DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Perché torniamo sempre davanti al presepe, dove c’è un bimbo che ha fatto il sole e le stelle. Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Cari ragazzi, è Natale ancora, grazie
a Dio. Prima di avviarci verso il
presepe, bisogna che conosciate una
perla della vita di santa Teresa di Gesù
Bambino. Un giorno, durante la
malattia che la accompagnò alla morte,
ebbe in dono dalle consorelle una
rosa. Invece che deporla in un vaso, la
sfogliò sul Crocefisso con pietà e amore,
quasi a lenire le piaghe di Cristo.
“Nel mese di settembre” disse accompagnando
il suo gesto “la piccola Teresa
sfoglia ancora una rosa di primavera.
Sfogliando per Te la rosa primaverile,
vorrei asciugarti le lacrime”.
Nessuno sarebbe in grado di raccontare
qualche cosa di altrettanto
bello che non abbia a che fare con un
gesto di adorazione. Perché, lo dovete
sapere, sfogliando quella rosa di primavera
santa Teresina, in punto di
morte, adorava Gesù. Non dava sfogo
a un sentimento poetico. Se l’oggetto
dell’amore adorante di quella creatura
fosse stato qualche cosa di meno
che il Figlio di Dio, la sua vita sarebbe
naufragata nella disperazione di
una tragedia greca. Invece, si è incamminata
verso la gloria di una fiaba cristiana.
Capite, ora, Chi abbiamo deposto
in quella mangiatoia? Capite perché
tutte le statuette del presepe guardano
verso la luce che sprigiona da
quella grotta e a nessuno viene fatto
di orientarle altrimenti? Anche i briganti,
i ladroni, i soldati… Pensate che
i pastori fossero damerini firmati Prada
usciti da qualche salotto? Tra di loro
c’erano senz’altro dei tagliagola facili
a maneggiare il coltello. Eppure,
eccoli tutti lì, in adorazione, davanti
allo stesso Dio rivestito di petali di rosa
da santa Teresina. Ricordate i racconti
in cui Guareschi costringe Peppone
e la sua ciurma comunista a inciampare
nel Natale? Ricordate che il
figlio del Lungo si rifugia nel solaio
della Casa del Popolo per costruirsi il
suo presepe. E, la notte di Natale,
Peppone e gli altri sciamannati, dopo
aver tentato di decristianizzare il Natale,
se ne stanno là fuori, col naso verso
il solaio della Casa del Popolo, in
contemplazione della luce accesa dal
figlio del Lungo. E vi ricorderete di
quel solaio nascosto nel convento dove
era cresciuto Marcellino pane e vino.
Lassù non c’era il presepe. “C’è un
uomo” dicevano i frati per intimorire
Marcellino “che se ti vede ti porta subito
via con sé”. E dicevano il vero,
perché in quel misterioso solaio Marcellino
avrebbe incontrato Gesù crocefisso.
E a Gesù avrebbe portato la
sua rosa, ogni giorno, rubando di nascosto
dalla dispensa il pane e il vino,
per portarlo all’Uomo della Croce. Insomma,
ragazzi, la faccenda è questa:
che Presepe e Croce, Natale e Passione
e Resurrezione, o stanno insieme,
o non hanno nessun senso. Solo l’uomo
che riesce a contemplarle insieme
ne è pacificato. E’ ciò che accade a
Peppone quando, in canonica con don
Camillo a pitturare le statuine del
presepe, si trova tra le mani il Bambinello.
“Lo guardò e gli parve di sentire
sulla palma il tepore di quel piccolo
corpo”. E, una volta uscito nella notte,
si incanta pensando alla poesia che
il suo bambino gli reciterà. Gregorio
di Nissa insegnava che i concetti creano
gli idoli e solo lo stupore conosce.
E’ il ritratto del sindaco comunista
che pregusta la poesia del suo bambino.
Ma anche il nostro, mentre attendiamo
che declamiate le vostre. E
sarà pure il vostro ritratto, quando sarete
padri e madri e avrete dei figli
che si incanteranno davanti al presepe.
Una volta giunti fino a qui, cari ragazzi,
fate attenzione ai presepi alternativi
che vanno di moda e piacciono
anche a certi porporati. Presepi demitizzati
e demistificati in cui Gesù diventa
il profeta della raccolta differenziata.
State attenti perché ci sarà
sempre qualche cultore del teologicamente
corretto che vi inviterà a fare
marcia indietro. Dopo che vi sarete
trovati davanti al mistero del Verbo
incarnato, vi diranno che è sbagliato
perché non si può sbattere la verità in
faccia ai bambini, ma neppure ai ragazzi
più grandi. Suggeriranno che bisogna
partire dall’esperienza e, piano
piano, risalire dal vissuto fino allo
sbocciare di una consapevolezza sincera,
di una fede adulta insomma. Gesù,
secondo questa bizzarra pedagogia
religiosa, sarebbe la fine e non l’inizio
del cristianesimo. Non date retta a
questi falsi profeti, o vi troverete nella
condizione più disperata in cui si
possa trovare un essere umano: quella
in cui, pur sentendone il bisogno,
non sa davanti a chi inginocchiarsi.
Rimiriamoci il presepe di casa nostra.
Quella composizione insieme esotica
e domestica, infantile e gigantesca.
Quel luogo che accoglie e compone figure
di reciproca e bizzarra estraneità.
Pastori e re, ladri e soldati, vagabondi
e magi, contemplatori dei cieli
e uomini della terra, pii pellegrini e
predoni. Quel luogo concreto e metafisico
in cui fisica e prospettiva si arrendono
alla convivenza di pecore
enormi come i cammelli dei Re Magi
e casette con porticine dalle quali
nessuna statuina potrebbe passare.
Quel luogo dove il deserto cede il posto
a colline di muschio, dove le piante
si affastellano con furore sacro e
antiscientifico in filari di faggi, di palme,
di abeti e di rovi. Dove animali
miti si mescolano alle belve. Il segreto
di questa gran macchina allegorica
è il fascino poderoso e gentile dell’infanzia
divina che si manifesta, tenera
e indifesa, per chiedere adorazione.
“Tutta la letteratura, che cresce
sempre e non finirà mai” scrive Chesterton
“aveva cantato le trasformazioni
di quel semplice paradosso: che le
mani che avevano fatto il sole e le stelle
erano troppo piccole per accarezzare
le grosse teste degli animali”. Cari
ragazzi, quelle mani sono le stesse che
vedete trafitte sulla croce, sono le
stesse su cui santa Teresina sfogliava
i petali di rosa. Sono le mani in cui è
racchiusa la signoria dell’universo.
Pensate quanti gesti, quante vite hanno
trovato compimento in questa. Pensate
ai bambini vissuti nell’Inghilterra
anticattolica dei secoli scorsi. Esserini
svegliati in piena notte per partecipare
alla messa interdetta dal furore
antipapista e celebrata in segreto,
e costretti, qualche giorno dopo, ad assistere
al martirio del sacerdote a cui
avevano porto i paramenti. Al di fuori
della signoria di Cristo le loro storie
non avrebbero senso, non potrebbero
essere concepite. Una grazia così
grande in gesti così piccoli può sussistere
solo al cospetto del Verbo fatto
uomo. “In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio e il Verbo era
Dio”. Quanto è grande l’incipit del
Vangelo di Giovanni. Le eresie che da
sempre scuotono la chiesa tentano di
mistificare la figura di Gesù distorcendo
i concetti giovannei. Fotino sostenne
che Gesù era figlio di Dio al pari
degli altri uomini che fanno la volontà
del Padre. Sabellio predicò che Padre
e Figlio sono la stessa Persona. Ario
che il Figlio non era della stessa sostanza
del Padre. A questo proposito,
fu definitivo san Tommaso: “Così parlando,
san Giovanni confutò le tre eresie.
L’eresia fotiniana, dicendo: In
principio era il Verbo; l’eresia sabelliana,
dicendo: e il Verbo era presso
Dio; l’eresia ariana, dicendo: e il Verbo
era Dio”. Rigore e precisione che
Guareschi riassume così: “E fra mille
anni la gente correrà a seimila chilometri
l’ora su macchine a razzo superatomico
e per far cosa? Per arrivare
in fondo all’anno e rimanere a bocca
aperta davanti allo stesso Bambinello
di gesso che, una di queste sere, il
compagno Peppone ha ripitturato col
pennellino”.

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Il Foglio 24 dic. 2009