Le nostre tradizioni più forti sono quelle che hanno le radici più solide e talvolta pure complesse. Quando si pensa al presepe della Natività viene quasi automatico tornare alla tradizione dei grandi presepi napoletani del XVIII secolo che hanno visto un moltiplicarsi infinito di personaggi e di folklore attorno alla grotta.
Forse il più teatrale di tutti è quello della reggia di Caserta, al quale contribuirono tutti i monarchi borbonici da Carlo III in avanti. È tuttora una delle attrazioni più curiose del luogo e rappresenta tutta la vita contadina napoletana tra Sette e Ottocento, con una esaltazione particolare per le innovazioni alimentari avvenute sotto il regno di Ferdinando IV quando i dettami della fisiocrazia illuminata stavano trasformando le campagne. Vi appaiono le prime bufale allevate regolarmente e la loro naturale conseguenza di mozzarelle e provole, tutti i legumi vecchi e nuovi e un primo contadino redento che affonda una forchetta in un piatto di spaghetti con la pommarola appena scoperta. Probabilmente la gente povera non usava affatto la forchetta. Si tratta quindi d’un auspicio didattico realizzato dalle abili mani degli artisti e delle dame di corte che s’impegnavano con sommo divertimento ad organizzare il complesso teatro plastico. Il che riporta il presepe stesso alla invenzione teatrale vera e propria di san Francesco, quando prese la gente comune di Greccio vicino a Rieti e la coinvolse in una recita che celebrava la notte di Betlemme. Correva l’anno 1223 e papa Onorio III aveva autorizzato l’evento. È sempre bene ricordare che Francesco era per metà francese meridionale occitano (donde il suo nome!) e come tale educato nella cultura fine della prima poesia cortese. Dava egli rilievo ad una tradizione già ben ancorata che trova i suoi primi esempi in alcune sculture oggi conservate nel Museo Bizantino e Cristiano di Atene, fra le quali si scorge un buon pastore di derivazione apollinea, con pecorella a tracolla, e una rappresentazione d’una greppia con bue e asinello, ma senza i personaggi della Madonna e di Giuseppe. I testi sacri dei Vangeli appena resi canonici a Nicea ( Luca 2, 7) avevano prodotto le prime rappresentazioni visive. Ed è curioso in quanto Luca era il greco per eccellenza fra gli evangelisti, non aveva conosciuto Gesù di persona perché troppo giovane; e si dice pure che fosse, oltre che medico, pittore. È però nel mescolare questa tradizione d’oriente, greco-alessandrina come sono greche le parole fondamentali della cristianità, con Roma che nacque il presepe vero e proprio, ivi compresa la parola che deriva dal latino prae saepes, cioè il luogo dinnanzi al recinto dove si tenevano le greggi. Nella tradizione pagana romana si celebrava una festa di famiglia, sin dalla più profonda antichità, quando i bimbi lucidavano le statuette dei lares familiares, gli antenati protettori, per porle in una nicchia domestica dove venivano addobbate con decori di natura, fra i quali potevano apparire anche altri personaggi confezionati appositamente e illuminati da piccoli lumi ad olio. In quell’occasione ci si scambiavano piccoli doni. La festa di chiamava sigillaria e avveniva circa il 20 dicembre. La genialità della prima cristianità, finalmente ammessa dall’impero, fu esattamente quella di sovrapporre alle tradizioni passate la nuova tradizione nascente. In questo senso saranno poi esemplari i dipinti del Rinascimento quattrocentesco, quando andranno a raffigurare la Sacra Famiglia sotto le rovine degli archi romani antichi. Nel frattempo le recite di Francesco avevano preso la piega fantasiosa del Medioevo finale e la Controriforma si trovò nell’obbligo di ridare alla celebrazione una forma più contenuta.
Francesco Brandani prende la palla al balzo e realizza immediatamente il teatro scultoreo d’un presepe ad Urbino, semplice e povero, in stucco, dove i personaggi sono quasi in grandezza naturale. Andrà a generare una versione per così dire «di canone» che avrà gran successo, se lo stesso cardinale Federico Borromeo – il sostenitore più convinto d’una arte nuova, il promotore del Sacro Monte di Varese e della sua statuaria – insisterà presso il pittore urbinate Federico Barocci, influenzato ovviamente dal presepe della sua città, per farsi fare una copia ambrosiana del presepe oggi conservato al Prado. Se lo mise in collezione, il cardinale, accanto alla visita dei Magi di Tiziano. La tradizione continuava ad arricchirsi.
Avvenire