili, anche lui convertitosi, sembra
mosso dalla bellezza dell’architettura religiosa
conosciuta durante un viaggio romano.
Rosa Maria Segale “Suor Blandina”: la
religiose di origine ligure che aveva curato
il terribile Billy the Kid dopo che i medici
si erano rifiutati di assisterlo per una
ferita alla gamba e lo aveva poi visitato in
carcere; riuscendo così a salvare da una
rapina la diligenza in cui viaggiava e che
era stata assalita dallo stesso Billy, e a diventare
l’archetipo di tante suorine intrepide
poi inflazionate in tanti film western.
E, a proposito di Far West, anche un’icona
dell’americanità come il trapper Kit Karson,
proprio il “pard” finito nei fumetti di
Tex Willer: convertitosi a 34 anni, sia pure
per sposare una messicana; ma pure per
matrimonio divenne cattolico Ernest Hemingway.
Mentre si convertì dal protestantesimo
al cattolicesimo per genuina convinzione
poco prima della morte un’altra
icona dell’americanità come John Wayne.
Insomma, dopo essere stato per tutto il
periodo coloniale e fino a metà dell’800
una fede minoritaria; dopo essere stata
per il mezzo secolo successivo una religione
sì più diffusa, ma di impianto e immagine
fortemente etnica, tra italiani, irlandesi,
franco-canadesi, creoli della Louisiana,
ispanici, polacchi, ucraini o libanesi; è
almeno dall’inizio del XX secolo che il cattolicesimo
americano è diventato una religione
perfettamente accettata nella buona
società, e praticata da intellettuali e riformatori.
Anzi, proprio perché la presenza
di immigrati cattolici era massiccia nel
Partito democratico o nel sindacato per un
certo periodo il cattolicesimo negli States
ha avuto un’immagine perfino di sinistra.
Viceversa, l’“antipapismo” era un sentimento
viscerale delle masse più conservatrici:
espresso peraltro non solo in movimenti
xenofobi come i nativists o il Ku
klux klan, ma ad esempio nel colpo di mano
con cui il Congresso nel 1867 aveva vietato
l’ulteriore finanziamento del console
a Roma, interrompendo le relazioni stabilite
tra Stati Uniti e Santa Sede settant’anni
prima. Si sarebbe dovuto aspettare Reagan
e il 1984 per riaprirle, dal momento
che lo stesso cattolico Kennedy non se l’era
sentita di sfidare il pregiudizio. Anzi,
aveva accampato addirittura la scusa del
mal di schiena, per non inchinarsi di fronte
a Giovanni XXIII. Come l’altro candidato
presidenziale cattolico John Kerry, cui
gran parte dell’episcopato chiese di negare
i sacramenti per le sue posizioni in
campo etico; un eloquente esempio di
quello che è stato a volte in Vaticano bollato
come “americanismo”: quel modo disinvolto
dei cattolici statunitensi di rapportarsi
al melting pot in cui erano immersi,
che aveva portato nel 1870 il vescovo di
Little Rock a essere l’unico oppositore dichiarato
alla proclamazione del dogma
dell’infallibilità pontificia nel corso del
Concilio Vaticano I. E che sarebbe stato
ancora espresso in tempi recentissimi da
una famosa “confidenza” del cardinale
Francis George, arcivescovo di Chicago, al
fondatore della Comunità di Sant’Egidio
Andrea Riccardi: “In fondo, noi cattolici
americani siamo culturalmente, psicologicamente
segnati dal protestantesimo”. Tra
“Il Codice Da Vinci” e le campagne sui
preti anti pedofili, però, nel 2003 lo storico
di fede episcopale Philip Jenkins, docente
alla Pennsylvania state University, scrisse
il saggio “The New Anti-Catholicism:
The Last Acceptable Prejudice”, spiegando
come oggi c’è gente che non si azzarderebbe
mai a fare osservazioni contro negri
o ebrei, che invece non ha nessuna remora
a parlare di cattolicesimo in termini
razzisti. James Martin, editorialista della
rivista gesuita America, osserva un “doppio
standard” nei registi e autori di Hollywood:
che da un lato trovano irresistibile
il look della chiesa dal punto di vista
scenografico, ma poi sembrano cumulare
il vecchio pregiudizio cattolico conservatore
con il nuovo pregiudizio liberal. Peter
Viereck, Premio Pulitzer deceduto nel
2006, disse addirittura che oggi negli Stati
Uniti “l’anticattolicesimo è l’antisemitismo
dei liberal”. D’altra parte, il cattolicesimo
non è più una minoranza in America,
ma un’influente maggioranza relativa. Sono
cattolici un americano su quattro, un
senatore su quattro, un Rappresentante su
tre, il Vicepresidente Biden, e addirittura
sei giudici della Corte suprema su nove.

Maurizio Stefanini

© Copyright Il Foglio 31 marzo 2010

Cattocomunismi. Così è nata la pericolosa commistione tra marxismo ateo e cattolicesimo disincarnato

Si è visto nelle puntate precedenti
come il comunismo abbia
rappresentato nella storia il più compiuto
tentativo di costruire una società senza
Dio, anzi contro di Lui. Con un fallimento
totale. Non si può dimenticare che
proprio il mondo cattolico, che avrebbe
dovuto costituire un argine all’ateismo
comunista, è stato ed è tuttora fortemente
contaminato da tale ideologia. Pigi
Colognesi, nel suo “Russia cristiana” (san
Paolo), ricorda che all’epoca del Concilio
Vaticano II il Pcus è interessato a dare di
sé un’immagine positiva per
“assecondare e consolidare le prime
timide aperture a sinistra che si stanno
manifestando in campo cattolico” dopo la
morte di Pio XII. Di fronte a questa
tattica machiavellica padre Romano
Scalfi, sacerdote trentino e fondatore di
“Russia Cristiana”, comprende bene che
la mentalità marxista sta penetrando
anche all’interno della chiesa e che il
cavallo di Troia è un “ecumenismo
rarefatto e disincarnato” che vorrebbe
persino tacere la verità sulle
persecuzione religiose in Unione
Sovietica per giovare, più che al dialogo
con gli ortodossi, a quello col regime
comunista. La tendenza di questi anni in
certo mondo cattolico diventa quella di
“minimizzare la componente atea del
comunismo sovietico”. Sembra che molti
cattolici si vergognino del fatto che il
cristianesimo non ha eliminato il male
dal mondo, e rimangano ammirati dal
sogno utopico del comunismo, disposti a
perdonargli “qualche incidente di
percorso”. Ma come si realizza la
contaminazione tra comunismo ateo e
cattolicesimo? Avviene che molti
cattolici, presi nel vortice delle soluzioni
mondane, ritengono di poter battezzare il
divorzio tra Dio e l’uomo, tra la sua legge
e la società umana, tra Cristo e la storia.
Sembra che l’idea di una salvezza che
l’uomo si procura da solo sia compatibile
con l’idea, antitetica, di un Salvatore che
viene incontro all’uomo che lo cerca.
Eppure già Dostoevskij aveva capito che i
“demoni” rivoluzionari “pensano di
organizzarsi secondo giustizia, ma avendo
respinto Cristo, finiranno con l’inondare
il mondo di sangue”. L’umanesimo ateo
diventa così il punto di incontro tra cattocomunisti
e comunisti, in nome
dell’uomo, misura di tutte le cose, a cui è
stato tolto, per grazia ricevuta, il peccato
originale. “La dottrina che l’uomo è un
peccatore connaturato – scriveva il
comunista V.I. Prokof’ev – giustifica il
fatto dell’ingiustizia e del male, perché
indica la loro causa non nell’ordinamento
sociale, ma nell’imperfezione della
natura umana”. Così mentre i comunisti
si affannano a spiegare che l’uomo,
naturalmente buono, creerà il paradiso
egualitario sulla terra, molti cristiani,
abbagliati da cotanta promessa,
dimenticano “l’imperfezione della natura
umana”, e il peccato personale, e si
buttano nel tentativo di ribaltare d’un
colpo, se possibile, l’“ordinamento
sociale”, eliminando per sempre il
“mistero d’iniquità”. Lo sguardo si
abbassa da Cristo all’uomo, cadendo
nella maledizione biblica: “maledetto
l’uomo che confida (solo) nell’uomo”.
L’esperienza di Russia Cristiana
Pigi Colognesi ricorda come in mezzo
a tanta confusione i membri di Russia
Cristiana abbiano invece molto chiara
l’idea di Cristo Salvatore. Per questo, in
armonia con i fedeli russi perseguitati,
mantengono viva la liturgia bizantina
slava, mentre, riguardo agli esiti della
riforma liturgica post Concilio, ne
criticano le “traduzioni volgari, i brutti
testi, e in sostanza, la perdita della
sacralità”. Secondo Bruno Negri, per
tanti anni diacono di padre Scalfi “in
occidente ci siamo abituati all’abuso di
chi mette in primo piano innovazioni o
parole proprie, per cui il fedele ha più a
che fare con quello che pensa o dice il
prete, piuttosto che con il mistero che il
prete stesso deve servire. Nella liturgia
bizantina (come nella liturgia latina,
ndr) tutto questo non è possibile: priorità
assoluta va all’oggettività del gesto, delle
parole fissate, dei movimenti sempre
uguali.
Nessuno spazio per le invenzioni
umane, per quelle che Scalfi chiama ‘le
fantasiose intromissioni clericali’”.
Umanesimo ateo, dimenticanza della
natura decaduta dell’uomo,
preponderanza totale conferita alla
dimensione sociale e politica della fede,
insieme alla orizzontalità della nuova
liturgia, rafforzano nel mondo cattolico
l’equivoco catto-comunista, con una
ricaduta immediata sulle priorità
pratiche della vita cristiana. Il cristiano
“contaminato”, infatti, non ha presente
altro che il peccato sociale, l’ingiustizia
del sistema, le “colpe” della società.
Finisce così per cadere nello stesso
astrattismo dei comunisti, cioè di coloro
che, per dirla con Donoso Cortés,
“affermano la solidarietà umana” ma
“negano quella familiare”; predicano il
rispetto per i lontani, ma hanno continuo
bisogno del “nemico”, interno o esterno e
dimenticano il prossimo più prossimo (ad
esempio il figlio nell’ utero materno). A
costoro Cortes chiederebbe: voi che
negate, o dimenticate, un Padre comune,
“da dove arguite che gli uomini sono tra
loro solidali, fratelli, uguali e liberi?”. E
Dostoevskij farebbe aggiungere a uno dei
suoi bolscevichi senza Cristo ante
litteram: “In astratto si può ancora amare
il prossimo e talvolta anche da lontano,
ma da vicino quasi mai”. (4. fine)

Francesco Agnoli

© Copyright Il Foglio 18 marzo 2010

Cattolicesimo. Il nuovo capro espiatorio

Come mai anche l’ateo più incallito si infervora sulla scomunica o meno di un vescovo scismatico?
Il libertino impenitente tuona sull’insegnamento morale di una realtà che altrimenti ignora?
Dal caso Williamson, all’Aids in Africa e oltre: perché quello di sparare a parole sulla Chiesa è uno degli sport più diffusi?
Una provocazione del teologo francese


di Jean-Robert Armogathe

Le crisi sono di moda – e che moda, visto che durerà a lungo! Il fatto è che si è dimenticato il significato originale della parola crisi, in senso medico: per Ippocrate la crisi è il momento esatto in cui la natura del malato soccombe o guarisce e, provvisoriamente, trionfa sulla morte.
Quindi la crisi è un fatto momentaneo: è il punto di inflessione, un istante critico, quello della decisione; è il criterio nel quale si situa lo spartiacque fra morte e sopravvivenza. Uno strano uso della parola quello che fa durare le crisi del mondo contemporaneo come se esse stesse divenissero sinonimi di malattie e come se non si riconoscessero che a cose fatte!
Passando dalla scienza medica a quella delle meteore, per la Chiesa si parlerà piuttosto di perturbazioni per indicare ciò che in questi ultimi tempi ha occupato la prima pagina dei giornali. È inutile ricordarle ora, ma una domanda invece si impone: esiste una relazione fra le perturbazioni della Chiesa e le crisi della società?Per le perturbazioni che la Chiesa affronta sono stati proposti tre tipi di spiegazioni discutibili, a volte anche dai cattolici stessi.

La prima spiegazione, la più diffusa, ne attribuisce la responsabilità alla stampa.

I media – si sostiene – sono anticattolici: in successione hanno complottato per pubblicare inopportunatamente l’intervista televisiva a monsignor Williamson, per diffondere in tutto il mondo una falsa versione del dramma della giovane brasiliana incinta per gli stupri subiti da parte del compagno della madre, e infine per condannare il Papa per le sue dichiarazioni sulla radicale inadeguatezza dell’uso del preservativo.

La seconda viene dai due estremi della Chiesa cattolica: l’insufficiente padronanza dei media e la comunicazione carente del Vaticano – si sente affermare – sono dovuti alla crisi del potere nella Chiesa o all’incompetenza all’interno del Vaticano.

Si può anche aggiungere all’incompetenza l’animosità senza alterare la natura della spiegazione e indicare gli avversari del Papa nella Curia stessa: Benedetto XVI sarebbe circondato non solo da incompetenti ma anche da larvati avversari. Non c’è niente di nuovo: non c’è un solo Papa da secoli di cui non sia stato scritto questo!

La terza spiegazione prende in causa la psicologia del Papa, la sua età, la sua formazione di professore, la sua leggendaria intransigenza e persino il suo temperamento di bavarese lo portano a rinchiudersi, a irrigidirsi, ad assumere le posizioni più reazionarie.

Queste pretese spiegazioni politico­psicologiche sono alla portata di tutti: rimarrebbe da dimostrarne la validità. Mi sia dunque permesso di proporne un’altra, che si rifà alla natura stessa della Chiesa e più esattamente a ciò che definirei la sua consistenza: la libera adesione di coloro che credono che Gesù, il Figlio di Dio, crocifisso duemila anni fa, è oggi vivo e risorto. Questa fede, e insisto su questo, è libera, così come è libera l’appartenenza alla Chiesa. È la ragione per la quale questa società eminentemente paradossale – i cui principi non ubbidiscono alla stessa logica di quelli che reggono la nostra società, non sono cioè guidati dall’interesse – può essere per il mondo come uno specchio.
Una società diversa di fronte alla nostra società nella quale questa si può scrutare.

Nella Chiesa il mondo si contempla. Come spiegare altrimenti che tutti, a partire da coloro che si dichiarano non cattolici, vogliano schierarsi su posizioni disciplinari che riguardano esclusivamente i cattolici?

Che la scomunica divenga improvvisamente una questione così centrale e appassionante che tutti vogliono dare il proprio parere, dentro e fuori dalla Chiesa? (Beati quei partiti politici che riuscissero a interessare a tal punto i cittadini alle loro questioni interne). Che le indicazioni del Papa sulla morale sessuale e familiare in Africa siano immediatamente discusse dal mondo intero e che il suo discorso sull’uso del preservativo divenga oggetto di un’attenzione maggiore che non la questione del sapere quale è l’effettiva efficacia del preservativo? Le poche frasi del Papa sul preservativo sarebbero più importanti di sapere se il preservativo preservi, e da cosa?
La Chiesa rinvia al mondo la sua immagine e il mondo vi scopre le sue fratture, le sue linee di rottura; vedendole nella Chiesa, può odiarle, se non può esorcizzarle. Con un meccanismo a lungo studiato da René Girard, il mondo allora rende chi le rivela – la Chiesa – responsabile di queste fratture. La Chiesa, allora, nella funzione mimetica che le è propria, assume il ruolo di capro espiatorio. Vediamo brevemente in quale modo.
Le parole del Papa sull’uso del preservativo hanno toccato nel vivo la questione del corpo e della sessualità. L’opinione pubblica era già stata scossa dal caso tragico della ragazza brasiliana.
Non è la dottrina della Chiesa a essere messa in causa: sono i comportamenti umani, la somma dei crimini e dei peccati che mettono sotto accusa la Chiesa. La liberazione sessuale degli anni Settanta non ha raggiunto il suo scopo: lungi dal procurare agli uomini un supplemento di felicità sembra aver avuto come conseguenza la diffusione panendemica di diverse malattie, dalla depressione all’Aids.
La famiglia è passata dalla realtà naturale al fatto sociale che può essere fondato da persone dello stesso sesso a cui può essere affidata l’educazione di bambini.
Contemporaneamente la sessualità è diventata una funzione organica: è quindi necessario 'preservarsi', 'proteggersi'.
Vi è un 'diritto al figlio' e un 'diritto all’orgasmo'. L’Occidente ha raggiunto un grado di disfacimento del tessuto familiare apparentemente unico nella sua storia. Questa sconfitta si accompagna specularmente alla colpevolizzazione della Chiesa e del Papa. La campagna infondata e sconsiderata contro le parole del Papa è un mezzo rassicurante per spostare altrove la profonda inquietudine provocata dallo sconvolgimento delle strutture parentali.
Le affermazioni di monsignor Williamson che negano la realtà del genocidio sono false – e sono un oggetto di scandalo tanto più enorme dell’annullamento della scomunica che ha attirato su di lui l’attenzione. Ma proiettare questo scandalo sul Papa e sulla Chiesa rivela il malessere della nostra società riguardo alla sua memoria.
A iniziare dal malessere di una parte, molto secolarizzata, dell’ebraismo moderno che a forza di rimuginare sull’orrore subito si trova in debito di avvenire e di speranza per le nuove generazioni.
L’esistenza dello Stato di Israele accentua la crisi: è come se l’ebraismo continuasse a procedere speditamente abbandonando gran parte del suo vigore spirituale e riducendo il suo fattore esistenziale alla tristezza del passato e all’attaccamento a uno Stato del Medio Oriente.
In tali condizioni concentrare l’attenzione sulla Chiesa permette un’unità illusoria e un recupero di attività: da qui nasce la funzione della questione 'Pio XII e gli Ebrei' o del 'Papa tedesco' che permettono all’intera società di costruirsi una buona coscienza denunciando l’antisemitismo cattolico.
Di tutto il discorso del Papa all’Università di Ratisbona, è stata sottolineata una frase e giudicata offensiva per l’Islam. Ma anche qui, non si tratta innanzitutto di un problema interno all’Islam? Non è forse la grande difficoltà in cui si ritrova, di fronte alla secolarizzazione, una religione con dei tratti politici, geografici e linguistici così marcati?
L’Islam oggi deve affrontare i problemi legati alla sua mondializzazione: in Asia è presente il 70% dei musulmani, mentre forti comunità si sono insediate in Paesi di tradizione cristiana.
I sussulti dell’islamismo radicale sono i segni di questo difficile passaggio verso la modernità. È comodo e anche naturale riversare gli effetti di questa crisi di adattamento sulla Chiesa cattolica, proprio su di essa che nel mondo è testimone della religione. Possiamo osservare un’analoga reazione nell’insofferenza della laicità: l’evidente fallimento di 'un mondo senza Dio' e il frequente ricorso a pratiche religiose sostitutive hanno messo in crisi la laicità 'chiusa' che trova nella Chiesa cattolica un aiuto eccellente per trovarsi una nuova ragione di esistere.
Non c’è ancora stata una vasta campagna per addossare alla Chiesa cattolica la responsabilità della crisi economica. La dottrina sociale della Chiesa si è sempre dichiarata contro il tipo di manipolazione a cui il capitalismo ha sottoposto il denaro e la produzione. Ciò che è successo con conseguenze così gravi per tanti milioni di persone è il risultato dell’avidità, della ricerca senza freni del profitto, del disprezzo per la dignità delle persone e dei diritti dei lavoratori. La crisi economica deriva dal rifiuto opposto al punto centrale dell’insegnamento sociale della Chiesa.
Gli elementi di analisi proposti mostrano la posta in gioco in questo tempo di crisi per la società e di prove che la Chiesa sta attraversando.
Essa è l’ultima figura sociale coerente nel mondo; dispone di un corpo dottrinale, di un catechismo, di una gerarchia visibile e identificata. Senza essere del mondo essa è purtuttavia nel mondo. Proprio per quello che essa è, il mondo la odia. Se fosse diversa, il mondo cercherebbe invano una vittima per giustificare il proprio malessere ed espiarlo.
A causa della sua visibilità, per la coerenza del suo insegnamento, per il suo sforzo di annunciare e vivere ciò che il Vangelo esige, la Chiesa cattolica è inevitabilmente esposta. Non è il caso di stupirsi. Non è il caso di affliggersi, anzi, al contrario, dobbiamo rallegrarcene: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra rimpensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi» (Matteo 5,11-12).

© Copyright Avvenire, 10 gennaio 2010

L’AUTORE E IL TESTO

Jean-Robert Armogathe, sacerdote e teologo, è nato nel 1947. Studente all’Ecole Normale Supérieure a Parigi, dopo il dottorato in filosofia ha condotto studi di carattere scientifico e matematico, specializzandosi in Storia delle idee scientifiche e religiose nell’Europa moderna, e contemporaneamente di teologia, conseguendo un diploma in teologia patristica. Ha insegnato all’Ecole des Hautes Etudes a Parigi, è stato lettore all’Università Humboldt di Berlino Est, ha tenuto corsi alla Martin-Luther Universität di Halle (Wittenberg), a Oxford (Trinity College, All Souls College) e all’Università Cattolica di Milano. Nel 1993 è eletto membro associato dell’Accademia internazionale di storia e filosofia delle scienze. È tra i fondatori della Accademia Cattolica di Francia, inaugurata lo scorso ottobre, ed è direttore dell’edizione francese della rivista cattolica internazionale Communio , sul cui ultimo numero è uscito l’intervento che pubblichiamo in queste pagine.
Numero dedicato a «L’azione sociale della Chiesa» e che contiene saggi di Maria Antonietta Crippa, Giuseppe Laiti, Massimo Guidetti, Giuseppe Reguzzoni, Vittorio Ianari, Caterina Meroni, Michele Zanzucchi, Angelo Bazzari, Yves­Marie Hilaire.

© Copyright Avvenire, 10 gennaio 2010

Annuario pontificio: leggero incremento dei cattolici nel mondo. Crescono sacerdoti e religione in Africa e in Asia; diminuiscono in Europa e America

Città del Vaticano (AsiaNews) – Stamane il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha presentato a Benedetto XVI la nuova edizione dell’Annuario pontificio, presentato dall’Ufficio Centrale di statistica della Chiesa. I dati si riferiscono al 2009 per quanto riguarda l’erezione di nuove diocesi (8 e una prelatura) e la nomina di 169 nuovi vescovi. Per il resto, i dati statistici si riferiscono al periodo dal 2007 al 2008 e mostrano le linee di sviluppo della Chiesa cattolica nelle 2.945 circoscrizioni ecclesiastiche del pianeta.
Nel periodo 2007 - 2008 i battezzati cattolici nel mondo sono passati da quasi 1.147 a 1.166 milioni, con un incremento di 19 milioni (+ 1,7%). Confrontando i dati con l’evoluzione della popolazione mondiale nello stesso periodo, passata da 6,62 a 6,70 miliardi, l’incidenza dei cattolici a livello planetario è lievemente aumentata, dal 17,33 al 17,40 %.
Nel 2008, la distribuzione del clero tra i continenti, è caratterizzata da una forte prevalenza di sacerdoti europei (47,1%), quelli americani sono il 30%; il clero asiatico incide per il 13,2%, quello africano per l’8,7% e quello nell’Oceania per l’1,2%.
Analizzando il periodo fra il 2000 e il 2008, si nota un piccolo incremento del numero dei sacerdoti (+1,%). Sempre in questo periodo, non è variata l’incidenza relativa dei sacerdoti in Oceania; è invece cresciuto il peso del clero africano, asiatico e dei sacerdoti americani. Il clero europeo è vistosamente sceso dal 51,5 al 47,1%.
Le religiose rimangono il gruppo più consistente di collaboratori nelle diocesi. Dal 2000 al 2008 si nota una loro diminuzione del 7,8% (da 801.185 a 739.067). Le maggiori contrazioni si registrano in Europa (- 17,6%), in America (- 12,9%) e in Oceania (- 14,9%). In Africa e in Asia si assiste invece a un loro aumento (+ 21,2% in Africa e + 16,4 in Asia).
A livello globale, il numero dei candidati al sacerdozio è aumentato di circa l’1%, passando da 115.919 nel 2007 a 117.024 nel 2008. L’incremento per continente mostra un aumento in Africa (3,6%), in Asia (4,4%) e in Oceania (6,5%). L’Europa registra un calo del 4,3%. L’America si presenta invece quasi stazionaria.



Aumentano i cattolici nel mondo e così i sacerdoti e i seminaristi, in particolare in Asia e Africa: è quanto emerge dai dati dell’Annuario Pontificio 2010, presentato questa mattina al Papa dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e da mons. Fernando Filoni, sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari Generali. La redazione del nuovo Annuario è stata curata da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dai loro collaboratori. Il complesso lavoro di stampa è stato invece curato da don Pietro Migliasso, dal comm. Antonio Maggiotto e dal comm. Giuseppe Canesso, rispettivamente direttore generale, direttore commerciale e direttore Tecnico della Tipografia Vaticana. I dati statistici, riferiti all’anno 2008, forniscono un’analisi sintetica delle principali dinamiche riguardanti la Chiesa Cattolica nelle 2.945 circoscrizioni ecclesiastiche del pianeta. Il volume sarà prossimamente in vendita nelle librerie. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Papa ha espresso la sua gratitudine per il dono dell'Annuario, manifestando vivo interesse per i dati illustrati che mostrano un aumento complessivo dei cattolici nel mondo: nel 2008 sono stati registrati un miliardo e 166 milioni di fedeli battezzati, con un incremento di 19 milioni (+1,7%) rispetto all’anno precedente. Anche considerando la crescita della popolazione mondiale a 6 miliardi e 700 milioni di persone si osserva un lieve aumento percentuale dell’incidenza dei cattolici a livello planetario (dal 17,33 al 17,40 per cento).


In aumento anche i vescovi passati da 4.946 a 5.002 tra il 2007 e il 2008 (+1,13%). L’incremento è stato significativo in Africa (+ 1,83%) e nelle Americhe (+ 1,57%), mentre in Asia (+1,09%) e in Europa (+ 0,70%) i valori si collocano sotto la media complessiva. L’Oceania registra nello stesso periodo un tasso di variazione di –3%. Tali dinamiche differenziate non hanno però causato sostanziali variazioni nella distribuzione dei vescovi per continente.


Evoluzione positiva, ma moderata (e comunque attorno all’1% nel periodo 2000 – 2008) anche per i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, aumentati nel corso degli ultimi nove anni, da 405.178 nel 2000 a 408.024 nel 2007 e a 409.166 nel 2008. La distribuzione del clero tra i continenti, nel 2008, è caratterizzata da una forte prevalenza di sacerdoti europei (47,1%), quelli americani sono il 30%; il clero asiatico incide per il 13,2%, quello africano per l’8,7% e quello nell’Oceania per l’1,2%. Tra il 2000 e il 2008 non è variata l’incidenza relativa dei sacerdoti in Oceania; è invece cresciuto il peso sia del clero africano, sia di quello asiatico e dei sacerdoti americani, mentre il clero europeo è vistosamente sceso dal 51,5 al 47,1%.


Tra le figure di operatori religiosi che affiancano l’attività pastorale dei vescovi e dei sacerdoti, le religiose professe costituiscono il gruppo di maggior peso numerico. Tali religiose, che nel Mondo erano 801.185 nell’anno 2000, diminuiscono progressivamente, tanto che al 2008 se ne contavano 739.067 (con una diminuzione relativa nel periodo del 7,8%). Va rilevato che i gruppi più numerosi di religiose professe si trovano in Europa (40,9%) e in America (27,5%) e che le contrazioni di maggior rilievo si sono manifestate ugualmente in Europa (- 17,6%) e in America (- 12,9%), oltre che in Oceania (- 14,9%), mentre in Africa e in Asia si hanno dei notevoli aumenti (+ 21,2% per l’Africa e + 16,4 per l’Asia), che controbilanciano l’anzidetta diminuzione, ma non sino al punto di annullarla.


A livello globale, il numero dei candidati al sacerdozio è aumentato, passando da 115.919 nel 2007 a 117.024 nel 2008. Complessivamente nel biennio si è avuto un tasso di aumento di circa l’1%. Tale variazione relativa è stata positiva in Africa (3,6%), in Asia (4,4%) e in Oceania (6,5%), mentre l’Europa ha fatto registrare un calo del 4,3%. L’America presenta invece una situazione di quasi stazionarietà.


Nel 2009 sono state erette dal Papa 8 nuove Sedi Vescovili ed una Prelatura; sono state elevate una Prelatura a Diocesi e 3 Prefetture a Vicariati Apostolici. In tutto sono stati nominati 169 nuovi Vescovi.


Per un commento di questi dati, ascoltiamo padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia missionaria AsiaNews. Innanzitutto l’aumento dei cattolici nel mondo:

R. – Questa è una cosa importante, perché mostra che la Chiesa cattolica, la proposta della Chiesa cattolica, la testimonianza cristiana, è ancora viva ovunque nel mondo.


D. – Aumentano sacerdoti e seminaristi, soprattutto in Africa e Asia…


R. – Questa crescita della Chiesa avviene effettivamente e soprattutto in Africa e in Asia. Questo è un fenomeno che è ormai presente da tantissimo tempo. Io conosco di più l’Asia ed effettivamente le comunità asiatiche sono decise, entusiaste, contente della loro fede e sono poi desiderose di comunicare la fede, tanto più che in Paesi come l’Africa e l’Asia acquisire la fede cristiana vuol dire proprio trasformare la propria vita, avere una nuova dignità, entrare in un rapporto comunitario che non è più quello tribale, che soffoca l’individualità, ma apre invece ad una creatività nuova della persona. Per tutti questi motivi trovo che sia quasi ovvio che ci sia un’enorme crescita in Africa e in Asia e con punte veramente molto, molto grandi.


D. – Un incremento anche in situazioni difficili…


R. – Un incremento anche in situazioni difficili, perché questi Paesi sono segnati da guerre, da difficoltà, da persecuzioni, da mancanza di libertà religiosa. La qualità umana che, però, offrono le testimonianze dei cristiani è affascinante proprio per questo. Se guardo a questo mondo globalizzato asiatico ed africano, cosa vedo? Vedo che, se alla fin fine non c’è la proposta della dignità che viene dalla fede e se non c’è la proposta di una comunità che sia interessata anche al mondo e a trasformare la società, in fondo questi africani e questi asiatici hanno soltanto il modello materialistico come unico possibile ideale per la loro vita, che è un po’ poco.


D. – Si conferma, invece, il calo vistoso in Europa…


R. – Il calo in Europa, trovo che sia effettivamente dovuto moltissimo al fatto che in Europa il secolarismo è diventato veramente molto, molto forte. Un secolarismo che è penetrato ormai anche nelle famiglie, per cui tantissimi genitori non hanno più cura di trasmettere ai loro figli i valori cristiani, la fede cristiana. Secondo me ci aspetta ancora un ventennio di giovani che cresceranno con una pochissima influenza del cristianesimo. Se poi teniamo presente la forza che hanno i media non cristiani in questo mondo, appare chiaro che i giovani sentono pochissimo la testimonianza dei cristiani, sentono pochissimo l’annuncio cristiano. E’ dunque davvero necessaria una nuova evangelizzazione dell’Europa!


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Il ritorno di don Camillo e la chiesa che preferisce (ancora) non essere irrilevante

Il nome e la storia di Emma Bonino ‘sono’ un programma
incompatibile con altri, e in ogni caso certamente
affinato con aperta e spesso aspra ostilità verso la visione
cristiana della vita e dei rapporti sociali. Decidere di
fare di un simile contributo un ‘mattone’ del muro della
casa comune del Pd significa fare una scelta precisa e
pesante”. E “le sottovalutazioni si pagano”. Ieri il direttore
dell’Avvenire Marco Tarquinio ha spostato “il diavolo
Bonino” a pagina 2, rispondendo con argomentazioni
secche e a tutto tondo a una lettera di Pier Luigi Bersani.
Che a sua volta replicava a un editoriale del quotidiano
dei vescovi firmato da Sergio Soave il quale, prendendo
spunto dall’addio di Paola Binetti al Partito democratico,
rifletteva in modo piuttosto tranchant sul “disinteresse
colmo di sufficienza” del Pd rispetto alla questione
della “pari dignità” dei cattolici nel partito. Tarquini,
confermando il giudizio, ha insistito sulla “sostanziale
solitudine” in cui “stranamente” i cattolici si sono
trovati a coltivare “il tema della libertà di coscienza”. Solitudine
aggravata dalla scelta Bonino. Tanto che in penultima
pagina, rubrica lettere, Tarquinio ha addirittura
raddoppiato, con un giudizio netto sulla “incompatibilità
irriducibile” di Emma Bonino con il sentire politico
cattolico: “Una melensa propaganda di stagione… non
può cancellare decenni di tragiche battaglie radicali
contro la visione cristiana della vita”. L’uno-due di Avvenire
è significativo anche perché mostra la ripresa di una
libertà di giudizio forte, non preoccupata di creare eventuali
scontenti, laddove negli ultimi tempi era sembrata
prevalere la virtù (ecclesiale) della prudenza.
Difficile non cogliere una connessione tra il parlar
chiaro di Avvenire e l’addio al Pd di Paola Binetti. Con il
suo abbandono, si chiude di fatto la stagione della “pattuglia
teodem”. Resta il solo Luigi Bobba, significativamente,
però, figlio di un’altra famiglia del cattolicesimo
sociale, quella aclista. Un po’ verità e un po’ semplificazione
giornalistica, fin dal varo del Pd i “teodem” sono
sempre stati indicati come una pattuglia di esploratori
ruiniani – se non addirittura di sabotatori in sonno dell’esperimento
veltroniano. Più realisticamente, una sorta
di avamposto chiamato a testare la consistenza di una
scommessa politica: se si potesse cioè praticare una certa
visione dell’impegno cattolico nella vita pubblica anche
in quel terreno. Un elemento aggiuntivo, insomma,
della sottile dottrina elaborata dal cardinale Camillo
Ruini per l’Italia del bipolarismo: un’equidistanza tra i
due poli, corroborata da “una presenza significativa” di
cattolici in entrambi gli schieramenti. L’addio di Binetti
indica che il tempo di quell’esplorazione è concluso, la
pattuglia può rientrare alla base. Se c’era da “vedere” un
bluff, è stato visto. Nel Pd restino, se vogliono, cattolici
portatori di altri Dna. Si è conclusa una stagione, ma il
metodo Ruini non va in archivio: la gerarchia continuerà
a praticare un’equidistanza (meno spericolata) tra due
fronti, quello del centrodestra e quello dell’ipotetico progetto
centrista. La chiusura del caso fatta da Avvenire
sembra confermare che lo spazio per le chiacchiere del
Pd stia ormai a zero. E, sottilmente, lascia anche leggere
in trasparenza un indirizzo dei vescovi univoco.

Maurizio Crippa

Il Foglio 18 febbraio 2010