La massoneria è pericolosa? Molto di meno di quanto s’immagina, molto più di quel che si pensa. Lo dice, anzi lo documenta attraverso un’inchiesta culturale dotta e accattivante, Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni di Torino, autore di una quarantina di volumi, tra i più noti studiosi mondiali del “sacro postmoderno” ma pure di quelle vie non infrequenti della cultura pop che finiscono per avere a che fare con la spiritualità e con il soprannaturale. Ne Il simbolo ritrovato. Massoneria e società segrete: la verità oltre i miti (Piemme) Introvigne prende spunto dal nuovo romanzo di Dan Brown, Il simbolo perduto (Mondadori, 2009), che, dopo essersela presa con la Chiesa Cattolica ne Il Codice Da Vinci (Mondadori, 2003) – e, quantomeno in Italia, avere sull’onda del successo rispolverato in fretta il meno fortunato e precedente Angeli e Demoni (Mondadori, 2004) –, si cimenta con i framassoni.
Liberi muratori e adepti del culto
Ora, la frase che il romanziere americano ha pronunciato nell’intervista concessa a Panorama il 29 ottobre, «l’obiezione di Introvigne corrisponde a verità: sono molto più benevolo nei confronti della massoneria che del Vaticano», ha fatto il giro del mondo. Sbaglierebbe però chi si rappresentasse Dan Brown nei panni di un agente segreto che, armato di squadra e compasso, si lancia alla conquista del mondo se non altro culturale per conto di certe conventicole nascoste che coniugano potere, denari e riti occulti. Tutt’altro. Dan Brown preferisce la massoneria al Vaticano perché preferisce i framassoni a qualsiasi religione, a qualunque credo istituzionalizzato, a qualsivoglia Chiesa. E ha ragione. Le religioni sono infatti il freno all’“io sono Dio” oggi in voga, e fra esse il cattolicesimo è quella che lo fa più rotondamente. Spieghiamoci. I framassoni non sono nemici delle fedi, delle religioni, delle Chiese. Al contrario, le incoraggiano, se possibile le sponsorizzano, predicano persino la “doppia appartenenza”, liberi muratori e adepti di questo o di quel culto. Che vi sia un po’ di spirito in più in quest’epoca di grigia materia li fa contenti, e se poi le religioni, in primis i cattolici, praticano la carità, aiutano il prossimo e fanno beneficenza, cioè aprono scuole, ospedali e centri di accoglienza, è manna. Tutto la via massonica all’idea di Dio accoglie, raccoglie e ingloba. Tutto tranne la pretesa che un credo possa essere assoluto. Come emerge dalle sue carte di fondazione britanniche, scrive con chiarezza Introvigne, la massoneria «non è una dottrina, ma un metodo che propone la libera discussione dei problemi e la loro soluzione secondo quanto sembra vero e giusto alla maggioranza dei fratelli». La cosa, afferma lo specialista, ha un limite positivo: «non è permesso mettere in discussione l’esistenza di Dio». Epperò dai massoni «Dio può essere concepito in una grande varietà di modi, anche lontani da quanto propongono le religioni tradizionali».
Il dogma di discutere di tutto
Lo stesso tentativo di restringere la questione al solo monoteismo è sempre del resto stato respinto con forza dai massoni. Per ciò stesso, qualunque sia l’idea di Dio che soggettivamente i massoni coltivano e che diviene “verità” ufficiale a maggioranza, «tutti i massoni (…) hanno un accostamento alla questione dei dogmi che è incompatibile con quanto pensano dei dogmi la Chiesa Cattolica e diverse altre denominazioni cristiane». Infatti, oltre al citato limite positivo, il dibattito massonico su Dio conosce anche un limite negativo: «Tutto può essere messo in questione, tranne il metodo stesso». Ovvero, di tutto si può discutere tranne del fatto che di tutto si deve discutere; tutto è relativo, tranne la relatività di tutto. Un principio ben vicino alla nota aggressività del pensiero debole. «Chi – osserva Introvigne – proponesse l’unicità di una verità, di una religione, di una via si porrebbe automaticamente al di fuori del metodo massonico». Chi, cioè, «accetta il metodo massonico dev’essere disposto a mettere sul tavolo le sue idee, a “metterle in questione” e ad accettare il verdetto che emergerà dalla discussione condotta secondo i princìpi del libero dibattito». Nessun problema, evidentemente, a giocarsi tutto, sé e le proprie idee, assieme al prossimo; ma la nota dolens à che la risposta finale, da accettare per fede, su chi sia Dio dipende dall’opinione della maggioranza.
Introvigne sostiene che questo, il metodo relativistico, è ciò che accomuna tutte le diverse obbedienze e logge massoniche o paramassoniche, ma evidentemente vi è di più. Infatti secondo lo studioso il metodo massonico è oggi più diffuso che mai. Sta sui giornali, alla tivù, nelle discussioni al bar e persino fra gli uomini di scienza, di accademica, di studio. Nessun bisogno di trame nel buio, d’iniziazioni segrete, di liturgie nascoste. Vi saranno pure, vi sono anche, ma non è questo il punto. Potendo infatti contare un esercito fatto di grandi media, di brillanti opinionisti, di assisi internazionali che stabiliscono che il cattolicesimo buonista e persino la figura idealizzata e gandhizzata di Gesù Cristo vanno bene, ma il crocifisso negli edifici pubblici no giacché disturberebbe, a che serve qualche peone che si prende fin troppo sul serio e che gioca con gradi iniziatici e grembiulini?
A che serve ormai un Grande Oriente?
Potendo avere un Dan Brown che, vendendo uno sfacelo di libri e condizionando il cinema, promuove più metodo massonico lui di tutte le logge organizzate messe assieme, più relativismo quotidiano per le massaie che non i più scaltri cesellatori del debolismo, a che serve il Grande Oriente? Per questo la framassoneria è molto meno diffusa oggi di quanto si creda (la massoneria intesa come “il complottone” ordito in loggia che, dai tempi di Hiram in poi, dirige occultamente la storia facendo e forcando a piacimento) e quindi il metodo relativistico che la anima molto più persistente. L’inchiesta di Introvigne fa chiaramente dedurre che, principio a parte, di fatto l’aria che respiriamo oggi è più massonica di quanto gli stessi massoni abbiano mai sperato, e magari lo è pure senza avere chiesto il permesso a maestri e a gran maestri. Il relativismo contemporaneo, connotato dall’apparire di un nuovo mitologismo superstizioso e “magico”, è ciò che resta – diceva bene Augusto Del Noce – della lunga stagione dell’ateismo scientifico moderno. Morti gli dèi falsi dell’ideologia, si è venuto riproponendo con forza il dilemma fra il ritorno al vero Dio, che si chiama conversione, e la scappatoia della religione e della morale fai da te. Il bricolage massonicheggiante ha vinto il primo round?
Lost Symbol: “Dan Brown ai piedi della massoneria”
di Massimo Introvigne (Avvenire, 17 settembre 2009)
Robert Langdon, il professore di simbologia che novanta milioni di lettori del Codice da Vinci conoscono, arriva al Campidoglio di Washington invitato dal suo vecchio amico Peter Solomon, un massone d’alto bordo, a tenere un discorso. Ma quando – all’inizio del nuovo romanzo di Dan Brown The Lost Symbol (Il simbolo perduto) – entra nell’edificio, Langdon scopre che in realtà l’invito è falso, e fa una macabra scoperta: trova una mano tagliata, quella di Solomon, su cui sono incisi tatuaggi massonici. La mano punta verso un dipinto del 1865, che raffigura il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington (1732-1799), nelle vesti di un dio pagano. Il cattivo che ha teso la trappola a Langdon (la cui vera identità scopriremo soltanto a fine romanzo) si fa chiamare Mal’akh, “Angelo”, ha il corpo coperto di tatuaggi come un’opera d’arte ed è alla ricerca di una piramide massonica nascosta da qualche parte sotto Washington con mirabolanti poteri. Con l’aiuto (e presto, al solito, l’amore) della bella sorella di Solomon, Katherine, che studia la miracolosa scienza della noetica, Langdon completa un percorso a ostacoli tra i misteri del rito scozzese della massoneria, alchimisti, rabbini e agenti della CIA, sconfigge i cattivi e salva gli Stati Uniti da trame pericolosissime.
Un colpo al cerchio e uno alla botte: dopo essersela preso con la Chiesa nel Codice da Vinci stavolta Brown se la prende con la massoneria? Non è proprio così. Certo, Brown è sempre Brown, uno scrittore che nessuno ha mai accusato di fare serie ricerche storiche prima di scrivere i suoi libri. Pertanto in tema di rito scozzese, piramidi, cerimonie massoniche, architetture e urbanistica di Washington che sarebbero una mappa predisposta dalla massoneria, per non parlare delle strabilianti pretese New Age della noetica, lo specialista trova senza difficoltà le consuete sciocchezze. Pierre Charles L’Enfant (1754-1852), che disegna il Plan of the City of Washington nel 1791-1792 non è massone, e si conforma a indicazioni del governo che riceve non dal massone George Washington, ma dal non massone Thomas Jefferson (1743-1826). La leggenda è nata negli Stati Uniti ma è diventata patrimonio comune di chi legge certi libri con un testo del 1989 di Michael Baigent e Richard Leigh, due degli autori inglesi de Il Santo Graal cui Dan Brown aveva già abbondantemente attinto per le teorie sui Merovingi e sulla Maddalena del Codice da Vinci. E molte storie a fosche tinte sul rito scozzese della massoneria e sul suo dirigente ottocentesco Albert Pike (1809-1891) sono state inventate nel corso di polemiche del XIX secolo, o peggio provengono dalla fucina francese di Léo Taxil (1854-1907), un massone impostore che si finse convertito al cattolicesimo e propose incredibili rivelazioni su riti macabri e apparizioni del Diavolo in loggia, prima di confessare pubblicamente l’inganno nel 1897.
E tuttavia mentre Il Codice da Vinci era un libro anticattolico e anticristiano, The Lost Symbol non è un libro antimassonico. Certamente i massoni lamenteranno qualche imprecisione e esagerazione. Ma qui la massoneria – a differenza dell’Opus Dei nel Codice da Vinci o della Chiesa nemica della scienza nel romanzo Angeli e Demoni (molto più virulento del film, che ha notevolmente attenuato i toni) – non è “il cattivo”. Mentre sparare sulla Chiesa è considerato, negli ambienti che frequenta Dan Brown, politicamente corretto, si ha la sensazione che quando deve trattare della massoneria lo scrittore proceda con cautela e scriva dopo avere infilato la mano in un bel guanto di velluto. Brown, così, scherza coi santi e lascia stare i fanti.
Eppure a ben guardare una tesi ideologica nel nuovo libro c’è. Avrebbe fatto più rumore se Brown ce l’avesse fatta, come voleva, a finire il libro durante il regno di Bush. La figura del presidente convertito al protestantesimo born again e conservatore, infatti conferiva vivacità a un dibattito storiografico che dura da almeno cento anni e che contrappone due narrative a proposito delle origini degli Stati Uniti. Per la prima i padri fondatori degli Stati Uniti – anche se non erano tutti né esempi di comportamento morale né cristiani di buona dottrina – misero al centro dell’esperimento americano valori condivisi il cui fondamento era almeno genericamente cristiano. Per la seconda, il sottofondo comune che univa i padri fondatori non era invece il cristianesimo ma il deismo tipico della massoneria, utilizzato come lieve vernice filosofica per coprire temi gnostici, esoterici e ultimamente naturalistici e neo-pagani.
Il dibattito appassiona perché ha una portata culturale e politica. Se i padri fondatori, senza troppo dirlo, volevano fondare l’esperimento americano su una sorta di naturalismo neo-pagano, gnostico, “massonico” nel senso di questo termine corrente oggi (ma si dimentica che la massoneria americana del Settecento non era quella europea del XIX secolo o di oggi), allora le pretese – care a Bush – di presentare gli Stati Uniti come una Christian nation con una missione religiosa da compiere crollano come un castello di carte. E – aggiungono i seguaci della seconda narrativa – chi propone il relativismo morale, l’aborto, il matrimonio omosessuale è più vicino allo spirito pagano e gnostico dei padri fondatori di Bush o dei vescovi cattolici.
Per questa seconda narrativa scende in campo Brown. Per lo scrittore il fondo gnostico-massonico dell’ethos americano è un fatto positivo: naturalmente, per tanti anti-americani lo stesso fondo esiste ma è un dato negativo che conferma come degli Stati Uniti i cristiani facciano bene a non fidarsi.
Il dibattito, naturalmente, non si risolve con i romanzi, ed è diventato meno vivace con Obama, per cui la retorica della Christian nation non è così importante come per Bush. Ma la rozza presentazione di Brown è storicamente infondata. Benedetto XVI, visitando nel 2008 gli Stati Uniti, ha definito l’esperimento dei padri fondatori americani “un modello fondamentale e positivo”. Sul prato della Casa Bianca il Papa ha affermato che “sin dagli albori della Repubblica la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione”. I diritti della Costituzione americana sono insieme “fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura”: il Dio, ha precisato Benedetto XVI, della “fede biblica”. È giusto che gli storici continuino a dibattere. Ma il Papa in America ha svelato il gioco di chi presenta maliziosamente le origini degli Stati Uniti come soltanto massoniche per legittimare un’emarginazione del cristianesimo dalla vita politica di oggi. A questo gioco possono contribuire anche i romanzi. E Dan Brown, quando passa il treno di una cattiva causa, non manca mai di salire a bordo.
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