Sant’Agostino, Bakhita, i santi del passato. Ma anche Andrea, Cilla, le testimonianze dell’ultimo Meeting. In modo inaspettato, nelle situazioni più drammatiche, è solo Cristo che può rispondere al cuore dell’uomo. E se diciamo di sì...
La padrona quel giorno si annoiava, così decise di far seviziare le tre ragazzine nere che aveva comprato come schiave: avevano circa 10 o 11 anni. Bakhita fu bloccata a terra e con un rasoio le fecero 114 tagli nella carne. Poi riempirono di sale le ferite. Così, per divertimento. Perché era considerata una cosa dai padroni musulmani. All’età di sette anni, nel 1876, era stata rapita nel suo villaggio sudanese e venduta come schiava quattro volte. Aveva conosciuto solo la ferocia.
Così è la storia umana senza Gesù. Joseph Ratzinger, nel suo Gesù di Nazaret, spiega che prima della venuta del Salvatore il mondo era infestato dai demoni. Dovunque hanno dominato la ferocia e la disumanità. Poi, un giorno, sono risuonate queste parole: «Ho visto la miseria del mio popolo… ho sentito il suo grido e sono sceso per liberarlo» (Es. 3,7). «Egli si è mostrato. Egli personalmente», duemila anni fa. E da allora ogni giorno, «in un fenomeno di umanità diversa», ci dice don Giussani. Pure quella disgraziata ragazza, Bakhita «vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita… non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile».
Bakhita neanche riusciva a sognarlo. Per circostanze casuali, a 16 anni fu portata dai padroni in Italia, a Venezia, e conobbe le suore canossiane. Fu colpita dalla loro umanità e dalla bontà di un vero cristiano, «uomo dal cuore d’oro» che era parente di colui che sarebbe diventato papa san Pio X e che le regalò un crocifisso: «Nel darmelo», ricorda la ragazza, «lo baciò con devozione, poi mi spiegò che Gesù Cristo, Figlio di Dio, era morto per noi». Bakhita restò abbagliata. Era morto per lei? Possibile che qualcuno l’amasse? Sì. Lo vedeva dai volti di «quelle sante madri che mi fecero conoscere Dio», specialmente la suora che la istruì: «Non posso ricordare senza piangere la cura che ebbe di me». Essendo tornati i padroni a riprenderla, per la prima volta, Bakhita, che non voleva più perdere Dio, si rifiutò di seguirli. Il 29 novembre 1889 il Patriarca di Venezia fece intervenire il procuratore del re, che dichiarò Bakhita libera dalla schiavitù. Lei restò in Italia, si fece battezzare, chiese di diventare suora e visse 78 anni «durante i quali sempre più ho conosciuto la bontà di Dio verso di me». Morta nel 1947, è stata proclamata santa nel 2000.
Non c’è situazione tanto estrema e drammatica che non possa essere raggiunta e liberata da Dio fatto uomo. Anche oggi, tempo di diverse schiavitù. E i lettori di Tracce lo sanno bene. Indimenticabile è la testimonianza di quel giovane, ammalato di Aids, Andrea, che due giorni prima di morire scrisse a don Giussani (la lettera è riportata ne Il tempo e il tempio). Ne ricordo dei brani: «Le scrivo solamente per dirle grazie; grazie di avere dato un senso a questa mia arida vita». Andrea spiegava così la sua gratitudine: «Sono un compagno delle superiori di Ziba… Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo perché l’unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure ad un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte. Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle. Grazie perché nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello - ho una gran paura di morire - ma perché ora so che c’è qualcuno che mi vuole bene e anch’io forse mi posso salvare e posso anch’io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come io ho visto e incontrato. Così mi sento utile… con l’unica cosa che ancora riesco ad usare bene (la voce) io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del bene solamente dicendo l’Angelus. Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma la più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire “anch’io c’ero”, anch’io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero».
Una storia di oggi, insomma. Proprio come quelle, straordinarie, del Meeting 2008, appena raccolte da Paola Brizzi e Alberto Savorana nel volume Un’avventura per sé (vedi pagina 106; ndr), e così simili alle storie di duemila anni fa. Accadeva così anche nel IV secolo a quell’Agostino che era l’intellettuale più raffinato di Roma e poi di Milano dove era andato a insegnare nel 384 d.C.. Non gli mancava niente, né il successo accademico, né i beni, né l’amore femminile, né la soddisfazione della paternità, né gli svaghi, né l’amicizia con i potenti politici della città.
Eppure un inspiegabile male di vivere lo avvolgeva: «Ero infelice». Parla di «profondissimo tedio», di «paura della morte». Sarà l’incontro con Ambrogio - vescovo della città, che ha solo qualche anno più di lui - a colpirlo: «La dolcezza del suo dire mi dava piacere». Fa breccia in lui, lo affascina, ridimensiona anche l’orgoglio dell’intellettuale. «Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio».
La sua vita cambia. Ormai la «cupidigia di onori e guadagni… non avevano più forza, in confronto alla Tua dolcezza e allo splendore della Tua casa che amavo. Ma», confessa, «ero ancora attanagliato dalla donna», «le mie amanti di un tempo mi trattenevano». E ancora una volta sono degli incontri imprevisti a prevalere con l’attrattiva di una felicità più grande. Accade quando Ponticiano gli racconta che, a Treviri, due suoi amici hanno lasciato le fidanzate entrando in una comunità di vergini (le prime esperienze monastiche) e che lo stesso hanno fatto le due ragazze. Una nuova forma di vita che contagiava tanti giovani cristiani anche a Milano (dove erano seguiti da Ambrogio in persona). Agostino li incontra, ne è affascinato e coinvolto. Più avanti confesserà: «Tardi ti ho amato, o Bellezza, sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; ho gustato e ora ho fame e sete; tu mi hai toccato e io bramo la tua pace».
A distanza di molti secoli la stessa sete di felicità e lo stesso stupore commosso si trova nella vita di un’adolescente piemontese, altra presenza familiare ai lettori di questo giornale. Dal libro che don Primo Soldi ha dedicato a Cilla colgo due flash. Prima dell’«incontro», questa ragazza, quindicenne, ma così profonda e intelligente, in calce al suo diario, nelle “comunicazioni alla famiglia”, scrive di sé: «Signore, le comunico che sua figlia è sola. Signore le comunico che sua figlia non è felice. Signore le comunico che sua figlia vuole amare e non ci riesce».
E un giorno accade qualcosa. La semplicità di un invito delle amiche, che stanno iniziando il cammino di Cl, alla preghiera delle Lodi. Un lampo di meraviglia. Cilla annota: «È la prima volta che prego così… Credo di aver perso una delle cose più importanti della mia vita». Nel giro di poche settimane, con la scoperta di una vita nuova e di un’amicizia vera, la fioritura imprevista. Nel suo Diario si legge: «Prima non esistevo. Sono nata nel momento in cui ho capito cos’è la comunità: il mezzo che mi ha portato a Cristo».
In ogni epoca Gesù si è fatto incontrare in «un fenomeno di umanità diversa: un uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita». Dice Agostino: «Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se Lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se Lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato».
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