DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Corpo e spirito: un decalogo per guarire le ferite. di Jean Vanier

Tutto il percorso della maturazione umana consiste nell’imparare a lasciare che la luce penetri più in profondità nelle tenebre, nel permettere alla fiducia e all’amore di vincere le paure, i pregiudizi e l’odio, nel trovare la forza interiore di vivere e di accettare la nostra storia reale, con tutte le ferite che si porta dietro, senza fuggire in un mondo di illusioni e di sogni. In ciascuno di noi, anche se non vogliamo riconoscerlo, c’è un mondo segreto e nascosto, pronto a manifestarsi con più o meno forza in termini di tristezza e depressione. Questi pensieri negativi, che arrivano a volte fino al desiderio di scomparire, di morire, acquistano una violenza travolgente quando ci si trova in presenza di altre persone che sembrano avanzare gioiosamente sulle vie della vita. La parola «depressione» fa paura, non si osa pronunciarla. Allora si pensa: «Sono diverso dagli altri, sono brutto, porto il male dentro di me». Come aiutare chi vive questa sofferenza in modo più o meno acuto a scoprire che si tratta in realtà di un fenomeno naturale? Sono in molti quelli che a un certo punto, spesso in seguito a un momento doloroso della vita, a un fallimento o a un lutto, vengono invasi da questa profonda tristezza che emerge alla superficie della coscienza. Dunque non è una malattia di cui vergognarsi, da nascondere a se stessi e agli altri. Abbiamo il diritto di essere così, fa parte del nostro essere e della nostra storia. Ma ci sono ugualmente alcune cose da fare. Non è il caso di lasciarsi sprofondare in questa tristezza mortifera, si può reagire, ritrovare la vita. Bisogna imparare a gestire bene questi sentimenti che risalgono alla superficie della coscienza, a non diventarne schiavi e, a poco a poco, a liberarsene. Dunque cosa bisogna fare quando si viene invasi da questa profonda angoscia o dai pensieri negativi? La prima cosa da fare è parlarne a qualcuno che possa comprenderci. La parola è comunicazione, è comunione.
Implica che si abbia fiducia in un altro essere umano, o che questa fiducia stia nascendo. A volte accanto a noi ci sono persone di fiducia che non ci giudicano, che non drammatizzano e non prendono neanche le cose troppo alla leggera, persone che hanno abbastanza tempo e disponibilità interiore per ascoltarci: medici di famiglia, preti, persone più anziane e in pensione, membri della nostra famiglia, che avendo esperienza possono in certi casi aiutarci semplicemente ascoltandoci, prendendoci per mano, dandoci fiducia e offrendoci consigli saggi e pratici. È importante anche capire se è necessario un supporto medico. Infatti bisogna distinguere la tristezza, la depressione che si può vivere e superare con una leggera azione di sostegno e una certa lotta interiore, dalla tristezza o dalla depressione che non si possono vincere senza l’aiuto di un medico.
Esiste una forma di depressione patologica che progressivamente diventa chiusura totale: la persona in quel momento è incapace di comunicare, rinchiusa in una prigione terribile di pensieri cupi.
Per discendere in queste tenebre bisogna essere accompagnati da una persona competente. Con la nostra intelligenza e il nostro cuore, e soprattutto con un aiuto, possiamo proiettare un po’ di luce nelle tenebre. Ma bisogna affrontarle con pace e fiducia; direi quasi: avviare un dialogo. Se continuiamo a rifuggire i mostri che ci portiamo
dentro, questi crescono e assumono proporzioni enormi. Ma se ci fermiamo per guardarli in faccia senza paura, per affrontarli, indietreggiano, si ridimensionano e assumono le loro vere proporzioni.
Allora non permettiamo più che a governarci siano loro, e neanche la paura che ci incutono. Solo in questa apertura alla verità e alla luce che a poco a poco scopriremo il mistero nascosto del nostro essere e cosa voglia dire «far parte dell’universo». Se cerchiamo in tutte le cose la luce e l’amore, la comunione e la comprensione, smetteremo di condannare noi stessi, saremo persone libere. La depressione non avrà più potere su di noi. Potremo occupare il posto che ci spetta in questo universo, e forse solo allora intuiremo qualcosa del cuore di colui che è all’origine di un universo così bello e della bellezza che è in noi. Nel silenzio della pace, egli sussurrerà: «Tu sei unico ai miei occhi e io ti amo». Ci introdurrà nella comunione con lui, cioè nella preghiera, comunione che è perdono e vita.

E
videntemente ciò non risolve tutti i nostri problemi.
Restano in noi delle ferite.
Ma queste ferite non sono una punizione che manifesta una colpevolezza, i nostri errori, il male che è in noi. No, queste ferite sono il prodotto di altre ferite, che a loro volta sono il prodotto di altre ferite ancora. E le ferite noi le possiamo gestire e utilizzare per vivere nella verità. Non nasconderle, e neanche metterle in mostra, ma scoprire che ci aiutano
a vivere nell’umiltà e nella verità, che attraverso di esse Dio si manifesta e si dona. Il periodo della depressione è doloroso, ma, allo stesso tempo, è una crisi che può apportare una grande liberazione, se si scopre come viverla, come camminare verso la guarigione e come uscirne. La depressione, così come l’abbiamo descritta, è il riaffiorare alla coscienza di sofferenze nascoste; sofferenze che hanno origine nella prima infanzia.
Queste sofferenze profonde governano di fatto molti dei nostri atteggiamenti, anche se non ne siamo coscienti. Ci impediscono di
essere liberi. Sono come un peso sul cuore, come un’infezione nel sangue. Poi, a un certo punto, divengono visibili e coscienti, terribilmente coscienti. È come se l’infezione si sfogasse in un ascesso. È allora che si può riconoscere il male, scoprirne l’origine, ed è a questo punto che ci si può liberare di quel male occulto.
Per questo motivo la depressione, nel momento in cui esce allo scoperto, può divenire dono e condurci verso un’autentica e profonda liberazione del cuore. Ci obbliga a fermarci, a guardare in faccia le cose e gli eventi essenziali della nostra vita e della vita.

Auguste Rodin, «Il pensiero» (1886-1889)

Avvenire 31 gennaio 2010