DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

E il Corano «copiò» la Bibbia

Lorenzo Fazzini

L’arcano potrebbe essere svelato. Ovvero. Spesso la lettura del Corano, la sua floridezza testuale che sconfina in una sensazione di testo confuso, causa in molti la facile conclusione: ecco uno scrivere non razionale! E invece, dalla voce di un autorevole islamologo cattolico, arriva l’intuizione – comprovata da decenni di studio – che il sacro testo islamico è letterariamente molto più strutturato di quanto finora ritenuto. Con due postille non indifferenti: la «griglia» su cui il Corano è stato intessuto sarebbe che la retorica semitica, cioè l’arte di scrivere propria del popolo ebreo, confluita poi nella Bibbia.
E per arrivare a ciò, il metodo letterario è più fecondo di quello storico-critico. È questo, in sintesi, quanto sostiene lo studioso d’islam Michel Cuypers, 68 anni, belga di nazionalità, membro della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, dal 1989 residente in Egitto e collaboratore del’Istituto domenicano per gli studi orientali (Ideo) fondato da Georges Anawati. Il religioso del Belgio per molti anni ha incentrato la sua attenzione intellettuale sulla composizione (nazm) del Corano; prima di abitare e studiare al Cairo, Cuypers ha frequentato l’università di Teheran risiedendo per 12 anni in Iran. Nei mesi scorsi l’islamologo del Cairo è stato protagonista di un «duello culturale» sul sito www.chiesa, curato dal vaticanista Sandro Magister, con Aref Ali Nayed, islamologo libico, già docente alla Gregoriana e al Pisai di Roma. Oggetto del contendere, quale lettura fare (storico-critica, ermeneutica, solo teologica?) del testo coranico.
Nell’ultimo numero della rivista Oasis dell’omonima Fondazione di Venezia, Cuypers riassume le sue ultime ricerche sul Corano, da lui spiegate in Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida (2007), lo scorso anno tradotto in inglese. Nel 2009 è risultato vincitore del premio «Libro dell’anno 2009» del ministero della cultura dell’Iran. Su Oasis il ricercatore dell’Ideo illustra gli approdi del suo percorso che applica i principi della retorica biblica (desunti dall’esegeta Roland Meynet della Gregoriana) al testo islamico. Scrive Cuypers: «Il risultato più importante è stato mostrare che il Corano è un testo costruito a dovere, letterariamente molto elaborato.
È una constatazione che deriva da un’analisi metodica e rigorosa del testo». In cosa si nota questa «razionalità» del Corano? «Il testo obbedisce esattamente a tutte le regole della retorica semitica», soprattutto alle composizioni simmetriche quali parallelismi, chiasmi, composizioni concentriche, ripetizioni, sinonimie, antitesi, figure retoriche che Cuypers riprende da Meynet. Curiosamente i saggi di quest’ultimo vennero tradotti in arabo nel 1993. Le conquiste ermeneutiche che lo studio retorico di Cuypers ha ottenuto riguardano, per esempio, la celebre sura 5, considerata l’ultima a livello redazionale del Corano. In tale testo compare, apparentemente, un’antinomia, segnala l’islamologo: «Molti versetti sono polemici verso gli ebrei e i cristiani mentre diversi altri versetti aprono uno spazio di esistenza e di salvezza per i “popoli del Libro” (ebrei e cristiani) accanto ai musulmani».
Ebbene, spiega Cuypers, si può comprendere tale contrasto se lo si legge con gli occhi della retorica semitica dove «il centro ha sempre un’importanza particolare come chiave d’interpretazione per il testo nel suo insieme. Si constata talvolta un vero paradosso tra i versetti centrali che testimoniano una grande apertura, una sorta di saggezza universale, e i versetti periferici che li racchiudono, più duri, esclusivi o polemici». Tanto più che Cuypers annota: «Una lettura attenta del testo mi ha convinto di numerosi riferimenti [nel Corano, ndr] a testi anteriori: prima di tutto la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), ma anche testi rabbinici (la Mishnah) o apocrifi (Infanzia di Gesù). Alcuni di questi riferimenti sono noti da tempo, ma altri sono nuovi o inattesi (come il Deuteronomio, alcuni Salmi, il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, Passi di San Matteo o della lettera agli Ebrei)».
I risultati dell’intellettuale di stanza al Cairo rilanciano quella «dipendenza» dalle fonti bibliche già segnalate da Joachim Gnilka. Questo noto esegeta Münster (lodato da Benedetto XVI per il suo Gesù di Nazaret. Annuncio e Storia, Paideia), affermava di recente in un suo saggio – in Francia edito da Cerf con il titolo Qui sont le chrétiens du Coran – che le radici cristiane del Corano sono prettamente di ambiente matteano e probabilmente di natura giudaico-cristiana. Scoperta che faceva dire a Gnilka: «Riteniamo che il Corano non presuppone una conoscenza diretta degli scritti canonici neotestamentari», ma solo una parte di essi, quella accettata dai giudeo-cristiani eretici rispetto alla comunità canonica retta da Pietro. Un dato comunque che conferma la linea-Cuypers: il Corano si è modellato su una radice semitica, simile a quella biblica. L’islam condivide con ebraismo e cristianesimo il suo alfabeto religioso. In tempi di stentato dialogo interreligioso, non è annotazione da poco.