DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Pacifici: il gesto di alzarsi è destinato a fare epoca «In un attimo ha cancellato tutte le polemiche»

GIACOMO GALEAZZI

ROMA

Riccardo Pacifici (presidente della Comunità ebraica di Roma), quali sono le immagini-simbolo delle visite in sinagoga di Wojtyla nel 1986 e di Ratzinger ora?
«Ho partecipato ad entrambi gli eventi. Sono due pagine di storia imparagonabili perché in 24 anni è il mondo ad essere radicalmente mutato e comunque gli effetti sono verificabili a lungo termine. L’abbraccio di Giovanni Paolo II ai “fratelli maggiori nella fede” ha fatto epoca e lo stesso accadrà per lo straordinario gesto di Benedetto XVI che, durante i discorsi nel Tempio Maggiore, si è alzato, lui da solo e con grande umiltà, in segno di rispetto verso i sopravvissuti dei lager. Le polemiche della vigilia sono svanite in un istante, l’apprezzamento è stato unanime. Dei 400 che avevano chiesto di partecipare, ne mancavano solo otto».

Cosa le ha detto privatamente il Papa?

«Tutto è avvenuto in un clima lontano da ogni irrigidimento teologico, in modo innovativo, concreto, fuori dalla retorica.
Benedetto XVI avverte la responsabilità di essere non solo papa ma rappresentante di una nazione che in passato è stata protagonista di fatti orrendi come la Shoah e che si è resa carnefice di Hitler. A me che l’ho accompagnato nell’intera visita, ha colpito la mitezza e la curiosità con cui si è informato sui rastrellamenti nazisti, sull’attentato palestinese del 1982, sulle memorie storiche della comunità. Sentiva che nell’incontro stavamo giocando tutti una partita molto delicata. E’ stato lui ad andare sotto casa di Toaff malato per ringraziarlo di “avere aperto questa stagione”. La parola che racchiude il senso della visita è “Shalom”, l’ultima della Berakhà quasi ad indicare la aspirazione più alta e più pura, cioè l’integrità dello spirito, la serenità nella ritrovata e perfetta coscienza di Dio».

Nel discorso lei si è commosso citando la sua famiglia salvata dalle suore. Pio XII beato è un ostacolo al dialogo?

«Non abbiamo intenzione di entrare nella vicenda della beatificazione di Pio XII, non è affare del mondo ebraico. Ma se si vuole portarlo sugli altari per descriverlo alla storia quale non è, questo non lo possiamo accettare. Il predecessore di Pacelli, Pio XI ebbe il coraggio di combattere il nazismo e nel 1937 scrisse un documento in tedesco per contrastare quell’ideologia pagana che minacciava la Chiesa. Poi si attivò per condannare i provvedimenti sulla razza ariana e quando morì stava per realizzare un’enciclica in difesa degli ebrei. Pio XII non fece nulla per proseguire nella sua opera».

Benedetto XVI ne rivendica l’azione silenziosa a favore degli ebrei...

«Non ci sono prove di alcun genere che papa Pacelli si sia opposto alle leggi razziali. Di suo pugno non c’è una riga di condanna verso quei provvedimenti razzisti. Ma se vogliamo invece giudicare gli uomini di chiesa, come preti, suore, conventi, abbiamo un elenco infinito di giusti perché a rischio della loro vita salvarono ebrei. Però ci sono stati altri conventi che invece quelle porte le hanno aperte solo dietro pagamento e hanno messo fuori tanta gente che non aveva soldi. Oggi i germi dell’odio sono altrove ma sempre pericolosissimi, per esempio nell’“equivicinanza” ad Hamas e allo stato ebraico, nelle manifestazioni in cui si brucia la bandiera con la stella di Davide. I nostri fratelli in Israele vivono ogni giorno una guerra asimmetrica con il terrorismo islamico. E’ ancora troppo diffusa una visione distorta del conflitto in Medio Oriente in cui Israele è sempre colpevole».

E’ scoppiata la pace con il Vaticano?

«Questo incontro avrà effetti benefici. Continuano ad esserci delle differenze di giudizio sulla figura di Pio XII sotto il profilo storico, ma di questo si potrà parlare con maggior ragione quando saranno resi accessibili gli archivi vaticani. Alla vigilia, attorno alla visita del Papa, certamente c’era tensione, ma una tensione legata all’entusiasmo. Non c’è stata la minima contestazione. C’erano dei dissensi, ma ci furono anche con la visita di Giovanni Paolo II. Sono voci minoritarie che rispetto al 1986 sono emerse con maggior chiarezza, ma è una ricchezza della nostra comunità che è aperta al confronto e non si appiattisce su un’unica posizione. L’importante sono i frutti di questo evento. Cioè quello che accadrà dopo».

© Copyright La Stampa, 18 gennaio 2010