DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il Papa tra i poveri di Sant'Egidio: Amare, servire dona la gioia del Signore





DISCORSO AL TERMINE DEL PRANZO

Cari Amici!

E’ per me un’esperienza commovente essere con voi, essere qui nella famiglia di Sant’Egidio, essere con gli amici di Gesù, perché Gesù ama proprio le persone sofferenti, le persone in difficoltà e vuole averle come i suoi fratelli e sorelle. Grazie per questa possibilità. E sono lieto e ringrazio quanti con amore e competenza hanno preparato il cibo - e realmente ho sentito la competenza di questa cucina, complimenti! E ringrazio anche coloro che lo hanno servito con competenza, così scorrevolmente che in un’ora abbiamo fatto un grande pranzo! Grazie, complimenti!

Rivolgo il mio cordiale pensiero al Vicegerente, Mons. Luigi Moretti, e a Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia. Saluto con affetto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità, amico da tanto tempo - come anche mons. Paglia e mons. Spreafico – e lo ringrazio per le cortesi e profonde parole che ha voluto indirizzarmi. Con il professor Riccardi saluto anche il Presidente Prof. Marco Impagliazzo, e il Parroco di Santa Maria in Trastevere, Mons. Matteo Zuppi, Assistente ecclesiastico. Rivolgo infine un particolare pensiero a tutti gli amici di Sant'Egidio e a ciascuno dei presenti.

Conosco un po’ la storia di alcuni di voi, come riflesso delle situazioni umane qui presenti - tutte presenti nella famiglia di Sant’Egidio e nell’amore del nostro Dio. Ecco, durante il pranzo, ho ascoltato storie dolorose e cariche di umanità, ma anche la storia di un amore trovato qui: storie di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti, in un modo o nell’altro, provati dalla vita.

Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della comunità dei credenti, e così anche nel mio cuore.

Attraverso gesti di amore di quanti seguono Gesù diventa visibile la verità che “(Dio) per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore” (Enc. Deus caritas est, 17). Gesù dice: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36). E conclude: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (v. 40).

Ascoltando queste parole, come non sentirsi davvero amici di quelli in cui il Signore si riconosce? E non solo amici, ma anche familiari. Sono venuto tra voi proprio nella Festa della Santa Famiglia, perché, in un certo senso, essa vi assomiglia.

Infatti, anche la Famiglia di Gesù, fin dai suoi primi passi, ha incontrato difficoltà: ha vissuto il disagio di non trovare ospitalità, fu costretta ad emigrare in Egitto per la violenza del Re Erode. Voi sapete bene cosa significa difficoltà, ma avete qui qualcuno che vi vuole bene e vi aiuta, anzi, qualcuno qui ha trovato la sua famiglia grazie al servizio premuroso della Comunità di Sant'Egidio, che offre un segno dell’amore di Dio per i poveri.

Qui oggi si realizza quanto avviene a casa: chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito, e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno. Mi torna alla mente l’espressione del Salmo: “Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133,1).

L'impegno di far sentire in famiglia chi è solo o nel bisogno, così lodevolmente portato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, nasce dall’ascolto attento della Parola di Dio e dalla preghiera. Desidero incoraggiare tutti a perseverare in questo cammino di fede. Con le parole di San Giovanni Crisostomo vorrei ricordare: “Pensa che diventi sacerdote di Cristo, dando con la tua propria mano non carne ma pane, non sangue ma un bicchiere d'acqua” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 42,3). Quale ricchezza offre alla vita l’amore di Dio, che si esprime nel servizio concreto verso i fratelli che sono nella necessità! Come San Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, quando i magistrati romani di quel tempo gli chiesero di mostrare, di dare i tesori della Chiesa, ha mostrato i poveri della Chiesa di Roma come il vero tesoro della Chiesa. Possiamo riprendere questo gesto di San Lorenzo e dire che voi siete proprio il tesoro della Chiesa.

Amare, servire dona la gioia del Signore, che ci dice: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35). In questo tempo di particolari difficoltà economiche ciascuno sia segno di speranza e testimone di un mondo nuovo per chi, chiuso nel proprio egoismo e illuso di poter essere felice da solo, vive nella tristezza o in una gioia effimera che lascia il cuore vuoto.

Sono trascorsi pochi giorni dal Natale: Dio si è fatto Bambino, si è fatto vicino a noi per dirci che ci ama ed ha bisogno del nostro amore. A tutti auguro con affetto buone feste e la gioia di sperimentare sempre di più l’amore di Dio. Invoco la protezione della Vergine della Visitazione, Colei che ci insegna ad andare “in fretta” verso i bisogni dei fratelli, e con affetto tutti vi benedico. Grazie!


PAROLE CONCLUSIVE (all’uscita, prima di partire)

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver partecipato al pranzo di festa nella Mensa della Comunità di Sant'Egidio e aver salutato alcuni studenti della Scuola di Lingua e di Cultura della Comunità, rivolgo i più calorosi auguri a voi che non siete potuti entrare, ma che avete preso parte a questo incontro dall’esterno già da un’ora o due. Grazie!

Tante persone, provenienti da vari Paesi, segnate dal bisogno, si ritrovano qui per cercare una parola, un aiuto, una luce per un futuro migliore. Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato.

C'è una lingua, che al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell'amore. Come dice l'apostolo Paolo: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita” (1 Cor 13,1).

È questa la lingua anche di questa Scuola, che dobbiamo apprendere e praticare tutti sempre di più. Ce la insegna il Bambino Gesù, Dio che per amore si è fatto uno di noi; ce la insegna innanzitutto con questa sua presenza, con questa sua umiltà di essere un bambino che si fa dipendente dal nostro amore. Questa lingua renderà migliore la nostra città e il mondo.

Vi benedico tutti con affetto e con un ringraziamento per tutto quello che fate qui per questi poveri, per la costruzione della civiltà dell’amore.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana