Il Papa scrive al Patriarca Bartolomeo I che il ministero di Pietro è servizio e non potere
Benedetto XVI scrive nel messaggio al patriarca ecumenico Bartolomeo I in occasione della festa di s. Andrea, patrono del Patriarcato: “La Chiesa cattolica comprende il ministero petrino cone un dono del Signore alla sua Chiesa. Questo ministero dovrebbe essere interpretato non in una prospettiva di potere, ma all’interno di una ecclesiologia di comunione, come un servizio all’unità nella verità e nella carità. Il vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità (S. Ignazio di Antiochia), è compreso come il Servus Servorum Dei (s. Gregorio Magno). Così, come il mio venerabile predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto e io ho riaffermato in occasione della mia visita al Phanar nel novembre 2006, è questione di cercare insieme, ispirati dal modello del primo millennio, le forme in cui il ministero del vescovo di Roma può compiere un servizio di amore riconosciuto da ciascuno e da tutti (Cfr. Ut Unum Sint, 95). Per questo chiediamo a Dio di benedirci e possa lo Spirito Santo guidarci lungo questo difficile, ma promettente sentiero”.
Nella Spagna di Mons. Camino, dove la Chiesa annuncia, senza timore, la Verità sulla vita
Alla vigilia del dibattito parlamentare sull’aborto in Spagna è il segretario generale della Conferenza episcopale spagnola, monsignor Juan Antonio Martínez Camino, a prendere l’iniziativa avvisando i politici cattolici che, se voteranno sì alla legge, non potranno essere ammessi alla comunione, perché si collocherebbero in una situazione oggettiva di “peccato pubblico”. Non solo: chi sostiene che sia moralmente legittimo uccidere un nascituro – ha spiegato il vescovo – si mette in contraddizione con la fede cattolica e pertanto rischia di cadere nell’eresia e nella scomunica latae sententiae. Dichiarazioni che hanno suscitato reazioni. Hanno anche pubblicato un video in cui monsignor Camino, con la musica di sottofondo del film “L’esorcista”, spiega che “nessun cattolico può approvare o dare il suo voto” alla legge. Ma, come i vescovi, sono scesi in campo anche accademici, giuristi e scienziati. Hanno firmato tre documenti
in cui chiedono ai legislatori il riconoscimento della personalità giuridica del nascituro e di tener conto delle opinioni degli esperti e dell’opinione della maggioranza degli spagnoli a favore della vita, così come indicano tutti i sondaggi di opinione e le molteplici manifestazioni per la vita che si
sono svolte nell’ultimo anno. (Il Foglio 26 novembre 2009)
Nella Svizzera di Mons. Brunner dove la Chiesa stravolge Tradizione e Magistero facendo del celibato un atto volontario
E nella Svizzera di Schlüer, che non vuole essere islamizzata
“Con questo voto, la Svizzera ha mostrato che cosa non vuole: non vuole moschee, non vuole muezzin, non vuole sharia. In una parola, non vuole essere islamizzata”. Chi parla è Ulrich Schlüer, 65 anni, autore della proposta antiminareti approvata domenica con un referendum molto discusso. Schlüer è un deputato dei Popolari (Pps), il primo partito del paese. In patria, il 57 per cento dei cittadini ha promosso il quesito che impedisce di costruire nuove torri islamiche, ma nel resto dell’Europa le reazioni sono dure. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si dice “preoccupato” così come il presidente di turno dell’Unione europea, lo svedese Carl Bildt. Il responsabile del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, è “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”, che definiscono il voto “un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. E c’è chi, come Amnesty International, non esclude di ricorrere al Tribunale europeo.
“La Corte europea dice che dobbiamo togliere i crocefissi dalle scuole e permettere l’apertura di nuove moschee – spiega – Io ritengo invece che i minareti devono essere respinti perché rappresentano il desiderio di introdurre un nuovo ordine in Europa. In Svizzera ne abbiamo quattro e questo significa che possiamo ancora fare qualcosa per opporci all’islamizzazione della nostra cultura. Guardate Parigi, Berlino e Londra: ci sono interi quartieri che vivono in una dimensione parallela, hanno le loro leggi, i loro costumi e il loro ordine. Non esiste alcuna possibilità di rimettere le cose a posto. Se un giorno avremo cento o duecento minareti anche in Svizzera, non saremo più in grado opporci”. Quello che colpisce non è tanto la percentuale delle persone che hanno votato “sì”, quanto la dimensione geografica del successo: 22 cantoni su 26 hanno approvato la proposta del Partito popolare: la Svizzera, dice Schlüer, non sarà mai come la Francia.
Messori ci spiega che con il no svizzero ai minareti "si riscoprono le radici cristiane e la nostra cultura".
In Svizzera i campanili delle chiese cattoliche come quelli dei templi protestanti hanno sempre contrassegnato gli scenari urbani come i romantici paesaggi montani .
Quando la Chiesa salva la pace e i popoli grazie alle sue "ingerenze"
Venticinque anni fa l’opera di mediazione della Santa Sede riuscì a scongiurare un conflitto incombente tra Cile ed Argentina che si contendevano il possesso del canale di Beagle, all’estremità meridionale del continente latino- americano. Una vertenza secolare, riesplosa tra l’ultimo scorcio degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta sull’onda del virulento nazionalismo fomentato dalle dittature militari dei due Paesi. C’era un clima esagitato nel Cono Sud dove nel 1982 sarebbe scoppiata la guerra delle Falkland-Malvinas tra la Gran Bretagna della signora Thatcher e l’Argentina del generale Videla, mentre il Cile di Pinochet tifava apertamente per gli inglesi. A Buenos Aires e a Santiago si mobilitavano gli eserciti. Lo scontro armato sembrava inevitabile. Fu evitato grazie al coraggio di Giovanni Paolo II che volle intromettersi nella faccenda e inviò nelle due capitali un suo emissario, nonostante il rischio di un clamoroso fallimento. Dopo cinque anni di serrate trattative la difficile mediazione della Santa Sede fu coronata da successo ed il 29 novembre del 1984 l’Argentina, nel frattempo tornata alla democrazia, ed il Cile, con Pinochet ancora al potere, firmavano uno storico accordo di pace.
L’anniversario è stato celebrato ieri in Vaticano dalle due presidentesse Bachelet e Kirchner alla presenza di Benedetto XVI che ha ricordato «l’instancabile lavoro» a favore della pace condotto da Giovanni Paolo II. E certamente, se il suo intervento non cadde nel vuoto fu perché seppe risvegliare quella comune vocazione di fraternità e di amicizia tra due popoli di tradizione cattolica.
È un fatto che riempie di legittimo orgoglio quei Paesi. E dovrebbe far riflettere noi europei. L’intervento di Papa Wojtyla nella contesa per il canale di Beagle s’ispirava allo stesso principio enunciato da Pio XII nel 1939: «Nulla si perde con la pace, tutto può andare perduto con la guerra». Ma, come sappiamo, non venne ascoltato. Anzi fu deriso e minacciato in nome di ideologie follemente totalitarie e radicalmente anti-cristiane. La vecchia Europa tradiva le propri origini e s’avviava alla catastrofe. È risalita dall’abisso dove giacciono decine di milioni di morti ed è rinata nella pace e nella prosperità. Si è data perfino una bandiera con 12 stelle che richiamano la simbologia mariana. Ma ancora oggi l’Unione Europea non intende riconoscere le proprie radici cristiane, mentre una recente sentenza di una Corte che fa capo al Consiglio d’Europa vorrebbe bandire il crocifisso dai luoghi pubblici. E da più parti non si perde occasione d’accusare la Chiesa di volersi intromettere nella vita dei popoli e degli Stati. (Avvenire 29 novembre 2009)
“Non metto in dubbio che in alcuni paesi musulmani i cristiani soffrono, ma a maggior ragione un cristiano deve battersi perché ai musulmani venga concessa piena libertà d’esercizio della propria fede. Solo così è possibile e ammissibile chiedere libertà in casa loro. E poi: che paura fa un
uomo che prega?”. In che senso? “Il voto in Svizzera mi sembra dettato dalla paura dello straniero. Ma che paura può fare un uomo che prega?”. (Giovanni Sale, gesuita, redattore
storico della Civiltà cattolica, che all’islam ha dedicato un recente libro – “Stati islamici e minoranze cristiane” (Jaca Book, 2008)
George Weigel, saggista cattolico americano di grande successo e biografo di Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI, ci dice che “come regola generale non dovremmo violare la libertà religiosa al fine di dimostrare il fallimento altrui nell’onorare il più elementare diritto umano. Ma nella guerra delle idee al jihadismo, l’occidente deve essere all’offensiva e fare della libertà religiosa il
perno del dialogo interreligioso. La libertà di culto spezza il fanatismo e l’unione di religione e politica. Senza questa, Ahmadinejad è solo un lunatico. Con quel potere, è l’uomo più pericoloso della terra. Spero che il voto svizzero concentri l’attenzione sugli stati islamici. Ma non sono
ottimista”.
“In Europa il principio della reciprocità è stato rifiutato anche dalle chiese in declino, che ci ripetono che il cristianesimo deve essere tollerante e accogliente con lo straniero. Ma poi rifiutano il principio della reciprocità, così come hanno fatto le élite europee. Secondo la sharia, non è permesso costruire chiese e sinagoghe, il culto cristiano non può essere aperto e visibile nell’islam, tanto che solo in Israele i cristiani hanno vita pubblica. Il tabù della reciprocità nasce dall’odio di sé, mentre i governi hanno soprattutto paura di reazioni economiche. Non si è fatto nulla per proteggere la cristianità in medio oriente e il risultato è stata la palestinizzazione dell’Europa contro Israele. La resa europea sulla reciprocità fa parte della dhimmitudine applicata ai cristiani e agli ebrei nell’islam”. (Bat Ye’or, storica svizzera autrice di volumi di fama internazionale sull’estinzione della cristianità e dell’ebraismo nel mondo islamico (l’ultimo è “Il declino della cristianità sotto l’islam”, in italiano per Lindau). (Il Foglio 1 dicembre 2009)
La grande bugia della RU486
Se le parole hanno un senso, il succo dell’aborto è esattamente questo: liberare con un farmaco l’utero da un contenuto non desiderato. La Ru486 farà meglio dei metodi abortivi "tradizionali"? Sicuramente no. Quasi sicuramente farà peggio, e neppure di poco. Del resto, se i suoi risultati fossero indiscussi, essa avrebbe trovato ben altro seguito, mentre invece rimane una metodologia
minoritaria anche dov’è ammessa. Quali effettivi vantaggi per la salute della donna? Non se ne vedono, per il semplice motivo che non ce ne sono. Non c’è alcun vero, effettivo vantaggio per la
salute della donna. L’unico, se tale lo si ritiene, sta nella relativa “comodità” del metodo, un autentico usa e getta. Inoltre il riconoscimento di una filosofia ultrafacilitante l’aborto si è ben visto dove ha portato i paesi laddove ha messo radici: a più aborti, segnatamente di ragazzine e
adolescenti.
Conosco l’obiezione. Isabella Bossi Fedrigotti argomenta in proposito: “Che l’aborto sia scelta estrema e infelicissima, lo sanno quasi tutti, ed è difficile credere che una pillola la renderà meno luttuosa”. E continua: “Certo ci saranno delle scervellate che vi ricorreranno come tragicamente
inappropriato mezzo anticoncezionale, però, inutile negarlo, le scervellate già ci sono e non hanno aspettato la Ru486 per diventarlo”. Un’obiezione facile quanto illusoria. Non sono alcune sporadiche scervellate, come la Fedrigotti lascia benevolmente intendere, a considerare l’aborto un “inappropriato mezzo anticoncezionale”, se 27 donne su cento di quante ricorrono all’Ivg già sono passate una o più volte da quella “scelta estrema e dolorosissima”, se questa proporzione
non si abbassa di una virgola nel tempo (semmai cresce) e se, infine, supera quota 21 anche tra le italiane (arriva a 38 su 100 tra le immigrate). Ancora poca cosa rispetto a Svezia e Olanda, dove le “scervellate” sono 37 su cento. Plotoni di scervellate.
Il Foglio 1 dicembre 2009
Roberto Volpi