DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

LA SENTINELLA. Frammenti quotidiani imperdibili 1 dicembre 2009


Il Papa scrive al Patriarca Bartolomeo I che il ministero di Pietro è servizio e non potere

Benedetto XVI scrive nel messaggio al patriarca ecumenico Bartolomeo I in occasione della festa di s. Andrea, patrono del Patriarcato: “La Chiesa cattolica comprende il ministero petrino cone un dono del Signore alla sua Chiesa. Questo ministero dovrebbe essere interpretato non in una prospettiva di potere, ma all’interno di una ecclesiologia di comunione, come un servizio all’unità nella verità e nella carità. Il vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità (S. Ignazio di Antiochia), è compreso come il Servus Servorum Dei (s. Gregorio Magno). Così, come il mio venerabile predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto e io ho riaffermato in occasione della mia visita al Phanar nel novembre 2006, è questione di cercare insieme, ispirati dal modello del primo millennio, le forme in cui il ministero del vescovo di Roma può compiere un servizio di amore riconosciuto da ciascuno e da tutti (Cfr. Ut Unum Sint, 95). Per questo chiediamo a Dio di benedirci e possa lo Spirito Santo guidarci lungo questo difficile, ma promettente sentiero”.


Nella Spagna di Mons. Camino, dove la Chiesa annuncia, senza timore, la Verità sulla vita

Alla vigilia del dibattito parlamentare sull’aborto in Spagna è il segretario generale della Conferenza episcopale spagnola, monsignor Juan Antonio Martínez Camino, a prendere l’iniziativa avvisando i politici cattolici che, se voteranno sì alla legge, non potranno essere ammessi alla comunione, perché si collocherebbero in una situazione oggettiva di “peccato pubblico”. Non solo: chi sostiene che sia moralmente legittimo uccidere un nascituro – ha spiegato il vescovo – si mette in contraddizione con la fede cattolica e pertanto rischia di cadere nell’eresia e nella scomunica latae sententiae. Dichiarazioni che hanno suscitato reazioni. Hanno anche pubblicato un video in cui monsignor Camino, con la musica di sottofondo del film “L’esorcista”, spiega che “nessun cattolico può approvare o dare il suo voto” alla legge. Ma, come i vescovi, sono scesi in campo anche accademici, giuristi e scienziati. Hanno firmato tre documenti
in cui chiedono ai legislatori il riconoscimento della personalità giuridica del nascituro e di tener conto delle opinioni degli esperti e dell’opinione della maggioranza degli spagnoli a favore della vita, così come indicano tutti i sondaggi di opinione e le molteplici manifestazioni per la vita che si
sono svolte nell’ultimo anno. (Il Foglio 26 novembre 2009)


Nella Svizzera di Mons. Brunner dove la Chiesa stravolge Tradizione e Magistero facendo del celibato un atto volontario

Mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion e presidente designato della Conferenza episcopale svizzera, afferma in un'intervista alla "NZZ am Sonntag" che non c'è legame sostanziale tra celibato e sacerdozio. "Ordinare preti uomini sposati dovrebbe quindi essere possibile." Il celibato dovrebbe essere volontario, sostiene il prelato che guida la diocesi di Sion dal 1995. "Credo - afferma nell'intervista - che la Conferenza episcopale sia quasi all'unanimità dell'opinione che in Svizzera debba essere possibile ordinare sacerdoti uomini sposati". Monsignor Brunner afferma anche di essere intervenuto più volte in Vaticano in favore dell'abolizione del celibato obbligatorio. (Intervista al settimanale elvetico NZZ am Sonntag)


E nella Svizzera di
Schlüer, che non vuole essere islamizzata

“Con questo voto, la Svizzera ha mostrato che cosa non vuole: non vuole moschee, non vuole muezzin, non vuole sharia. In una parola, non vuole essere islamizzata”. Chi parla è Ulrich Schlüer, 65 anni, autore della proposta antiminareti approvata domenica con un referendum molto discusso. Schlüer è un deputato dei Popolari (Pps), il primo partito del paese. In patria, il 57 per cento dei cittadini ha promosso il quesito che impedisce di costruire nuove torri islamiche, ma nel resto dell’Europa le reazioni sono dure. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si dice “preoccupato” così come il presidente di turno dell’Unione europea, lo svedese Carl Bildt. Il responsabile del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, è “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”, che definiscono il voto “un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. E c’è chi, come Amnesty International, non esclude di ricorrere al Tribunale europeo.
“La Corte europea dice che dobbiamo togliere i crocefissi dalle scuole e permettere l’apertura di nuove moschee – spiega – Io ritengo invece che i minareti devono essere respinti perché rappresentano il desiderio di introdurre un nuovo ordine in Europa. In Svizzera ne abbiamo quattro e questo significa che possiamo ancora fare qualcosa per opporci all’islamizzazione della nostra cultura. Guardate Parigi, Berlino e Londra: ci sono interi quartieri che vivono in una dimensione parallela, hanno le loro leggi, i loro costumi e il loro ordine. Non esiste alcuna possibilità di rimettere le cose a posto. Se un giorno avremo cento o duecento minareti anche in Svizzera, non saremo più in grado opporci”. Quello che colpisce non è tanto la percentuale delle persone che hanno votato “sì”, quanto la dimensione geografica del successo: 22 cantoni su 26 hanno approvato la proposta del Partito popolare: la Svizzera, dice Schlüer, non sarà mai come la Francia.

Messori ci spiega che con il no svizzero ai minareti "si riscoprono le radici cristiane e la nostra cultura".

In Svizzera i campanili delle chiese cattoliche come quelli dei templi protestanti hanno sempre contrassegnato gli scenari urbani come i romantici paesaggi montani .
Anche per questo è significativo l’esito del referendum indetto non tanto contro i luoghi di culto islamici quanto contro il manarah, il «faro» in arabo, il minareto che contrassegna gli spazi della preghiera musulmana.
Copiato dai cristiani, sostituendo alla cella campanaria il balconcino per il muezzin che cinque volte al giorno salmodia il Corano invitando alla preghiera, il minareto è parte imprescindibile della moschea. È il segno dell’islamizzazione: quando i turchi catturarono la preda più ambita, la veneranda Santa Sofia di Costantinopoli, la fecero subito «loro» lasciando quasi intatti gli interni, cancellando solo dalle pareti e dalle cupole le aborrite immagini umane, ma circondandola di quattro, altissimi «fari».
È proprio contro questo segno che sembra avere votato la Confederazione elvetica, con disappunto delle gerarchie cristiane. Questa sorta di compendio, di sintesi della storia e della cultura europea, piantata nel cuore del Continente, dove fa convivere le due grandi radici, la latinità e il germanesimo, ha detto no. No alla convivenza esplicita, avvertibile già a colpo d’occhio, della croce con la mezzaluna, del campanile con il minareto. Le bianche montagne, le verdi vallate, i laghi azzurri non hanno nulla a che fare con i deserti e le steppe da cui spuntarono i maomettani, tante volte contenuti a suon di spada (e le milizie elvetiche fecero la loro parte) e che ora muovono silenziosamente ma implacabilmente a una nuova conquista, varcando le frontiere spesso in modo abusivo.
La Svizzera non fa che confermare il «complesso dell’assedio» che sempre più va diffondendosi in Europa.
Qualcosa come l’allarme dei «barbari alle porte» che contrassegnò gli ultimi secoli dell’Impero romano.
Può esserci del positivo, malgrado le rampogne dei vescovi: innanzitutto, la riscoperta della nostra civiltà e cultura, abbandonando quell’«inspiegabile odio di sé che caratterizza da tempo l’Occidente», per usare le parole di Joseph Ratzinger quando ancora era cardinale e ricordava agli europei che nella loro storia le luci, malgrado tutto, prevalgono sulle ombre. (Corriere della Sera, 30 novembre 2009)


Quando la Chiesa salva la pace e i popoli grazie alle sue "ingerenze"

Venticinque anni fa l’o­pera di mediazione della Santa Sede riu­scì a scongiurare un conflitto incomben­te tra Cile ed Argentina che si contende­vano il possesso del canale di Beagle, al­l’estremità meridionale del continente la­tino- americano. Una vertenza secolare, riesplosa tra l’ultimo scorcio degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta sul­l’onda del virulento nazionalismo fomen­tato dalle dittature militari dei due Paesi. C’era un clima esagitato nel Cono Sud do­ve nel 1982 sarebbe scoppiata la guerra delle Falkland-Malvinas tra la Gran Bre­tagna della signora Thatcher e l’Argenti­na del generale Videla, mentre il Cile di Pinochet tifava apertamente per gli in­glesi. A Buenos Aires e a Santiago si mo­bilitavano gli eserciti. Lo scontro armato sembrava inevitabile. Fu evitato grazie al coraggio di Giovanni Paolo II che volle in­tromettersi nella faccenda e inviò nelle due capitali un suo emissario, nonostan­te il rischio di un clamoroso fallimento. Dopo cinque anni di serrate trattative la difficile media­zione della Santa Sede fu coronata da successo ed il 29 novembre del 1984 l’Argentina, nel frattempo tornata alla democrazia, ed il Cile, con Pino­chet ancora al po­tere, firmavano u­no storico accordo di pace.
L’anniversario è stato celebrato ieri in Vaticano dalle due presidentesse Bachelet e Kirchner alla pre­senza di Benedetto XVI che ha ricordato «l’instancabile lavoro» a favore della pace condotto da Giovanni Paolo II. E certa­mente, se il suo intervento non cadde nel vuoto fu perché seppe risvegliare quella comune vocazione di fraternità e di ami­cizia tra due popoli di tradizione cattoli­ca.

È un fatto che riempie di legittimo orgo­glio quei Paesi. E dovrebbe far riflettere noi europei. L’intervento di Papa Wojty­la nella contesa per il canale di Beagle s’i­spirava allo stesso principio enunciato da Pio XII nel 1939: «Nulla si perde con la pace, tutto può andare perduto con la guerra». Ma, come sappiamo, non venne ascoltato. Anzi fu deriso e minacciato in nome di ideologie follemente totalitarie e radicalmente anti-cristiane. La vecchia Europa tradiva le propri origini e s’avvia­va alla catastrofe. È risalita dall’abisso do­ve giacciono decine di milioni di morti ed è rinata nella pace e nella prosperità. Si è data perfino una bandiera con 12 stel­le che richiamano la simbologia maria­na. Ma ancora oggi l’Unione Europea non intende riconoscere le proprie radici cri­stiane, mentre una recente sentenza di una Corte che fa capo al Consiglio d’Eu­ropa vorrebbe bandire il crocifisso dai luoghi pubblici. E da più parti non si per­de occasione d’accusare la Chiesa di vo­lersi intromettere nella vita dei popoli e degli Stati. (Avvenire 29 novembre 2009)


Il Gesuita della Civiltà Cattolica che non ha paura di chi prega, il teologo che chiede libertà religiosa, la storica che sottolinea la piaga del tabù della reciprocità

“Non metto in dubbio che in alcuni paesi musulmani i cristiani soffrono, ma a maggior ragione un cristiano deve battersi perché ai musulmani venga concessa piena libertà d’esercizio della propria fede. Solo così è possibile e ammissibile chiedere libertà in casa loro. E poi: che paura fa un
uomo che prega?”. In che senso? “Il voto in Svizzera mi sembra dettato dalla paura dello straniero. Ma che paura può fare un uomo che prega?”. (Giovanni Sale, gesuita, redattore
storico della Civiltà cattolica, che all’islam ha dedicato un recente libro – “Stati islamici e minoranze cristiane” (Jaca Book, 2008)
George Weigel, saggista cattolico americano di grande successo e biografo di Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI, ci dice che “come regola generale non dovremmo violare la libertà religiosa al fine di dimostrare il fallimento altrui nell’onorare il più elementare diritto umano. Ma nella guerra delle idee al jihadismo, l’occidente deve essere all’offensiva e fare della libertà religiosa il
perno del dialogo interreligioso. La libertà di culto spezza il fanatismo e l’unione di religione e politica. Senza questa, Ahmadinejad è solo un lunatico. Con quel potere, è l’uomo più pericoloso della terra. Spero che il voto svizzero concentri l’attenzione sugli stati islamici. Ma non sono
ottimista”.
“In Europa il principio della reciprocità è stato rifiutato anche dalle chiese in declino, che ci ripetono che il cristianesimo deve essere tollerante e accogliente con lo straniero. Ma poi rifiutano il principio della reciprocità, così come hanno fatto le élite europee. Secondo la sharia, non è permesso costruire chiese e sinagoghe, il culto cristiano non può essere aperto e visibile nell’islam, tanto che solo in Israele i cristiani hanno vita pubblica. Il tabù della reciprocità nasce dall’odio di sé, mentre i governi hanno soprattutto paura di reazioni economiche. Non si è fatto nulla per proteggere la cristianità in medio oriente e il risultato è stata la palestinizzazione dell’Europa contro Israele. La resa europea sulla reciprocità fa parte della dhimmitudine applicata ai cristiani e agli ebrei nell’islam”. (Bat Ye’or, storica svizzera autrice di volumi di fama internazionale sull’estinzione della cristianità e dell’ebraismo nel mondo islamico (l’ultimo è “Il declino della cristianità sotto l’islam”, in italiano per Lindau). (Il Foglio 1 dicembre 2009)

La grande bugia della RU486

Manuali, rubriche, blog di medicina e naturalmente medici: tutti incapaci di chiamare embrione l’embrione e feto il feto, quando si parla di aborto. Ma in compenso tutti a definire la Ru486 un farmaco. Un farmaco che consente di ripulire l’utero del suo contenuto. Semplice e asettico.
Se le parole hanno un senso, il succo dell’aborto è esattamente questo: liberare con un farmaco l’utero da un contenuto non desiderato. La Ru486 farà meglio dei metodi abortivi "tradizionali"? Sicuramente no. Quasi sicuramente farà peggio, e neppure di poco. Del resto, se i suoi risultati fossero indiscussi, essa avrebbe trovato ben altro seguito, mentre invece rimane una metodologia
minoritaria anche dov’è ammessa. Quali effettivi vantaggi per la salute della donna? Non se ne vedono, per il semplice motivo che non ce ne sono. Non c’è alcun vero, effettivo vantaggio per la
salute della donna. L’unico, se tale lo si ritiene, sta nella relativa “comodità” del metodo, un autentico usa e getta. Inoltre il riconoscimento di una filosofia ultrafacilitante l’aborto si è ben visto dove ha portato i paesi laddove ha messo radici: a più aborti, segnatamente di ragazzine e
adolescenti.
Conosco l’obiezione. Isabella Bossi Fedrigotti argomenta in proposito: “Che l’aborto sia scelta estrema e infelicissima, lo sanno quasi tutti, ed è difficile credere che una pillola la renderà meno luttuosa”. E continua: “Certo ci saranno delle scervellate che vi ricorreranno come tragicamente
inappropriato mezzo anticoncezionale, però, inutile negarlo, le scervellate già ci sono e non hanno aspettato la Ru486 per diventarlo”. Un’obiezione facile quanto illusoria. Non sono alcune sporadiche scervellate, come la Fedrigotti lascia benevolmente intendere, a considerare l’aborto un “inappropriato mezzo anticoncezionale”, se 27 donne su cento di quante ricorrono all’Ivg già sono passate una o più volte da quella “scelta estrema e dolorosissima”, se questa proporzione
non si abbassa di una virgola nel tempo (semmai cresce) e se, infine, supera quota 21 anche tra le italiane (arriva a 38 su 100 tra le immigrate). Ancora poca cosa rispetto a Svezia e Olanda, dove le “scervellate” sono 37 su cento. Plotoni di scervellate.

Il Foglio 1 dicembre 2009
Roberto Volpi