IL BATTESIMO DI GESÙ SECONDO IL RACCONTO DI LC 3, 21-22
B. Prete
Il battesimo di Gesù è narrato dai sinottici nei termini seguenti1.
Mt. 3, 13-17: [13] In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni
per farsi battezzare da Lui. [14] Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo:
“Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. [15] Ma
Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni
giustizia”. Allora Giovanni acconsentì.
[16] Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli
vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. [17] Ed
ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale
mi sono compiaciuto”.
Mc. 1, 9-11: [9] In quei giorni Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato
nel Giordano da Giovanni. [10] E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo
Spirito discendere su di lui come una colomba. [11] E si sentì una voce dal cielo:
“Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.
Lc. 3, 21-22: [21] Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto
anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì [22] e scese su di lui lo
Spirito Santo in apparenza corporea, come di una colomba, e vi fu una voce
dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”2.
Giovanni conosce il dato evangelico del battesimo di Gesù, ma non ne
narra lo svolgimento della scena; il quarto evangelista ricorda così l’avvenimento:
Giov. 1, 29-34 [29] “Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui
disse: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! [30]
Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato
avanti, perché era prima di me. [31] Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare
con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele’. [32] Giovanni rese
testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal
cielo e posarsi su di lui. [33] Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare
con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere
lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. [34] E io ho visto e ho reso
testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
Il testo di Giov. 1, 29-34 si distacca notevolmente dai racconti dei
sinottici sul battesimo di Gesù; esso soprattutto si presenta come un racconto
sovraccarico data la presenza di duplicati; quanto è detto nei vv. 31-
32 è ripetuto nel v. 33 ed in questi vv. si richiama la testimonianza di
Giovanni (cf. v. 32 e v. 34).
I racconti sinottici del battesimo di Gesù racchiudono una “densità teologica”
di senso che va esplorata3; noi ci limitiamo ad esaminare il racconto
di Luca, il quale, pur nella sua brevità, presenta delle caratteristiche tutte
proprie ed una sua ricchezza cristologica.
Nell’esaminare il racconto lucano del battesimo di Gesù concentreremo
la nostra attenzione su tre punti: I) prima di tutto segnaleremo alcune
caratteristiche letterarie sul breve testo di Luca; II) successivamente illustreremo
i tre dati emergenti dal racconto lucano, cioè: 1) l’indicazione
sull’apertura del cielo, 2) la discesa dello Spirito Santo su Gesù, e 3) la
proclamazione celeste della identità di Gesù; III) infine rileveremo gli
aspetti dottrinali del racconto.
I) Caratteristiche letterarie
Il breve racconto di Lc. 3, 21-22, che in genere viene intitolato “il battesimo
di Gesù”, è costituito nel testo greco da un’unica proposizione,
letterariamente alquanto involuta e sovraccarica; ciò principalmente è
dovuto al fatto che l’evangelista, a differenza degli altri sinottici, ha
voluto presentare in modo personale gli avvenimenti; egli infatti prima
di narrare il battesimo di Gesù ha voluto concludere il racconto dell’attività
del precursore anticipandone la notizia dell’imprigionamento (cf. Lc. 3, 20)4; di conseguenza Luca nel ricordare il battesimo di Gesù ha
dovuto fare un passo indietro, inserendo nella sua unica proposizione un
richiamo all’attività precedente del precursore, svolta da lui prima che
fosse messo in carcere da Erode. La proposizione inizia con la formula
ebraicizzante: ΔEgevneto de; ejn tw'/ (baptisqh'nai), che letteralmente significa:
Ed avvenne nel… (verbo all’infinito), dalla quale dipendono tre
verbi all’infinito, cioè: ajnew/cqh'nai, katabh'nai, genevsqai; in altri testi
invece si verifica il caso che dopo il primo infinito, è posta la congiunzione
kai; con un verbo finito (cf. Lc. 5, 1.12.17 etc.)5.
In questa successione di azioni formulate con verbi all’infinito, Luca
ha dovuto inserire l’accenno a due azioni compiute da Gesù in quella circostanza,
cioè l’aver ricevuto il battesimo di Giovanni ed il pregare, ricorrendo
all’uso del genitivo assoluto composto: kai;ΔIhsou'baptisqevntoß kai;
proseucomevnou; la presenza di questo genitivo assoluto appesantisce la
frase e ne interrompe il filo narrativo. Proprio questa struttura della frase
con la presenza del genitivo rivela l’intenzione dell’evangelista; per lui il
dato che Gesù è stato battezzato e che sta pregando (genitivo assoluto composto)
costituisce un’affermazione secondaria della frase, mentre la proposizione
principale pone in risalto gli avvenimenti soprannaturali che hanno
caratterizzato il battesimo di Gesù: l’apertura del cielo (ajnew/cqh'nai), la
discesa dello Spirito (katabh'nai) e la voce proveniente dal cielo ([Fwnh;n
ejx oujranou'] genevsqai)6.
Sorprende il fatto che Luca, in questo suo breve racconto del battesimo di
Gesù – il racconto lucano è il più breve di quelli sinottici7 – pur omettendo
varie indicazioni presenti nei racconti paralleli, aggiunge dei particolari tutto
propri, come sarà precisato meglio nel corso dell’esposizione.
Luca parla di “tutto il popolo” (a{panta to;n laovn) (Lc. 3, 21) che è stato
battezzato da Giovanni; l’evangelista ama ricorrere ad espressioni che
indicano totalità ed universalità, come il sostantivo “popolo” (cf. Lc. 1, 10;
2, 10; 3, 18 etc.; Atti 2, 47; 3, 9 etc.) ed il termine “tutto” o “tutti”; così
poco sopra aveva scritto: “tutti si domandavano…” (Lc. 3, 15) e: “Giovanni
rispose a tutti dicendo…” (Lc. 3, 16)8.
L’evangelista omette ovviamente di dire che Giovanni ha battezzato il
popolo e Gesù, poiché in precedenza (v. 20) aveva annotato che Erode aveva
rinchiuso in carcere il Precursore. Egli inoltre rileva che Gesù, dopo il
battesimo, “stava in preghiera” (proseucomevnou); di questo particolare si
dirà più ampiamente in seguito. Luca parla di cielo che “si apre” (ajnoivgw),
mentre Mc. 1, 10 usa il verbo “squarciare”, “spaccarsi” (scivzomai). L’evangelista
designa lo Spirito con l’espressione compiuta: “Spirito Santo” ed ha
una precisazione tutta propria quando parla della discesa dello Spirito, poiché
dichiara che lo Spirito Santo è disceso “in apparenza corporea”
(swmatikw'/ei[dei); infine egli dice che lo Spirito è disceso su Gesù
(ejp’aujtovn, v. 22), mentre Mc. 1, 10 ha “in lui” (eijß aujtovn). Questi dati
saranno ulteriormente ripresi ed illustrati in seguito9.
II) I dati caratteristici del racconto lucano del battesimo di Gesù
Nell’unica proposizione con la quale Luca parla del battesimo di Gesù,
l’evangelista con tre verbi pone in risalto gli aspetti caratteristici che hanno
accompagnato tale battesimo, cioè: l’apertura del cielo, la discesa dello
Spirito Santo su Gesù e la proclamazione celeste della sua identità; sono
questi i tre dati emergenti dal racconto evangelico che vanno successivamente
illustrati in questa parte del presente studio.
1) L’apertura del cielo
In primo luogo l’evangelista segnala che quando tutto il popolo fu battezzato
ed anche Gesù con esso, il cielo si aprì (… ajnew/cqh'nai to;n oujranovn).
L’idea dell’apertura del cielo deriva dai testi profetici ed apocalittici.
Un testo significato è quello di Is. 63, 19 nel quale il profeta dice: “Se
tu squarciassi i cieli (eja;n ajnoivxh/" to;n oujranovn) e scendessi!”10.
L’apertura del cielo indica che avrà luogo una manifestazione o rivelazione
divina; per questo motivo tale immagine caretterizza i testi apocalittici;
nel passo citato di Isaia l’apertura del cielo è ordinata alla manifestazione
punitrice di Dio contro i suoi nemici ed alla manifestazione
della sua bontà verso quanti praticano la giustizia e seguono le sue vie
(cf. Is 64, 1-4).
Nel racconto di Luca i tratti apocalittici sono attenuati; egli ad esempio
parla di cielo che si apre, ma non dice che Gesù “vide” il cielo aperto e lo
Spirito discendere su di lui, come hanno Mt. 3, 16 e Mc 1, 1011.
Il testo di Luca solleva un problema; in esso infatti si parla della preghiera
di Gesù e dell’apertura del cielo, ma non viene indicato in quale rapporto
stanno questi due dati. I commentatori di conseguenza si domandano
quale sia il rapporto posto dall’evangelista tra questi due elementi.
Come già conosciamo Luca è l’unico evangelista a segnalare il dato
della preghiera nel racconto del battesimo di Gesù; egli inoltre, come è
noto, è lo scrittore che nel vangelo parla più degli altri della preghiera di
Gesù12; per lui la vita del Salvatore è contraddistinta dalla preghiera (cf.
Lc. 5, 16; 6, 12; 9, 18. 28-29; 11, 1; 22, 32.41.44); questa quindi non poteva
mancare in una circostanza tanto significativa e privilegiata, come quella
del battesimo. Inoltre in Luca la preghiera e l’intervento divino si
richiamano a vicenda e nei suoi scritti è anche detto che la preghiera ha
come scopo quello di ottenere il dono dello Spirito Santo (cf. Lc. 11, 1313;
Atti 1, 14; 3, 15; 4, 31). Infine va tenuto presente che nella tradizione
apocalittica la preghiera prepara il veggente alle rivelazioni divine (cf. Dan.
2, 18-19; 9, 1-27; 10, 2-21; Lc. 9, 28-29; Atti 9, 11; 10, 30; 22, 17)14.
Gli studiosi, tenendo presenti questi dati caratteristici di Luca, ritengono
che secondo il terzo evangelista non tanto il battesimo ricevuto da Gesù,
quanto invece la sua preghiera compiuta da lui è stata la causa dell’epifania
che si è verificata in questa circostanza. Si può dire infatti che Dio ha risposto
alla preghiera compiuta da Gesù con la teofania, la quale ha comportato
l’apertura del cielo, la discesa dello Spirito Santo e la voce del cielo15.
Esaminando, sotto il profilo filologico, la proposizione con la quale
Luca narra il battesimo si osserva che egli accenna all’avvenuto battesimo
di Gesù (participio aoristo) ed indica che la preghiera di Gesù continua a
battesimo compiuto (participio presente)16.
2) La discesa dello Spirito Santo su Gesù
La discesa dello Spirito Santo su Gesù dopo il suo battesimo è così narrata
da Luca: “…e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come
di colomba” (3, 22a); subito dopo l’evangelista riporta la voce del cielo che
proclama l’indentità della persona di Gesù.
Come si è osservato in precedenza, Luca soltanto afferma che lo Spirito
Santo è disceso su Gesù “in apparenza corporea” (swmatikw/'ei[dei); con
questa espressione l’evangelista intende sottolineare un’idea, cioè la realtà
della comunicazione dello Spirito Santo a Gesù, non già indicare un particolare
descrittivo, come se si trattasse di una colomba fisica, osservabile e
tangibile. D’altra parte è noto come Luca ami accentuare la realtà delle
manifestazioni trascendenti ricorrendo a forme espressive assai efficaci,
come quando egli ricorda che Gesù risorto, per provare la realtà della sua
risurrezione ai discepoli che non credevano o dubitavano che egli fosse un
fantasma, chiede loro qualcosa da mangiare (cf. Lc. 24, 41); l’evangelista
poi annota: “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo
mangiò davanti a loro”17.
Parimenti la formula: “scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea”
non è un modo descrittivo per indicare come è avvenuto sotto il
profilo fenomenico la discesa dello Spirito Santo su Gesù, poiché l’autore
sacro non pensa alla discesa dello Spirito come al volo dolce e planante di
una colomba verso una persona18; l’evangelista con questo modo espressivo
vuole affermare un dato cristologico che oltrepassa la capacità apprensiva
dell’uomo e che rientra nell’ambito della fede.
ll problema più arduo è quello di conoscere il significato della “colomba”
in questo racconto e l’origine di questo simbolismo; i due temi
sono strettamente collegati tra loro, infatti la spiegazione di uno di essi
consentirebbe quella dell’altro. A questo problema sono state date varie
spiegazioni19.
Si è pensato che nei testi sinottici del battesimo di Gesù, la colomba
che scende su di lui simboleggia lo “Spirito di Dio” che nella creazione del
mondo “aleggiava (come un uccello) sulle acque” (Gen. 1, 2); in tal modo
la colomba del battesimo diventa simbolo di una nuova creazione. Si è anche
richiamata la colomba che Noè ha fatto uscire dall’arca alla fine del
diluvio (Gen. 8, 8); in questo caso la colomba del battesimo di Gesù significherebbe
l’inizio di una nuova liberazione dal castigo divino. Inoltre nella
colomba del battesimo di Gesù si è vista la ripresa dell’immagine di
Jahweh paragonato ad un’aquila, secondo il testo del Deut. 32, 11 in cui è
detto: “Come un’aquila, che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo (Israele) prese, lo sollevò sulle sue ali”. Indubbiamente
tra queste interpretazioni, quella che vede nella colomba del battesimo
di Gesù un richiamo al testo di Gen. 1, 2, il quale ha fatto pensare ad
una nuova creazione operata dallo Spirito Santo per mezzo di Gesù è molto
suggestiva, ma non appare fondata.
Il dato che rende dubbioso e circospetto lo studioso sulle varie interpretazioni
proposte dai commentatori sul senso che ha “la colomba” nel
dopo la sua risurrezione; nel testo si sottolinea il “noi” apostolico o della generazione apostolica
(“a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”).
racconto del battesimo di Gesù, come già si è fugacemente indicato, è il
silenzio del testo evangelico stesso, il quale non indica esplicitamente gli
effetti che ha avuto la discesa dello Spirito Santo su Gesù. Il testo tuttavia
nella sua estrema concisione e laconicità, lascia sufficientemente comprendere
che a Gesù fu comunicato il dono dello Spirito Santo, cioè una potenza
operativa divina, per svolgere la missione che egli si accingeva a
compiere con l’inizio del suo ministero pubblico, che avrebbe avuto luogo
subito dopo (cf. Lc. 3, 23)20. Lo Spirito Santo che è disceso su Gesù, appena
ricevuto il battesimo, indica che egli è stato dotato di una potenza divina
che opera in lui e che gli consente di realizzare la sua missione
messianica, la quale si esplica nell’insegnamento delle verità del regno e
nella attività taumaturgica21.
Nell’esegesi del testo di Luca sulla discesa dello Spirito Santo “in apparenza
corporea, come di colomba” (Lc. 3, 22) al battesimo di Gesù occorre
procedere con un equilibrato senso delle proporzioni; indubbiamente
ha la sua importanza spiegare l’espressione “in apparenza corporea, come
di colomba” e indicarne la portata e l’origine; ma ciò non deve far dimenticare
che l’accento principale della proposizione è posto sulla prima parte
di essa in cui si afferma che lo Spirito Santo è disceso su Gesù (“e scese su
di lui lo Spirito Santo”); è proprio questo dato che interessa soprattutto a
Luca.
Lo Spirito Santo che discende su Gesù richiama il ricco e multiforme
insegnamento contenuto nei libri veterotestamentari che riguarda lo Spirito
del Signore, la sua attività e la sua efficacia. Particolarmente lo Spirito del
Signore nell’Antico Testamento indica la potenza creativa di Dio in tutte le
sue manifestazioni e la presenza profetica di Dio negli uomini che egli
chiama per farne i suoi portavoce. Anche se non si riesce a proporre una
spiegazione soddisfacente dell’espressione “in apparenza corporea, come di
colomba” e dell’origine delle immagini che contiene, bisogna convenire
che tale espressione intende affermare una comunicazione o effusione dello
Spirito di Dio su Gesù. Parimenti all’affermazione: “e scese su di lui
(Gesù) lo Spirito Santo” (Lc. 3, 22) occorre dare un ampio significato, poiché
essa si ricollega a molteplici testimonianze ed insegnamenti sullo Spirito
di Dio trasmessi dai libri dell’Antico Testamento22.
3) La proclamazione celeste della identità di Gesù
L’evangelista dopo aver detto che lo Spirito Santo scese su Gesù in apparenza
corporea, come di colomba ricorda anche che “vi fu una voce dal
cielo” (Lc. 3, 22b). Siccome Luca parla di “tutto il popolo” che fu battezzato23
e di Gesù che “stava in preghiera” (cf. Lc. 3, 21), si può legittimamente
pensare che la voce celeste sia in pari tempo una risposta al desiderio
di conversione di “tutto il popolo” ed alla prolungata preghiera di Gesù.
L’idea di Dio che parla dal cielo agli uomini è attestata in vari modi
nell’Antico Testamento; inoltre l’origine celeste di questa voce è maggiormente
accentuata quando essa è accompagnata dal tuono (cf. Is. 30, 30-31;
Sal. l8, l4). Così in Deut. 4, l0-l2 si narra che Mosè per ordine del Signore
raduna il popolo ai piedi del monte Oreb, il quale era avvolto da fiamme
che si innalzavano in mezzo al cielo ed il Signore parlò dal fuoco; il popolo
udiva il suono delle parole, ma non vedeva nessuna figura, poiché “vi
era soltanto una voce” (Deut. 4, 12). Il tema della voce di Dio che parla
dal cielo o dalla nube è ripreso dal Nuovo Testamento ed è utilizzato da
Luca nei suoi scritti (cf. Lc. 9, 35 [una voce dalla nube]; Atti 10, 13.l5; 11,
7 [in questi versetti si trova unicamente il sostantivo “voce” che dal contesto
è una voce dal cielo], 11, 9 [la voce dal cielo])24.
Il problema più arduo e più importante è quello di stabilire criticamente
quale sia la formulazione originaria della proclamazione celeste che interessa
l’identità di Gesù. E’ noto infatti che questa proclamazione è
attestata secondo due letture: la prima, ampiamente documentata nella tradizione
manoscritta, offre questa formulazione: “Tu sei il mio figlio prediletto,
in te mi sono compiaciuto”; la seconda, attestata principalmente dal
codice D (per questo si chiama lettura occidentale [westliche Lesart]), da
qualche codice minuscolo e dalle testimonianze di alcuni Padri, ha: “Tu sei
il mio Figlio, io oggi ti ho generato”25.
Bisogna convenire che, prendendo come criterio di valutazione tanto la
moltiplicità delle attestazioni, quanto l’autorevolezza dei codici, la prima
lettura risulta più fondata sulle testimonianze antiche e quindi più valida
criticamente; tuttavia, esaminando in sé e con valutazioni di critica interna,
la seconda lettura, anche se meno attestata, risulta criticamente la formulazione
originaria26.
Prima di proporre la nostra opzione critica compiamo alcune osservazioni.
La prima lettura: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”,
come sappiamo, è quella preferita dalla maggioranza dei commentatori;
questa lettura tuttavia appare come una composizione di citazioni
(Mischzitat: citazione composta); essa infatti fonde insieme tre passi dell’Antico
Testamento.
Questa lettura in verità utilizza in primo luogo, anche se con qualche
ritocco il testo di Is. 42, 1; nel passo profetico il Signore designa il suo servo
come la persona che egli ha scelto con amore, nella quale si compiace
(“Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio”) e
sulla quale ha posto il suo spirito (“Ho posto il mio spirito su di lui”) perché
porti alle nazioni la buona novella della salvezza (“Egli porterà il diritto
alle nazioni”).
Il testo di Is. 42, 1, ripreso dalla proclamazione celeste, richiama l’attenzione
particolarmente sull’affetto e sulla compiacenza che Dio assicura
al servo quando gli affida la sua missione la quale tuttavia nel passo evangelico
non è precisata27.
In secondo luogo la proclamazione della voce celeste nella lettura in
questione prende la prima parte del testo del Sal. 2, 7, il quale contiene una
formula convenzionale di adozione in uso nell’antico oriente: “Tu sei il mio
figlio”; Dio, consacrando re su Israele il Messia lo dichiara suo figlio28. Nel
Sal. 2, 7 la formula di proclamazione del Messia come figlio di Dio è alla
seconda persona (“Tu sei il mio figlio”); questa formula entrando in composizione
con il testo di Is. 42, 1, in cui si ha la terza persona, obbliga l’autore
a riformulare il testo profetico esprimendone il contenuto in seconda
persona (“in te mi sono compiaciuto”). Nella prima lettura è attenuata la
nota regale; il titolo di figlio non soltanto si sostituisce a quello di servo,
ma accentua la stretta appartenenza di Gesù a Dio e la sua particolare ed
unica intimità con lui29.
In terzo luogo il termine “prediletto” (oJajgaphtov") richiama l’espressione
di Gen. 22, 2.12.16: oJuiJov" sou oJajgaphtov" (“il tuo figlio prediletto”),
con la quale i Settanta indicano Isacco, il figlio unico di Abramo; la
designazione oJ ajgaphtov" rende il termine ebraico ya˙id (unico); è interessante
notare come il testo ebraico di Gen. 22, 2 che letteralmente suona:
“Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’…” è stato tradotto
dai Settanta in questi termini: Λabe;to;n uiJovn sou to;n ajgaphtovn, o}n
hjgavphsa", to;n Isaavk…30
Come si è detto, la prima lettura è accolta dalla maggioranza dei commentatori
ed il motivo principale di tale scelta critica è offerto dalla istanza
marcata della proclamazione divina sul dato che Gesù si trova in una
relazione intima e personale con Dio; tale rapporto filiale ed intimo di Gesù
con Dio costituisce la verità di fondo della sua autocoscienza31.
La seconda lettura: “Tu sei il mio Figlio, io oggi ti ho generato” che
riprende il Sal. 2, 7, è meno attestata nella tradizione antica; essa tuttavia
ha dei sostenitori anche se in numero più ridotto nei confronti della prima.
Gli studiosi che ritengono originaria questa lettura, si fondano su vari
argomenti; ne ricordiamo i principali.
In primo luogo essi esaminano le testimonianze antiche, particolarmente
quelle dei Padri; ora le testimonianze degli antichi scrittori ecclesiastici,
a differenza dei manoscritti biblici, contengono la citazione del Sal. 2, 7:
“Tu sei il mio Figlio, io oggi ti ho generato”. Tali testimonianze offrono la
lettura propria di Luca che non è stata armonizzata dai copisti dei vangeli
con quella di Matteo e di Marco; è noto che, sotto il profilo critico, la lettura
dissonante, cioè non armonizzata con i testi paralleli, presenta maggiori
garanzie di autenticità32.
In secondo luogo la lettura indipendente di Luca (la citazione del Sal.
2, 7) si è conservata nella chiesa antica, nonostante l’importanza attribuita
al vangelo di Matteo, il vangelo ecclesiastico per antonomasia, il quale,
come è noto, ha la prima lettura.
In terzo luogo il testo del Sal. 2, 7 è utilizzato da Luca in Atti 13, 33
come prova scritturistica della risurrezione di Gesù. Ora l’applicazione del
passo del Sal. 2, 7 al battesimo di Gesù segue una linea di sviluppo proprio
del terzo evangelista; non soltanto Gesù si rivela Figlio di Dio al momento
della risurrezione, ma anche prima, cioè nella sua trasfigurazione (Lc. 9,
35) e nel suo battesimo (Lc. 3, 22)33.
In quarto luogo il testo di Lc. 3, 22 con la proclamazione della voce celeste
che si identifica con il passo del Sal. 2, 7 concentra l’attenzione su un’unica
e fondamentale idea: a Gesù Figlio di Dio è affidato un compito messianico;
è stato pertinentemente osservato: “L’inserimento della citazione del Sal. 2, 7
presenta la scena del battesimo come l’intronizzazione del re-messia e lascia
intravvedere la vittoria di Gesù sulle potenze del male” (cf. Sal. 2, 2ss.)34.
In quinto luogo infine va osservato che la prima lettura, attestata da
Matteo e da Marco, presenta il carattere di una citazione composita
(Mischzitat), la quale, come si è visto in precedenza, ha dovuto richiedere
una prolungata riflessione e ripensamento per raccogliere in un’unica formulazione
vari dati biblici; essa quindi appare una lettura secondaria, cioè
meno immediata della seconda, attestata da Luca.
Riteniamo che è più logico e coerente pensare che nel testo di Lc. 3, 22
l’evangelista concentri tutto il suo interesse sull’investitura messianica di
Gesù, affermata per mezzo dell’antico oracolo d’intronizzazione regale del
Sal. 2, 7. Luca conosce che la regalità appartiene a Gesù fin dall’inizio
della sua esistenza e che essa si manifesta in momenti successivi, cioè nella
sua investitura al battesimo, nella sua intronizzazione alla risurrezione
ed al suo ritorno finale nella gloria35. Il testo di Lc. 3, 22 ha un suo spessore
di contenuto; esso infatti vede nella proclamazione della voce celeste,
avvenuta in occasione del battesimo di Gesù, l’affermazione che Gesù è
Figlio di Dio, poiché in questa circostanza si proclama che Dio ha “una
filiazione divina”; inoltre la voce celeste annunzia l’investitura di Gesù
come Messia e l’inizio della sua missione nel popolo36.
Siamo confermati, almeno così ci appare, che la voce celeste al momento
del battesimo, proclama Gesù Figlio di Dio, gli dà l’investitura
messianica e gli fa inaugurare la sua missione nel popolo dal fatto che subito
dopo Luca segnala l’inizio del ministero di Gesù (cf. Lc. 3, 23) e riporta
la genealogia di Gesù, dalla quale apprendiamo che egli, come uomo,
non soltanto è figlio di Abramo (cf. Mt. 1, 1-2), ma è Figlio di Dio (cf. Lc.
3, 23-38).
Il racconto del battesimo di Gesù in Luca non riveste la stessa importanza
e non ricopre lo stesso ruolo che ha nel racconto di Marco, sua fonte37.
In Marco infatti, in cui non si ha il vangelo dell’infanzia, l’avvenimento
del battesimo rappresenta la prima proclamazione celeste che fa
conoscere ai lettori chi è Gesù ed indica loro che lo Spirito è in lui e l’accompagna
nel suo ministero. I lettori del vangelo di Luca invece conoscono
già dai racconti del vangelo dell’infanzia i dati più importanti su Gesù,
cioè che egli è Figlio di Dio (cf. Lc. 1, 32.35), che lo Spirito è all’origine
della sua esistenza umana (Lc. 1, 35) e che egli è il Salvatore, il Messia e
Signore (cf. Lc. 2, 11); questi dati in concreto costituiscono un breve compendio
di cristologia38.
L’aspetto dottrinale caratteristico del racconto lucano del battesimo
consiste nella formulazione della voce celeste, che, secondo la lettura da
noi criticamente preferita, ribadisce la figliolanza divina di Gesù, ne proclama
l’investitura messianica (“Tu sei il mio Figlio, io oggi ti ho generato”,
Lc. 3, 22) e ne fissa l’inizio del ministero pubblico (cf. Lc. 3, 23).
Come si vede, i lettori dal racconto lucano del battesimo non apprendono
per la prima volta chi è Gesù, ma ai dati cristologici che già conoscono
dal vangelo dell’infanzia aggiungono quello che riguarda la sua investitura
messianica, la quale segna l’inizio della sua attività pubblica.
Un altro aspetto dottrinale del racconto lucano del battesimo è la discesa
dello “Spirito Santo” su Gesù. Questa discesa dello Spirito significa
che Gesù è dotato della potenza dello Spirito e che tale comunicazione
dello Spirito costituisce la preparazione immediatamente precedente e
adeguata al suo ministero pubblico, che inizierà subito dopo (cf. Lc. 3,
23). Luca, più degli altri evangelisti, ha messo in evidenza questo significato
della discesa dello Spirito Santo; per lui lo Spirito Santo disceso su
Gesù significa che la potenza di Dio agisce nella sua attività d’insegnamento
e nella sua opera taumaturgica39. Gli evangelisti sinottici sono concordi
nell’affermare che Gesù ha ricevuto lo Spirito subito dopo essere
stato battezzato da Giovanni. Questo Spirito, come già è stato segnalato,
è lo Spirito carismatico o la potenza di Dio che accompagna ed assiste
Gesù nel corso del suo ministero; proprio per questo Spirito o per questa
potenza di Dio Gesù insegna con saggezza ed opera miracoli con sovrana
potenza.
Le comunità cristiane, a motivo dell’insegnamento con saggezza esplicato
da Gesù e delle guarigioni e dei miracoli compiuti con potenza da lui,
hanno compreso che egli aveva lo Spirito di Dio; non si può pensare infatti
ad un processo inverso, come se nell’avvenimento del battesimo di Gesù si
siano verificate una discesa visibile dello Spirito Santo ed un’audizione
sensibile della voce celeste, poiché i racconti evangelici del battesimo non
sono caratterizzati da elementi narrativi e descrittivi dell’avvenimento, ma
da istanze teologiche, come sarà precisato più sotto40. Un ulteriore aspetto
dottrinale, molto più accentuato in Luca che negli altri Sinottici, è il modo
con il quale l’evangelista presenta la teofania del battesimo che include la
discesa dello Spirito Santo “in apparenza corporea, come di colomba” e la
“voce dal cielo”41. Queste realtà non sono considerate come fatti fisici: visibile
l’uno, udibile l’altro, ma come una rivelazione divina fatta personalmente
a Gesù42. Luca infatti è l’unico evangelista a parlare della preghiera
di Gesù e ad annotare che mentre Gesù “stava a pregare (ΔIhsou'…
proseucomevnou)” il cielo si aprì, scese su di lui lo Spirito Santo e vi fu
una voce dal cielo; come si nota, tutte queste realtà sono incentrate su Gesù
ed indicano che egli, durante la preghiera, ebbe delle particolari esperienze
che lo illuminarono principalmente sul fatto che in lui è presente lo Spirito
Santo che lo fa agire dopo il suo battesimo dando inizio al suo ministero
pubblico e che egli, a motivo della rivelazione accordatagli dal Padre, ha
piena coscienza della sua missione messianica. Non si può pensare ad ap-
parizioni visibili della discesa dello Spirito Santo, né a voci udibili provenienti
dal cielo che proclamano l’identità di Gesù, poiché tali interpretazioni
urterebbero contro altri dati certi, attestati dai racconti evangelici; in
verità se si pensasse ad una teofania appariscente e constatabile dai presenti
al battesimo di Gesù non si potrebbero giustificare il dubbio avuto più
tardi dal Precursore sulla missione messianica di Gesù (cf. Lc. 7, 9-20;
Mt. 11, 3), né la meraviglia dei discepoli del Battista che Gesù faceva numerosi
discepoli (cf. Giov. 3, 26). Si deve quindi ritenere che la teofania
del battesimo è un avvenimento reale o storico, ma non sono storiche, né
controllabili le modalità e le formule con le quali è presentata, poiché tali
modalità e formule ricalcano modelli biblici. I racconti evangelici del battesimo,
come in parte si è già detto, non descrivono un avvenimento, ma
propongono dati teologici legati a quell’avvenimento, cioè che Gesù, in occasione
del suo battesimo ricevuto da Giovanni, ha avuto una particolare
rivelazione da parte di Dio, la quale è all’origine della sua piena coscienza
che egli è in una stretta e singolare unione con Dio e che da Dio proviene
la sua missione messianica43.
Gli aspetti dottrinali del racconto lucano del battesimo di Gesù hanno
messo in evidenza quali siano le reali istanze di un avvenimento di tanto
rilievo nella tradizione sinottica e nello sviluppo del pensiero cristologico
di tale articolata tradizione. L’aver rilevato l’importanza degli aspetti
dottrinali del racconto lucano del battesimo di Gesù c’induce a concludere
che detto racconto non dovrebbe essere intitolato: il battesimo di Gesù,
come fanno tutti i commentatori del terzo vangelo, ma piuttosto: la proclamazione
di Gesù Figlio di Dio e Messia44. L’annunzio o la proclamazione
di Gesù come Figlio di Dio, Messia e Salvatore fa parte di un’istanza
cristologica che caratterizza principalmente il vangelo lucano dell’infanzia45.
In questa prospettiva si può fondatamente concludere la presente
esposizione affermando che nel racconto di Lc. 3, 21-22 ciò che maggiormente
interessa l’evangelista e che, di conseguenza è posto in primo piano,
non è l’evento del battesimo di Gesù, ma quello della parola o della proclamazione
di Dio che manifesta chi è Gesù e l’attività che è designato a
svolgere con la potenza dello Spirito Santo46.
Benedetto Prete, op
Studio Teologico Domenicano, Bologna
NOTE
1. Riportiamo qui i testi della versione a cura della C.E.I., anche se tale versione, in alcuni
casi, non rende con esattezza il senso dei termini greci.
2. “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” è lettura preferita dalla maggioranza
dei commentatori; noi invece, come mostreremo in seguito, riteniamo che criticamente
sia più valida la lettura variante: “Tu sei il mio Figlio, io oggi ti ho generato”.
3. Sui racconti sinottici del battesimo di Gesù è stato osservato: “La tradition évangélique a
bien compris et mis en lumière la densité théologique de cet épisode qui marque le début de la
mission de Jésus, mais elle l’a fait selon des orientations différentes, délicates à préciser”, P.
Benoit – M.-É. Boismard, Synopse des quatre Évangiles en français, Tome II, Paris 1977, 79.
4. Luca distingue nettamente l’attività di Giovanni Battista da quella di Gesù; egli quindi
schematizza le attività di questi due personaggi, ponendo una successione cronologica tra
di esse che non si è avuta storicamente (cf. Lc. 16, 16); infatti tra il ministero di Giovanni e
quello di Gesù vi è stata una parziale contemporaneità o sovrapposizione di essi agli inizi
della predicazione di Gesù (cf. Giov. 3, 22-24); cf. I. H. Marshall, The Gospel of Luke,
Exeter 1978, 152.
5. Per la costruzione di questa proposizione, cf. J. A. Fitzmyer, The Gospel according to
Luke I-IX, Garden City, N.Y. 1982, 118-120.
6. Parliamo di affermazione secondaria contenuta nel genitivo assoluto composto sotto il profilo
letterario, poiché sotto quello contenutistico l’accenno al fatto che Gesù “stava in preghiera”
è di primaria importanza per l’intelligenza del racconto nella prospettiva di Luca.
7. Il racconto del battesimo di Gesù in Mt. 3, 13-17 è molto ampio perché riporta un breve
dialogo tra il Precursore e Gesù ed un’indicazione sul senso dell’opera che Gesù dovrà svolgere
(“adempiere ogni giustizia”); in Mc. 1, 9-11 il racconto comprende 53 parole, in Lc. 3,
21-22 soltanto 43.
8. Cf. E. Jacquemin, “Il battesimo di Gesù (Mt. 3, 13-17; Mc. 1, 6b-11; Lc. 3, 15-16. 21-
22)” in: La Parola per l’assemblea festiva, Brescia 1969, 83-109, qui 103.
9. Per una visione d’insiene dei cambiamenti apportati da Luca al racconto del battesimo di Gesù di Mc. 1,9-11, cf. Fitzmyer, Luke, 479-480.
10. I Settanta traducono il verbo ebraico qara‘ con ajnoivgw; il verbo ebraico significa: spezzare,
rompere, stracciare (i vestiti). Per l’apertura del cielo come elemento apocalittico, cf.
Marshall, Gospel of Luke, 152.
11. Per l’abbinamento “aprirsi il cielo” e “vedere” cf. Ez. 1, 1; Giov. 1, 51; Atti 7, 56; 10, 11;
Ap. 4, 1; 19, 11; si veda Jacquemin, Il battesimo di Gesù, 88, nota 6.
12. Si veda il nostro studio: “Motivazione e contenuto della preghiera di Gesù nel vangelo di
Luca”, in B. Prete L’opera di Luca. Contenuti e Prospettive, Leumann-Torino 1986, 80-103
(con bibliografia); si veda anche L. Monloubou, La preghiera secondo Luca, Bologna 1979.
13. In Lc. 11, 2 in luogo della seconda petizione del Pater: “venga il tuo regno”, alcuni codici
e testimonianze patristiche indicano la lettura: “venga su di noi il tuo Spirito Santo e ci
purifichi”; cf. edizioni critiche del Nuovo Testamento.
14. Cf. E. Jacquemin Il battesimo di Gesù, 105 e nota 16.
15. Questo aspetto è stato posto in evidenza particolarmente da G. Schneider, Das Evangelium
nach Lukas, Kapitel 1-10, Gütersloh - Würzberg 1977, 92. Anche F. Bovon rileva che nel battesimo di Gesù la preghiera costituisce da parte dell’uomo la disposizione appropriata alla manifestazione divina (“Das Gebet wird auf der menschlichen Seite zur angemessenen Einstellung”), Das Evangelium nach Lukas (Lk 1, 1-9, 50), Zürich, Neukirchen-Vluyn 1989, 179.
16. Molto lapidariamente, a proposito del genitivo assoluto composto di Lc. 3, 21, F. Bovon
osserva: “Während die Taufe schon vollzogen ist (Particip Aorist), dauert das Beten Jesu
an (Particip Präsens)”, Lukas, I, 179.
17. Cf. Fitzmyer, Luke, 484; in Atti 10, 41, Pietro, nel discorso tenuto nella casa di Cornelio
dichiara che Gesù è risorto ed è apparso ai discepoli, i quali hanno mangiato e bevuto con lui
18. Come hanno ritenuto vari studiosi; così I. H. Marshall rileva: “It may be best to assume
that the thought is of the Spirit gently descending upon the head of Jesus as a dove might
descend, so that it looked like a dove”, Gospel of Luke, 153-154. Per noi l’espressione o
l’immagine di Luca è soltanto funzionale, cioè ordinata interamente ad affermare l’idea che
Gesù ha avuto una comunicazione carismatica dello Spirito Santo.
19. Cf. lo studio fondamentale di L. E. Keek, “The Spirit and the Dove”, NTS 17 (1970-
1971) 41-67, al quale si rifanno i commentatori. Per una visione d’insieme dei significati
attribuiti alla “colomba” della teofania del battesimo di Gesù, cf. Marshall, Gospel of Luke,
153-154; Fitzmyer, Luke, 483-484.
20. Era noto nel giudaismo che il Messia sarebbe ripieno dello Spirito del Signore, perché i
profeti avevano annunziato che Jahweh avrebbe posto il proprio Spirito sul suo servo (cf.
Is. 42, 1) e che sul rampollo di Jesse si sarebbe posato lo Spirito del Signore (cf. Is. 11, 1-
2; si veda anche Is. 48, 16; 61, 1); di conseguenza era facile comprendere il silenzio del
racconto del battesimo di Gesù sugli effetti della discesa dello Spirito su di lui; questo dono
dello Spirito indica che Gesù ha una missione da esplicare e che è provveduto di particolari
doni per assolverla con la discesa dello Spirito: “Jesus is commissioned and equipped for
his task” (Marshall, Gospel of Luke, 154).
21. Lo Spirito Santo disceso su Gesù in occasione del suo battesimo non designa lo Spirito
di santificazione dell’anima di Gesù, ma “lo Spirito carismatico”, cioè la potenza divina con
la quale il Signore ha dotato il suo Messia per l’assolvimento dell’opera che gli aveva affidato.
Giustamente è stato precisato: “Il ne s’agit donc pas ici de l’Esprit conçu comme principe
de sanctification personnelle pour Jésus, mais de l’Esprit charismatique, qui est une
puissance divine travaillant en vue de réaliser l’oeuvre messianique” (Benoit - Boismard,
Synopse, 80).
22. Cf. Fitzmyer, Luke, 484. Negli Atti 2,2-4, Luca, narrando la discesa dello Spirito sugli
apostoli nel giorno della Pentecoste, ricorre ad altri simboli: il vento gagliardo e le lingue
di fuoco.
23. L’espressione di Luca: “Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto
anche lui il battesimo, stava in preghiera” (3, 21), pur nella sua estrema concisione, lascia
intravvedere una folla che era accorsa a farsi battezzare da Giovanni e che si era mostrata
desiderosa di “conversione”; a questa folla quindi e non soltanto a Gesù era diretta la voce
dal cielo e ad essa questa voce manifesta chi è Gesù davanti a Dio e nella sua più profonda
realtà. Cf. Schneider, Lukas 1-10, 92.
24. Cf. Fitzmyer, Luke, 484-485.
25. Per la tradizione testuale del passo in questione si vedano le edizioni critiche del Nuovo
Testamento. La traduzione a cura della C.E.I. accoglie la prima lettura: “Tu sei il mio figlio
prediletto, in te mi sono compiaciuto”; quella invece de La Bible de Jérusalem la seconda:
“Tu es mon fils; moi, aujourd’hui, je t’ai engendré” (Paris 1973, Nouvelle édition).
26. E’ quanto fanno osservare vari commentatori; così F. Bovon rileva: “Die Textkritische
Bezeugung der Himmelsstimme spricht für den Nestle-Text, die innere Kritik vielleicht für
die westliche Lesart: ‘Du bist mein Sohn. Heute habe ich dich gezeugt” (Ps. 2, 7); il Nestle-
Text è il testo accolto dall’edizione critica (edizione 26 del 1979), curata da Nestle-Aland;
il Bovon opta per la prima lettura; cf. Lukas, I, 181.
27. La missione del servo in Is. 42, 1 è indicata con l’espressione: “egli porterà il diritto alle
nazioni”; nel racconto del battesimo invece non c’è nessuna indicazione esplicita ad essa. Il
testo di Is. 42, 1-4 è applicato direttamente a Gesù da Mt. 12, 17-21.
28. Il Sal. 2 è un salmo regale con prospettive messianiche ed escatologiche; il Messia proclama
il decreto con il quale il Signore lo dichiara suo figlio e gli dà come possesso le genti
e come dominio i confini della terra (Sal. 2, 7-8).
29. È difficile stabilire i limiti dell’espressione: “Tu sei il mio figlio”, poiché Luca non la
considera soltanto una ripresa del testo del Sal. 2, 7, bensì una rivelazione da parte di Dio;
queste parole divine rappresentano per l’evangelista la rivelazione di una verità e di un mistero
(cf. Bovon, Lukas, I, 181).
30. Per i tre motivi indicati si veda soprattutto Jacquemin, Il battesimo di Gesù, 89-91.
31. E’ stato osservato che nella proclamazione della voce celeste che si è avuta dopo il battesimo
di Gesù l’accento è posto sulla presenza, intima e potente, di Dio in Gesù per la sua
missione; “Gesù è riempito dello Spirito Santo, è Figlio di Dio ad un titolo privilegiato; nell’opera della salvezza che deve ora intraprendere, è segnato dalla stretta relazione che l’unisce a Dio…; appartiene ad un ordine trascendente” (Jacquemin, Il battesimo di Gesù, 92). Si è anche rilevato che è più importante far conoscere con la proclamazione divina, verificatasi
dopo il battesimo, che Gesù è Figlio di Dio più che egli è Messia; “it is… as the son of God
that Jesus is the Messiah, rather than vice versa. So the saying probably contains more than a
messianic element, and it leads beyond messiahship to that personal relationship to God
which is basic for the self-understanding of Jesus” (Marshall, Gospel of Luke, 155-156).
32. Per una valutazione delle testimonianze degli antichi scrittori concernenti la formulazione
primitiva del testo di Lc. 3, 21-22 e l’originarietà della citazione del Sal. 2, 7 cf.
Benoit - Boismard, Synopse, 81-82. Da parte sua A. George rileva: “Les indices ne
manquent pas en sa faveur (a favore della seconda lettura): l’antiquité et la dispersion de
ses témoins, son originalité, les difficultés qu’elle pouvait créer à la tradition ultérieure (sa
divergence apparente avec Lc 1, 35, le soupçon d’adoptianisme), la tendance des copistes à
l’harmonisation des synoptiques…” (“Jésus fils de Dieu”, in Idem, Études sur l’oeuvre de
Luc, Paris 1978, 217); lo studio è apparso nella RB 72 (1965) 185-209.
33. Con il vangelo dell’infanzia il dato su Gesù Figlio di Dio viene ulteriormente anticipato
al momento della sua nascita (cf. Lc. 2, 11) e del suo concepimento (cf. Lc. 1, 32.35). Abbiamo
sviluppato questo concetto in uno studio precedente: “Oggi vi è nato… il Salvatore
che è il Cristo Signore” (Lc. 2, 11), RivB 34 (1986) 289-325.
34. Benoit - Boismard, Synopse, 82.
35. Cf. George, Jésus fils de Dieu, 217 (nota 32). L’autore annota ulteriormente: “(Luc)
semble avoir voulu présenter séparément la reconnaissance de Jésus comme Fils par son
Père, et la déclaration de Jésus sur son rôle de Serviteur (4, 18-19). Le Fils ici [= Lc. 3, 22],
c’est le messie investi par le Père dans le secret de leurs relations mystérieuses; le Serviteur,
c’est le prophète qui annonce l’évangile et l’année de grâce du Seigneur (4, 18-19). C'est
seulement plus tard que les deux titres seront unis (9, 35), au moment où les disciples
commenceront à apprendre que le messie est un messie voué à la souffrance (9, 22) et où
Jésus prendra la route de Jérusalem pour y mourir (9, 31.51)”.
36. A. George precisa così la portata ed il significato del battesimo di Gesù nel racconto del
terzo evangelista: “Luc voit surtout dans le baptême de Jésus la proclamation par le Père de
sa filiation divine. Cette proclamation apparaît comme l’investiture du messie, l’inauguration
de sa mission, dans le prolongement de l’annonciation et dans l’attente de la gloire de
Pâques” (Jésus fils de Dieu, 218, nota 32).
37. Sarebbe stato opportuno prima di esaminare gli aspetti dottrinali del racconto lucano del
battesimo di Gesù illustrare soprattutto i due seguenti quesiti: perché Gesù ha ricevuto il
battesimo di Giovanni ed in quale rapporto si trova il racconto del battesimo di Gesù con la
cristologia di Luca, ma nella presente esposizione non possiamo indugiare a dare una risposta
esauriente ad essi; ci imitiamo quindi ad un semplice accenno. Certamente il battesimo
di Gesù dovette costituire una difficoltà per i primi cristiani e causare in loro dello smarrimento,
poiché sembrava dimostrare una subordinazione di Gesù al Battista (cf. E.
Schweitzer, Introduzione teologica al Nuovo Testamento, Brescia 1992 [ediz. tedesca 1969],
22), come appare dal racconto di Matteo, il quale per giustificare questa iniziativa ha dovuto
inserire nella sua narrazione degli elementi esplicativi (cf. Mt. 3, 14-15). E’ stato opportunamente osservato: “Ce geste (il gesto di Gesù di sottomettersi al battesimo di Giovanni),qui pouvait s’interpréter comme une infériorité de Jésus par rapport à Jean, a dû beaucoupgêner les premiers chrétiens, surtout à cause de leurs polémiques contre les disciples du Baptiste. Mt. essaie de justifier ce geste en ajoutant les vv. 14-15, et il en profite pour faire
proclamer par Jean la dignité suréminente de Jésus” (Benoit - Boismard, Synopse, II, 83).
Successivamente la pietà cristiana, riflettendo sull’avvenimento del battesimo di Gesù, ha
visto nell’iniziativa di Gesù che vuol ricevere il battesimo di penitenza di Giovanni un gesto
di solidarietà del Salvatore con i peccatori; tuttavia va osservato che nei racconti evangelici
del battesimo di Gesù non si accenna all’intenzione che egli aveva nel compiere tale
gesto. Certamente gli evangelisti hanno ricordato il battesimo di Gesù a motivo della
teofania che lo ha accompagnato; e verso tale teofania, considerata la sua rilevanza
cristologica, è rivolto tutto il loro interesse; cf. E. Jacquemin, Il battesimo di Gesù, 87. Al
secondo problema abbiamo fatto un rapido accenno in precedenza; si vedano le note 33 e
36; per una visione d’insieme dei due quesiti, cf. Fitzmyer, Luke, 481-483.
38. Cf. Fitzmyer, Luke, 480-481.
39. L’azione dello Spirito Santo sarà ricordata da Luca durante il ministero pubblico di
Gesù; cf. Lc. 4, 1.14; l’evangelista rileva che l’azione dello Spirito si esplicava in Gesù nella
sua attività taumaturgica ed in quella didattica; egli infatti scrive: “Gesù ritornò in Galilea
con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava
nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi” (Lc. 4, 14).
40. Questo aspetto del problema concernente i racconti evangelici del battesimo di Gesù
sono stati messi bene in evidenza dagli studiosi delle tradizioni evangeliche; infatti è stato
rilevato: “C’est parce que Jésus enseignait avec sagesse et guérissait les malades que les
premières communautés chrétiennes en ont conclu qu’il possédait l’Esprit de Dieu, et donc
qu’il était Celui qu’avait annoncé Isaïe… Forts de cette convinction, fondée sur l’expérience
réelle des miracles et de l’enseignement de Jésus, les apôtres, et à leur suite la tradition
évangélique, ont voulu exprimer cette réalité dans un récit dont les résonances théologiques
sont indéniables. Et si ce récit eut pour cadre le baptême de Jésus, c’est parce que ce
baptême marquait, en fait, le moment où Jésus reçut l’impulsion décisive, pour sa mission
messianique” (Benoit - Boismard, Synopse, 83).
41. L’espressione “voce dal cielo” (fwnh;ejx oujranou') è alquanto vaga; al riguardo osserviamo
che in Gen. 15, 4 il TM ha letteralmente: “gli fu rivolta la parola del Signore (debar-
Jahweh)…”, mentre i Settanta dicono: fwnh;kurivou ejgevneto pro;" aujto;n levgwn; Cf. Dan.
4, 28.31 (Teodozione). L’idea che il Signore parla dal cielo è attestata nell’Antico Testamento
(cf. Deut. 4, 10-12 etc.); per accentuare il dato che la voce di Dio proviene dal cielo
questa voce è accompagnata dal tuono (cf. Es. 19, 19; Is. 30, 30-31; Sal. 18, 14). Va rilevato
che qui Dio parla direttamente a Gesù; la letteratura rabbinica successiva conosce
l’espressione Bath-qol (= figlia della voce), con la quale si indicava che non si sentiva direttamente
la voce di Dio, ma la sua eco (figlia della voce), poiché la profezia era finita;
questa eco della voce divina era un qualcosa di incompleto che veniva a sostituire la profezia;
cf. Marshall, Gospel of Luke, 154; Fitzmyer, Luke, 484-485; Bovon, Lukas, I, 181.
42. Mentre in Mc. 1, 10 è detto che Gesù “vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di
lui…” (cf. Mt. 3, 16) e che “si sentì una voce dal cielo” (Mc. 1, 11; Mt. 3, 17 ha : “ una
voce dal cielo che disse: Questi è il figlio mio prediletto”), Luca non parla di vedere, né di
sentire, ma si limita a scrivere: “il cielo si aprì, e scese su di lui lo Spirito Santo…” (Lc. 3,
21-22a) e “vi fu una voce dal cielo…” (Lc. 3, 22b); come si nota, il terzo evangelista non
parla di vedere, né di sentire.
43. ll racconto lucano del battesimo di Gesù, più delle altre narrazioni sinottiche, presenta
una sistematizzazione ed una prospettiva teologica (cristologica) dell’avvenimento; nel racconto infatti si rileva che Gesù, dopo il suo battesimo e mentre stava in preghiera, riceve la
comunicazione di Dio che gli conferma che egli è Figlio di Dio ed ha un mandato
messianico da esplicare e di cui riceve l’investitura; di conseguenza occorre vedere ciò che
c’è oltre questa sistematizzazione e questa inquadratura teologica dell’avvenimento. È ciò
che mettono in risalto Benoit - Boismard quando osservano: “Par-delà le revêtement
théologique et la systématisation de cette scène, nous atteignons une double réalité: la
présence en Jésus de l’Esprit qui le pousse et le fait agir, à partir de son baptême par Jean;
la conscience qu’eut Jésus, éclairé par Dieu, de sa mission messianique” (Synopse, 83).
44. È quanto tra gli altri studiosi fa rilevare Marshall con questa osservazione: “The
traditional title given to this section (il battesimo di Gesù) is appropriate enough for the
accounts in Mt. and Mk. In Lk., however, the actual baptism of Jesus is assigned to a subordinate
place in the sentence construction…, and the emphasis falls heavily upon the
unique events which accompanied it — the descent of the Spirit from heaven and the voice
declaring Jesus to be the Son of God” (Gospel of Luke, 150).
45. In uno studio in corso di stampa che tratta del genere letterario dell’annunciazione a
Maria (cf. Lc. 1, 26-38) e che apparirà in Ricerche storico bibliche ho cercato di provare
che il genere letterario del racconto dell’annunziazione che meglio risponde all’inquadratura
ed alle istanze del racconto è quello dall’annunzio o della proclamazione, poiché tale
racconto ha lo scopo di far conoscere chi è Gesù e la missione che svolgerà.
46. Cf. J. Ernst, Il vangelo di Luca, volume primo (Lc. 1, 1-9, 50), Brescia 1985, 208 (ediz.
tedesca 1977).