DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Sotto la cappa delle isterie egemoniche dell’islam “moderato”. Il fallimento egiziano nel gestire la questione palestinese e la strage di cristiani

Nell’arco di poche ore, due terribili patologie che
minano la società egiziana si sono imposte
all’attenzione del mondo. Il morto negli scontri tra
esercito egiziano e palestinesi di Gaza, sotto gli occhi di
una marcia di pacifisti occidentali guidati dal
britannico (nostalgico di Saddam) George Galloway,
attorno al muro che il presidente, Hosni Mubarak, sta
costruendo sul confine e i sette cristiani mitragliati da
un musulmano, all’uscita dalla messa del Natale copto,
non sono episodi slegati tra loro, non sono opera di
isolati fanatici.
Il più grande e autorevole paese arabo si rivela in
questo sanguinario 6 gennaio un paese incapace di
rapportarsi all’estremismo palestinese se non
separandosene fisicamente e una nazione in cui milioni
di cristiani vivono in condizioni di costante
persecuzione, e queste due patologie sono collegate da
un rapporto molto profondo, da una concezione
dell’islam – quella che abitualmente viene chiamata
“moderata” – invece intrisa di isterie egemoniche e
contraria alla libertà di pensiero, quindi di fede.
L’opposto esatto di quanto il presidente americano,
Barack Obama, ha sostenuto nel suo “storico” discorso
del Cairo del 4 giugno scorso, quando ha affermato:
“L’islam non è parte del problema nella lotta
all’estremismo violento, ma una componente importante
nella promozione della pace”.
In realtà, il fallimento dell’Egitto nel gestire le crisi
prodotte da Hamas a Gaza è il portato di un’ambiguità
politica egiziana che ha le sue radici nell’islam. Omar
Suleiman, numero due del regime, fallisce regolarmente
nelle sue mediazioni a Gaza non perché è incapace, ma
perché Hosni Mubarak tutto vuole fare tranne affermare
con forza di fronte al mondo musulmano che Israele ha
diritto di esistere, senza condizioni (come fece Sadat
assassinato dai padri spirituali di al Qaida per aver fatto
la pace con Israele). Mubarak si rifiuta di affermare alto
e forte che il contenzioso israelo-palestinese va
riportato al solo problema della “terra” e quindi va
spogliato di ogni valenza religiosa (terreno su cui Hamas
è vincente). Non affrontando con nettezza il nodo della
questione – perché scatenerebbe l’ira dei musulmani
“moderati” – rifiutandosi di spogliarla con chiarezza dei
suoi connotati religiosi, l’Egitto si perde da anni in un
fallimentare meandro di trattative che ha portato infine
alla decisione di costruire un muro che isoli i terroristi
di Gaza anche dall’Egitto. Muro arabo, monumento
formidabile all’impotenza araba a fronte del problema
palestinese. Muro incredibilmente ignorato dai media
occidentali che non ne fanno scandalo, perché è la
prova provata dell’indispensabile muro voluto da Ariel
Sharon.
Stessa identica matrice di egemonismo islamico ha la
persecuzione a cui i 6-10 milioni di copti sono sottoposti
in Egitto. Il terrorista che mercoledì ha falciato i
cristiani che uscivano dalla messa di Natale a Nagaa
Hammadi sapeva benissimo di avere le spalle coperte, e
non soltanto dalla Fratellanza musulmana. Perché nel
villaggio di Hagaza un suo compare aveva falciato due
cristiani all’uscita dalla messa della scorsa Pasqua.
Perché nell’ottobre del 1998 a el Kosheh, vicino a Luxor,
decine di copti furono addirittura crocefissi durante un
pogrom. Perché il 28 ottobre del 2008, nel sobborgo
cairota di West Ain Shams, ventimila musulmani hanno
impedito con la forza l’inaugurazione della chiesa della
Vergine Maria. Perché in Egitto la persecuzione dei
cristiani copti – inclusi i rapimenti a decine di
ragazzine, sposate con la forza a musulmani per
convertirle – è scandalosa e ha le sue radici proprio
nell’islam “moderato”.
Questo islam, infatti, tollera – quando tollera – le
comunità di cristiani ma soltanto se si perpetuano per
via ereditaria, verticale, mai allargandosi. L’Egitto, come
tutti i paesi islamici salvo la Turchia, considera reato la
conversione del musulmano e il proselitismo di altre
fedi. Questo in omaggio al dogma che vuole che l’uomo
nasca naturalmente musulmano e che venga poi deviato
dalla “religione naturale”, dall’islam, soltanto dalla
famiglia. Ma se lo status naturale e perfetto dell’uomo è
solo e unicamente l’islam, ne consegue che ogni
deviazione da questo status è una corruzione,
addirittura un’offesa alla natura, anche se la legge
coranica la tollera per ebrei e cristiani.
Per questo, proprio da quell’al Azhar che Obama ha
incautamente scelto come sede per il suo appello
all’islam nel giugno scorso, si continua a sostenere che
l’apostasia, l’abbandono dell’islam, sia reato (per alcuni
suoi docenti da punire con la morte, nel caso “dia
scandalo pubblico”). Per questo, chi stermina cristiani
all’uscita della messa di Natale si sente più che
legittimato e in sintonia con tutto l’islam.

Il Foglio 8 gennaio 2010