DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Il Sermone della Montagna nelle Parole di Giovanni Paolo II
Il vangelo di Matteo presenta il Sermone della Montagna quale compimento della Torah: come Mosè salì sul monte Sinai per ricevere la Torah, così Gesù sale “sul monte” per consegnare al popolo la nuova Torah.
I. «Avete udito che fu detto agli antichi ’non uccidere’, e chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio…»
II. «Avete inteso che fu detto ‘non commettere adulterio’. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha gia` commesso adulterio con lei nel suo cuore...»
III. «Fu pure detto ‘chi ripudia la propria moglie le dia l` atto di ripudio’. Ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie…la espone all’adulterio e chi sposa una ripudiata commette adulterio…»
IV. «Avete anche inteso che fu detto agli antichi:’non spergiurare’… Ma io vi dico: non giurate affatto…»
V. «Avete inteso che fu detto:” occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra…»
VI. «Avete inteso che fu detto” amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’.
Ma io vi dico:: amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori, perche` siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti…»
Nessun altro testo suona così radicalmente nuovo a duemila anni di distanza dalla sua redazione. Contrariamente alla più diffusa percezione il centro del sermone non sono le beatitudini, ma l’enunciato di questo nuovo decalogo in sei articoli che Gesù proclama attribuendosi l’autorità stessa di Dio e che egli contrappone esplicitamente a quello antico (“Avete udito che vi fu detto… ma io vi dico”). Il sermone passa davanti al decalogo. La nuova Torah culmina nell’invito ad amare i nemici che è il cuore di tutti gli insegnamenti di Gesù. Giovanni Paolo II, parlando nel 1987, disse:
«Ed ecco il perfezionamento definitivo, nel quale trovano il centro dinamico tutti gli altri: «Avete inteso che fu detto: Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico;ma io vi dico: amate i vostri nemici … All'interpretazione volgare dell'antica Legge che identificava il prossimo con l'israelita e anzi col pio israelita, Gesù oppone l'interpretazione autentica del comandamento di Dio e vi aggiunge la dimensione religiosa del riferimento al Padre celeste clemente e misericordioso, che benefica tutti ed è quindi l'esemplare supremo dell'amore universale Conclude infatti Gesù: «Siate.. perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Egli chiede ai suoi seguaci la perfezione dell'amore. La nuova legge da lui portata ha la sua sintesi nell'amore. Quest'amore farà superare all'uomo nei suoi rapporti con gli altri la classica contrapposizione amico-nemico, e tenderà dall'interno dei cuori a tradursi in corrispondenti forme di solidarietà sociale e politica, anche istituzionalizzata. Sarà dunque molto ampia, nella storia l'irradiazione del «comandamento nuovo» di Gesù.»[1]
Tutte le culture si basano su questa contrapposizione amico - nemico. Il diverso per razza, per comportamento, per lingua, per clan, per tribù, per nazione, che oggi può essere l’ebreo, domani il kulakho o l’omosessuale o lo zingaro, è sempre visto come un nemico da tenere a bada o da uccidere. La storia e la cultura occidentale, sono state profondamente segnate da questo vangelo: dietro ad ogni iniziativa a favore degli oppressi, degli esclusi, delle minoranze, dietro ad ogni presa di posizione contro le torture, la segregazione razziale, la schiavitù si trova sempre questa parola: amate i vostri nemici.
Nietzsche, profeta dell’attuale nichilismo postmoderno, ha sottolineato con grande chiarezza che alla radice di qualsiasi idea di compassione e di pietà per i più deboli ed i diversi si trovano le parole del Vangelo. Sono queste la base nascosta di ogni idea di convivenza, di tolleranza universale, idee che altrimenti non sono neppure pensabili in culture non fermentate dal Sermone della Montagna. Cancelliamolo e l’uomo ritorna alla barbarie dionisiaca del sacrificio umano: proprio il ventesimo secolo, che ha visto il massimo tentativo in occidente di cancellare il cristianesimo, ha conosciuto le più grandi atrocità, scaturite dalla volontà di dare spazio solo al più forte, oppure a quelli della propria nazione, razza, etnia o partito.
Gesù presenta qui una nuova maniera di vivere e di risolvere i conflitti: non più la vendetta, la condanna, ma la misericordia al posto del giudizio. Il papa, parlando in Irlanda nel 1983, ha considerato il conflitto anglo-irlandese in questa prospettiva:
«Io vi chiedo di riflettere profondamente: cosa sarebbe la vita umana se Gesù non avesse mai pronunziato queste parole (amate i vostri nemici…)? Cosa sarebbe il mondo se nei nostri rapporti scambievoli noi dessimo il primato all'odio tra gli individui, tra le classi, tra le nazioni? Quale sarebbe il futuro dell'umanità se dovessimo basare su quest'odio il futuro degli individui e della nazione? Talvolta si potrebbe avere l'impressione che, dinanzi alle esperienze della storia e alle situazioni concrete, l'amore ha perduto la sua forza ed è impossibile praticarlo.
Invece, a lungo andare, l'amore riporta sempre vittoria, l'amore non è mai soccombente. Se così non fosse, l'umanità sarebbe condannata alla distruzione.»[2]
Senza questa radice la società umana rischia costantemente di dissolversi nella violenza reciproca – ancor più chiaramente oggi nel tempo della guerra nucleare - e l’unico modo per salvarla è la possibilità, proposta e vissuta da Gesù, di amare il nemico. Parlando nel 1979 al cimitero polacco di Monte Cassino, Giovanni Paolo II afferma che l’esperienza delle due guerre mondiali ha insegnato qualcosa di profondo all’uomo:
«Il Vangelo di oggi contrappone due programmi. Uno basato sul principio dell'odio, della vendetta e della lotta. Un altro sulla legge dell'amore. Cristo dice: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,44). … Eppure, dopo così terribili esperienze come l'ultima guerra, diventiamo ancor più consapevoli che sul principio che dice: «occhio per occhio e dente per dente» (Mt 5,38) e sul principio dell'odio, della vendetta, della lotta, non si può costruire la pace e la riconciliazione tra gli uomini e tra le Nazioni»[3]
In ogni generazione il servo di Yahvè, l’agnello mite che si lascia uccidere senza rispondere al male con il male ed alla violenza con la violenza, salva l’umanità e arresta l’onda del male che altrimenti tenderebbe a crescere sempre più fino a schiacciare i più deboli.
Secondo Giovanni Paolo II questa visione, che alcuni ritengono utopistica e irreale, è l’unica opzione realistica. Utopica è invece la pretesa di risolvere i conflitti in base ad una mera giustizia umana. Non si tratta di un cieco e passivo pacifismo, di un programma utopico: la Chiesa cade nell’utopismo proprio quando cerca di risolvere i conflitti sociali o politici con dottrine umane:
«Sarebbe mera utopia prescindere dal Vangelo, per chi volesse sanare alla radice queste e altre questioni che toccano direttamente il cuore dell'uomo. Solo nell'ideale evangelico della carità eroica, che Cristo ha osato proporre ai suoi seguaci, risiede il segreto della vittoria su queste passioni, che avvelenano gli spiriti: "Io anzi vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi odia..."»[4]
Il voler prescindere dal Vangelo è utopia perché significa ignorare come il male nasca nel cuore di ogni uomo. Il problema dell’uomo è che, per la paura della morte, egli è condannato a vivere per sé stesso. Il peccato, abitando in lui, lo obbliga ad offrire a sé stesso tutte le cose: la sessualità, il denaro, la famiglia, la cultura, ecc. l’ego dell’uomo, l’io, diviene il centro dell’universo. Abbiamo tutti un problema: non possiamo darci, consegnarci perché il sacrificio, la sofferenza ci costa troppo. Per questo l’uomo si condanna a offrire tutto a sé stesso: è un egoista.
Ma con Gesù appare una nuova umanità. Cristo ha vinto la morte ed è resuscitato. “E morì per tutti, perché quelli che vivono non vivano per sé, ma per colui che mori e resuscitò per essi” (2 Cor 5, 15). San Paolo dirà: “Perché l’amore di Cristo ci spinge al pensiero che se uno morì per tutti, tutti pertanto sono morti” (2 Cor 5, 14). Che significa che tutti sono morti? Che Cristo ha dato la vita affinché tutti gli uomini possano essere liberati dalla morte, dal potere che la morte ha su di loro. Cristo è venuto a liberarci da questa condizione esistenziale, facendoci delle nuove creature, rinate dall'alto. Solo rinascendo in Cristo possiamo amare il nemico, possiamo perdonare, possiamo donare la nostra vita, possiamo aprirci alla vita, possiamo entrare nella sofferenza. L’uomo, attraverso Cristo, è posto dinanzi a due possibilità: il dono completo di sé ai propri fratelli o la totale chiusura nel nostro egoismo.
«Cristo conosce bene le difficoltà che provano gli uomini a riconciliarsi fra loro. Con il sacrificio redentore ha ottenuto per tutti la forza necessaria per superarle… La Croce ha fatto cadere tutte le barriere che chiudono gli uni agli altri i cuori degli uomini. Nel mondo si avverte un immenso bisogno di riconciliazione. Le lotte investono talora tutti i campi della vita individuale, familiare, sociale, nazionale e internazionale. Se Cristo non avesse sofferto per stabilire l'unità della comunità umana, si potrebbe pensare che tali conflitti siano irrimediabili...»[5]
«Cristo, poi, chiede al credente di amare persino chi gli è ostile e gli fa del male: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,44). Ma come potrebbe l'uomo mettere in pratica un così esigente invito, se Dio stesso non gli toccasse il cuore?»[6]
La fede, cioè l’incontro con Cristo risorto, precede la carità e ne è la causa. Per questo il martirio è l’atto più significativo del Cristiano. Gesù dopo avere dato questo catechismo paradigmatico, questa magna charta del cristianesimo, questo disegno dell’uomo nuovo che nasce dall’alto, invia gli apostoli a tutte le nazioni.
Su questo monte dopo 2000 anni da quando Gesù inviò i suoi apostoli a tutte le nazioni, per la prima volta nella storia si riunisce Pietro con migliaia di giovani di tutto il mondo. Questo vuol dire che il mandato che hanno ricevuto gli apostoli si è compiuto: questi giovani sono la testimonianza che questa parola si è realizzata. Ma questo evento ha un altro senso, ancor più profondo: vedere questo monte pieno di giovani di tutto il mondo per accompagnare Pietro all’inizio del nuovo millennio ha un senso profetico per le generazioni future.
«Si tratta, infatti, di guardare ora al futuro, e questo appartiene a voi, ai giovani. Occorre che prendiate le grandi strade della storia non solo qui, in Europa, ma in tutti i continenti; e che dovunque diventiate testimoni delle beatitudini di Cristo: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio"» (Mt 5,9)[7]
Oggi ci troviamo a vivere in una epoca che vorrebbe cancellare queste parole. Per questo il papa ha detto:
«Il futuro di tutti i popoli e Nazioni, il futuro della stessa umanità dipende da questo: se le parole di Gesù nel discorso della Montagna, se il messaggio del Vangelo sarà ascoltato una volta ancora.»[8]